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Indagine sierologica sulla diffusione di Leptospira spp. in suini allevati nel centro-nord Italia.

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Academic year: 2021

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INDICE

Riassunto 3 Introduzione 4 1. LEPTOSPIRA 6 1.1 Cenni Storici 6 1.2 Classificazione 7 1.2.1 Classificazione sierologica 7 1.2.2 Classificazione genetica 9 1.3 Eziologia 11 1.4 Epidemiologia 14

1.4.1 Resistenza negli animali 15

1.4.2 Riferimenti epidemiologici internazionali, europei e nazionali

17

1.5 Patogenesi 21

1.6 La Leptospirosi 24

1.6.1 La malattia nelle diverse specie animali

25

1.6.2 Zoonosi di importanza globale 28

1.7 Diagnosi di laboratorio 32 1.7.1 Coltivazione in laboratorio 33 1.7.2 Esame sierologico 35 2. LA LEPTOSPIROSI SUINA 38 2.1 Serovar Pomona 41 2.2 Serovar Tarassovi 42 2.3 Serovar Bratislava 42

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3. LA LEPTOSPIROSI NEGLI ALLEVAMENTI SUINI 44 3.1 Quadro epidemiologico 44 3.1.1 Situazione mondiale 44 3.1.2 Situazione europea 46 3.1.3 Situazione nazionale 48

3.2 Profilassi vaccinale e antibiotica 50

3.3 Terapia 52

4. SCOPO DELLA TESI 54

5. MATERIALI E METODI 55

5.1 Ceppi di leptospira impiegati nelle prove sperimentali

55

5.2 Sieri impiegati nelle prove 56

5.3 MAT TEST 58 6. RISULTATI 62 7. DISCUSSIONI 77 8. CONCLUSIONI 83 Bibliografia 85 Sitografia 93

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RIASSUNTO

Titolo della Tesi: Indagine sierologica sulla diffusione di Leptospira spp. in suini allevati nel Centro-Nord Italia. Introduzione: La leptospirosi è una malattia che può essere considerata il prototipo delle zoonosi, con serbatoi nelle

popolazioni animali ed il coinvolgimento dell'uomo in particolari circostanze. Si tratta di una malattia diffusa in tutto il mondo, in aree urbane come in aree rurali, in aree sviluppate come in aree in via di sviluppo, con l'unica eccezione delle regioni polari. Il suino riveste un ruolo chiave nell’epidemiologia di questa malattia in quanto è l’ospite serbatoio di alcune sierovarianti (Pomona, Tarassovi). In Italia, cosi come in Europa, sono diverse le segnalazioni di tale malattia nell’uomo, e in particolare in persone che lavorano, a vari livelli, a contatto con i suini.

Scopo della Tesi: Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare attraverso un'indagine sierologica la diffusione

di Leptospira in allevamenti suini del Centro-Nord Italia, la distribuzione delle principali sierovarianti tipicamente associate al suino e l'eventuale differenza fra aree geografiche diverse (Regioni e Province).

Materiali e Metodi: Nelle prove sono stati impiegati sieri suini prelevati al macello al momento della iugulazione.

Ogni siero è stato testato per quattro sierovarianti (Canicola, Pomona, Bratislava, Tarassovi), attraverso la tecnica del MAT TEST, ovvero della microagglutinazione in campo oscuro.

Risultati e Discussione: Le serovars maggiormente riscontrate risultano essere Pomona e Bratislava. I titoli

anticorpali più elevati sono stati riscontrati per la sierovariante Bratislava (fino a 1:3200) e per sierovariante Pomona (1:1600).

È stato possibile evidenziare come la Toscana sembri essere la regione maggiormente interessata e con un'ampia ed uniforme diffusione sul territorio; mentre in altre regioni prese in considerazione, la malattia sembra localizzata in zone circoscritte. Dai risultati ottenuti è possibile affermare che tale patogeno è ancora largamente diffuso nell'allevamento suinicolo almeno per quanto riguarda il territorio da noi preso in considerazione. Da questo studio si può, quindi, dedurre l'importanza di continuare con assidui programmi di controllo e monitoraggio.

