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tutto ciò reso possibile dalla raccolta di vari contributi nella letteratura dell’ultimo ventennio

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Introduzione

Qual è la ricetta segreta per il successo di un’impresa? Rispondere a questo quesito è tutt’altro che semplice in quanto chiama in causa una molteplicità di fattori legati ad ambiti diversi: dalla finanza al marketing, dalla produzione alla logistica.

Un “ingrediente” che, sicuramente più di prima, fa la differenza, sono le risorse umane, gli uomini e le donne che danno vita all’organizzazione.

Non c’è azienda che non abbia tra i suoi valori la centralità delle persone o che non affermi che esse rappresentano uno dei principali asset strategici.

Ciononostante non sempre queste affermazioni trovano una reale concretizzazione: nella vita quotidiana troppo spesso prevalgono logiche di contrapposizione che antepongono gli interessi dell’impresa a quelli delle singole persone.

Ciò che le aziende devono interiorizzare nella loro cultura è il concetto che investire sul capitale umano sia la migliore scelta strategica, in quanto rappresenta un vantaggio non solo per le persone, ma anche per l’organizzazione stessa.

Il clima organizzativo è visto come un anello fondamentale che unisce le scelte e gli interventi messi in campo dalle aziende in tema di people management.

Queste le considerazioni di Laura Innocenti1.

Obiettivo di questo elaborato è l’analisi di due aspetti molto importanti su cui il management di ciascuna azienda dovrebbe riflettere: il clima ed il benessere organizzativo; tutto ciò reso possibile dalla raccolta di vari contributi nella letteratura dell’ultimo ventennio.

1 Innocenti L. (2013), “Clima organizzativo e gestione delle risorse umane”, Collana PRL, FrancoAngeli editore, Milano.

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Il capitale umano, infatti, è rimasto l’unico fattore sul quale poter investire seriamente e proficuamente, come afferma anche Fitz-enz “People are the key assets in the new world market and that all other assets are nothing more than commodities that can be purchased at a market prices, because only the human asset has potential to learn, grow, and contribute”2.

L’elaborato, che presenta un approccio compilativo, basato sull’analisi della letteratura, si sviluppa su quattro capitoli: iniziando dall’analisi del concetto di cultura organizzativa, passando per quelli di clima e benessere, fino ad arrivare all’analisi di alcuni tra i principali modelli di gestione delle risorse umane, dopo aver valutato i diversi contributi apportati negli anni.

Nel capitolo 1, è stato contestualizzato il concetto di cultura organizzativa:

partendo dalla definizione di Schein3, è stato analizzato il processo, suddiviso in quattro fasi come sostiene Gagliardi4, che porta alla sua nascita, soffermandosi sulla sua interpretazione, realizzazione e condivisione da parte dell’organico aziendale, anche attraverso una breve analisi degli elementi osservabili, quali riti, cerimonie, linguaggio specifico, storie e simboli. Dopo l’analisi di differenti tipologie di cultura identificabili nelle aziende, si giunge alla conclusione che l’esistenza di determinati valori aziendali, condivisi e diffusi dal management a tutta l’organizzazione, costituisca un importante presupposto all’implementazione di un percorso di indagine sul clima organizzativo:

l’engagement, il commitment e tutti quegli aspetti che riguardano il senso di responsabilità, la partecipazione attiva, l’impegno e, in un certo senso, anche l’attaccamento affettivo alla realtà aziendale.

Nel capitolo 2, si è passati alla trattazione del clima: dalla definizione di Patterson5, confrontata con quella relativa alla cultura di Schein, e declinata

2 Fitz-enz J. (1995), “How to measure human resources management”, New York; McGraw Hill.

3 Schein E.H. (1985), “Cultura di azienda e leadership:una prospettiva dinamica”, Guerini, Milano.

4 Gagliardi P. ( 1991), “Le imprese come culture. Nuove prospettive di analisi organizzativa”, VI edizione, ISEDI, Petrini Editore, Torino.

5 Patterson, Warr, West (2004), “Organizational climate and company productivity: the role of employee affect and employee level”, Journal of Occupational and Organizational Psychology, 77, pagg. 193- 216.

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nei vari aspetti – psicologico e organizzativo -, è stata approfondita l’analisi degli elementi caratterizzanti e distintivi del clima: dalla sua formazione, attraverso i quattro approcci individuati da Moran e Volkwein6, alla dissertazione sui vari contributi in letteratura relativamente alle valutazioni sulle sue dimensioni. Attraverso l’analisi effettuata da D’Amato e Majer7, si giunge ai concetti di burnout, job-satisfaction e benessere organizzativo.

Vengono poi analizzati i due principali strumenti di indagine del clima, quali il questionario e il focus group, evidenziandone gli aspetti positivi e negativi e la loro efficacia.

Il capitolo si conclude con l’esposizione di differenti modelli di leadership che possono essere più o meno adattabili e impattanti sul clima organizzativo, riconoscendo che non esiste uno stile ideale, ma solo una combinazione fra questi, a seconda del contesto, porterà alla soluzione direttiva più adatta.

Il capitolo 3 è incentrato sulla tematica del benessere organizzativo:

mancando una definizione comune e condivisa, ci si basa sui contributi di vari studiosi per cercare di definirne il concetto. Partendo dal significato psicologico del lavoro, health protection e health promotion, passando poi dal concetto di salute e, successivamente, di salute organizzativa, si giunge alla nozione di Qualità della Vita che è funzione di benessere soggettivo, psicologico, sociale ed infine organizzativo. Attraverso i vari contributi vengono identificati i fattori determinanti le condizioni di malessere, quali mobbing, burnout e stress.

Si può identificare il concetto di felicità come sinonimo di Qualità della Vita e, di conseguenza, di benessere, portando l’esempio dei governi Sarkozy e Cameron che hanno proposto di includere come indicatore di

6 Moran E. T., Volkwein J. F. (1992), “The Cultural Approach to the Formation of Organizational Climate”, in Human Relations, 45: 19-47.

7 D’Amato A., Majer V. (2001), “Il clima organizzativo: approcci teorici e prospettive di ricerca”, Risorsa Uomo, vol. 8, fascicolo 3/4, pagg. 267-292.

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benessere di uno Stato non solamente il Pil, ma anche il Fil – Felicità interna lorda -.

A seguire sono state elencate alcune linee guida per il raggiungimento ed il mantenimento del benessere organizzativo: la comunicazione, indispensabile per il funzionamento di ogni organizzazione; il senso di appartenenza e di identificazione da parte dei dipendenti; il senso di giustizia o equità, aspetto essenziale e fondamentale ed infine la prevenzione del burnout.

Si arriva così alla conclusione di quali siano le conseguenze al benessere organizzativo, intese come reazioni da parte dei clienti interni ed esterni:

partendo dalla job satisfaction, e supportati dal caso del Parnassus Workplace Fund di Dodson, si giunge alla considerazione finale che le aziende nelle quali i dipendenti “respirano” un certo benessere sono quelle di maggior successo.

Se intenzione dell’azienda è mantenere la propria competitività ed avere successo, il management si deve adoprare per far sì che i dipendenti

“vivano bene” l’ambiente lavorativo.

Il capitolo 4, volutamente inserito al termine della dissertazione, per tentare un riepilogo logico di quanto trattato nell’excursus, è stato incentrato sulle politiche di gestione delle risorse umane, in quanto funzione promotrice e, di conseguenza, responsabile della creazione e mantenimento di tali condizioni lavorative positive.

