• Non ci sono risultati.

Breve storia dei movimenti migratori dalla Toscana

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Breve storia dei movimenti migratori dalla Toscana "

Copied!
27
0
0

Testo completo

(1)

3

Presentazione

Breve storia dei movimenti migratori dalla Toscana

Nel periodo compreso tra il 1810 e il 2000 la popolazione toscana si è andata caratterizzando per una distribuzione non omogenea dovuta all’asimmetria del territorio e al diverso livello di sviluppo delle aree urbane rispetto alle zone montuose, dove l’incremento economico e sociale ha tardato a manifestarsi fino alla seconda metà del Novecento, quando è iniziata una lenta crescita che non ha permesso di superare tutti i fattori di arretratezza.

1

Dal XIX secolo la condizione delle località poste sull’Appennino Tosco-Emiliano e a ridosso di quest’ultimo alimentavano movimenti migratori a distanze sempre più elevate, che hanno rallentato gli effetti positivi prodotti dalla crescita demografica.

2

Il limitato investimento dei risultati economici conseguiti attraverso le partenze, al di là dei propositi iniziali degli emigranti, ha concorso a preservare la distribuzione non omogenea della popolazione.

Già dal periodo post unitario nella zona pianeggiante della valle dell’Arno compresa tra Firenze, Prato, Pistoia, Lucca, Pisa e Livorno, che verso nord si estende fino all’area costiera della Versilia, si stavano sviluppando attività produttive nel primario e nel secondario che erano assenti nelle frazioni di montagna, dove invece si poteva parlare di una lunga tradizione migratoria.

Gli spostamenti dei mercanti lucchesi nel nord Europa erano iniziati tra il Medioevo e l’età moderna, in seguito alla rinascita delle attività commerciali e artigianali. La produzione serica rimase il maggiore settore produttivo esportato da Lucca in varie aree dell’Europa Occidentale fino alla crisi in pieno Settecento (nell’area cittadina nel 1713 c’erano 32 opifici, ridotti a 15 nel 1767), anche se

1 Un approfondimento sulla provincia di Massa e Carrara, utile per comprendere il modo in cui si è manifestata l’asimmetria del territorio toscano fino al tramontare del XX secolo, è offerto da Centro Studi Investimenti Sociali, Tendenze e potenzialità dell’economia apuana all’inizio degli anni ‘80, Genova, Officina Grafica Sagep, 1980: a p. 57 si parla dello sviluppo asimmetrico della provincia, mentre alle pp. 7-56 sono illustrati i fattori che determinavano all’inizio degli anni ottanta il rallentamento nell’incremento economico e demografico.

2 Su questo argomento vedere G. SALINARI, L’asimmetria del territorio. Popolazione e territorio in Toscana nei secoli XIX e XX, in AA. VV., L’Italia in movimento: due secoli di migrazioni (XIX-XX), a cura di Ercole Sori e Anna Treves, Udine, Forum Editrice, 2008, pp. 163-174.

(2)

4

conobbe fasi alterne di sviluppo e recesso e coinvolse non solo mercanti e artigiani direttamente impiegati in questo settore, ma anche orafi, disegnatori e servitori. La grande mole di persone interessate da questi movimenti con il trascorrere dei secoli fondò le Nationes Lucenses in alcune tra le più popolate città del continente, che rappresentarono uno dei primi esempi di comunità straniere tese a preservare le loro abitudini culturali (per i lucchesi rimase fondamentale il culto del Volto Santo), malgrado la necessità di conseguire un buon livello di integrazione per lavorare in modo vantaggioso.

3

In pieno Cinquecento all’emigrazione commerciale si aggiunsero a Lucca le partenze dei cittadini messi sotto inchiesta per aver aderito alla riforma luterana.

4

Istanze protestanti furono portate, secondo una famosa lettera scritta da Gherardo Burlamacchi, da Agostino Balbani al ritorno dalle Fiandre ed ebbero un seguito sufficientemente numeroso da condurre al provvedimento del 9 gennaio del 1562, che prevedeva una taglia per tutti coloro che avevano aderito alle nuove dottrine religiose. Ma già il 28 marzo 1525 il Consiglio Generale aveva emanato un decreto dove si proibiva di introdurre nel territorio lucchese libri che potevano indurre all’eresia, mentre il primo elenco di cittadini ritenuti eretici risale al 1558. Quest’ultimo impediva a chiunque era sospettato di aver aderito al protestantesimo, non soltanto di abitare nel territorio della Repubblica di Lucca, ma anche: “…di Spagna, Francia et suo dominio, di Fiandra e del Brabante, luoghi nei quali la natione nostra suole conversare, habitare e negociare assai”, a dimostrazione dei frequenti rapporti che Lucca aveva con i centri del commercio europeo.

5

3 Sull’importanza della produzione serica a Lucca fin dal XIII e dal XIV secolo vedere G. TOMMASI, Sommario della storia di Lucca, Lucca, Maria Pacini Fazzi Editrice, 1969, pp. 153-54, da cui si apprende che i lucchesi impararono l’arte della seta dagli arabi, mentre per la presenza dei prodotti serici lucchesi in tutta Europa e sulla crisi del settore di metà Settecento A. MANCINI, Storia di Lucca, Lucca, Maria Pacini Fazzi Editrice, 1975, in particolare pp. 108-113 e 267-268.

4 Sulla diffusione della Riforma Protestante a Lucca e sulla testimonianza epistolare di Burlamacchi vedere E.

GANDOLFI, La riforma a Lucca: un quadro dell’origine e della diffusione del movimento riformatore, in

«Actum Luce», Istituto Storico Lucchese, anno IX, n.° 1-2, aprile-ottobre 1980, pp. 31-65.

5 Il testo del decreto legge contro i protestanti del 9 gennaio 1562 e la nota lettera di Gherardo Burlamacchi sono in parte riportati in D. ROVAI, Lucchesia terra di emigrazione, traccia per una storia dell’emigrazione lucchese attraverso i secoli, Lucca, Maria Pacini Fazzi Editrice, 1993, pp. 15-16.

(3)

5

In seguito alle pressioni della Chiesa contro i sostenitori della Riforma, dovettero spostarsi oltralpe diversi esponenti delle famiglie dell’aristocrazia cittadina che avevano conosciuto la nuova dottrina religiosa durante i loro viaggi: in tutto si parla, in base alle stime riportate da Simonetta Adorni Braccesi, di 131 individui emigrati su 400 lucchesi che nella seconda metà del XVI secolo furono affascinati dalle teorie luterane e calviniste. Il gruppo più consistente si trasferì a Ginevra (57 uomini e 22 donne)

6

e, secondo Marino Berengo, l’esodo di questi cittadini non assunse il carattere brusco della fuga imposta dalle persecuzioni religiose, ma fu determinato da decisioni prese a livello familiare. Per questa ragione già la seconda generazione composta dai figli dei primi emigranti ebbero la possibilità di raggiungere un livello di integrazione economica e culturale più che accettabile.

7

Sempre in pieno Rinascimento iniziarono le partenze di scultori, ornatisti e scalpellini carraresi verso le grandi città italiane e all’estero, migrazioni che proseguirono durante tutta l’età moderna e che in alcuni momenti furono caratterizzate da esodi consistenti, a causa della minore richiesta di manodopera per il settore del marmo nel luogo di origine. Agli inizi del XIX secolo gli artisti e i decoratori toscani giunsero negli Stati Uniti, dove importarono l’arte della scultura realizzando le statue del Campidoglio di Washington e diffondendo poi la loro attività in alcune località del continente americano, anche attraverso l’apertura di aziende per l’estrazione del materiale.

Durante il 1700 l’economia rurale della montagna toscana fu messa in difficoltà da una crisi agricola che proseguì per buona parte del secolo, portando nei periodi più difficili le famiglie contadine al collasso per la totale mancanza di mezzi di sostentamento. Queste ultime, che fra l’altro rimaste prive anche della protezione delle milizie dei commissariati di montagna avevano subito

6 I dati sono presi da S. ADORNI BRACCESI, Libri e lettori a Lucca tra Riforma e Controriforma: un’indagine in corso, in AA. VV, Libri, idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento italiano, Istituto di Studi Rinascimentali, Ferrara, (Edizioni Papini), 3-5 aprile 1986, pp. 39-46.

