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L immaginario castello Angioino di Brindisi: una storica cantonata

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Academic year: 2022

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L’immaginario castello Angioino di Brindisi: una ‘storica’ cantonata

di Gianfranco Perri

Prendere una cantonata, nel passato significava letteralmente colpire con una ruota del carro uno dei cantoni, angoli di pietra presenti a delimitare un incrocio o un cambio netto del percorso. Oggi, invece, considerato che di carri e cantoni non se ne usano più tanti, quel dire riconduce all’idea di un’errata valutazione che porta a sbattere. Un qualcosa quindi, di meno netto di un banale errore e che, inoltre, presuppone l’involontarietà di chi quella cantonata la prende, cioè di chi quell’errore commette, magari a causa di un semplice equivoco o di un

“palese fraintendimento”.

E dato che la storia non è certo una materia immune a tali umane contingenze, succede che oltre ai falsi e ai rimaneggiamenti, non sia neanche tanto raro imbattersi in qualche cantonata, magari ripresa e reiterata da più di un accreditato autore. È questo il caso, credo, di quanto relativo al “castello angioino di Brindisi”.

Nella “Storia di Brindisi scritta da un marino” di Ferrando Ascoli pubblicata nel 1886, alla pagina 106 e seguenti si riporta quella che è la descrizione dettagliata della struttura d’insieme del castello angioino di Brindisi con integrato il palazzo reale. Descrizione di fatto deducibile dalle disposizioni date nel 1277 da re Carlo I D’Angiò [il nuovo sovrano francese che aveva definitivamente sottratto agli Svevi della casa Hohenstaufen il Regno di Sicilia] al giustiziere della Terra d’Otranto in relazione ai lavori che in quel castello e palazzo reale annesso, dovevano essere ancora completati. Indicazioni tutte molto particolareggiate e che poco dopo, il 5 settembre dello stesso anno, furono integrate da altre relative specificamente al fossato in costruzione.

Il tutto chiaramente documentato e conservato nei Registri Angioini conservati nell’Archivio di Stato di Napoli.

Scrive Ascoli: «Oltre il castello, dov'è oggigiorno il bagno penale di Brindisi, conosciuto sotto il nome di castello di terra [quello Svevo], un altro castello era dalla parte opposta, nelle vicinanze dell'attuale ufficio di porto… Quest'altro castello doveva essere assai importante, a giudicarne dai lavori che il re, l'8 maggio del 1277, stando personalmente a Brindisi, stabiliva vi si dovessero eseguire dai costruttori brindisini Ruggero De Ripa e Nicolò di Ugento. Ed eccoli per disteso tutti quei lavori: …»

Dal contenuto di quelle disposizioni si può dedurre che il castello era costituito da ben sei torri rotonde merlate:

una dal lato del mare, che gira 17 canne dalla parte esterna e 9 canne e mezza dalla parte interna, con il parapetto dei merli alto 5 palmi e grosso 2 palmi, con i merli alti 10 palmi e larghi una canna e con distanza tra merlo e merlo di 5 palmi, e con anche l’astrico; una seconda di uguali dimensioni e caratteristiche dal lato dell’adiacente Arsenale, che era sull’area oggi occupata dalla stazione ferroviaria del porto; una terza presso la porta, che gira canne 17 e palmi 5 e mezzo dalla parte esterna e 8 canne e palmi 2 e mezzo da quella interna, con parapetto e merli uguali a quelli delle prime due torri; una quarta, più grande su uno degli angoli delle mura di cinta, che gira 24 canne esternamente e 12 canne e mezzo internamente; e le altre due torri, di caratteristiche architettoniche simili alle anteriori, disposte sul lato orientale. Tutte e sei le torri erano collegate da mura con parapetti merlati e con meniani, ognuno dei quali aveva decine di saettiere.

