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Academic year: 2021

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INDICE

Parte Prima: Socrate.

Capitolo I: La lezione di Socrate. ... 8

1: La questione socratica. ... 8

2: La missione di Socrate. ... 18

3: Il dialogo e l'ironia. ... 25

Capitolo II : Il Sileno di Alcibiade. ... 34

1: Eros e ironia. ... 34

2: Contrasto tra aspetto esteriore ed interiore di Socrate. ... 41

Conclusione. ... 48

Parte Seconda: Nietzsche e Socrate: un’unione maliziosa.

Capitolo I: La Nascita della tragedia. ... 50

1. Apollineo e dionisiaco. ... 50

2. Il suicidio della tragedia: Euripide e Socrate colpevoli. ... 61

Capitolo II: Socrate e la decadenza. ... 65

1. Nietzsche e i presocratici. ... 65

2. Socrate e Dioniso. ... 72

3. Socrate in Nietzsche. ... 75

4. Triangolo amoroso: Socrate, Santippe e Nietzsche. ... 97

Conclusione. ... 102

Appendice: Il dialogo socratico “in pratica”. ... 106

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PREMESSA

Nietzsche contro Socrate? Ma chi era Socrate e perché ha così tanto fatto parlare di sé? In questo mio lavoro di tesi ho voluto mettere a confronto queste due grandi figure della storia della filosofia, cercando di evidenziare il complicato rapporto che Nietzsche intrattiene con la figura di Socrate. Figura peraltro misteriosa, potremmo dire, anzitutto perché non ha scritto nulla, e perciò affronterò in prima stanza la cosiddetta "questione socratica", determinata dalla difficoltà di tracciare i contorni di un Socrate storico in base alle testimonianze di Senofonte, di Platone, di Aristofane e infine di Aristotele. Nietzsche ha più volte definito Socrate in modo negativo, ora come plebeo ora come decadente, ma nello stesso tempo lo apprezzò molto come educatore. Potremmo quasi dire che un'unione maliziosa legava Nietzsche al maestro greco: Nietzsche odiava e amava Socrate, ne apprezzava e detestava al tempo stesso alcuni aspetti. Socrate ha attirato l'attenzione di Nietzsche, ora come corruttore e distruttore della cultura greca, ora come dialogatore, come avversario di Dioniso, addirittura come "problema" in sé: un caso da analizzare, un simbolo di décadence. L'interesse di Nietzsche per i filosofi preplatonici risale ai semestri estivi del 1872-1873 e 1876 presso l' università di Basilea. Socrate, tra questi, è visto come colui che ha dato inizio alla decadenza, distruggendo lo spirito dionisiaco tipico di questi primi Greci: Socrate distrusse tutto con la sua logica. «Socrate fu quel

pagliaccio che si fece prendere sul serio»1. L'attenzione per Socrate inizia con la

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lettura del Simposio di Platone, che Nietzsche stesso dirà essere la sua opera preferita. Nel febbraio 1870 dà una conferenza dal titolo Socrate e la tragedia in cui descrive Socrate come prototipo dell'uomo teoretico ed ottimista, colpevole di aver distrutto la tragedia greca, cambiando anche il ruolo del filosofo, da scopritore della natura a moralizzatore dei costumi. Ma le caratteristiche ambigue di Socrate valgono anche per Nietzsche, cioè è come se dietro quell'odio per il maestro greco, Nietzsche vedesse sé stesso, come se l'odio per Socrate e la trasfigurazione in Socrate si incontrassero in una perfetta unione. Nietzsche si concentra anche sull'aspetto esteriore di Socrate: una bruttezza fisica che sembra rompere quell'ideale di armonia greca tra bellezza fisica e bellezza interiore, a tal punto da dubitare anche della sua grecità:

quell'aspetto esteriore di Sileno che era proprio di Socrate, i suoi occhi sporgenti, le sue labbra tumide, il suo ventre cascante. (...) è significativo che Socrate fosse il primo grande Greco ad essere brutto.2

Nietzsche mostra dunque un interesse per la fisionomia di Socrate che giunge al culmine con la dichiarazione che:

la bruttezza è abbastanza spesso l'espressione di uno sviluppo ibrido, ostacolato dall'incrocio. In altri casi essa appare come un' involuzione nello sviluppo. Gli antropologi che si interessano di criminologia ci dicono che il delinquente tipico è brutto: monstrum in fronte, monstrum in animo. Ma il delinquente è un décadent. Era Socrate un delinquente tipico?3.

