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Discrimen » Covid, depositi, comunicazione e giustizia penale (sotto la lente di un microscopio)

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Academic year: 2022

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COVID, DEPOSITI, COMUNICAZIONE E GIUSTIZIA PENALE (SOTTO LA LENTE DI UN MICROSCOPIO) Giuseppe Losappio

Capita – a volte con garbata e (de)costruttiva ironia altre con minore eleganza o finezza – che alcuni colleghi mi “contestino” l’inutilità (quasi nociva) delle riflessioni

“teoriche”, soprattutto, nella drammatica contingenza pandemica che pone senza so- sta, anche all’avvocatura e alla giustizia penali, gravi e pressanti problemi “pratici”, rispetto ai quali ogni pausa speculativa rischia di apparire persino stucchevole.

Il discorso è complesso e antico ma la dialettica è falsa. Basta (si fa per dire) so- stituire il termine “pratica”, che banalizza e mortifica la professione forense avvilen- dola nel perimetro di un fare senza sapere, con il lemma “esperienza”, secondo la troppo spesso dimenticata lezione di Giuseppe Capograssi: «dove c’è la vita giuridica immediata ivi è la scienza». E l’esercizio della professione forense o è “vita giuridica”

o non è, o meglio, è altro (e poi non lamentiamoci se siamo considerati e “trattati”

come se fossimo “altro”). In questa prospettiva, “prassi” e “teoria” si illuminano a vi- cenda così come accade(va) tra il grande disegno architettonico delle cattedrali “goti- che” e il taglio delle pietre impresso dal capomastro, per dirla con la mirabile metafora di Maurice de Saxe, ovvero, con quella, più recente ma non meno efficace, di Leonora Carrington: «Possedere un telescopio senza la sua controparte essenziale – il micro- scopio – mi pare il segno della più buia incomprensione».

Una “potente” espressione di questo isomorfismo tra universale e particolare che nasconde un monumentale problema della giustizia italiana, gravido di implicazioni (persino teoretiche), corrisponde all’osservazione di un piccolo (e tagliente) fram- mento di “vita”: le regole di “ingaggio” dell’avvocatura con gli “uffici” al tempo del Covid.

Un dedalo inestricabile.

Non solo ogni Giudice di Pace, Procura, Tribunale, Corte di Appello ha una sua disciplina delle udienze, dell’accesso alle “cancellerie” e dell’interlocuzione con i ma- gistrati, più o meno consistente con le regolamentazioni di fonte superiore, più o meno agevolmente reperibile sui portali web dell’ufficio, che troppo spesso rinviano a nu-

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meri telefonici muti ovvero ad indirizzi di posta elettronica (anche certificata) inope- rativi o intasati. Accade (e non è infrequente) che giudici, pubblici ministeri, dirigenti, funzionari e dipendenti sovrappongano alla previsione regolamentare un’interpreta- zione riottosa e ostativa dell’esercizio della funzione forense.

Beninteso. Non si tratta di “spammare” il dito accusatore contro tutto e tutti, anche perché ogni penalista italiano potrà testimoniare gli incontri con “personale”, in qualsiasi ruolo e grado, che si prodiga, non senza correre rischi, per agevolare l’espressione dell’attività difensiva anche in quegli anfratti della quotidianità in cui la leva del senso di appartenenza ad una “vicenda” comune impedisce che qualunque

“adempimento” diventi un’impresa insormontabile.

Vorrei potermi limitare alla segnalazione dei casi “positivi” (!), piuttosto che de- nunciare le pur numerose negatività, con la fiduciosa disposizione intellettuale che sia

“meglio” guardare alla luce pur tremula delle candele accese nella notte piuttosto che maledire le “tenebre”. Nonostante l’impegno di coltivare l’ottimismo della volontà, tuttavia, sarebbe ingenuo non considerare i segnali del buio che avanza.

Penso alle troppe “circolari” che classificano gli avvocati nella indeterminata ca- tegoria dell’«utenza» assoggettandoli a procedure e controlli cui – noterei per inciso – capita, pure, che altri frequentatori dei “palazzi di giustizia”, di fatto o di diritto, sono dispensati o comunque si sottraggono disinvoltamente. Ad ogni modo, l’etichetta è sbagliata, perché i difensori non sono utenti più o meno di quanto lo siano i magistrati e il personale degli uffici, né può avere rilievo il fatto che gli avvocati abbiano altrove

“lo studio”. Posto che non conosco colleghi che – in questo periodo poi ! – si aggirano per le aule giudiziarie non potendo sostare ad un bar o in un diverso luogo di ritrovo, mi pare di palese evidenza che “in Tribunale” accedono solo difensori, soggetti impre- scindibili del processo penale che, può ben essere celebrato senza la presenza dell’«utenza» (ovvero, pubblico, testimoni, consulenti, ecc.), ma, fatte salve limitatis- sime (talvolta problematiche) eccezioni, non può essere nemmeno iniziato senza (ap- punto) la presenza del difensore.

Il linguaggio, del resto, non è mai “innocente”. La classificazione che contesto è la premessa per altre disposizioni discutibili e potenzialmente “discriminatorie”.

Penso alle direttive che impongono i depositi “fisici” o solo tramite posta di atti (nomine, liste testi, richieste ex art. 335 c.p.p.) che potrebbero benissimo essere tra- smessi mediante posta elettronica, evitando “migrazioni” sul territorio, contatti inter- personali sempre più rischiosi e, in ogni caso, il moltiplicarsi di mani che toccano carte e l’aggravio di lavoro per gli uffici e per i professionisti. Perché? Qual è l’inerzia che

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impedisce di adottare ovunque l’indirizzo chiaramente espresso dall’art. 24 del d.l. n.

137 del 2020?

E ancora (e soprattutto). Penso alle direttive che non prevedono la possibilità di avere colloqui telefonici o telematici con i magistrati, del gip e del pubblico ministero in particolare, ammettendo esclusivamente gli “incontri” in presenza, con gli stessi effetti collaterali appena accennati e l’ombra della suggestiva ipotesi che lo stesso giu- dice o sostituto, il quale nega “per disposizione dell’ufficio” al difensore l’interlocu- zione a distanza non farà altrettanto se a chiedere un confronto sarà un collega, magari anche con WhatsApp, o più semplicemente “bussando alla porta”, senza protocolli, senza prenotazione, senza preavviso, per qualunque ragione, non rigorosamente quella per la quale era stato chiesto il colloquio, come talvolta, viene imposto agli av- vocati, con un rigore persino superiore a quello che regola la competenza per materia tra le diverse articolazioni della funzione giudiziaria.

From all of these signs saying sorry but we're closed all the way down the tele- graph road …

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