7 M. BERENGO, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino, Editore Einaudi, 1974, pp. 441-454.

(4)

6

pure un conseguente incremento della delinquenza, erano ridotte a indebitarsi con i signori e gli uomini d’affari per riuscire a sopravvivere.

Da questo momento gli abitanti delle aree svantaggiate iniziarono ad emigrare in modo sempre più consistente, preferendo due direttrici: durante il periodo invernale verso la Maremma e la Corsica, dove oltre al lavoro di bracciantato agricolo trovavano occupazioni temporanee nel settore edile; seguivano poi le partenze in direzione della Pianura Padana per la pelatura delle foglie del gelso, la mietitura e la fienagione nei mesi primaverili ed estivi.

8

Questi ultimi spostamenti erano a vantaggio della popolazione residente sulla montagna massese per la sua posizione geografica, mentre alcuni abitanti della Media Valle del Serchio fin dalla metà del Seicento raggiunsero con largo anticipo la Corsica, in cui la passata presenza dell’emigrazione italiana è tutt’oggi visibile a livello culturale. Sull’isola, dove ripararono anche molti lucchesi che avevano partecipato ai moti insurrezionali del 1831 condannati dal ducato in contumacia, i lunigianesi giunsero soltanto nei primi decenni dell’Ottocento, quando a Lucca iniziarono gli esodi dalle località pianeggianti.

9

I primi ad andare in Corsica furono minatori, boscaioli, carbonai, contadini, a cui seguirono i venditori ambulanti che erano in prevalenza della Lunigiana:

questi emigranti partivano in inverno da Viareggio per concludere il loro viaggio a Bastia e si impegnavano a bonificare le aree paludose, per coltivarle a vigneti e uliveti con i propri metodi di lavorazione. In molti casi, specialmente dal XIX secolo, decisero di trasferirsi definitivamente sull’isola.

Parallelamente alle partenze per la Corsica si alimentavano i flussi migratori, nettamente inferiori a livello numerico, diretti verso la Sardegna, la Tunisia e l’Algeria, ancora finalizzati alla realizzazione di ampie aree coltivate a vigneti e

8 Per l’importanza che agli inizi del XIX secolo assunse l’emigrazione in Lunigiana vedere il discorso del sindaco di Mulazzo Luigi Lorenzelli del 1811, citato in M. ERTA, Aulla e la media Val di Magra nel periodo napoleonico, in «Cronaca e storia di Val di Magra», I, Pontremoli, 1972, pp.42-43, mentre per gli spostamenti nello stesso periodo storico dalla lucchesia D. ROVAI, Lucchesia terra di emigrazione, traccia per una storia dell’emigrazione lucchese attraverso i secoli, cit., pp. 18-21.

9 Un testo datato, ma che rimane un punto di riferimento per l’emigrazione lucchese in Corsica, è G.

SIMONETTI, La Corsica, Lucca e l’Italia, in Atti della Reale Accademia Lucchese di Scienze, Lettere e Arti, Lucca, Tipografia Artigianelli, 1942, pp. 15-46, a cui si può aggiungere l’articolo di E. LAZZARESCHI, L’emigrazione lucchese in Corsica, da «La Nazione», 15 dicembre 1938.

(5)

7

uliveti, dovuti ai contatti che alcune famiglie mercantili come i Burlamacchi e i Donati avevano stabilito nei secoli precedenti con le popolazioni arabe del nord Africa.

10

Molto meno fortunata fu, invece, l’emigrazione temporanea verso la Maremma, dove un gran numero di lucchesi persero la vita durante i lavori di bonifica per le frequenti epidemie di malaria.

11

Dalla seconda metà del XIX secolo le mete dell’emigrazione toscana iniziarono a riguardare località estere sempre più lontane, in seguito alla crescita della disoccupazione tra la popolazione in età da lavoro e allo sviluppo dei mezzi di trasporto che consentì con maggiore facilità spostamenti a lunga distanza.

12

Dalla Corsica il passaggio obbligatorio fu il sud della Francia, da cui figurinai, altri venditori ambulanti, musicanti, boscaioli ed intellettuali si spinsero tra centro e nord Europa fino a compiere le prime traversate oceaniche;

a tali specifiche professionalità si andarono ad aggiungere dagli anni settanta dell’Ottocento i partenti di origine rurale sprovvisti di qualifiche lavorative.

13

Molti di questi ultimi continuavano a impiegarsi come bracciantati agricoli oppure si spostavano nelle città, partecipando all’espansione dei maggiori centri urbani attraverso la costruzione di edifici e di infrastrutture (come le reti ferroviarie e i trafori alpini che favorirono l’accesso alle maggiori città europee), ma la loro presenza fu consistente anche nel settore industriale, in quello alberghiero e nella ristorazione. Un primo impiego in massa di manodopera non qualificata proveniente dalle montagne della Lunigiana si manifestò nella costruzione della linea ferroviaria La Spezia-Parma, iniziata nel 1880 dopo

10 Tali flussi migratori sono ricordati anche in D. ROVAI, Profilo dell’emigrazione lucchese. Memorie, diari, lettere di emigrati un secolo fa, Lucca, Arte della Stampa, 1998, pp. 10-11.

11 Sulle difficoltà degli esodi diretti in Maremma vedere la nota canzone “Maremma amara”, presa a modello per le opere musicali che parlano della sofferenza degli emigranti in E. FRANZINA, Le canzoni dell’emigrazione, in AA. VV., Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, volume I (Partenze), Roma, Donzelli, 2001, pp. 537-542.

12 Una serie di fonti iconografiche rappresentano le difficili condizioni in cui gli emigranti erano costretti a viaggiare tra la fine dell’Ottocento e gli albori del Novecento: particolarmente significativi sono i codici 87, 119, 120, 957, 1044 e 1256 dell’Archivio Cresci e i codici 40, 42, 44, 49, 50, 51 e 377 del Museo dell’Emigrazione della Gente di Toscana.

13 Per la storia degli spostamenti dalla montagna toscana nel periodo compreso tra l’Ottocento e il primo Novecento vedere le pagine introduttive del contributo di A. DADÀ, Migrazioni interne / migrazioni estere:

Bagnone, Lunigiana, 1840-1940, in AA. VV., L’Italia in movimento, a cura di Ercole Sori e Anna Treves, Udine, Forum Editrice, 2008, pp. 232-233.

(6)

8

diversi anni di attesa e terminata nel 1894, che rappresentò un punto di riferimento per rendere più celeri gli spostamenti verso il Nord Italia e nelle grandi città oltralpe da cui si partiva per il continente americano.

14

Con la chiusura del cantiere ferroviario la disoccupazione sulla montagna toscana tornò a crescere, mettendo in difficoltà le famiglie rurali, che nell’area montuosa compresa tra le province di Lucca, Massa e Pistoia non avevano avuto alcun benefico dalla ripresa economica nazionale avvenuta a inizio Novecento.

La difficile condizione spinse molte persone a valutare in modo positivo l’esperienza di quanti avevano accumulato ricchezze con gli spostamenti interni alla penisola o vivendo all’estero. Attraverso le catene migratorie si manifestò, così, un ulteriore incremento delle partenze. In ogni area geografica la popolazione preferiva specifiche destinazioni, una caratteristica dovuta proprio ai frequenti contatti degli emigranti con i congiunti del luogo di origine.

15

Lo studio che il geografo Alberto Mori presentò all’Accademia dei Georgofili con i dati del triennio 1904-1907 dimostra come il numero delle partenze fosse direttamente proporzionale all’altitudine, di conseguenza in alcune località di alta montagna l’emigrazione aveva assunto le dimensioni maggiori: si trattava dei paesi di Bagnone, Sillano e San Marcello Pistoiese, con rispettivamente percentuali di esodo del 65, 72 e 75 per cento.

16

Se consideriamo i dati regionali, però, i flussi dalla Toscana assumevano un’importanza contenuta, perché a dare il maggiore contributo alla consistenza numerica degli esodi erano le aree della montagna massese, lucchese e pistoiese. Limitate dalla parcellizzazione fondiaria e da una sporadica presenza della mezzadria, ad inizio del XX secolo

14 Cfr. P. BISSOLI, La costruzione: gli anni del cantiere, in AA.VV., La Spezia-Parma: la ferrovia tra il Mediterraneo e l'Europa: mostra storico documentaria. Pontremoli, luglio-settembre 1991, La Spezia, Zolesi Editore, 1991, pp. 48-71.