Dopo una veloce premessa sul ruolo della funzione risorse umane e della sua evoluzione nel tempo, sono stati analizzati alcuni dei più importanti modelli di gestione delle risorse umane: Strategic Human Resource Management; High Performance Work Systems; modello di Michigan; di

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Harvard; di Schuler e Jackson; di Sonnenfeld e colleghi; della resource capability; del talento ed evoluzionista.8

L’attenzione si è successivamente focalizzata sul modello più predisposto all’attuazione di indagini di clima, come il diversity management, considerando sempre che non ne esiste uno valido in assoluto.

L’elaborato si conclude con una breve panoramica su alcune linee guida che il management potrebbe porre in essere per il raggiungimento dello stato di benessere organizzativo. Il leader dovrebbe essere dotato di capacità: di ascolto, emozionale, motivazionale e delegante; tutto questo per rendere i dipendenti fautori, e non semplici “comparse”, del successo aziendale.

8 L’analisi è stata effettuata utilizzando il manuale di Solari L (2005), “La gestione delle risorse umane.

Dalle teorie alle persone.”, Carocci editore, Roma.

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CAPITOLO 1

LA CULTURA ORGANIZZATIVA

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 Cosa è la cultura

“La cultura organizzativa è l'insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto e sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi” .9

Partendo da questa definizione possiamo ricavare che la cultura è profondamente radicata all'interno dell'organizzazione, scaturisce da un processo di apprendimento organizzativo a seguito di risposte e modi di agire - attuati e che hanno avuto esiti positivi – ed è stata interiorizzata da tutti i membri dell'organizzazione stessa.

Approfondendo la sua ricerca sulla cultura, Schein (1984) individua un modello a tre livelli:

 ad un livello più superficiale e visibile, troviamo i comportamenti osservabili, gli artefatti, i simboli, le tecnologie;

 al livello intermedio, meno visibile rispetto al precedente, sono posti i valori, spesso non direttamente osservabili, ma indagabili tramite osservazioni o questionari, oppure esplicitati, come ad esempio le carte della cultura;

 al livello più profondo sono collocati gli assunti di base che determinano il comportamento e che indicano ai componenti del gruppo come la realtà debba essere percepita, pensata e sentita.

L'essenza della cultura, quindi, si trova al livello più profondo, proprio perché rappresentativa degli assunti e profondamente interiorizzata da tutti i membri dell'organizzazione: rappresenta, cioè,

9 Schein E., citato da Fiore B. (2007), “Cultura e clima organizzativo: teorie a confronto e necessità di sintesi”, Sociologia e ricerca sociale, Milano, Franco Angeli Editore, 2007, vol.82, pag.86.

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la parte non scritta. Come suggerisce Gagliardi, per comprendere realmente una cultura ed interpretare più compiutamente i valori del gruppo ed il suo comportamento manifesto è indispensabile approfondire l’analisi fino agli assunti impliciti, che sono tipicamente inconsci, ma che determinano il modo in cui i membri del gruppo percepiscono, pensano e sentono. Questi assunti sono essi stessi risposte apprese che hanno avuto origine come valori accettati. Se un valore induce un comportamento, e se quel comportamento porta alla soluzione del problema che lo ha generato, il valore stesso gradualmente si trasformerà in un assunto implicito circa il reale stato delle cose. Nella misura in cui è sempre più dato per scontato, l’assunto scomparirà dalla sfera della consapevolezza. “Gli assunti dati per scontati sono così potenti perché sono meno discutibili e confrontabili dei valori dichiaratamente accettati” 10. Nelle prossime pagine vedremo come nasce e si consolida la cultura.

La cultura fornisce ai membri dell'organizzazione un senso di identità e determina un impegno nei confronti di opinioni e valori che hanno una valenza maggiore rispetto ai singoli individui.

La cultura è il luogo in cui si insediano i processi di apprendimento:

un insieme di valori, opinioni e conoscenze condivisi dai membri dell'organizzazione e che vengono insegnati a chiunque entri a farne parte.

Il principio di apprendimento organizzativo si basa sugli studi svolti da Weick11 sul concetto di sensemaking (creazione di senso), da cui emerge che le organizzazioni reagiscono solo a problemi o situazioni che siano percepiti, riconosciuti e compresi dai loro membri e, di conseguenza, integrati nelle mappe cognitive elaborate con l'esperienza e da cui trarre rappresentazioni e schemi interpretativi

10 Gagliardi P. ( 1991), “Le imprese come culture. Nuove prospettive di analisi organizzativa”, VI edizione, ISEDI, Petrini Editore, Torino, pagg. 397-398.

11 Weick K. ( 1993), “Organizzare: la psicologia sociale dei processi organizzativi”, Isedi, Milano.

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11 della realtà12.

Dobbiamo evidenziare due aspetti fondamentali in questa analisi:

 il rapporto tra organizzazione ed ambiente. L'ambiente è frutto dei modi in cui gli attori organizzativi agiscono e creano senso:

i confini tra queste due realtà sono molto incerti, variano a seconda delle circostanze, dei problemi da affrontare di volta in volta e, soprattutto, della capacità dei membri dell'organizzazione di manipolarli. Ambiente e organizzazione non sono entità distinte, ma interdipendenti tra loro. L'ambiente non è dato, ma è modificabile dall'azione e dalle interazioni degli stessi attori.

 le dimensioni cognitive della creazione di senso, che sono rappresentate dalle interazioni fra soggetti, dai significati che le guidano e dalla realtà che ne scaturisce. Ragionare sulle organizzazioni significa ragionare non su cose e realtà date, ma su azioni e processi che, creando senso, creano contemporaneamente le organizzazioni ed i loro ambienti.

Un’ulteriore interpretazione e chiave di lettura della cultura viene data da Martin13, secondo la quale, per poter comprendere e studiare la cultura organizzativa, è necessario considerare tre prospettive14:

 prospettiva dell’integrazione;

 prospettiva della differenziazione;

 prospettiva della frammentazione.

La prima prospettiva afferma che a determinare la cultura contribuisca il consolidamento dei valori e delle norme comunicate e comprese dalla maggioranza degli individui che operano in un determinato contesto organizzativo. Questo processo normalmente è favorito da

12 Fiore B. (2007), “Cultura e clima organizzativo: teorie a confronto e necessità di sintesi”, Sociologia e ricerca sociale, Milano, FrancoAngeli Editore, 2007, vol.82, pagg.87-88.

13 Martin J. ( 1995), “Organizational culture”, in Nichloson N. (ed.), “The Blackwell encyclopedic dictionary of organizational behaviour”, Blackwell, Cambridge, MA.

14 Innocenti L. (2013), “Clima organizzativo e gestione delle risorse umane”, Collana PRL, FrancoAngeli editore, Milano, pagg. 32-33.

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leader carismatici che stabiliscono principi e valori di riferimento.

In base alla seconda prospettiva, ciò che determina e consolida la cultura di un’organizzazione è la sua capacità di agire consapevolmente sugli interessi contrastanti e contrapposti di tutti coloro che compongono l’organizzazione stessa, in maniera tale da trovare possibili nessi ed elementi di vicinanza.

Partendo dalla differenziazione, la terza prospettiva arriva a parlare di frammentazione: le culture contemporanee sono talmente intrise di ambiguità rispetto a norme, valori, credenze che inevitabilmente tendono appunto a frammentarsi in sotto-gruppi, ognuno dei quali con visioni diverse.

