Introduzione
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1. INTRODUZIONE
La tematica dei fondi pensione in Italia è relativamente recente e ha ricevuto un nuovo fondamentale impulso dopo la recente riforma della previdenza complementare.
I fenomeni dell’allungamento della vita media e il basso tasso di natalità hanno indotto il legislatore alla revisione del sistema di calcolo delle pensioni obbligatorie, col passaggio dal sistema retributivo e a ripartizione (nel quale la pensione viene calcolata in percentuale degli ultimi stipendi percepiti e pagata dai lavoratori attivi coi loro contributi) a quello contributivo (nel quale la pensione è legata unicamente ai contributi versati durante la vita lavorativa).
Se tutto questo non fosse avvenuto infatti, i crescenti deficit tra entrate e spesa pensionistica avrebbero condotto all’esplosione della spesa pubblica previdenziale, in un paese come l’Italia dove la spesa pubblica è già alta, per non parlare dell’enorme voragine del debito pubblico.
Naturale conseguenza di questa previsione è l’abbassamento del tenore di vita post- pensionamento: da tassi di sostituzione tra ultimo stipendio e pensione dell’80% si prevede di scendere persino sotto il 50% (specie per i lavoratori autonomi).
La riforma della previdenza complementare cerca invece di consentire il mantenimento di un tenore di vita adeguato attraverso una serie di incentivi e istituti volti ad aumentare i flussi di finanziamento alla previdenza complementare: il conferimento del TFR ai fondi pensione, un regime fiscale agevolato sui contributi e le prestazioni, l’ampliamento delle opportunità di scelta per i lavoratori e l’adozione di strumenti volti a assicurare un’adesione consapevole e una più ampia libertà di circolazione all’interno del sistema.
Da un punto di vista finanziario si pongono comunque problemi di non facile soluzione e di non immediata risposta per il lavoratore, ad esempio: conviene rinunciare al TFR e al suo rendimento minimo garantito (fra l’altro indicizzato all’inflazione) per aderire a un fondo pensione?
I vantaggi fiscali offerti dalla riforma sono davvero risolutivi?
Il contributo del datore di lavoro è davvero così significativo?
E’ vero che investire in azioni nel lungo periodo produce sempre un risultato migliore del TFR?
Quanto costa aderire ad un fondo pensione?
Sebbene molti gestori, promotori, giornalisti, economisti sembrano abbandonarsi a facili previsioni ed essere in grado di dare risposta a queste e a tante altre domande, la realtà è molto più complessa di quello che si vuol far credere.
Introduzione
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In questo lavoro non daremo risposte definitive, che in economia e in finanza è molto difficile dare, dato che parliamo quasi sempre di fenomeni aleatori: cercheremo invece di sviluppare una serie di simulazioni, di analisi quantitative, di confronti storici, di ipotesi che possano chiarire quali sono le reali opportunità e gli ipotetici scenari utili ai giovani per adottare una scelta consapevole per il loro futuro post-lavorativo.
Dopo aver fornito un quadro sufficientemente ampio sui fondi pensione e sui contenuti della riforma della previdenza complementare, inizieremo con una analisi storico-quantitativa sulle performance delle forme di investimento più diffuse sul mercato finanziario e le confronteremo col TFR, comprese quelle offerte dal c.d. “risparmio gestito”.
Cercheremo poi di analizzare la reale influenza dei vantaggi che la riforma della previdenza complementare assegna ai fondi pensione, in particolare il regime fiscale agevolato e il contributo che il datore di lavoro fornisce in aggiunta alla quota TFR e al contributo del lavoratore, in caso di adesione a un fondo negoziale.
Analizzeremo poi una particolare forma di fondo pensione, quello a rendimento minimo garantito e ne studieremo l’onerosità, rifacendoci alla teoria delle opzioni.
Infine introdurremo alcuni metodi per la misurazione delle performance dei fondi a contribuzione definita e analizzeremo brevemente il funzionamento dei fondi a prestazione definita, che pure non compaiono nel sistema della previdenza complementare italiana.