D’accordo con Ascoli, inoltre, il castello era in parte protetto da un ampio fossato che andava dalla torre dell’Arsenale alla fontana Asiana o Patricia: era largo 5 canne e profondo 3 canne e mezza, era discosto 2 canne dalle mura delle torri ed era lungo 81 canne dal lato interno e 93 canne dal lato esterno. In quanto al palazzo reale, contiguo e di fatto integrato al castello, non sono deducibili dettagli circa le sue caratteristiche strutturali ed architettoniche. Nella citata comunicazione costruttiva, infatti, in relazione al palazzo solo si menziona la necessità di “presto completarvi tutte le porte e finestre, nonché gli altri lavori da maestro d’ascia”.

Aggiunge Ascoli: «Questo castello era di molto giovamento a Carlo I: vi faceva alloggiare milizie, deporre armi

e vettovaglie che abbisognavano per gli eserciti d’Oriente, vi teneva custoditi prigionieri, eccetera. Dal 7 aprile

al 1° novembre del 1274 vi fu prigione Guidotto De Valencourt. Il re il 6 febbraio, dello stesso anno, ordina a

Calcherio di Tolone di consegnare al castellano di Brindisi le armi e li arnesi da guerra che avevano servito

all'armata di Acaja… Il 1º di dicembre, avendo ratificato la pace con gli Albanesi, ordina il 2 maggio dell'anno

prossimo, per potere forse più facilmente mandare in patria i prigionieri, al giustiziere di Basilicata che li mandi

a quello di Bari sotto custodia, e che questi li consegni al castellano del castello di Brindisi, dove debbono

essere rinchiusi… A Brindisi, e probabilmente nel castello, nel maggio del 1277, v'erano fanti e cavalieri

comandati dal milite Eustasio d'Ardicourt, e balestrieri a piedi e a cavallo col maestro dei balestrieri Enrico De

Monti pronti a partire per l'Acaja.»

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Nella “Brindisi ignorata” di Nicola Vacca pubblicata nel 1954, alla pagina 155 e seguenti, si riprende e si integra lo stesso tema: «Sulla collina di Santa Maria del Monte Carlo I D'Angiò nel 1268 fondò il regio palazzo e il castello. Per distinguerlo dal vecchio castello di Brindisi, si chiamava castello di Santa Maria del Monte…»

Segue la descrizione del castello e poi, Vacca aggiunge: «Con molta probabilità architetto del castello e del palazzo reale fu il famoso Pietro D'Angicourt che, essendo protomastro di corte, aveva ricostruito il castello di Lucera e assai verosimilmente fu l'architetto di Castelnuovo di Napoli [dove Carlo I D’Angiò aveva trasferito la capitale del regno, divenuto Regno di Napoli] infatti, come risulta dai Registri Angioini il re ordina di proseguire celermente il completamento dei lavori del castello di Brindisi seguendo rigorosamente i disegni del maestro Pierre D’Angicourt… Probabilmente una delle 6 torri era il poi denominato “Torrione del sangue”

rappresentato già diruto e identificato con il numero 12 nella mappa di Blaeu del 1650, che però lo denomina

“Belvedere”. Stessa denominazione “Belvedere” che è ancora presente nella pianta di Brindisi – disegnata da P. Camassa e B. D’Ippolito edita da V. Masciullo in Lecce nel 1910 – riportata quasi a ridosso e a sud della chiesa di Santa Maria del Monte… Non sappiamo con precisione quando, castello e palazzo, furono demoliti…

È facilmente intuibile che il castello di Santa Maria del Monte dovette essere disarmato e demolito dopo la costruzione del castello dell'Isola [l’Alfonsino] edificato, com'è noto, dagli Aragonesi dopo l'evacuazione di Otranto da parte dei Turchi nel 1481, giacché il nuovo castello difendeva più razionalmente del primo il porto e la città dalla parte del mare.»

Disarmato e demolito? Un castello così imponente? E senza, di fatto, lasciare traccia materiale alcuna di sé?