Come nasce la cultura

La cultura deriva dall'idea di un leader o fondatore che elabora ed attua dei concetti e dei valori specifici, come possono essere la visione, la filosofia o la strategia di business.

La cultura, come anticipato precedentemente, è quindi il risultato di una storia di apprendimento collettivo che può essere suddiviso in quattro fasi15: inizia con la nascita dell’organizzazione sulla base della visione – un insieme di credenze - del leader, che rappresenta il punto di riferimento ed il criterio di valutazione nella definizione degli obiettivi e di assegnazione dei compiti ai vari membri. Queste credenze sono convinzioni relative a relazioni di causa – effetto, che derivano da educazione, esperienza e conoscenza dell’ambiente del leader. In questa prima fase è possibile che i membri dell’organizzazione non condividano le idee dell’imprenditore, che tuttavia può avere il potere per orientare il loro comportamento nella direzione voluta, almeno nelle aree in cui può esercitare un controllo

15 Gagliardi P. ( 1991), “Le imprese come culture. Nuove prospettive di analisi organizzativa”, VI edizione, ISEDI, Petrini Editore, Torino, pagg. 423-424.

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13 diretto.

Nella seconda fase, qualora i comportamenti basati sulle credenze di fondo del leader abbiano dato risultati positivi, le teorie vengono confermate e supportate dall’esperienza e tenderanno ad essere condivise dai membri dell’organizzazione ed utilizzate come criterio di riferimento per l’azione, influenzando la scelta degli obiettivi e dei mezzi anche nelle aree non direttamente controllate dal leader. I costi psicologici ed economici del controllo si riducono e, di conseguenza, migliora l’efficienza del sistema: diventa possibile investire le risorse risparmiate per rafforzare la strategia di base dell’azienda.

Successivamente, la visibilità e la persistenza avranno rassicurato e gratificato i membri del gruppo, di conseguenza pian piano diminuirà l’attenzione alla verifica della validità dell’idea lasciando sempre più spazio all’identificazione dell’organizzazione con la “causa”.

Quest’ultima diventerà un ideale, un qualcosa di desiderabile ed importante per se stesso e non strettamente legato ad un fine:

l’organizzazione “lotterà” per la causa e non più per l’effetto.

Nella quarta ed ultima fase, il valore ormai condiviso ed indiscusso verrà dato sempre più per scontato, tanto da sfuggire alla consapevolezza degli attori e da orientare il comportamento in modo automatico: questo è il caso in cui il valore si trasforma in assunto.

Alla luce di questa interpretazione, Gagliardi16, considera i valori come “l’idealizzazione di esperienze collettive di successo nell’esercizio di una competenza” e come “la trasfigurazione emotiva di precedenti credenze”. L’idealizzazione dei successi passati può essere a tal punto forte persino da rendere le organizzazioni incapaci di dimenticare una conoscenza obsoleta, nonostante questa possa essere già stata smentita più volte dall’esperienza.

16 Gagliardi P. ( 1991), “Le imprese come culture. Nuove prospettive di analisi organizzativa”, VI edizione, ISEDI, Petrini Editore, Torino, pag. 425.

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1.2 Come viene interpretata e vissuta all’interno dell’azienda la cultura

Allaire e Firsirotu17 osservano che tutte le organizzazioni adottano alcuni valori fondamentali per sostenere le loro attività.

La legittimità esterna18 è una condizione essenziale affinché l’azienda possa ottenere le risorse e il sostegno sociale necessari allo svolgimento della sua attività. Le aziende stesse non possono prescindere dal soddisfare gli interessi e le attese degli stakeholders da cui ricevono risorse per la loro esistenza e sopravvivenza.

La legittimazione sociale può derivare da due processi:

 l’adozione diretta di modelli culturali dell’ambiente, ovverosia istituzioni, norme, valori e ideologie consolidate;

 la pressione di sanzioni sociali e materiali, che spingono al conformismo delle idee nei confronti di un ordine normativo di derivazione istituzionale.

La facoltà ed il potere di sanzionare fanno sì che le parti esterne possano far valere le loro pretese ed esigenze nei confronti delle organizzazioni: da qui il conformismo.

Le organizzazioni, a loro volta, si possono adattare in vari modi:

cambiando la propria missione, oppure utilizzando simboli e pratiche che consentono loro di essere identificate con istituzioni e valori sociali legittimi.

Le organizzazioni, per poter continuare ad esistere, devono quindi soddisfare codici di condotta economici, legali e sociali ed i loro membri, per potersi adeguare a questi codici, devono elaborare determinati orientamenti culturali.

17 Allaire Y., Firsirotu M. (1984), “Theories of organizational culture”, Organization Studies, Alvesson V.

M., Berge P. P., 1992, “L’organizzazione e i suoi simboli”, Raffaello Cortina Editore, Milano citati in

“Cultura e clima organizzativo: teorie a confronto e necessità di sintesi” di Fiore B. (2007), Sociologia e ricerca sociale, Milano, Franco Angeli Editore, 2007, vol.82, pag.89.

18 Fiore B. (2007), “Cultura e clima organizzativo: teorie a confronto e necessità di sintesi”, Sociologia e ricerca sociale, Milano, Franco Angeli Editore, 2007, vol.82, pagg. 89-91.

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Dobbiamo tuttavia sottolineare che la sopravvivenza delle organizzazioni dipende da una vasta gamma di minacce ed opportunità percepite ed un’ampia gamma di orientamenti culturali.

La legittimità interna è un’altra condizione imprescindibile per la validità della cultura organizzativa, in quanto i membri dell’organizzazione accettano e sostengono solamente i significati culturali che approvano e che corrispondono ai propri valori, credenze, tradizioni e che quindi sono considerati legittimi19.

La validità delle culture organizzative dipende anche dall’utilità percepita dell’appartenenza al gruppo: dato che le culture organizzative implicano comportamenti rilevanti per le relazioni di scambio fra i membri, il consenso interno nei confronti della cultura organizzativa dipende dalla valutazione positiva delle conseguenze che questa può avere per coloro che la condividono.

Le culture assolvono, tra le altre, nelle organizzazioni due funzioni critiche20:

 integrazione interna: far sviluppare ai membri un’identità collettiva in modo da renderli in grado di lavorare insieme efficacemente. La cultura ha lo scopo di guidare i rapporti di lavoro quotidiano e determinare le modalità di comunicazione interna fra le persone facenti parte dell’organizzazione;

 adattamento esterno, ossia le modalità utilizzate dall’azienda per raggiungere gli obiettivi e relazionarsi alle entità esterne.

La cultura contribuisce a dirigere le attività quotidiane dei dipendenti verso il raggiungimento di determinati obiettivi ed aiuta l’organizzazione a rispondere rapidamente alle necessità

19 Schein E. (1985), “Organizational Culture and Leadership”, S. Francisco, Jossey- Bass, citato in

“Cultura e clima organizzativo: teorie a confronto e necessità di sintesi” di Fiore B. (2007), Sociologia e ricerca sociale, Milano, Franco Angeli Editore, 2007, vol.82, pag. 90.

20 Daft Richard L. (2004), Organizzazione aziendale – seconda edizione, Apogeo, Feltrinelli Editore, Lavis (TN), pagg. 327- 332.

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dei clienti o alle operazioni messe in atto dai concorrenti.

In mancanza di regole o di politiche aziendali scritte, inoltre, la cultura organizzativa permette di guidare il processo decisionale dei dipendenti.