15 Vedere P. A. SENSI ISOLANI, Tradition and transition in a California paese, in AA.VV., Italian immigrants in rural and small town America (a cura di Rudolph J. Vecoli), New York, The American Italian Historical Association, 1987, in particolare p. 95, dove si riporta la storia del coreglino Ermenegildo Gonnella, emigrato in California nel 1894 e raggiunto da ventotto familiari nel 1907, dopo essere rimpatriato per un breve periodo a scopo di matrimonio.

16 A. MORI, L’emigrazione dalla Toscana e in particolare dal Casentino, in Bollettino dell’emigrazione, n. 12, Roma, Tip. Bertero, 1910, vedere le pp. 9-13 e 25-37, dove vengono riportati i risultati delle ricerche demografiche svolte dall’autore. Per le percentuali citate, invece, A. DADÀ, Uomini e strade dell’emigrazione dell’Appennino toscano, cit., p. 161.

(7)

9

le frazioni montuose offrivano il 52,3% dei movimenti migratori regionali, benché questi ultimi stessero iniziando a crescere anche presso le località pianeggianti e nei centri urbani posti nelle province di Firenze (di cui faceva ancora parte il territorio pistoiese), Arezzo e Pisa.

17

Per avere un’idea dell’importanza degli spostamenti stagionali dalla montagna toscana si deve fare un passo indietro e considerare che già nel biennio 1810-12 ci furono 8850 emigranti nel dipartimento degli Appennini e le partenze continuarono a crescere tra Ottocento e Novecento. Nel 1869 le frazioni situate nelle aree montuose delle province di Lucca e Massa offrirono il 72% degli emigranti toscani, quota che nel 1876 saliva a 76,5%; in questi anni i comuni dove si raggiunsero 50 partenze all’anno su 1000 abitanti furono Bagni di Lucca, Barga, Villa Basilica, Vellano, Mulazzo e Bagnone, collocati tra la Media Valle del Serchio e la Lunigiana.

18

Tra il 1876 e il 1880 partirono circa 20000 emigranti da Lucca mantenendo una media annua di 4000 unità e tra il 1906 e il 1910 i flussi divennero oltre il doppio, con 45000 esodi e una media annua che saliva a 10000; per comprendere ancora meglio la rilevanza del fenomeno sociale si deve considerare che, se nel primo periodo, quando la media nazionale era del 3,9 per 1000, a Lucca si raggiunse il 13 per 1000, nel secondo intervallo di tempo si toccò il 31 per 1000 a fronte di una media nazionale del 19,3 per 1000, sempre in prevalenza per merito dell’apporto della popolazione migrante residente nei paesi montani. Andando nelle specifico, nel 1889 c’era stata la punta delle partenze dalla Lucchesia per l’Argentina di 1.716 unità, mentre sette anni dopo con la crisi economica che colpì lo stato sudamericano si ebbe il massimo degli esodi, pari a 3861, per il Brasile, che fino agli anni del fascismo rimase

17 Per questo periodo vedere A. TELLESCHI, Aspetti dell’emigrazione Toscana nel cinquantennio 1876-1925, in AA. VV., Genova, Colombo, il mare e l’emigrazione italiana nelle americhe, a cura di Claudio Cerretti, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 1992, in particolare p. 129.

18 Sulle statistiche dei movimenti migratori tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo è possibile consultare Statistica della emigrazione italiana per l’estero, a cura del Ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio, Direzione Generale della Statistica, Roma, Tipografia Bertero, 1910 e Annuario statistico dell’emigrazione italiana dal 1876 al 1925, a cura del Ministero degli Affari Esteri, Commissariato Generale dell’Emigrazione, Roma, Tipografia Bertero, 1926.

(8)

10

nell’immaginario degli emigranti sinonimo di America, vista come il continente della fortuna, dove trovare un riscatto dalla povertà. La punta delle partenze per gli Stati Uniti si ebbe, invece, alcuni anni dopo, nel 1907, e fu di 5817 unità

19

, ma già dal tramontare del XIX secolo la maggior parte degli emigranti italiani a San Francisco proveniva da Lucca e Genova.

Dalla Lunigiana e, in particolare, dall’area sinistra della Valle Verde nel comune di Pontremoli la popolazione emigrava in prevalenza in Inghilterra, preferendo l’occupazione nella ristorazione e nel commercio, mentre dalla zona destra della stessa località si verificavano partenze in massa verso il Nord della Francia per lavorare nei cantieri edili. Dalla Valle del Magra la meta più ricorrente erano invece gli Stati Uniti, dove i lunigianesi svolgevano i più svariati mestieri, mentre dal comune di Mulazzo molti si dirigevano nel sud della Francia o in Svizzera. Agli spostamenti esterni si contrapponeva il permanere delle migrazioni interne secondo le stesse direttrici dei decenni passati, ancora con una particolare frequenza in Barsana.

20

Dall’Unificazione le statistiche sui movimenti migratori erano divenute più accurate, per merito di censimenti abbastanza attendibili della popolazione, di conseguenza dagli anni settanta dell’Ottocento nei registri si era iniziato a diversificare tra i partenti interessati a emigrare in modo temporaneo anche spostandosi a notevole distanza (alcuni giunsero a compiere ripetuti viaggi nel continente americano rimanendo a volte soltanto pochi mesi) e coloro che si trasferivano in modo definitivo. Rimanevano, comunque, varie lacune, come la mancanza di precise percentuali per l’emigrazione femminile o la classificazione generica di “America” riferita a ogni stato del continente.

21

Tali miglioramenti nel campo della ricerca demografica non furono sufficienti per avere un quadro attendibile dei movimenti migratori, un fenomeno della cui

19 I dati sono riportati in D. ROVAI, Lucchesia terra di emigrazione, traccia per una storia dell’emigrazione lucchese attraverso i secoli, cit., pp. 27-28.

20 Cfr. A. DADÀ, Dalla Lunigiana alla Barsana, il processo di trasformazione dei lavoratori agricoli stagionali, in «Bollettino di demografia storica», 1994, n. 19, pp. 111-135.

21 L’interessante questione delle statistiche post-unitarie viene sollevata in C. RAPETTI, L’emigrazione nella Toscana Occidentale: la Lunigiana e la Costa Apuana, in AA. VV., Quaderni dell’emigrazione toscana, a cura di Paolo Bissoli e Caterina Rapetti, Firenze, Pagnini e Martinelli Editori, 2000, pp. 4-5.

(9)

11

mole si poteva avere solo un’impressione approssimativa. Su tali problematiche Adriana Dadà sostiene che per il caso di Bagnone le statistiche ufficiali indicavano circa un terzo della reale quantità degli espatri e ancora meno precisi erano i dati sulle migrazioni interne.

22

La questione viene affrontata anche da Nicola Guerra, ma per il periodo successivo della prima metà del Novecento, scettico sulla possibilità per la provincia di Massa di poter avere dati attendibili dai registri in cui venivano annotati i cambiamenti di residenza. In questi ultimi non solo era assente l’emigrazione clandestina, in ogni caso impossibile da quantificare, ma mancavano anche i movimenti temporanei antecedenti ai permessi di residenza nei luoghi di arrivo, ad esempio necessari per gli ambulanti che volevano passare a un’attività commerciale fissa, e altrettanto difficile da stabilire era il numero dei rimpatri.

23

L’anno in cui il governo nazionale aveva iniziato a manifestare maggiore sensibilità per il bisogno di quantificare l’entità dei flussi di andata e di ritorno era stato il 1876, con l’avvento del governo De Pretis, a cui seguirono le iniziative di Crispi, che finì per adottare un controllo di carattere poliziesco sugli esodi, sperando di poter regolare lo scomodo fenomeno sociale. Grande interesse per l’emigrazione e, in particolare, per gli effetti che aveva sulla moralità dei fedeli fu palesato anche dalla Chiesa; i cattolici, una volta vissuti all’estero in comunità avanzate e liberalizzate nei costumi e negli stili di vita, potevano assumere comportamenti che, al ritorno nel luogo di origine, avrebbero rappresentato un esempio inaccettabile per la tradizione culturale delle località di alta montagna, ma allo stesso tempo accattivante agli occhi della popolazione, specialmente per le persone più giovani. Così nel 1913 il vescovo di Lucca inviava ai parroci un questionario su cui dovevano descrivere le condizioni demografiche delle loro parrocchie, mentre all’estero la Chiesa si adoperava per

22 A. DADÀ, Migrazioni interne / migrazioni estere: Bagnone, Lunigiana, 1840-1940, in L’Italia in movimento…cit., in particolare pp. 237-245, dove si parla dei movimenti migratori dal paese di Bagnone, sia interni che diretti all’estero.