Senza che nessun altro – durante i 500 anni anteriori al libro di Ascoli – ne abbia mai più parlato esplicitamente?

Un po’ troppo strano vero? Ebbene, ecco quanto a questo proposito Giacomo Carito commenta nel suo saggio

“Il castello nelle fonti manoscritte e a stampa per i secoli XIII-XV” in “Il castello, la marina, la città: mostra

documentaria” Editore Mario Congedo, Galatina 1998, pp. 30-44:

«Pare da escludersi, per il periodo angioino, l’esistenza di un secondo castello in Brindisi proposta dall’Ascoli e dal Vacca. In realtà i documenti citati dai due studiosi sembrano riferirsi ad interventi sul castello grande di Brindisi [lo Svevo]. La supposta titolatura angioina di Santa Maria de Monte si deve a ‘palese fraintendimento’

del senso di una regia disposizione del 1273. In quell’anno Carlo I D’Angiò scrive ai castellani dei castelli di Brindisi e Santa Maria de Monte, invitandoli a favorire Roberto de Santoyn, procuratore di Gueredus De Gualtiero, nell’accertamento dell’ammontare dei capitali investiti dal suo assistito e nella riscossione dei relativi interessi. Qui per Santa Maria de Monte deve chiaramente intendersi, facendo riferimento ai valori di contesto, Castel del Monte e non un qualche castello prossimo alla chiesa di Santa Maria del Monte in Brindisi.»

Chiesa questa – sita sull’attuale via De’ Flagilla che in salita giunge sullo slargo, l’antico “Belvedere”, che fa da raccordo con via Mattonelle – la cui esistenza è già documentata sia nel 1224 che nel 1231 e che, pur se in versione fisicamente alquanto ridotta, esiste tuttora come rimasta ristrutturata dopo essere stata colpita dai bombardamenti aerei del 1941. «Essa benché in quei tempi angioini fosse stata magnifica, per le rovine non di meno patite nella città si è ridotta in piccola forma, comoda però per celebrarci il santo sacrificio della Messa»

[in “Memoria historica dell’antichissima e fedelissima città di Brindisi” di Andrea Della Monaca, Lecce 1674].

Un vero peccato però che quel “castello angioino di Brindisi” non sia mai esistito e sia solo riconducibile al frutto di una “storica cantonata” di due, comunque bravi e rispettabili, studiosi della storia di Brindisi, indotti fuori strada da un equivoco finalmente, anche se dopo ben più di cent’anni, identificato e del tutto chiarito.

Peccato, perché se di un equivoco non si fosse trattato ed invece il castello fosse realmente esistito, quasi certamente non sarebbe andato distrutto e farebbe oggi bella mostra di se come la fanno gli altri castelli angioini di Puglia, quello di Lucera in primis e poi quelli a noi più vicini, di Manfredonia, Mola di Bari, Castro, Gallipoli, Copertino, Maglie e altri ancora.

Per il resto poi, anche se l’immaginazione pura non dovrebbe proprio essere una caratteristica molto spiccata

negli storici, bisogna riconoscere che tra i comuni mortali la capacità d’immaginare anche quello che non esiste

o che non è mai esistito, è ciò che sta alla base di molte delle realizzazioni umane. E così, grazie alla bravura e

alla disponibilità di Eugenio Corsa, entusiasta e poliedrico artista brindisino, di quell’immaginario castello

angioino riusciamo finanche a disporre di un disegno, bello ed interessante, che ci illustra artisticamente come

sarebbe apparso contestualizzato nella Brindisi del quattordicesimo secolo.

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il7

MAGAZINE 36 29 gennaio 2021

P

rendere una cantonata, nel passato significava letteralmente colpire con una ruota del carro uno dei cantoni, angoli di pietra presenti a delimitare un incrocio o un cambio netto del percorso. Oggi, invece, considerato che di carri e cantoni non se ne usano più tanti, quel dire ri- conduce all’idea di un’errata valutazione che porta a sbattere. Un qualcosa quindi, di meno netto di un banale errore e che, inoltre, presup- pone l’involontarietà di chi quella cantonata la prende, cioè di chi quell’errore commette, ma- gari a causa di un semplice equivoco o di un

“palese fraintendimento”.