Partendo dall’interpretazione di Daft21, una modalità per poter identificare ed interpretare il contenuto della cultura è quella di basarci su degli elementi osservabili, quali riti e cerimonie, storie, simboli e linguaggio.

Riti e cerimonie

Si tratta di attività elaborate e pianificate che rappresentano un evento speciale, spesso vengono svolte a beneficio di un pubblico e forniscono degli esempi significativi dei valori dell’azienda.

Normalmente possiamo identificare quattro tipologie di riti:

 riti di passaggio, che facilitano la transizione dei dipendenti verso nuovi ruoli – ad esempio la comunicazione formale all’intero personale della promozione di un dipendente a cui magari può seguire una cena per festeggiare l’evento -;

 riti di rinforzo, creano identità sociali più forti ed incrementano lo status dei dipendenti, come ad esempio serate di premiazioni ai dipendenti più performanti;

 riti di rinnovo, riflettono attività di formazione e sviluppo che migliorano il funzionamento organizzativo – ad esempio in Decathlon i “traslochi” interni per dare un nuovo aspetto al negozio oppure anche l’inventario generale annuale -;

 riti di integrazione, che vanno a creare legami comuni e sentimenti positivi fra i dipendenti, aumentandone la dedizione nei confronti dell’organizzazione: un chiaro esempio è la cena di Natale offerta dall’azienda a tutti i dipendenti.

21 Daft Richard L. (2004), Organizzazione aziendale – seconda edizione, Apogeo, Feltrinelli Editore, Lavis (TN), pagg. 327- 332.

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17 Storie

Sono racconti basati su avvenimenti realmente accaduti che circolano frequentemente tra i dipendenti dell’organizzazione e vengono riportati ai nuovi dipendenti per fornire informazioni sull’organizzazione.

Molte storie raccontano di eroi aziendali assunti a modelli o ideali a servizio delle norme e dei valori culturali: alcune di esse vengono considerate leggende, in quanto ai fatti reali vengono aggiunti dettagli immaginari, altre sono miti, cioè coerenti con i valori aziendali, ma non supportate da fatti.

Le storie mantengono vivi i valori aziendali e forniscono una conoscenza comune a tutti i dipendenti.

I simboli sono rappresentativi della cultura: le cerimonie, i riti, gli slogan, le storie. Altri simboli possono essere rappresentati dagli elementi fisici dell’azienda, che fanno in modo di concentrare l’attenzione su un oggetto specifico.

Il linguaggio - come i detti particolari, gli slogan, le metafore o altri elementi - viene utilizzato per comunicare specifici significati ai dipendenti. Gli slogan, ad esempio, nascono apposta per essere immediatamente recepiti e ripetuti dai dipendenti o dai clienti dell’azienda.

Nella letteratura possiamo individuare quattro tipologie di cultura organizzativa a seconda del focus strategico adottato dall’azienda e dall’ambiente in cui essa è inserita22:

 cultura adattiva o imprenditoriale, caratterizzata dal focus sull’ambiente esterno che si traduce in flessibilità e cambiamento allo scopo di soddisfare le necessità dei clienti;

 cultura della missione, focalizzata anch’essa sull’ambiente

22 Daft R. L. (2004), “Organizzazione aziendale – seconda edizione”, Apogeo, Feltrinelli Editore, Lavis (TN), pagg. 332- 335.

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esterno senza però avere la necessità di cambiamenti rapidi;

 cultura burocratica, con un focus interno ed un orientamento coerente con un ambiente stabile;

 cultura di clan, concentrata principalmente sul coinvolgimento e la partecipazione dei membri dell’organizzazione e caratterizzata da un ambiente esterno dinamico in cui le aspettative si modificano rapidamente.

In questo elaborato si analizzerà la cultura focalizzata sul concetto di benessere organizzativo, quale, a mio parere, potrebbe essere considerata la cultura di clan.

Infatti, nella cultura di clan ha particolare importanza la figura dei dipendenti: l’azienda tenderà quindi a prendersi cura di loro ed assicurarsi che abbiano a disposizione qualsiasi cosa di cui necessitino per la soddisfazione dei propri bisogni e per essere, allo stesso tempo, produttivi.23

La cultura di clan viene definita anche “approccio morbido”24 o soft alle organizzazioni: quegli approcci, cioè, che siano in grado di valorizzare gli aspetti culturali, simbolici, riflessivi ed i processi di conferimento di senso tipici degli individui che lavorano all’interno delle strutture.

Si tratta di un approccio che inizia a svilupparsi verso la seconda metà degli anni Settanta, periodo durante il quale si verifica una certa tendenza delle aziende ad abbandonare gli strumenti di controllo burocratico passando a quelli basati sull’interiorizzazione da parte dei dipendenti di valori ed obiettivi aziendali. Il motivo di questa

“inversione” di tendenza, secondo Colella, derivava dalla crescente insoddisfazione manifestata dai dipendenti nei confronti degli

23 Daft R. L. (2004), “Organizzazione aziendale – seconda edizione”, Apogeo, Feltrinelli Editore, Lavis (TN), pag. 334.

24 Colella F. (2005), “La cultura organizzativa e gli approcci morbidi: nuovi modelli organizzativi nelle aziende della New Economy”, m@gm@ - International Magazine, v.3, n.4, pagg.1-7.

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strumenti di controllo tradizionali, quelli che andavano a privilegiare lo studio degli aspetti strutturali delle organizzazioni.

Altro motivo fondamentale e determinante affinché questo nuovo approccio iniziasse ad avere maggiore rilievo, è stato il sempre più frequente utilizzo dei metodi di ricerca qualitativa dimostrato da studi di vari casi aziendali, nei quali era evidente la preferenza degli

“approcci soft” dell’organizzazione del lavoro in quanto l’individuo rappresenta l’elemento fondante di questa teoria.

Le tradizionali strutture piramidali - nelle quali la gerarchia ricopre più importanza dell’individuo in quanto tale - perdono forza, poiché si inizia ad assistere a nuovi modelli organizzativi caratterizzati da priorità diverse: importanza del capitale umano, orari flessibili, particolari attenzioni all’ambiente e al clima lavorativo, impiego di nuove tecnologie, lavoro di squadra, motivazione dei lavoratori e senso di appartenenza ed identificazione con gli ideali aziendali.

Il lavoro diventa quindi sempre più identificabile con la creatività, e la comunicazione riveste un ruolo fondamentale, come vedremo in seguito.

Prendendo spunto da Goodenough, “la cultura è nella mente e nel cuore degli uomini: un complesso di tradizioni trasmesse da una generazione all’altra che prescrive tutto ciò che il singolo deve sapere, pensare e sentire per poter far parte di un’organizzazione”25. Possiamo quindi affermare, come precedentemente anticipato e spiegato, che la cultura contiene elementi quali valori, ideologie, accordi negoziali, abitudini, stili, comportamenti che orientano le azioni verso il consenso ed i progetti comuni, che rendono possibili gli sforzi organizzativi e, di conseguenza, l’esistenza dell’organizzazione stessa.

La cultura è una caratteristica durevole di un’organizzazione, cresce e

25 Goodenough W. H. (1981), “Culture and language in society”, Benjamin – Cummings, Menllo Park C.A.

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si fortifica lentamente e può esistere solo quando un’unità sociale vive da lungo tempo ed ha un proprio passato riconoscibile ed identificabile. Ha, inoltre, natura dinamica, in quanto suscettibile di cambiamenti, anche se solo in determinate condizioni ed in maniera molto lenta.