23 N. GUERRA, Partir bisogna. Storie e momenti dell’emigrazione apuana e lunigianese, Massa, Comunità Montana della Lunigiana e Provincia di Massa-Carrara, 2001: il problema della rilevazione statistica dei movimenti migratori è trattato alle pp. 100-104.

(10)

12

contrapporre alle società di mutuo soccorso l’opera dei suoi missionari, che si impegnavano per consentire all’emigrante di raggiungere un buon livello di integrazione nella comunità ospitante.

24

Con la Grande Guerra le partenze si arrestarono, ma aumentarono in modo esponenziale i rimpatri da parte dei giovani chiamati ad arruolarsi nell’esercito.

Terminato il conflitto, la popolazione della montagna toscana venne colpita da una nuova depressione economica e ancora una volta la soluzione a una condizione di arretratezza e disagio sociale fu l’emigrazione.

I primi a partire a inizio degli anni venti dalla provincia di Massa e Carrara furono gli anarchici che, messi in difficoltà dall’intransigenza del regime, si dirigevano prevalentemente in Francia per svolgere mestieri di vario genere;

25

tra loro c’era anche Gino Lucetti, che nel 1925 attentò alla vita di Mussolini. In questo periodo le persecuzioni politiche assunsero la stessa rilevanza delle difficoltà economiche nel determinare gli esodi di massa

26

e non solo per quanto interessava la Francia, ma per buona parte delle località di arrivo che già in passato erano state frequenti mete dell’emigrazione toscana, a cui si aggiunsero alcuni Paesi come l’Australia, la Svizzera e il Belgio, che avrebbero conosciuto un ulteriore incremento dell’immigrazione italiana nel periodo posteriore alla seconda guerra mondiale, anche se già dal primo dopoguerra iniziarono ad essere destinazioni sempre più ricorrenti. La costante crescita degli esodi per questi stati fu dovuta agli incentivi che i governi offrivano agli stranieri allo scopo di reperire la manodopera per alimentare lo sviluppo economico,

27

24 In un articolo redazionale de «La Terra» (organo della Federazione Socialista dell’Alta Lunigiana) pubblicato sul numero del 25 marzo 1906 si evidenziava come le partenze di massa fossero considerate una questione della massima urgenza: “…il problema dell’emigrazione è assai complesso e di una importanza eccezionale per tutta la Lunigiana”.

25 Fino al 1927 (anno in cui il regime fascista rivide i confini delle province italiane) anche la Garfagnana faceva parte della provincia di Massa e Carrara. Vedere Statistica della emigrazione italiana per l’estero, cit., nelle pagine in cui vengono riportate le cifre dei movimenti migratori per comuni e circondari.

26 Sull’emigrazione politica italiana nel ventennio fascista vedere S. LUCONI, Emigrazione, vita politica e partecipazione sindacale, in AA. VV., Storia d’Italia Annali Einaudi 24. Migrazioni, Torino, Einaudi, 2009, in particolare le pp. 317-342.

27 C. RAPETTI, L’emigrazione nella Toscana Occidentale: la Lunigiana e la Costa Apuana, cit.; il periodo storico tra le due guerre è ricostruito alle pp. 6-7.

(11)

13

iniziative a cui si aggiunse per quanto riguardava i flussi diretti verso i Paesi del centro e del nord Europa l’apertura del mercato oltre le frontiere nazionali.

Nel periodo a cavallo tra i due secoli dell’età contemporanea dalla Lunigiana aumentarono anche le partenze verso gli Stati Uniti, fenomeno dovuto ancora una volta all’effetto delle catene migratorie, indispensabili per l’istaurarsi di comunità composte da italiani come il gruppo di emigranti dell’area forestale di Siskiyou in California, dove si erano diretti in massa taglialegna e carbonai provenienti dalla montagna toscana, in prevalenza dalle province di Massa e Lucca. Questi ultimi negli anni compresi tra la fine del XIX secolo e la Grande Guerra acquisirono una sorta di monopolio nel settore della produzione di carbone, a dimostrazione di un’intensa continuità professionale che consentirà loro di accrescere gradualmente le capacità lavorative.

28

Per i paesi di montagna della provincia di Massa, però, gli spostamenti verso il continente americano rimarranno ancora a lungo in numero minore rispetto ai movimenti interni diretti verso il Nord Italia e alle migrazioni in Francia, questo perché continueranno a pesare gli elevati costi del viaggio. Come sosteneva il Console Generale di San Francisco, conte Girolamo Naselli, per attraversare l’Atlantico veniva richiesta una spesa di 300 lire, una somma talmente elevata che solo i più determinati decidevano di sostenere un tale sacrificio economico e tra questi ultimi gli emigranti, che dopo non molto tempo decidevano di rendere il loro soggiorno definitivo, costituivano il gruppo più numeroso.

29

Gli esodi oltreoceano erano a vantaggio degli uomini di giovane età (anche sotto i venti anni) figli di emigranti che durante la seconda metà dell’Ottocento e il primo Novecento si erano spostati in Europa e attraverso varie attività erano riusciti a mettere da parte un discreto capitale da investire nella partenza delle nuove generazioni verso mete sempre più lontane. Raramente, infatti, sembra

28 Sull’emigrazione toscana in California vedere P. A. SENSI ISOLANI, Tradition and transition in a California paese, cit., pp. 88-109.

29 Cfr. G. NASELLI, Il distretto consolare di San Francisco, in Ministero degli Affari Esteri e Commissariato dell’Emigrazione, Emigrazione e colonie. Raccolta dei rapporti dei regi agenti diplomatici e consolari, vol. III, 1909, Tipografia G. Bertero & C., Roma, in particolare p. 224, ma tutta la relazione, dalla p.

222 alla 242, permette di approfondire i temi dell’emigrazione italiana in California.

(12)

14

che la famiglia rurale decidesse di impiegare tutte le sue proprietà (compresi i beni immobili costituiti dall’abitazione e dai terreni) per raggiungere il luogo di destinazione, preferendo limitarsi solo all’utilizzo del denaro risparmiato in precedenza. Da questo punto di vista si può delineare una forma di continuità nell’abitudine dei gruppi familiari di giudicare l’emigrazione uno strumento indispensabile per conseguire il mantenimento economico, ma quasi altrettanto essenziale era investire il denaro risparmiato nell’acquisto di nuovi terreni per non dover tornare a partire in futuro.

Per gli spostamenti transoceanici il primato spettò ai lucchesi, già emigrati nel continente americano insieme ai liguri nella prima metà dell’Ottocento

30

, ma fino agli anni ottanta la presenza toscana rimase limitata (nel 1865 partirono per gli Stati Uniti soltanto cinque persone da Lucca): fu dal 1887 che i lucchesi diretti oltreoceano iniziarono a lievitare, in seguito alla guerra doganale per il commercio del vino e alla crisi dei rapporti economici tra l’Italia e la Francia.

Alla fine dell’Ottocento molti lavoratori del settore primario originari della Garfagnana e della Media Valle del Serchio giunti in California scrivevano lettere a parenti e conoscenti dove raccontavano la delusione e l’amarezza di non essere riusciti a conseguire il miglioramento economico sperato,

31

ma di aver perfino peggiorato in alcuni casi le condizioni di vita del luogo di origine.

Frequenti erano anche le lettere che questi emigranti inviavano ai sindaci dei loro comuni, come fece Antonio B. (lo scrivente non ebbe il coraggio di rendere noto il suo cognome), che nel documento epistolare datato 14 ottobre 1896, inviato da Firebaugh presso Fresno in California, faceva presente al sindaco di Lucca che: “Sarebbe meglio che voi sindaci di tutte le comuni (intende di tutti i comuni) farli conosciere al nostro Governo (allude alle difficoltà della vita del migrante) che si mettesse dietro a far secchare tutti quei paduli (con questo

30 A. DADÀ, Uomini e strade dell’emigrazione dall’Appennino toscano, in AA. VV., La montagna mediterranea: una fabbrica di uomini? Mobilità e migrazioni in una prospettiva comparata (sec. XV-XX), a cura di Dionigi Albera e Paola Corti, Cavallermaggiore, Gribaudo Edizioni, 2000, p. 159, dove l’autrice ricorda che i primi emigranti che si trasferirono nel continente americano erano in possesso di specifiche professionalità, come quelle di figurinaio o di venditore ambulante.