ABSTRACT

Thesis title: Serological survey on the prevalence of Leptospira spp. in pigs raised in Central and Northern Italy. Introduction: Leptospirosis is a disease that can be considered a typical zoonoses, with reservoir in animal

populations and the involvement of man in particular conditions. This disease is present throughout the world, in urban areas as in rural areas, in developed areas as in developing areas, with the only exception of the polar regions. The pig plays a key role in the epidemiology of leptospirosis because it is the reservoir host of some serovars (Pomona, Tarassovi). In Italy, as well as in Europe, there are several reports of this disease in humans, and in particular in people who work, at various levels, in contact with the pigs.

Aim: The aim of this study was to evaluate, through serological survey, the prevalence of Leptospira in pig

livestock of Central and Northern Italy, the prevalence of main serovars, typically associated to pig and the difference between different geographic areas.

Materials and Methods: Suine serums has been collected at slaughterhouse and used for tests. Each serum has

been tested with MAT TEST for Leptospira spp.; the four serovars more often diffused in pigs were used as antigens in serological tests (Canicola, Pomona, Bratislava, Tarassovi).

Results and Discussion: The most frequently observed serovars are Pomona and Bratislava. The highest antibody

titers were observed for the serovars Bratislava (up to 1:3200) and for serovars Pomona (1:1600). It was possible to highlight how the Tuscany seems to be the most affected region, with a wide and uniform distribution on the territory; while in the other regions considered, the disease seems localized in some areas. By the results obtained, it can be said that Leptospira is still circulating in swine livestock of the geographical area examined. Our results highlight the importance surveillance and monitoring programs in the control of leptospirosis.

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Introduzione

La leptospirosi è una malattia descritta per la prima volta a cavallo fra il 1800 e il 1900 e può essere considerata il prototipo delle zoonosi, con serbatoi nelle popolazioni animali ed il coinvolgimento dell'uomo in particolari circostanze.

Si tratta di una malattia diffusa in tutto il mondo, in aree urbane come in aree rurali, in aree sviluppate come in aree in via di sviluppo, con l'unica eccezione delle regioni polari. Diversi sono gli animali che rivestono il ruolo di serbatoio per differenti sierovarianti di questo batterio. L'uomo si può infettare attraverso il contatto diretto con l'urina di animali infetti o per contatto con ambienti contaminati. Attualmente, in particolar modo nei Paesi sviluppati, la leptospirosi rappresenta un rischio occupazionale per alcune categorie di lavoratori quali addetti delle piantagioni di riso, dei campi di canna da zucchero, per i contadini, i cacciatori, i boscaioli, gli addetti ai servizi fognari, i minatori, i veterinari, gli allevatori, gli addetti alla produzione di latte e latticini, i lavoratori dei macelli e gli addetti alla lavorazione del pesce oltre che nei militari. La leptospirosi rappresenta tuttavia un rischio anche per chiunque possa entrare in contatto, di routine o solo occasionalmente, con acque stagnanti di fiume, canale, lago, acquitrini in generale, potenzialmente contaminati da urine di animali domestici o selvatici.

Il suino riveste un ruolo chiave nell’epidemiologia di questa malattia in quanto è l’ospite serbatoio di alcune sierovarianti (Pomona, Tarassovi, Bratislava). Una delle filiere maggiormente a rischio è infatti quella suina, proprio per l'elevata diffusione delle leptospire in questa specie animale. Dati epidemiologici dimostrano un'elevata sieropositività negli allevamenti ed il frequente riscontro di nefrite in suini normalmente macellati. Il rischio di contrarre la malattia è molto elevato per gli addetti agli impianti di macellazione nelle varie fasi di lavorazione: stalle di sosta, eviscerazione, asportazione dei reni e manipolazione dei visceri nelle tripperie.