A supporto di quanto asserito finora, abbiamo l’esempio di una ricerca empirica svolta in una famosa Web Company26, il cui obiettivo era individuare gli assunti profondi del gruppo fondatore, ritenuti fondamentali per la nascita e lo sviluppo della cultura. Si tratta di un’azienda nazionale con una sede anche in USA, in cui l’età media dei dipendenti è di 26 anni e fra i benefits si possono elencare uno spazio adibito alla cucina “fai da te”, un giardinetto Zen, una palestra, un massaggiatore ed altri ancora. Lo stile dell’architettura si basa sull’open space adatto a favorire il più possibile la comunicazione e lo stile informale dei rapporti. La volontà della leadership è quindi quella di creare un ambiente originale, informale e ludico, proprio per far sì che i dipendenti, che trascorreranno gran parte della loro giornata in azienda, si sentano il più possibile a loro agio. L’assunto fondamentale cui ruota attorno tutta l’organizzazione è il concetto di

“essere una famiglia”: ci si basa sul fattore emozionale. Da qui derivano poi una serie di altri assunti concernenti il comportamento corretto da tenere per far parte dell’azienda: solidarietà, disponibilità, senso di appartenenza all’azienda, ruolo primario di una comunicazione diretta e alla pari, abbattendo le gerarchie.

La leadership dà importanza al “lavorare in amicizia”, alla cura delle relazioni interpersonali, alla “tendenza ad agire” – che tutti abbiano padronanza del proprio lavoro -: caratteristiche prioritarie risultano, quindi, essere la responsabilità individuale e l’autogestione dei tempi.

Unico aspetto negativo emerso dalla ricerca risiede nella tipologia di

26 Colella F. (2006), “La cultura organizzativa e “gli approcci morbidi”. Nuovi modelli organizzativi nelle aziende della New Economy”, La critica sociologica, S.I.A.R.E.S. S.a.s., Roma, vol. 157, primavera 2006, pagg.75-76.

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lavoro “a progetto”, che, con orari estremamente flessibili, viene considerato dai dipendenti come un fattore caotico e poco controllabile: non esistono né un protocollo aziendale, né regole precise sulla gestione dei tempi lavorativi, né tantomeno un percorso di carriera definito.

Ciononostante, la leadership si basa sulla concezione del “decidere assieme”, in modo da far sì che i dipendenti siano stimolati e partecipino attivamente alle scelte aziendali: si tende a far in modo che la crescita professionale sia accompagnata ad una crescita personale, profondendo impegno nel portare avanti ciò in cui si crede, contando sulle proprie capacità e, di conseguenza, non smettendo mai di crescere.

Tutti questi assunti sono alla base anche nella selezione delle persone da assumere, in quanto l’obiettivo è quello di perpetuare la cultura: si cercheranno quindi ragazzi che siano il più possibile simili, magari anche a livello caratteriale, a chi fa già parte della “famiglia”.

Altra caratteristica da evidenziare è la distanza culturale tra i nuovi assunti e la leadership: la cultura è considerata dal gruppo fondatore una forza che deve essere utilizzata ed i cambiamenti sono ritenuti indesiderabili.

Nel periodo di forte crisi economica, si sono venuti a creare due sottogruppi culturali con differenti schemi: questo evento è dovuto al fatto che il “soul program” – il programma di trasferimento dei valori aziendali – non è mai entrato in funzione e anche, come dimostra la letteratura, l’acculturazione, la costruzione e la socializzazione della cultura organizzativa necessitano di tempistiche lunghe, in quanto non facilmente modificabili dalla leadership.

Questo caso aziendale dimostra quanto affermato finora: la cultura così ben radicata all’interno della leadership viene trasmessa a chiunque entri a far parte dell’organizzazione ed i valori, che pian piano si sono trasformati in assunti e sono diventati indiscutibili, sono

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alla base dei comportamenti tenuti dai membri dell’azienda.

Come chiarisce Gagliardi, “le organizzazioni che hanno raggiunto uno stadio di maturità o di declino, per la maturità di mercati e di prodotti o perché la troppa stabilità e l’eccessivo benessere interni ostacolano l’innovazione, possono sentire il bisogno di modificare in parte la propria cultura, ammesso che posseggano la necessaria capacità di autoanalisi. Un cambiamento così gestito sarà sempre un processo doloroso e che provocherà forti resistenze. Inoltre il cambiamento non sarà possibile se non si sostituiranno le molte persone che desiderano mantenere intatta la cultura d’origine”27.

1.3 I valori aziendali

Ogni qualvolta facciamo riferimento alla cultura, ci riferiamo ai valori aziendali proprio perché ne rappresentano le fondamenta.

Per valori, in genere, si intendono le idee (o convinzioni, orientamenti, norme o modelli di comportamento) che determinati individui o gruppi privilegiano come le più idonee ad orientare gli atteggiamenti verso il soddisfacimento dei bisogni fondamentali dell’uomo.

I valori imprenditoriali sono quelli che orientano atteggiamenti e comportamenti di dati soggetti – operanti all’interno o all’esterno di un’impresa – nei riguardi della stessa, in relazione al ruolo loro proprio.

I valori sono, quindi, fonte di ispirazione dei comportamenti: se non vengono capiti sarà difficile riuscire ad orientare la condotta da tenere da parte degli attori che ruotano intorno all’azienda.

Per poter comprendere ciò che l’impresa è o che cosa ha fatto finora, dobbiamo innanzitutto avere ben chiaro ciò che sta dentro, ciò che è

27 Gagliardi P. ( 1991), “Le imprese come culture. Nuove prospettive di analisi organizzativa”, VI edizione, ISEDI, Petrini Editore, Torino, pag. 414.

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radicato nella cultura, ovvero tutto quello che ha ispirato l’imprenditore e che lo ha portato alla decisione di mettere in atto il suo progetto.

Selznick28 parla dei valori che si incarnano in una struttura organizzativa attraverso la definizione della missione dell’organizzazione, del programma di attività, dei meccanismi di reclutamento selettivo e di socializzazione.

Clark29 definisce la saga come un sistema di interpretazione collettiva dell’unicità di un gruppo formalmente costituito nell’assolvimento di un compito.

Entrambi gli autori discutono le condizioni necessarie per la creazione delle saghe e sostengono l’importanza della concezione e dell’enunciazione iniziale di un forte proposito da parte di una singola persona o di un piccolo gruppo.

Gagliardi30 sostiene che gli imprenditori possono essere considerati non solo come creatori di alcuni degli aspetti più razionali e tangibili delle organizzazioni – strutture e tecnologie -, ma anche come creatori di simboli, ideologie, linguaggi, convinzioni, rituali e miti, tutti aspetti delle componenti più culturali ed espressive della vita organizzativa.

Nelle organizzazioni nuove, seguendo questo concetto, è quindi possibile studiare i processi di transizione dall’assenza di convinzioni a nuove condizioni, dall’assenza di regole a nuove regole, dall’assenza di cultura ad una nuova cultura, in generale, come le idee vengono tradotte in forme strutturali ed espressive.

Fra i più importanti valori, possiamo individuare quelli relativi all’etica, come il codice di principi e di valori morali che governa i comportamenti di una persona o di un gruppo in riferimento a ciò che

28 Selznick P. (1957), “Leadership in Administration: a Sociological Interpretation”, Evanston, IL: Row, Peterson, citato in “Le imprese come culture. Nuove prospettive di analisi organizzativa” di Gagliardi P. (1991), VI edizione, ISEDI, Petrini Editore, Torino, pag. 57.