31 L’argomento viene affrontato in D. ROVAI, Profilo dell’emigrazione lucchese. Memorie, lettere, diari di emigrati un secolo fa, pp. 24-26.

(13)

15

termine erano chiamate le aree paludose) e farci quei lavori necessari per ridurla quella tera sicura dalle acque (quindi bonificarla) e affittarla a tutte le famiglie povere per potersi sostenere (intende da un punto di vista economico) senza andare a troncarsi il collo in altra nazione.”

32

Quanto sostiene questo lucchese nella sua lettera era condiviso da altri toscani che trovarono nell’emigrazione solo un nuovo fardello di privazione e difficoltà, una condizione molto simile a quella che avevano dovuto sopportare nel luogo di origine, e tutto ciò non si verificava solo negli esodi diretti verso località transoceaniche, ma anche nelle maggiori città europee (agli italiani il processo di integrazione risultò particolarmente difficile in Svizzera).

33

Tra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta il regime iniziò a limitare l’emigrazione con riforme legislative che dovevano limitare quanto più possibile un comportamento sociale dannoso all’orgoglio nazionalistico, indirizzando le partenze verso le aree scarsamente popolate dell’impero o, ma solo con il sopraggiungere del secondo conflitto mondiale, in Germania per incrementare la manodopera impiegata nell’industria bellica tedesca.

34

Dal secondo dopoguerra alla fine degli anni sessanta si verificò l’ultimo periodo delle partenze di massa, che si diversificava dall’emigrazione della prima metà del XX secolo per alcuni aspetti economici e sociali. In una condizione in cui una buona parte della popolazione era ancora legata al settore primario (a livello regionale nel 1951 il 40% dei lavoratori era impiegato in agricoltura, ma nelle aree di montagna questa percentuale era molto più elevata)

35

tra le persone che riuscivano ad abbandonare il luogo di origine gli spostamenti permanenti iniziarono ad aumentare. Gli emigranti trovavano ormai grosse difficoltà nel fare ritorno ai paesi di montagna, dove si conduceva una

32 Ibidem. L’autore riporta per intero la lettera insieme ad altri documenti epistolari dove gli emigranti toscani esprimono il loro malcontento per le condizione di vita all’estero.

33 Nel dvd E ci toccò partire, un secolo di emigrazione toscana, della Comunità Montana della Lunigiana e della Regione Toscana, Uovoquadrato-Gruppo Eliogabalo, 2005, sono presenti alcune testimonianze orali sulla xenofobia in Svizzera contro gli italiani. Queste fonti sono citate anche nel quinto capitolo, interamente dedicato all’emigrazione femminile toscana.

34 Cfr. A. TREVES, Le migrazioni interne in età fascista. Politica e realtà demografica, Torino, Einaudi, 1976.

35 Per un quadro sulla condizione economica e demografica della Toscana nel pieno Novecento vedere P.

ROMEI, Mobilità e percorsi migratori in Toscana (1945-1965), in L’Italia in movimento, cit., pp. 309-311.

(14)

16

vita ancora caratterizzata da arretratezza e limiti economici, dopo essersi integrati nelle grandi città europee e americane.

Ad accelerare ulteriormente la fuga dalle aree svantaggiate sopraggiunse nel secondo dopoguerra la crisi economica che colpì la Toscana nel momento in cui la sua produzione agricola e industriale dovette essere inserita nel mercato internazionale, in cui andava ad assumere un ruolo estremamente marginale, che impediva alle aziende di svilupparsi a livello tecnologico e produttivo. La conseguenza fu la chiusura di alcuni stabilimenti di grandi dimensioni (come la Società Metallurgica Italiana di Campitizzoro in provincia di Pistoia), a cui seguirono gli esodi per alcuni Paesi europei ampiamente industrializzati. Le partenze furono particolarmente numerose per il Belgio, la Francia e la Svizzera,

36

dove, a differenza del passato quando il primo inserimento dei nuovi arrivati era favorito da semplici contatti presi attraverso le catene migratorie, la sistemazione dei lavoratori italiani veniva stabilita prima della loro partenza per mezzo di contratti di lavoro a cui era allegato il biglietto di viaggio, stipulati dalle aziende straniere con le agenzie italiane che si occupavano di emigrazione.

I paesi della Lunigiana e della Garfagnana finirono per spopolarsi per la partenza dei giovani in età da lavoro a cui, in alcuni casi, si affiancavano gli anziani a loro volta interessati a trasferirsi in modo definitivo in luoghi dove il tenore di vita era più elevato

37

(nel 1971 l’età media in Lunigiana era di 41 anni e la popolazione ultrasessantenne era più numerosa dei minorenni). Malgrado le partenze temporanee fossero minori rispetto al passato, i rimpatri proseguirono anche per i paesi più piccoli della montagna toscana per tutto il periodo del secondo dopoguerra; nello specifico, l’emigrazione lucchese

38

si distinse dai movimenti migratori da altre località della penisola proprio per la inusuale

36 N. GUERRA, Partir bisogna, cit., pp. 104-105, prese dal capitolo dove l’autore esamina la condizione economica che in Lunigina determinò l’ultimo periodo degli esodi di massa.

37 Cfr. Centro Studi Investimenti Sociali, Tendenze e potenzialità dell’economia apuana all’inizio degli anni ’80, cit., dove alle pp. 7-13 sono riportate le statistiche della popolazione lunigianese e in generale della provincia di Massa e Carrara negli anni settanta.

38 Dagli anni trenta anche la Garfagnana era diventata parte della lucchesia.

(15)

17

numerosità dei rimpatri e per alcune importanti influenze culturali portate dalle persone vissute a lungo all’estero al loro ritorno.

39

A metà del XX secolo per la zona nord-est della provincia di Massa (che dopo la riorganizzazione dei territori provinciali era per buona parte costituita dalla Lunigiana) la destinazione più ricorrente era la Svizzera, dove la popolazione partita dai paesi di Mulazzo, Bagnone, Fivizzano, Filattiera, Villafranca, Pontremoli, Licciana Nardi e Tresana si impiegava nelle ditte edili che costruivano edifici e infrastrutture, nelle miniere, nelle industrie e in modo minore rispetto al passato nelle aziende agricole.

40

I dati messi a disposizione dall’Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione indicano la punta massima di 1113 emigranti nel 1955, mentre nel lustro successivo gli esodi si aggirarono tra 300 e 450 unità all’anno.

È interessante mettere a confronto i dati sulle partenze verso i cantoni elvetici con le rilevazioni dello stesso periodo per le migrazioni in Francia, dove sussisteva una lunga tradizione di arrivi dalla penisola italiana, per rendersi conto della superiorità numerica del primo gruppo di esodi: nel 1955 dalla provincia di Massa Carrara si recavano in Francia 269 persone, ma il divario andò assottigliandosi alcuni anni dopo, quando nel 1959 la condizione tra i due Paesi si manteneva all’incirca stabile con oltre 200 partenze ciascuno.

41

I numeri dimostrano che, al di là delle consuetudini, a determinare le scelte dei partenti era la condizione economica del luogo di destinazione; quest’ultimo poteva richiamare interesse solo se esisteva almeno la supposizione che si trattasse di un Paese in pieno sviluppo e quindi capace di garantire opportunità di lavoro superiori ad altre mete di emigrazione.

42

39 In merito agli influssi culturali degli emigranti di ritorno vedere l’introduzione di Silvano Burgalassi a P.

CRESCI, Il pane dalle sette croste, Lucca, Maria Pacini Fazzi Editore, 1986, in particolare p. 2.

40 Centro Lunigianese di Studi Giuridici, Il secondo dopoguerra, in Almanacco Pontremolese, Anno X, Pisa, Pacini Editore, 1998.

41 I dati sono stati presi da N. GUERRA, Partir bisogna, cit. pp. 102-104.

42 Il tema consente di cogliere accostamenti e divergenze tra la condizione del migrante italiano e la vita attuale degli stranieri africani e asiatici nell’Europa Occidentale e negli Stati Uniti; nella storia di un ragazzo tunisino ricostruita in A. SAYAD, La doppia assenza: dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Milano, Raffaele Cortina, 2002, pp. 18-34, si nota come le necessità che spingono gli abitanti del Maghreb a partire per la Francia siano simili ai limiti sopportati in passato dai contadini toscani, ma oggi il migrante

(16)

18

Dalla Garfagnana gli esodi si conformarono alle tendenze nazionali, dove predominavano gli spostamenti continentali su l’emigrazione transoceanica: un caso particolare furono le partenze per il Sud Africa, che interessarono, almeno a livello regionale, quasi unicamente l’area lucchese.