In Italia, cosi come in Europa, sono diverse le segnalazioni di tale malattia nell’uomo, e in particolare in persone che lavorano, a vari livelli, a contatto con i suini. In questi animali infatti l’infezione è ancora abbastanza diffusa e sarebbero necessari idonei interventi di profilassi. Misure preventive da adottare negli allevamenti consistono in

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periodiche visite veterinarie, isolamento degli animali con sintomi sospetti (aborti, emorragie, disturbi dell'apparato urinario), vaccinazione e chemio-profilassi negli allevamenti a rischio. Altra misura molto importante che deve essere adottata è la lotta ai roditori e agli animali selvatici.

Alla base di tali interventi si rende ovviamente necessario prevedere costanti e adeguati piani di monitoraggio e sorveglianza epidemiologica, da svolgere a più livelli della filiera produttiva e quindi non solo in allevamento, ma anche al macello, con piani di sorveglianza passiva ed attiva.

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1. LEPTOSPIRA

1.1

Cenni storici

La leptospirosi è una zoonosi universale sostenuta da batteri dell'ordine Spirochaetales, famiglia Leptospiraceae, genere Leptospira. Ha un'elevata incidenza nelle regioni tropicali ed è stata identificata come una delle malattie infettive più ri-emergenti.

Era conosciuta in Cina già da tempi molto antichi come malattia professionale dei coltivatori di riso tanto che i giapponesi le attribuirono il nome “akiyami”, o febbre d'autunno, appellativo che persiste tutt'oggi nella medicina moderna. (Levett, 2001). I Giapponesi le attribuirono anche il nome “nanukayami,” febbre dei sette giorni; più tardi in Europa fu conosciuta anche come febbre delle risaie, malattia dei porcai, tifo biliare, ittero emorragico eccetera. (Matassa, 2007).

Si crede che essa sia stata introdotta in Europa nel XVIII secolo con l'invasione dei ratti provenienti dall'Asia per diffusione verso ovest del Rattus norvegicus dall'Eurasia.

La prima descrizione di febbre gialla, nel nostro continente, fu effettuata nel 1812 dal Barone Dominique Jean Larrey, chirurgo dell'esercito napoleonico. Il primo quadro clinico della forma itterica fu descritto da Adolf Weil nel 1887; dopo aver osservato la grave forma itteroemorragica in quattro pazienti nel 1886, prese infatti poi il nome di malattia di Weil (caratterizzata da itterizia, febbre, emorragie e coinvolgimento renale) (Levett, 2001).

L'agente eziologico fu isolato per la prima volta nel 1915 sia in Germania che in Giappone.

In Giappone, Ryukichi Inada e Yutaka Ido isolarono le leptospire dal tessuto renale di minatori giapponesi, riscontrando anche la presenza di anticorpi specifici nel sangue.

I tedeschi Uhlenhulth e Fromme. E Hubener e Reiter studiarono soldati afflitti nelle trincee del nord-est della Francia della prima guerra mondiale ed

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individuarono spirochete nel sangue di cavie (porcellini d'india) inoculate con il sangue dei soldati infetti.

Nel 1907 Stimson dimostrò la presenza di “ciuffi di spirochete” nei tubuli renali di un paziente che si diceva morto di febbre gialla. Le spirochete avevano estremità uncinate e Stimson le ribattezzò spirocheta interrogans a causa della loro somiglianza con un punto di domanda. Purtroppo, questa osservazione fu trascurata per molti anni.

Il ruolo del ratto come fonte di infezione umana venne scoperto nel 1917. Sempre nel 1917 venne anche registrato il primo caso di leptospirosi umana in Italia. (Fenga et al., 2000).

La leptospirosi nel bestiame, invece, fu menzionata solo alcuni anni dopo (Levett, 2001).

1.2

Classificazione

Nel 1989 il genere Leptospira è stato diviso in due specie: interrogans, che annovera tutte le leptospire patogene, e biflexa, che comprende le leptospire saprofite, dette anche “acquicole”.