29 Clark C. citato in “Le imprese come culture. Nuove prospettive di analisi organizzativa” di Gagliardi P.

(1991), VI edizione, ISEDI, Petrini Editore, Torino, pag. 58.

30 Gagliardi P. ( 1991), “Le imprese come culture. Nuove prospettive di analisi organizzativa”, VI edizione, ISEDI, Petrini Editore, Torino, pag. 58.

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24 è giusto o sbagliato.31

“I valori, come componente essenziale del funzionamento delle organizzazioni, sono anche un oggetto di analisi molto delicato e di difficile trattazione, sia perché si tratta di materiale molto “caldo”, spesso terreno di scontro ideologico, sia perché si opera ad un grado di astrazione molto alto, in cui vengono indicate finalità generalissime, ma con mezzi di espressione molto concreti. Questa contraddizione fra l’elevata astrattezza del contenuto e la concretezza della sua espressione è un fattore che rende difficile la comprensione dei valori e del loro funzionamento sociale”32.

Da questa sua considerazione, Gagliardi giunge alla conclusione che attraverso lo studio dei miti organizzativi sia possibile analizzare i valori e, di conseguenza, comprendere la struttura organizzativa.

I valori permettono quindi di unire alti livelli di astrazione con manifestazioni estremamente concrete e quotidiane: per individuare la manifestazione dei valori, non bisogna far altro che “cercarla nell’incontro paradossale tra ciò che è astratto e ciò che è concreto”33.

I valori aziendali su cui si basa il presente elaborato sono tutti quelli relativi all’implementazione ed attuazione di un clima positivo, di un’azienda rivolta al benessere organizzativo: un ambiente lavorativo piacevole in cui i dipendenti vivono bene e svolgono il loro lavoro con serenità, senza percepire la “pesantezza” e, conseguentemente, lo stress dato dalla mansione stessa.

Le organizzazioni sono alla continua ricerca di paradigmi che consentano loro di conseguire e mantenere un vantaggio competitivo, affrontando la sfida più difficile che possano trovare sul loro percorso:

31 Daft Richard L. (2004), “Organizzazione aziendale”, seconda edizione, Apogeo, Feltrinelli Editore, Lavis (TN), pag. 341.

32 Gagliardi P. ( 1991), “Le imprese come culture. Nuove prospettive di analisi organizzativa”, VI edizione, ISEDI, Petrini Editore, Torino, pag. 84.

33 Gagliardi P. ( 1991), “Le imprese come culture. Nuove prospettive di analisi organizzativa”, VI edizione, ISEDI, Petrini Editore, Torino, pag. 85.

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la “fidelizzazione del cliente interno”, che inizia ad assumere la stessa, se non maggiore, importanza di quello esterno34.

Il presente elaborato, focalizzando l’attenzione su clima e benessere organizzativo, vuole infatti evidenziare quanto siano importanti l’engagement – il coinvolgimento emotivo nel perseguire il successo dell’organizzazione in cui le persone lavorano -, il commitment – non un semplice coinvolgimento, ma una vera e propria identificazione dei propri valori in quelli dell’azienda – e tutti quegli aspetti che riguardano il senso di responsabilità, la partecipazione attiva, l’impegno e, in un certo senso, anche l’attaccamento affettivo alla realtà aziendale.

L’azienda J. M. Consulting opera nell’area del software engineering ed ha progettato “Adiuto”, un sistema documentale integrato con i sistemi informatici aziendali che permette cioè di poter disporre di tutti i dati necessari ogni qualvolta ne sia necessario, anche in ambito di implementazione di nuove strategie o modificazione di quelle già in corso.

Dall’analisi di questo caso, si può notare che il valore cardine sta nell’approccio orientato alla diffusione della cultura ai rivenditori, in modo da poter focalizzare l’obiettivo dell’avvicinarsi ai clienti per poter comprendere le loro esigenze specifiche35.

I valori organizzativi vengono sviluppati e rinforzati principalmente attraverso una leadership basata sui valori, un rapporto tra il leader e gli altri membri del gruppo fondato su ideali condivisi e fortemente interiorizzati che sono difesi ed applicati dal leader.

I leader influenzano i valori culturali articolando una visione per i valori organizzativi in cui i dipendenti possano credere, comunicando tale visione all’interno dell’organizzazione stessa ed

34 Daft Richard L. (2004), Organizzazione aziendale – seconda edizione, Apogeo, Feltrinelli Editore, Lavis (TN), pagg. 347-348.

35 Lupi C. (2008), “Il valore della cultura organizzativa” (Ottobre 2008), Sistemi e Impresa, ESTE – Edizioni Scientifiche Tecniche Europee, vol. 9, pagg. 32-33.

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istituzionalizzandola attraverso il comportamento quotidiano, i rituali, le cerimonie ed i simboli, così come mediante i sistemi e le politiche organizzative. I dipendenti, così, apprendono valori, opinioni ed obiettivi attraverso l’osservazione dei manager.

I leader che si basano sui valori, determinano un alto livello di fiducia e di rispetto da parte dei dipendenti, che si fonda non solo sui valori che essi professano, ma anche sul coraggio, sulla determinazione e sull’abnegazione che dimostrano nel mantenere quei valori. I leader possono utilizzare questo rispetto e questa fiducia per motivare i collaboratori verso il raggiungimento di alte prestazioni e verso una consapevolezza delle finalità organizzative nel raggiungimento della visione: quando i leader sono disposti a fare sacrifici personali in nome dei valori, anche i collaboratori diventano più propensi a fare lo stesso.36

36 Daft Richard L. (2004), Organizzazione aziendale – seconda edizione, Apogeo, Feltrinelli Editore, Lavis (TN), pag. 348.

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CAPITOLO 2

IL CLIMA ORGANIZZATIVO

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2.1 Cosa è il clima organizzativo

La tematica del clima organizzativo storicamente ha alimentato un dibattito molto vivace all’interno della comunità scientifica.

La matrice originaria degli studi sul clima organizzativo deriva dalle indagini condotte sulle dinamiche di gruppo alla fine degli anni Trenta da Lewin, Lippit e White durante l’osservazione dei diversi fenomeni prodotti da differenti stili di leadership all’interno dei gruppi. I tre studiosi pongono il concetto di clima in relazione alla motivazione sul lavoro e alla produttività, identificandolo come costrutto in grado di spiegare le relazioni motivazionali ed affettive al cambiamento che ogni individuo mette in atto all’interno di un’organizzazione.

Un ventennio dopo Argyris, in un articolo del 1958 sull’analisi del clima in una banca, lo associa a: politiche organizzative formali, bisogni degli impiegati, valori, personalità che operano all’interno del sistema complesso,in continuo cambiamento. In questo contesto il termine di clima viene utilizzato in maniera intercambiabile con quello di cultura.

Si tratta, in realtà, di due concetti ben diversi.

Secondo Patterson37, il clima è la “percezione aggregata che i membri hanno dell’organizzazione e, in particolare, dei processi, delle pratiche e dei comportamenti sostenuti e ricompensati in un’organizzazione”, rappresenta quindi un attributo o una qualità dell’organizzazione.