Tra gli anni sessanta e i primi anni ottanta in tutto il territorio regionale si verificò il passaggio da una società fondamentalmente rurale all’impiego della popolazione prima nel settore secondario e, in un secondo tempo, nel terziario, fenomeno che portò all’esaurirsi dei movimenti verso l’estero, come avvenne nelle altre località nazionali che nei decenni precedenti erano state interessate dalle migrazioni di massa. Per la Toscana sono proseguiti fino a periodi abbastanza recenti gli spostamenti interni, che quasi sempre non andavano nemmeno oltre i confini provinciali.

Descrizione delle fonti iconografiche e struttura dell’opera

Il “Museo dell’Emigrazione della Gente di Toscana”, che ha sede nel castello di Lusuolo in Lunigiana e da cui è stata presa la maggior parte delle fonti iconografiche citate nella tesi, offre una raccolta di oltre ottocento documenti inviati da toscani all’estero ai parenti ancora residenti nel luogo di origine, che contengono informazioni sulle forme e sulle finalità degli esodi in età contemporanea dell’area appenninica compresa tra le province di Lucca, Massa e Carrara e Pistoia, a cui si aggiungono alcune fonti prodotte da emigranti dei centri urbani e delle località marittime poste a nord della regione. Il materiale viene messo a disposizione degli utenti solo in versione digitale, scannerizzato e pubblicato sul sito del museo, per lasciare gli originali ai loro proprietari, che hanno così la possibilità di rendere nota la storia migratoria della propria famiglia senza privarsi di foto che assumono, al di là della loro importanza come testimonianza storica, un chiaro valore affettivo.

43

difficilmente ha la possibilità di trasferirsi in un paese in piena crescita economica, che possa offrire opportunità per migliorare il suo tenore di vita.

43 Dal sito del museo, http://museogenteditoscana.it/, si possono facilmente reperire le foto nell’archivio on line, corredate da informazioni sui ogni emigrante.

(17)

19

Attraverso l’utilizzo degli strumenti dell’informatica è stato possibile al direttore del museo Paolo Bissoli e ai suoi collaboratori rendere pubblici documenti visivi che di solito, a causa delle difficoltà ricorrenti nel consultare gli archivi delle famiglie che non hanno avuto influenti personaggi tra i loro avi,

44

viene conosciuto solo da una ristretta cerchia di persone. Infatti, il patrimonio storico che ad oggi resta celato nelle abitazioni dei privati i quali, o non vogliono, o non sono in grado di metterlo a disposizione dei ricercatori all’altezza di apprezzarne il valore, rimane un grosso limite, possibile a essere superato attraverso un accordo tra gli studiosi accademici o i semplici cultori delle varie materie e i proprietari delle fonti per una loro diffusione on line.

Il sito del museo di Lusuolo riporta a corredo di ogni immagine una breve scheda con le informazioni essenziali per conoscere l’identità dei soggetti e la loro destinazione, informazioni quasi sempre integrate con il periodo storico vissuto dai migranti nel luogo di arrivo e la professione da loro svolta. A questa breve presentazione, nei casi in cui i discendenti hanno messo a disposizione le notizie necessarie è stata aggiunta una ricostruzione biografica, utile per il ricercatore che lavorando sul materiale non vuole incorrere nel rischio di fraintendere le sommarie informazioni della scheda iniziale.

Tale patrimonio documentario può essere ulteriormente integrato con filmati in formato dvd e videocassetta che riportano le testimonianze di alcuni emigranti che hanno messo a disposizione i loro documenti iconografici per il museo di Lusuolo, nelle quali vengono approfonditi aspetti economici e sociali della vita dei toscani nelle località estere dove gli arrivi erano più ricorrenti.

45

I documenti sono in prevalenza databili tra la fine del XIX secolo e la metà del Novecento, nel periodo degli esodi di massa, gli stessi anni in cui la fotografia si

44 Sugli archivi familiari in Lunigiana in cui sono custodite fonti rilevanti cfr. C. RAPETTI, Archivi familiari:

storie, volti e documenti dell’emigrazione lunigianese, Firenze, Nuova Grafica Fiorentina, 1986, mentre per informazioni generali sull’argomento, sia per la tutela del materiale archivistico, sia per il metodo di ricerca, M.

CARASSI, Qualche consiglio per meglio difendere il tesoro degli archivi storici, familiari e personali, Roma, Confedilizia Edizioni, 2007, in particolare le pp. 9-22.

45 Tra questi filmati realizzati con la collaborazione di alcuni enti pubblici locali si ricordano i dvd Donne lontane, emigrazione femminile dalla Toscana e il già citato E ci toccò partire, un secolo di emigrazione toscana, ambedue realizzati dalla Comunità Montana della Lunigiana e dalla Regione Toscana, Uovoquadrato- Gruppo Eliogabalo, rispettivamente del 2006 e del 2005.

(18)

20

stava diffondendo a livello popolare come uno degli strumenti dell’evoluzione della società contemporanea, utile a testimoniare particolari condizioni di vita e, per questo, indispensabile agli emigranti per avere la possibilità di arricchire la comunicazione epistolare con immagini capaci di raccontare meglio di tante parole la difficoltà di vivere lontano dal luogo di origine. Tutto ebbe inizio con l’invenzione della foto istantanea da parte di George Eastman nel 1888, poi ampiamente diffusa dall’inizio del XX secolo,

46

un fenomeno di massa testimoniato anche dalle fonti del museo di Lusuolo. Queste ultime manifestano non solo un progressivo miglioramento del livello qualitativo dell’immagine dovuto ai frequenti avanzamenti tecnologici in campo fotografico, ma anche una maggiore libertà dei soggetti nel porsi davanti all’obiettivo dovuta, oltre ai cambiamenti a livello culturale, anche all’uso dell’istantanea che consentiva di immortalare momenti di vita quotidiana, a differenza delle prime foto fatte negli studi dei professionisti attrezzati con scenografie a sfondo naturalistico.

Nei documenti visivi messi a disposizioni dalla signora Arianna Toma emerge l’avanzamento culturale compiuto dai soggetti femminili vivendo a contatto con la società ospitante: consistono in due ritratti della famiglia Veroni, da cui discende la donatrice, emigrata in Francia nella prima metà del XX secolo partendo dal paese di Busatica, situato nel comune di Mulazzo.

47

Nell’immagine datata 1911 compaiono i coniugi Stefano Veroni e Federica Tacci con la figlia Maria Veroni di un anno; l’immagine è stata scattata nello studio di un fotografo e non lo si capisce solo dalla cornice in cui sono inseriti i migranti, ma anche dal nome del negozio posto in basso corredato dell’indirizzo.

48

Per i Veroni il momento della foto di famiglia rappresentava ancora un’occasione speciale, per la quale non si poteva assolutamente avere un aspetto trascurato; si

46 Vedere l’articolo di P. BARBATO, Partire dalle fotografie, in AA. VV., Per terre assai lontane. Cento anni di emigrazione lunigianese, Comunità Montana della Lunigiana, edito dal Museo Etnografico della Lunigiana, 1988, in particolare p. 13.

47 Si fa riferimento ai codici 415 e 416 del “Museo dell’Emigrazione della Gente di Toscana”, che d’ora in poi anche nei successivi capitoli sarà indicato con la sigla MEGT.

48 Si legge in basso “Diamant”: probabilmente si tratta o del nome dello studio fotografico presso cui si erano recati i Veroni o della ditta che ha prodotto la cornice del ritratto, in ogni caso era un esercizio che aveva sede a Parigi, al numero 87 di Avenue Lodra Rollin, la stessa città dove vivevano i mittenti della fonte.

(19)

21

doveva evitare di apparire nella routine quotidiana domestica o del lavoro, così per quanto era possibile si cercava di vestire in modo elegante e di manifestare la propria gioia di vivere all’estero per rassicurare i parenti.