E dato che la storia non è certo una materia im- mune a tali umane contingenze, succede che oltre ai falsi e ai rimaneggiamenti, non sia ne- anche tanto raro imbattersi in qualche canto- nata, magari ripresa e reiterata da più di un accreditato autore. È questo il caso, credo, di quanto relativo al “castello angioino di Brin- disi”.

Nella “Storia di Brindisi scritta da un marino”

di Ferrando Ascoli pubblicata nel 1886, alla pa- gina 106 e seguenti si riporta quella che è la de- scrizione dettagliata della struttura d’insieme del castello angioino di Brindisi con integrato il palazzo reale. Descrizione di fatto deducibile dalle disposizioni date nel 1277 da re Carlo I

CULTURE

L’immaginario

castello Angioino a Brindisi:

una « storica » cantonata

due noti studiosi di storia brindisina ne ipotizzarono l’esistenza nella zona della chiesa del Monte: un errore

frutto probabilmente di un equivoco

di Gianfranco Perri

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D’Angiò [il nuovo sovrano francese che aveva definiti- vamente sottratto agli Svevi della casa Hohenstaufen il Regno di Sicilia] al giusti- ziere della Terra d’Otranto in relazione ai lavori che in quel castello e palazzo reale annesso, dovevano essere ancora completati. Indica- zioni tutte molto particola- reggiate e che poco dopo, il 5 settembre dello stesso anno, furono integrate da altre relative specificamente al fossato in costruzione. Il tutto chiaramente documen- tato e conservato nei Registri Angioini conservati nell’Ar- chivio di Stato di Napoli.

Scrive Ascoli: «Oltre il ca- stello, dov'è oggigiorno il bagno penale di Brindisi, co- nosciuto sotto il nome di castello di terra [quello Svevo], un altro castello era dalla parte opposta, nelle vicinanze dell'attuale ufficio di porto… Quest'altro ca- stello doveva essere assai importante, a giudicarne dai lavori che il re, l'8 maggio del 1277, stando personal- mente a Brindisi, stabiliva vi si dovessero eseguire dai costruttori brindisini Ruggero De Ripa e Nicolò di Ugento. Ed eccoli per disteso tutti quei lavori: …»

Dal contenuto di quelle disposizioni si può dedurre che il castello era costituito da ben sei torri rotonde merlate:

una dal lato del mare, che gira 17 canne dalla parte esterna e 9 canne e mezza dalla parte interna, con il pa- rapetto dei merli alto 5 palmi e grosso 2 palmi, con i merli alti 10 palmi e larghi una canna e con distanza tra merlo e merlo di 5 palmi, e con anche l’astrico; una seconda di uguali dimensioni e caratteristiche dal lato dell’adiacente Arsenale, che era sull’area oggi occupata dalla stazione ferroviaria del porto; una terza presso la porta, che gira canne 17 e palmi 5 e mezzo dalla parte esterna e 8 canne e palmi 2 e mezzo da quella interna, con parapetto e merli uguali a quelli delle prime due torri; una quarta, più grande su uno degli angoli delle mura di cinta, che gira 24 canne esternamente e 12 canne e mezzo internamente; e le altre due torri, di ca- ratteristiche architettoniche simili alle anteriori, dispo- ste sul lato orientale. Tutte e sei le torri erano collegate da mura con parapetti merlati e con meniani, ognuno dei quali aveva decine di saettiere.