La cultura, invece, è considerata un elemento che appartiene alla sostanza dell’organizzazione: Schein la definisce come “un insieme di assunti di base sviluppati da un gruppo determinato nel momento in cui impara ad affrontare i propri problemi di adattamento con il

37 Patterson, Warr, West (2004), “Organizational climate and company productivity: the role of employee affect and employee level”, Journal of Occupational and Organizational Psychology, 77, pagg. 193- 216 citato citato in “L’impatto dello stile di leadership sul clima organizzativo: due indagini empiriche” di Piscopo G. ( 2010), MECOSAN, Società Editrice Sipis, Milano, pag. 109.

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mondo esterno e di integrazione al suo interno”38.

In base a queste due definizioni, Piscopo39 deduce che il clima è agilmente misurabile attraverso indagini e osservando alcune variabili ( coesione, autonomia, fiducia, lealtà, riconoscimento, innovazione), mentre la cultura è difficilmente mappabile, specialmente nel suo strato più profondo.

Riprendendo il modello di analisi della cultura organizzativa elaborato da Schein e analizzato nel primo capitolo, possiamo identificare in superficie gli aspetti relativamente accessibili (comportamenti osservabili), ad un livello intermedio troviamo i valori (non direttamente osservabili, ma indagabili con questionari o con l’osservazione), mentre al livello più profondo vi sono gli assunti di base (assunti che determinano il comportamento e che indicano come vada percepita, pensata e sentita la realtà).

L’analisi della cultura, quindi, permette di cogliere e descrivere la struttura profonda delle organizzazioni; il clima consente invece di rilevare la percezione condivisa delle politiche organizzative, delle pratiche e procedure, sia formali che informali ed è pertanto più soggetto a mutamenti provocati da cambiamenti dell’ambiente circostante.

Il primo ad elaborare il concetto di clima organizzativo è stato McGregor che, nel 1960 all’interno del suo libro “The human side of enterprise”, ha sottolineato la stretta relazione tra azione manageriale e clima organizzativo, sostenendo che la creazione del clima nel quale gli operatori lavorano è diretta responsabilità della dirigenza: difatti i manager attraverso le loro azioni, il loro modo di compierle e le competenze adottate sono in grado di influenzare l’intera organizzazione.

38 Schein E.H. (1985), “Cultura di azienda e leadership:una prospettiva dinamica”, Guerini, Milano citato in “L’impatto dello stile di leadership sul clima organizzativo: due indagini empiriche” di Piscopo G.

(2010), MECOSAN, Società Editrice Sipis, Milano, pagg. 108-109.

39 Piscopo G. (2010), “L’impatto dello stile di leadership sul clima organizzativo: due indagini empiriche”, MECOSAN, Società Editrice Sipis, Milano, pag. 109.

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33

Il clima ha un'evidenza immediatamente percepibile attraverso l’osservazione dei comportamenti dei membri dell'organizzazione in misura maggiore rispetto alla cultura, nonostante quest'ultima abbia un'ampiezza ed una pervasività molto più incisive.

Dobbiamo comunque tenere sempre ben presente che i concetti di clima e cultura sono strettamente connessi e reciprocamente influenzanti tra loro.

Affermare che il clima è funzione dei modelli culturali dell’organizzazione, significa inserire il clima stesso in una più ampia prospettiva di analisi, rendendolo parte di un sistema di significati condivisi in cui l’organizzazione definisce se stessa ed influenza l’azione dei propri membri.

Dobbiamo distinguere i due principali tipi di clima che sono individuati e riconosciuti dai ricercatori: clima psicologico e clima organizzativo.40

Una definizione di clima psicologico più recente è quella di Parker41, secondo il quale si tratta di “un costrutto morale comprendente le rappresentazioni di strutture, processi, eventi di un organizzazione, che risultino psicologicamente significative per l’individuo stesso”.

Il clima organizzativo, invece, dovrebbe essere destinato a ricerche per le quali il livello appropriato di teoria e di analisi sia il gruppo di lavoro o l’organizzazione. Possiamo, quindi, parlare di clima organizzativo quando individui appartenenti ad un determinato gruppo di lavoro concordano riguardo la loro percezione dell’impatto dell’ambiente di lavoro42.

40 Fiore B. (2007), “Cultura e clima organizzativo: teorie a confronto e necessità di sintesi”, Sociologia e ricerca sociale, Milano, Franco Angeli Editore, 2007, vol.82, pagg.95-96.

41 Parker C. P. et al. (2003) “Relationships between psychological climate perceptions and work outcomes: a meta-analytic review” in Journal of Organizational Behaviour, 24, pagg. 389-416 citato in “Cultura e clima organizzativo: teorie a confronto e necessità di sintesi” di Fiore B.

(2007), Sociologia e ricerca sociale, Milano, Franco Angeli Editore, 2007, vol.82, pag. 96.

42 Glisson C., James L.R. (2002), “The cross-level effects of culture and climate in human service teams” in Journal of Organizational Behaviour, 23, pagg. 767-794 citati in “Cultura e clima organizzativo: teorie a confronto e necessità di sintesi” di Fiore B. (2007), Sociologia e ricerca sociale, Milano, Franco Angeli Editore, 2007, vol.82, pag. 96.

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34

La funzione principale del clima consiste nell’orientare il comportamento organizzativo degli individui: in base al clima percepito verrà creato un modello che li guiderà nella costruzione delle aspettative, nella manifestazione delle reazioni e nell’interpretazione dei fatti della vita aziendale. Dalle esperienze lavorative, l’individuo si creerà alcune mappe cognitive che poi andrà ad utilizzare nella comprensione del funzionamento dell’organizzazione e nelle decisioni riguardanti il proprio comportamento nelle diverse situazioni.

2.1.1 Come si forma il clima organizzativo

Analizzati alcuni tra i più importanti studi e le varie considerazioni in merito alla definizione di clima, dobbiamo cercare anche di capire come questo si sviluppa43.

Attraverso un accurato studio e sintesi dei principali contributi, Moran e Volkwein, nella rivista specializzata Human Relations44, giungono ad individuare quattro approcci:

 approccio strutturale;

 approccio percettivo;

 approccio interattivo o interazionista;

 approccio culturale.

Nell’approccio strutturale ( Forehand e Gilmer, 1964; Litwin e Stringer, 1968; Quaglino e Mander, 1987), il clima viene visto come una caratteristica o un attributo proprio dell’organizzazione stessa che si manifesta indipendentemente dalle percezioni delle persone che vi lavorano (Fig. 1).

43 Innocenti L. (2013), “Clima organizzativo e gestione delle risorse umane”, Collana PRL, FrancoAngeli editore, Milano, pagg. 25-30.

44 Moran E. T., Volkwein J. F. (1992), “The Cultural Approach to the Formation of Organizational Climate”, in Human Relations, 45: 19-47.

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35

Il clima, infatti, viene inteso come “un insieme di caratteristiche relativamente durevoli che permettono di descrivere un'organizzazione e di distinguerla dalle altre; tali caratteristiche influenzano il comportamento degli individui al suo interno”45.

Payne e Pugh affermano che il clima “descrive i processi comportamentali caratteristici di un sistema sociale in un particolare momento. Questi processi riflettono i valori, gli atteggiamenti e le credenze dei membri dell'organizzazione che diventano, quindi, parte del concetto”46.

I due autori sostengono che il clima si formi da alcuni aspetti oggettivi della struttura organizzativa, quali:

 dimensioni;

 grado di centralizzazione delle decisioni;

 numero dei livelli gerarchici;

 tipo di tecnologia impiegata;

 ruoli formali;

 politiche del personale.