L’intenzione di nascondere la realtà nel ritratto o tanto meno di offrirne una versione stereotipata che non corrispondeva mai, nemmeno nel migliore dei casi, alle vere condizioni di vita, non impediva che in aggiunta al documento iconografico potesse essere posta una lettera, come spesso accadeva, in cui il mittente confidava le amarezze dell’emigrazione; nel caso citato, però, non si ha notizia di un possibile scritto allegato all’immagine.

49

Al di là della rigida posa dei soggetti e della ripetitività delle ambientazioni dei ritratti scattati presso gli studi fotografici, queste fonti possono rappresentare ugualmente utili punti di riferimento per trarre informazioni sulla storia dell’emigrazione; d’altronde le foto con un’impostazione rigida sopravissero anche nella prima metà del Novecento, quando ormai si era largamente diffusa la macchina istantanea, perché alcuni migranti continuavano a preferirle. Nel documento della famiglia Veroni dalla posizione dei soggetti si intuisce la subordinazione della donna rispetto al marito: l’uomo, in piedi con una posa disinvolta, è posto a fianco della consorte, ma leggermente in avanti rispetto a lei, che invece è seduta con lo sguardo fisso verso l’obiettivo.

50

La condizione da questo punto di vista appare completamente cambiata nella seconda foto del 1948, dove la figlia Maria Veroni si fa fotografare con il marito Giovanni Toma e i bambini Gisella e Danilo a Orly: l’immagine, scattata all’aperto con il gruppo familiare raccolto davanti all’obiettivo e i due coniugi

49 Il legame tra documenti iconografici ed epistolari non è presente nelle fonti del “Museo della Gente di Toscana” essendo quest’ultimo, almeno per il momento, dedicato quasi esclusivamente al materiale fotografico.

Nell’Archivio Paolo Cresci di Lucca, che d’ora in poi sarà identificato con la sigla AC, si possono invece trovare molti esempi di immagini con un testo allegato, ma anche cartoline con brevi lettere scritte sul retro, come nel documento con il codice 1036, che Luigi e Maria (gli scriventi non hanno riportato il loro cognome) inviarono da Nizza allo zio Eugenio Guerrazzi di Firenze il 7 agosto 1924, per informarlo sulle sorti di un malvivente: “Zio carissimo ho ricevuto la tua lettera e come tu mi consigli ho fatto ricerca della persona che si trova a Nizza; la polizia lo fila e aspetto di giorno in giorno di sapere il risultato; ti scriverò subito appena saprò qualcosa.”

50 Nel museo di Lusuolo sono presenti altri ritratti che mantengono un’impostazione tradizionale, anche se successivi all’esempio citato. Con il codice 155 è archiviata la foto della famiglia di Siro Giovanetti e Zelinda Castelli di Maresca, in provincia di Pistoia, nonni di Laetitia Casta e residenti in Corsica negli anni quaranta, mentre hanno i codici 238 e 239 le foto dei fratelli Lino e Ciro Ducci, emigrati da Calamecca in Olanda ad Haarlem, dove i soggetti vestono con abiti messi a disposizione da uno studio fotografico.

(20)

22

che si tengono a braccetto, è spontanea malgrado lui indossi un vestito elegante, dimostrando di considerare ancora il momento del ritratto un’occasione speciale.

Molto è cambiato per questi emigranti di seconda generazione rispetto al passato: non c’è più la necessità di andare da un professionista, infatti con buone probabilità siamo di fronte a un’istantanea, e nemmeno di fare attenzione alle gerarchie familiari o a evitare momenti di quotidianità che possono dare ai destinatari l’impressione della reale condizione di vita all’estero dei soggetti (dallo sfondo della foto si deduce che i Toma vivono in un quartiere umile).

Le fonti citate offrono un esempio significativo di lettura e interpretazione del materiale visivo, un metodo di ricostruzione storica che ha consentito di trarre dalle immagini del museo fotografico di Lusuolo testimonianze dei modelli sociali e dei livelli economici dei migranti toscani nella prima metà del XX secolo. Da tale studio, che ha previsto un’analisi di ogni documento corredato, oltre alle notizie riportate sul sito, di un’ulteriore scheda in cui sono state scritte le informazioni tratte dall’interpretazione delle fonti, è emersa una particolare insistenza da parte degli emigranti a manifestare le condizioni di lavoro qualsiasi esse fossero, senza timore di testimoniare la durezza di alcuni mestieri. Al di là della loro importanza, infatti, i ritratti rappresentano solo una piccola parte del totale del materiale iconografico.

51

Le fotografie raccontano professioni tra loro radicalmente diverse, che richiedevano vari livelli di abilità, a cominciare dai semplici manovali quasi sempre provenienti da una realtà rurale e disposti a prestarsi come manodopera generica per la realizzazione di edifici e infrastrutture, indispensabili per rendere accessibili le grandi città del centro e nord Europa (basti pensare ai trafori alpini) o per favorire lo sviluppo delle metropoli statunitensi e sudamericane.

Nei documenti sui mestieri dei toscani all’estero emerge ancora la necessità di diversificare tra le immagini realizzate in particolari occasioni dai professionisti e per questo prive di spontaneità e le foto, spesso scattate con la macchina

51 La scelta di limitare i ritratti per la loro ripetitività è stata giustificata dal direttore Paolo Bissoli in un’intervista rilasciata a Lusuolo il 15 giugno 2008.

(21)

23

istantanea, in cui si testimoniano le reali condizioni di lavoro, fatte dagli stessi emigranti o da giornalisti e ricercatori.

52

Quest’ultimo caso, frequente per quanto riguarda in generale la produzione fotografica sull’emigrazione italiana, è però assente nel materiale studiato o, quanto meno, nell’intestazione di nessuna fonte viene specificato che l’immagine è stata prodotta in tale contesto.

Dal documento iconografico in cui appare il lunigianese Valentino Simonelli, ritratto all’uscita dalla miniera belga in cui prestò servizio per alcuni anni, si deduce l’estrema durezza della professione da lui pratica; il soggetto, infatti, appare completamente coperto dalla fuliggine del sottosuolo.

53

Era nelle attività legate al settore primario nei mestieri di minatore, cavatore, carbonaio e boscaiolo, che si manifestavano le peggiori condizioni, essendo le persone impiegate in tali occupazioni tra i migranti che sopportavano le maggiori fatiche per un ritorno economico quasi sempre insoddisfacente, tranne in alcuni casi, come accadde ai già ricordati taglialegna e carbonai toscani che monopolizzarono la produzione a Siskiyou. Una chiara impressione di quanto potesse essere difficile lavorare in emigrazione è offerta anche dalle fonti iconografiche sul commercio ambulante, tra le quali è stato dato spazio ai documenti che testimoniano il perdurare dell’arretratezza dei mezzi di trasporto in pieno Novecento e alle foto dei garzoni, che nei gruppi dei girovaghi erano i meno esperti e per questo erano destinati alla vendita lungo le strade nelle aree cittadine o nelle località rurali.

54

Fin da una prima analisi del materiale selezionato, quindi, emerge come spesso l’inserimento lavorativo e l’integrazione sociale degli emigranti fossero sofferti, anche se tali difficoltà variavano a seconda delle capacità professionali e della

52 Questa differenziazione viene illustrata in P. BARBATO, Partire dalle fotografie, cit., che alle pp. 15 e 16 parla della necessità di catalogare le fonti almeno nei due gruppi.

53 Si fa riferimento al codice 194 (MEGT): Simonelli dal paese di Casola era emigrato a metà Novecento prima in Francia e poi in Belgio a Mons e a Jemappes (la fonte citata è del 1951). La sua storia è ricostruita nel terzo capitolo, nel paragrafo dedicato al lavoro in miniera. Altrettanto interessanti per comprendere la durezza di questo mestiere sono le foto con i codici 328 e 329 (MEGT), che rappresentano rispettivamente un gruppo di operai all’ingresso di un impianto di Liegi, in Belgio, e un lavoratore a torso nudo della stessa miniera, che sprofonda nei detriti mentre estrae materiale: le fonti, datate 1950, sono state messe a disposizione da Giorgio Mori.

54 Sul tema vedere le immagini con i codici 268 e 269 (MEGT) dei membri della famiglia Tannini, che spostandosi a piedi o con semplici carri svolsero la professione di ambulanti a Larousse, in Alta Savoia.