Adelphi, Milano, 2010, p. 35.

2 F. Nietzsche, Socrate e la tragedia in La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e Scritti 1870 – 1873,

Adelphi, Milano, 2003, pp. 39 – 40.

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Il filosofo tedesco si riferisce all'antropologia criminale di Lombroso per giustificare la bruttezza di Socrate e sottolineare la sua natura da delinquente, privandolo anche di una possibile bellezza interiore, a differenza di Alcibiade che nel suo elogio nel Simposio platonico, paragonando Socrate ad un sileno, intende far emergere la sua bellezza interiore. Socrate inoltre, avendo avuto la forza di capovolgere i valori di un'intera epoca, è paragonato a Cristo per il fatto che entrambi hanno operato un rivolgimento storico ed entrambi sono stati condannati dalla volontà avversa del proprio popolo. Infatti sia Socrate che Gesù hanno in comune il fatto di non avere scritto nulla, di aver vissuto nella povertà e di aver dedicato a vita al dialogo con gli altri: uno mostrando agli altri la via della virtù, l'altro predicando la parola di Dio. Entrambi condannati ingiustamente, hanno affrontato la morte senza paura, fiduciosi anzi, che la vita nell'aldilà sia migliore di quella terrena. Ma Nietzsche critica anche il Socrate morente: le ultime parole di Socrate, l'ultima volta che i suoi amici poterono udire la sua voce, furono, come possiamo leggere nel Fedone di Platone (118a): «O Critone,

noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene»4.

Se per la maggior parte degli studiosi queste parole sono un modo per esprimere la gratitudine di Socrate ad Asclepio per avergli reso la morte indolore, per Nietzsche non è così. In realtà, con queste parole, Socrate avrebbe voluto intendere che la vita è una malattia, per cui occorre ringraziare il dio della medicina per averlo "guarito".

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340. Socrate morente. Ammiro la forza d'animo e la saggezza di Socrate in tutto quanto egli fece, disse – e non disse. Questo Ateniese, spirito maligno e ammaliatore, beffardo e innamorato, che faceva innamorare e singhiozzare i giovani più tracotanti, non fu soltanto il più saggio chiacchierone che sia mai esistito: fu altrettanto grande nel tacere. Avrei voluto nell'ultimo momento della vita fosse restato silenzioso – allora, forse, sarebbe appartenuto a una categoria di spiriti ancora più elevata. Fosse stata la morte o il veleno, la religiosità dell'animo, o la malvagità – certo è che qualche cosa, all'ultimo momento gli sciolse la lingua, e lui disse: "Critone, sono in debito con Asclepio". Queste ridicole e terribili "ultime parole" significano per chi ha orecchie: "O Critone, la vita è una malattia!". Possibile? Pessimista un uomo par suo, che visse serenamente e sotto gli occhi di tutti, come un soldato? Non s'era appunto preoccupato d'altro che di far buon viso alla vita, e per tutta la durata di essa aveva tenuto nascosto il suo giudizio ultimo, il suo più intimo sentimento! Socrate, Socrate ha sofferto della vita!(...)5.

Nietzsche avrebbe preferito che Socrate continuasse a tenere per sé questo suo modo di vedere la vita come una malattia, di continuare a tacere la verità, e forse così sarebbe entrato nella cerchia degli spiriti più elevati. Dunque Socrate a parer di Nietzsche ha sempre sofferto la vita e le ha sempre fatto buon viso tenendo nascosto il suo giudizio.

(...) é Socrate che volle morire: non fu Atene, fu lui stesso che si diede la cicuta, egli costrinse Atene a dargliela.6.

Non intendo ancora soffermarmi nell'analisi dell'arduo rapporto tra i due filosofi poiché sarà affrontato nella seconda parte di questo lavoro, dopo aver presentato nella prima parte la complessa figura di Socrate. Infine dedicherò un'appendice a un tema che sembra affermarsi molto nell'ultimo decennio: si tratta della consulenza filosofica, che mi pare essere una sorta di dialogo socratico "in

5 F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messima, Adelphi, Milano, 2005. 6 Nietzsche, Il problema di Socrate, p. 39.

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pratica", quasi a conferma di ciò che Nietzsche osservava sull'influenza che Socrate avrebbe lasciato sui posteri:

«bisogna ora spiegare come l’ influenza di Socrate si sia allargata sulla posterità fino a questo momento, anzi per ogni avvenire, simile a un'ombra che diventa sempre più grande nel sole della sera.»7

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