In quest’ottica, sostiene Formisano47, aspetti essenziali dell’impresa quali dimensioni, scala gerarchica, tecnologie e strumenti impiegati,

45 Forehand G. A., Gilmer H.B. (1964), “Enviromental variation in studies of organizational behaviou, Psychological Bulletin, vol 62 citato da Formisano V., ( 2009), “Analisi del clima organizzativo: il caso di un istituto di credito”, Rivista Bancaria, Minerva Bancaria, num. 1-2/2009, pag. 50.

46 Formisano V., ( 2009), “Analisi del clima organizzativo: il caso di un istituto di credito”, Rivista Bancaria, Minerva Bancaria, num. 1-2/2009, pag. 52.

47 Formisano V., ( 2009), “Analisi del clima organizzativo: il caso di un istituto di credito”, Rivista Bancaria, Minerva Bancaria, num. 1-2/2009, pag. 53.

Figura 1 – Approccio strutturale

Fonte:Moran&Volkwein (1992)

Percezione individuale

Clima organizzativo

Struttura organizzativa

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sono valutati insieme a comportamenti e formalità richieste ai dipendenti. Ne deriva che l’organizzazione genera un clima connotato da caratteristiche peculiari ed indipendenti da quelle percepite dai suoi componenti e che le persone acquisiscono il clima della struttura nella quale operano.

Questa interpretazione porta, però, a forti critiche: diventa difficile chiarire come si possa spiegare il fenomeno di climi diversi all’interno della solita organizzazione, oppure anche come organizzazioni molto simili tra loro siano caratterizzate da differenti climi48.

Secondo Innocenti, un’ulteriore criticità di questo approccio consiste nel presupporre nelle persone la sensibilità e capacità di identificare e comprendere dimensioni organizzative di una certa complessità.

Inoltre, in questa visione, da un lato manca la considerazione dell’impatto soggettivo delle variabili strutturali sulle reazioni dei singoli individui coinvolti, mentre, dall’altro, manca un riconoscimento dei processi interpretativi che si sviluppano all’interno di gruppi di persone che interagiscono all’interno del medesimo contesto culturale di riferimento.

L’approccio percettivo o psicologico ( Schneider e Bartlett, 1968, 1972; Schneider e Hall, 1972) si posiziona su una prospettiva totalmente diversa: ciò che risulta essere fondamentale per la definizione del clima sono le percezioni individuali di eventi o situazioni ritenute determinanti ( Fig. 2).

48 Innocenti L. (2013), “Clima organizzativo e gestione delle risorse umane”, Collana PRL, FrancoAngeli editore, Milano, pag. 27.

Figura 2 – Approccio percettivo o psicologico

Fonte:Moran&Volkwein (1992)

Condizioni organizzative

Percezioni individuali

Clima organizzativo

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Questo approccio si basa sul convincimento teorico che le persone rispondono ed interpretano gli stimoli situazionali sulla base del significato psicologico che gli attribuiscono e non in base alle caratteristiche oggettive: è quindi il singolo individuo che, in base alle proprie percezioni, crea una rappresentazione psicologica.49

Il clima deriverebbe, quindi, da processi di elaborazione ed interpretazione psicologica compiuti su qualche elemento dell'ambiente ritenuto di interesse: il soggetto percepisce il contesto organizzativo creando un'astrazione o rappresentazione psicologica del clima stesso attraverso dei processi di cui fanno parte le comunicazioni, la leadership, le modalità del processo decisionale operanti nell'organizzazione.

Le percezioni costituiscono quindi una mappa cognitiva di funzionamento dell'organizzazione che viene ampiamente utilizzata e suggerisce agli individui i comportamenti più appropriati da adottare in specifiche situazioni.

Questo approccio risulta essere complementare al precedente, ma anch’esso presenta un punto debole: la centralità riconosciuta al singolo determina un senso ed un significato alle condizioni ed ai processi che altrimenti ne risulterebbero privi. Inoltre, non viene data un’adeguata considerazione al fatto che i processi di attribuzione di senso spesso sono determinati dalle interazioni che avvengono tra i vari membri della stessa realtà organizzativa.

49 Innocenti L. (2013), “Clima organizzativo e gestione delle risorse umane”, Collana PRL, FrancoAngeli editore, Milano, pag. 27.

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L’approccio interattivo o interazionista (James e Jones, 1974;

Schneider e Reichers, 1983) afferma che il clima nasce dallo scambio continuo degli individui tra di loro e con l’organizzazione ( Fig. 3).

Schneider definisce il clima come “un insieme di percezioni globali che gli individui hanno del loro ambiente organizzativo e di lavoro;

queste percezioni rifletterebbero l'interazione tra le caratteristiche personali e organizzative, in quanto l'individuo, come elaboratore di informazioni, usa gli input che gli provengono dagli eventi oggettivi, dalle caratteristiche dell'organizzazione e dalle caratteristiche soggettive ( valori, bisogni) del percettore”50.

Il fondamento di questa prospettiva è che l'interazione fra gli individui in risposta al contesto fa emergere il “consenso delle parti” che rappresenta la vera base del clima organizzativo.

Nel suo studio, Schneider ipotizza che gli individui formano, controllano, sospendono, trasformano le percezioni degli eventi alla

50 Schneider R. B. ( 1978), “I climi organizzativi”, Psicologia e lavoro, Bologna, 47, 1978 citato in“Analisi del clima organizzativo: il caso di un istituto di credito” di Formisano V. ( 2009), Rivista Bancaria, Minerva Bancaria, num. 1-2/2009, pag. 52.

Figura 3 – Approccio interattivo o interazionista

Fonte: Moran&Volkwein (1992)

Percezioni individuali

Condizioni organizzative

Interazioni tra le persone

Clima organizzativo

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luce delle interazioni che hanno con gli altri nell'ambiente.51

Il clima è concepito come una caratteristica delle organizzazioni riflettendosi nelle descrizioni che i singoli fanno delle politiche, delle pratiche e delle condizioni esistenti nell'ambiente di lavoro. Tutto questo presuppone l'esistenza di un elemento fondamentale: la comunicazione, senza la quale questo approccio non potrebbe sussistere.

Questa prospettiva si pone quindi come risultante dell’unione dei due approcci precedenti: è l’interazione a creare significato, ma, a sua volta, richiede il confronto con il contesto oggettivo – approccio strutturale - e la consapevolezza soggettiva – approccio percettivo -.

Secondo quest'ottica, una parte di clima è formata dalla struttura dell'organizzazione stessa, e un'altra parte deriva dalle personalità individuali e dalle loro interazioni.

L’approccio culturale ( Moran e Volkwein, 1992) attribuisce alla cultura organizzativa un fattore di notevole importanza: elemento centrale nella formazione del clima è il modo in cui i gruppi interpretano, costruiscono, negoziano la realtà attraverso la creazione della cultura stessa ( Fig. 4).

La cultura è un prodotto della mente, di conseguenza non esiste nei processi cognitivi delle persone, ma nelle interazioni fra di loro: la condivisione dei valori, dei miti e delle norme orienta l’agire individuale e rende possibile lo sforzo congiunto che è alla base di un’organizzazione.

51 Formisano V., ( 2009), “Analisi del clima organizzativo: il caso di un istituto di credito”, Rivista Bancaria, Minerva Bancaria, num. 1-2/2009, pag. 56.

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