Diverse indagini condotte negli ultimi 30 anni hanno permesso di classificare le leptospire secondo determinanti antigenici. In Leptospira interrogans sono stati riconosciuti circa 250 serovars comprese in 25 sierogruppi (Farina, 2002; Evangelista e Coburn, 2010).

Più recentemente si è affiancata anche una classificazione di tipo molecolare che ha suddiviso il genere Leptospira in diverse geno-specie sulla base di omologie nel DNA. (Adler e de la Pena Moctezuma, 2010). Questa classificazione rimane indipendente dalla prima e, benchè fornisca informazioni utili dal punto di vista tassonomico, tutt'oggi si preferisce utilizzare per studi epidemiologici e per diagnostica di routine la classificazione su base antigenica. (Levett, 2001).

1.2.1 Classificazione sierologica

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specie: Leptospira interrogans, che comprende tutti i ceppi patogeni e Leptospira biflexa che comprende i ceppi saprofiti.

Mediante test di mircoagglutinazione e di adsorbimento crociato delle agglutinine si possono distinguere diverse seriovarianti o serovars, caratterizzate ciascuna da un antigene principale oppure da un insieme di epitopi non presenti in altri ceppi di leptospire. Le sierovarianti vengono, a loro volta, raggruppate in sierogruppi che hanno antigeni immunodominanti in comune. Secondo la classificazione su base antigenica si distinguono circa 250 serovars nella specie patogena Leptospira interrogans distribuite in 23 sierogruppi e circa 60 sierovarianti nella specie saprofita Letospira biflexa (Adler e de la Pena Moctezuma, 2010; Vijayachari et al., 2008).

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1.2.2 Classificazione genetica

La classificazione su base genetica è indipendente da quella su base antigenica, sicchè leptospire appartenenti allo stesso sierogruppo e sierovariante possono essere attribuite a genospecie differenti, così come sierovarianti patogene e sierovarianti non patogene possono ritrovarsi nella stessa genospecie. Questa parziale sovrapposizione genera spesso confusioneSorge, quindi, a volte confusione. (Levett., 2003).

La classificazione su base genetica, di certo più recente, descrive tramite metodologie di biologia molecolare 12 specie patogene e 4 specie saprofite (Adler e de la Pena Moctezuma, 2010). Secondo questa classificazione, vengono definiti come appartenenti alla stessa specie ceppi diversi di Leptospira se presentano un'omologia nel DNA maggiore del 70% e divergenze nelle sequenze omologhe uguali o inferiori al 5% (Bharti et al., 2003). Gli studi biomolecolari hanno permesso di approfondire le conoscenze riguardo al genere Leptospira, specialmente a livello di patogenesi, tuttavia si continua a preferire la classificazione sierologica in quanto più utile negli studi epidemiologici (Levett, 2003) Secondo questa classificazione vengono suddivise talvolta in genospecie, talvolta in genomospecie, vengono identificate con un numero progressivo, in attesa di una nomenclatura di specie definitiva che progressivamente viene attribuita dai comitati scientifici.

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Tabella 3: Genomospecie associate ai sierogruppi (Levett, 2001).

1.3

Eziologia

Il nome “Leptospira” deriva dal greco leptos (sottile) e dal latino spira (spiralato) (Goldstein SF, Charon NW, 1988).

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nell'ambito del quale sono classificate due famiglie: quella delle Leptospiraceae, con il genere Leptospira, e quella delle Spirochetaceae.

Sono esili microrganismi provvisti di sottile e delicata spiralatura, a estremità ripiegate a guisa di uncino in maniera caratteristica.