D’accordo con Ascoli, inoltre, il castello era in parte protetto da un ampio fossato che andava dalla torre del- l’Arsenale alla fontana Asiana o Patricia: era largo 5 canne e profondo 3 canne e mezza, era discosto 2 canne dalle mura delle torri ed era lungo 81 canne dal lato in- terno e 93 canne dal lato esterno. In quanto al palazzo reale, contiguo e di fatto integrato al castello, non sono deducibili dettagli circa le sue caratteristiche strutturali ed architettoniche. Nella citata comunicazione costrut- tiva, infatti, in relazione al palazzo solo si menziona la necessità di “presto completarvi tutte le porte e finestre, nonché gli altri lavori da maestro d’ascia”.

Aggiunge Ascoli: «Questo castello era di molto giova- mento a Carlo I: vi faceva alloggiare milizie, deporre armi e vettovaglie che abbisognavano per gli eserciti d’Oriente, vi teneva custoditi prigionieri, eccetera. Dal 7 aprile al 1° novembre del 1274 vi fu prigione Gui- dotto De Valencourt. Il re il 6 febbraio, dello stesso anno, ordina a Calcherio di Tolone di consegnare al ca- stellano di Brindisi le armi e li arnesi da guerra che avevano servito all'armata di Acaja… Il 1º di dicembre, avendo ratificato la pace con gli Rappresentazione del

luogo in cui sarebbe sorto l’ipotetico ca- stello angioino Mappa di Brindisi dise- gnata da P. Camassa e B. D’Ippolito - Editata nel 1910, Sotto, l’immaginario castello angioino di Brindisi – Rappresentazione di Eugenio Corsa – 2021

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MAGAZINE 38 29 gennaio 2021 simo, per potere forse più facilmente mandare in

patria i prigionieri, al giustiziere di Basilicata che li mandi a quello di Bari sotto custodia, e che questi li consegni al castellano del castello di Brindisi, dove debbono essere rinchiusi…

A Brindisi, e probabilmente nel castello, nel mag- gio del 1277, v'erano fanti e cavalieri comandati dal milite Eustasio d'Ardicourt, e balestrieri a piedi e a cavallo col maestro dei balestrieri En- rico De Monti pronti a partire per l'Acaja.»

Nella “Brindisi ignorata” di Nicola Vacca pub- blicata nel 1954, alla pagina 155 e seguenti, si ri- prende e si integra lo stesso tema: «Sulla collina di Santa Maria del Monte Carlo I D'Angiò nel 1268 fondò il regio palazzo e il castello. Per di- stinguerlo dal vecchio castello di Brindisi, si chiamava castello di Santa Maria del Monte…»

Segue la descrizione del castello e poi, Vacca ag- giunge: «Con molta probabilità architetto del ca- stello e del palazzo reale fu il famoso Pietro D'Angicourt che, essendo protomastro di corte, aveva ricostruito il castello di Lucera e assai ve- rosimilmente fu l'architetto di Castelnuovo di Napoli [dove Carlo I D’Angiò aveva trasferito la capitale del regno, divenuto Regno di Napoli] in- fatti, come risulta dai Registri Angioini il re or- dina di proseguire celermente il completamento dei lavori del castello di Brindisi seguendo rigo- rosamente i disegni del maestro Pierre D’Angi- court…

Probabilmente una delle 6 torri era il poi deno- minato “Torrione del sangue” rappresentato già diruto e identificato con il numero 12 nella mappa di Blaeu del 1650, che però lo denomina

“Belvedere”. Stessa denominazione “Belvedere”

che è ancora presente nella pianta di Brindisi – disegnata da P. Camassa e B. D’Ippolito edita da V. Masciullo in Lecce nel 1910 – riportata quasi a ridosso e a sud della chiesa di Santa Maria del Monte… Non sappiamo con precisione quando, castello e palazzo, furono demoliti…

È facilmente intuibile che il castello di Santa Maria del Monte dovette essere disarmato e de- molito dopo la costruzione del castello dell'Isola [l’Alfonsino] edificato, com'è noto, dagli Arago- nesi dopo l'evacuazione di Otranto da parte dei Turchi nel 1481, giacché il nuovo castello difen- deva più razionalmente del primo il porto e la città dalla parte del mare.»