(22)

24

preparazione culturale. Alle condizioni limite rappresentate nei documenti citati si contrapponevano le strategie di inserimento sociale degli intellettuali, che sceglievano l’emigrazione per avere maggiori opportunità di sfruttare le proprie conoscenze tecniche e culturali. Come fece l’architetto fiorentino Giovanni Veltroni,

55

chiamato a trasferirsi a Montevideo dal presidente uruguaiano Don José Battle y Ordonez (rimasto impressionato dal suo stile messo in pratica nell’edificio della borsa di Genova), anche se una volta emigrato Veltroni dovette affrontare le critiche dei colleghi che ostacolavano il suo inserimento nel settore della progettazione edilizia a elevati livelli.

Tra i vari ambienti lavorativi rappresentati nelle fonti iconografiche del

“Museo dell’Emigrazione della Gente di Toscana” si nota una considerevole presenza di mestieri che richiedevano una sorta di professionalità, per tale motivo quasi sempre già praticati dall’emigrante in patria che, una volta giunto all’estero, manifestava l’interesse di proseguire la sua attività, di solito tramandata di generazione in generazione, per raggiungere risultati produttivi e qualitativi maggiori. Le abilità manuali per quanto riguardava l’artigianato o intellettive per le professioni commerciali o, meno di frequente, per i liberi professionisti, tra i quali prevalevano gli ingegneri e gli architetti, venivano conseguite in giovane età mediante una sorta di apprendistato o, per i pochi che potevano permettersela, una formazione scolastica o accademica.

Per Patrizia Audenino questa manodopera specializzata, che si contrapponeva alla moltitudine degli emigranti italiani capaci solo di svolgere lavori generici (manovali, sterratori e altre occupazioni in agricoltura, nella costruzione di aree urbane e nella realizzazione di infrastrutture), era in buona parte la prosecuzione dei movimenti migratori di età preindustriale,

56

in passato come tra Ottocento e Novecento alimentati nel caso dei lavori manuali da agricoltori che si erano

55 La biografia di Giovanni Veltroni è riportata sul sito http://museogenteditoscana.it; il testo può essere approfondito con i documenti iconografici catalogati con i codici 355, 356, 357 e 358 (MEGT), dove oltre a un ritratto dell’emigrato compaiono alcuni edifici di Montevideo da lui progettati.

56 Vedere P. AUDENINO, Mestieri e professioni degli emigrati, in AA. VV., Storia dell’emigrazione italiana, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina, volume II Arrivi, Roma, Donzelli Editore, 2002, in particolare p. 335.

(23)

25

tramandati di generazione in generazione un mestiere artigianale o commerciale da fare lontano dal luogo di origine, nei periodi in cui l’impegno dei campi prevedeva delle soste. Alle professioni citate dalla Audenino si possono aggiungere i contadini che all’estero decidevano di continuare la loro attività avvalendosi di spazi coltivabili più ampi. Ciò accadeva di frequente per i coloni italiani in Sud America, tra i pochi casi di inserimento in ambito rurale dove l’agricoltura non era solo una prima occupazione in attesa di un definitivo trasferimento nelle aree urbane per avere un mestiere cittadino, come invece erano soliti fare i braccianti delle fazendas.

La percentuale della manodopera in possesso di una qualche professionalità variava a seconda delle località di partenza e della composizione dei gruppi migratori, a volte con una presenza considerevole che poteva aggirarsi dal trenta al quaranta per cento del totale e tale valore saliva se si considerano anche gli agricoltori inseriti in ambito coloniale. Ma calcolare dai registri delle partenze quanti erano i contadini decisi a proseguire il loro mestiere all’estero è impossibile e la bibliografia e le fonti citate nel secondo capitolo della prima parte lo dimostrano. A differenza di commercianti, intellettuali e artigiani che quasi certamente emigravano per continuare la loro attività, solo una parte dei contadini non riteneva l’agricoltura un’occupazione momentanea e anche i coloni dopo un breve periodo potevano decidere di trasferirsi in città.

È quanto fece Giacomo Ambrosi, originario di Careggia in Lunigiana, che emigrato negli Stati Uniti ad inizio Novecento scelse di lavorare inizialmente in un allevamento di polli e in un grande frutteto nel ruolo di potatore, ma resosi conto in breve tempo dei limiti di tali professioni, quasi sempre svolte in modo temporaneo, preferì abbandonare il lavoro nelle aree rurali per un impiego in un’azienda ferroviaria.

57

Al di là delle stime registrate in occasione del viaggio, quindi, solo attraverso una ricostruzione biografica abbastanza estesa si può

57 Di Ambrosi rimane una foto molto toccante in cui accarezza dolcemente il corpo senza vita del figlio, morto in un incidente ferroviario a New York pochi giorni dopo aver raggiunto il padre. L’immagine è catalogata con il codice 782 (MEGT).

(24)

26

capire quanti erano gli emigranti disposti, prolungando la loro permanenza, a rimanere impiegati stabilmente in agricoltura.

Passando alle statistiche, è stato preso come punto di riferimento il 1884, uno dei primi anni in cui da tutta la penisola iniziarono a manifestarsi gli esodi di massa, durante cui in Toscana i partenti in possesso di particolari abilità professionali furono circa il 25%: 1848 migranti su un totale di 7598.

58

Non sempre avveniva che la percentuale della manodopera qualificata fosse tanto elevata, infatti già l’anno successivo il dato tendeva a scendere, ma il fatto che dai primi anni ottanta dell’Ottocento si manifestasse una presenza rilevante di lavoratori legati a specifici settori, malgrado fossero ormai iniziate le partenze della popolazione priva di particolari abilità, è un dato importante che lascia intuire come la presenza di alcuni mestieri sia sempre stata abbastanza considerevole nei movimenti migratori toscani.

Nel 1884 i partenti impiegati in ambito rurale erano 3513 uomini e 186 donne, i muratori e gli scalpellini 187 uomini, gli artigiani 795 uomini e 63 donne, gli addetti alla ristorazione 33 uomini e 3 donne, i commercianti 144 uomini e 10 donne, gli artisti 21 uomini, i medici 6 uomini e 3 donne, gli attori teatrali 3 uomini e una donna, i domestici 32 uomini e 266 donne, i girovaghi 131 uomini e 11 donne e le professioni liberali erano praticate da 99 uomini e 7 donne.

59

Le fonti del museo di Lusuolo confermano tali dati, dimostrando come alcune professioni fossero largamente presenti sulla montagna toscana tra la Lunigiana e la provincia di Pistoia per tutto il periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Ai numerosi venditori ambulanti di vario genere (come i figurinai della Media Valle del Serchio) si affiancavano alcuni intellettuali attivi a livello politico e sociale (basti ricordare i nomi di Alceste De Ambris e Luigi Campolonghi originari di Pontremoli), molti agricoltori che

58 Fonte: Statistica della emigrazione italiana per l’estero, a cura del Ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio, Direzione Generale della Statistica, cit., in particolare pp. 42 e 43 dove si elencano gli emigranti di età superiore ai quattordici anni divisi a seconda del sesso e della professione che esercitavano in patria.

59 Ibidem. L’opera nel suo insieme presenta informazioni non solo di carattere statistico, ma anche sulle località di arrivo in Europa e nel continente americano per l’emigrazione italiana nel periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Riferimenti

Documenti correlati

all’interno di un oggetto posso avere movimento di carica conduttori: le cariche possono muoversi.

maurizio ambrosini Università degli Studi di Milano sebastiano Ceschi ricercatore CeSPI e curatore del volume. petra mezzetti ricercatrice e coordinatrice CeSPI del

dalla metà degli anni Venti fino ad arrivare poi al 1934, quando l'ideologia statale del realismo socialista venne imposta in tutti i campi, molti artisti

Hospitality and hospitality-laden language feature highly amongst people working in or around structures of first reception in Italy and Malta at the European Union

79; da: Dorit Fromm, Collaborative Communities: Cohousing, central living and o- thers new forms of housing with share facilities, Van Nostrand Reinhold, New York, 1991.. 80; da:

Un’istallazione è stata creata da noi; fa parte del museo all'aperto ed è stata realizzata.. durante l'anno scolastico 2016 – 2017; è stata costruita con l'argilla e rappresenta

I - Checklist delle specie di Molluschi, Crostacei, Rettili, Anfibi e Mammiferi finora censiti in Lunigiana con l’evidenziazione delle specie presenti nelle liste di attenzione

Il confronto tra il sistema biologico con apporto di letame e il sistema con concimazione minerale gestito secondo le norme tecniche di produzione integrata dal 2001 (azione