Disarmato e demolito? Un castello così impo- nente? E senza, di fatto, lasciare traccia materiale alcuna di sé? Senza che nessun altro – durante i 500 anni anteriori al libro di Ascoli – ne abbia mai più parlato esplicitamente? Un po’ troppo strano vero? Ebbene, ecco quanto a questo pro- posito Giacomo Carito commenta nel suo saggio

“Il castello nelle fonti manoscritte e a stampa per i secoli XIII-XV” in “Il castello, la marina, la città: mostra documentaria” Editore Mario Con- gedo, Galatina 1998, pp. 30-44:

«Pare da escludersi, per il periodo angioino, l’esi- stenza di un secondo castello in Brindisi proposta dall’Ascoli e dal Vacca. In realtà i documenti ci- tati dai due studiosi sembrano riferirsi ad inter- venti sul castello grande di Brindisi [lo Svevo].

La supposta titolatura angioina di Santa Maria de Monte si deve a ‘palese fraintendimento’ del senso di una regia disposizione del 1273. In quel- l’anno Carlo I D’Angiò scrive ai castellani dei castelli di Brindisi e Santa Maria de Monte, in- vitandoli a favorire Roberto de Santoyn, procu- ratore di Gueredus De Gualtiero, nell’accertamento dell’ammontare dei capitali in- vestiti dal suo assistito e nella riscossione dei re- lativi interessi. Qui per Santa Maria de Monte deve chiaramente intendersi, facendo riferimento ai valori di contesto, Castel del Monte e non un qualche castello prossimo alla chiesa di Santa Maria del Monte in Brindisi.»

Chiesa questa – sita sull’attuale via De’ Flagilla che in salita giunge sullo slargo, l’antico “Belve- dere”, che fa da raccordo con via Mattonelle – la

cui esistenza è già documentata sia nel 1224 che nel 1231 e che, pur se in versione fisicamente al- quanto ridotta, esiste tuttora come rimasta ristrut- turata dopo essere stata colpita dai bombardamenti aerei del 1941.

«Essa benché in quei tempi angioini fosse stata magnifica, per le rovine non di meno patite nella città si è ridotta in piccola forma, comoda però per celebrarci il santo sacrificio della Messa» [in

“Memoria historica dell’antichissima e fedelis- sima città di Brindisi” di Andrea Della Monaca, Lecce 1674].

Un vero peccato però che quel “castello angioino di Brindisi” non sia mai esistito e sia solo ricon- ducibile al frutto di una “storica cantonata” di due, comunque bravi e rispettabili, studiosi della storia di Brindisi, indotti fuori strada da un equi- voco finalmente, anche se dopo ben più di cen- t’anni, identificato e del tutto chiarito. Peccato, perché se di un equivoco non si fosse trattato ed invece il castello fosse realmente esistito, quasi certamente non sarebbe andato distrutto e farebbe oggi bella mostra di se come la fanno gli altri ca- stelli angioini di Puglia, quello di Lucera in pri- mis e poi quelli a noi più vicini, di Manfredonia, Mola di Bari, Castro, Gallipoli, Copertino, Ma- glie e altri ancora.

Per il resto poi, anche se l’immaginazione pura non dovrebbe proprio essere una caratteristica molto spiccata negli storici, bisogna riconoscere che tra i comuni mortali la capacità d’immagi- nare anche quello che non esiste o che non è mai esistito, è ciò che sta alla base di molte delle rea- lizzazioni umane. E così, grazie alla bravura e alla disponibilità di Eugenio Corsa, entusiasta e poliedrico artista brindisino, di quell’immagina- rio castello angioino riusciamo finanche a di- sporre di un disegno, bello ed interessante, che ci illustra artisticamente come sarebbe apparso con- testualizzato nella Brindisi del quattordicesimo secolo.

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