Il diametro è compreso tra 60 e 120 nanometri stabilito per la prima volta con l'utilizzo del microscopio elettronico. La lunghezza oscilla fra 3 – 12 micron, ma si possono a volte riscontrare in vecchie colture forme lunghe fino a 30 – 40 micron. Le osservazioni al microscopio elettronico hanno permesso di chiarirne la struttura interna (Farina, 2002). La leptospira possiede un rivestimento simile alla parete cellulare dei Gram - negativi, con una membrana esterna, uno strato di peptidoglicano e una membrana interna o citoplasmatica. Lo strato di peptidoglicano è associato alla membrana citoplasmatica piuttosto che a quella esterna, arrangiamento che è esclusivo delle spirochete. La membrana esterna delle leptospire è composta da tre strati di differente densità. Il terzo strato, il più esterno, esibisce un diverso spessore che caratterizza le specie patogene da quelle saprofite, contiene i lipopolisaccaridi e proteine strutturali. Gran parte di tali proteine sono lipoproteine relativamente abbondanti sulla superficie delle cellule: LipL32>LipL21>LipL41. Inoltre la porina è un'ulteriore proteina di membrana che ha dimostrato avere funzione antigenica (Adler B., 2014).

Al di sotto di queste strutture si trova uno strato di peptidoglicano ed una membrana citoplasmatica molto esile che avvolge un cilindro protoplasmatico, contenente citoplasma ed acido nucleico. Attorno al cilindro protoplasmatico si avvolge un endoflagello, detto anche “filamento assiale”, che si inserisce con le due estremità a ciascuno dei due poli del cilindro protoplasmatico. Questo flagello, pur non esteriorizzandosi, determina i vivaci movimenti ben visibili in preparati a fresco in campo oscuro di cui le leptospire sono dotate. Tali movimenti sono di tre tipi: traslazione, rotazione, flessione. I primi, più lenti, si accompagnano ai secondi molto veloci, dai quali paiono anzi essere provocati. La traslazione avviene in direzione rettilinea e indifferentemente nei due sensi, con inversione talvolta brusca dello spostamento. La moltiplicazione si compie per scissione binaria (Farina, 2002). Tuttavia, a seguito di condizioni particolari, quali la carenza di

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sostanze nutritive, le leptospire diventano incapaci di dividersi e formano perciò lunghe catene.

A causa delle loro esigue dimensioni, le leptospire non sono apprezzabili al normale microscopio ottico e si rende necessario l'impiego del microscopio in campo oscuro oppure l'applicazione di colorazioni particolari, quali Giemsa o impregnazione argentica, che ne ispessiscono la parete. L'impiego della microscopia elettronica ha permesso di apprezzare l'ultrastruttura e le caratteristiche morfologiche più dettagliate, quali la tipica spiralatura destrogira con passo costante di 0,5 micron e la ripiegatura ad uncino delle estremità. Grazie alle immagini ottenute con la microscopia elettronica è stata apprezzata la presenza di bande elettrodense sulla membrana esterna in numero variabile da 3 a 5 a seconda delle diverse tecniche di fissaggio impiegate, costituite da proteine, lipidi e lipopolisaccaridi che, protundendo sulla superficie esterna, andrebbero a costituire le principali molecole ad azione antigenica (Faine, 1994).

Le leptospire sono microaerofile, ma sviluppano bene anche in condizioni di completa aerobiosi. Nonostante crescano abitualmente a 37° C, la temperatura ottimale è compresa tra 28° C e 30° C. Notevole importanza ha la reazione del terreno, essendo particolarmente sensibili soprattutto agli spostamenti verso l'acidità: il pH ottimale varia fra 7,2 e 7,4 (Farina, 2002).

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Figura 1: Micrografia elettronica di Leptospira interrogans serovar icterohaemorrhagiae (Levett,

2001).

1.4 Epidemiologia

La leptospirosi è una zoonosi globale. Le leptospire sono diffuse in tutto il mondo, in particolare nelle regioni temperate o tropicali. La distribuzione geografica e la diffusione del microrganismo sono influenzate da vari fattori: instabilità ecologica delle popolazioni selvatiche, cambiamenti ambientali o disastri naturali e cicli stagionali (Matassa, 2007). La leptospirosi si presume essere la zoonosi più diffusa e rappresenta un tipico esempio i cui agenti causali, dotati di scarsissima resistenza nell'ambiente esterno e incapaci di moltiplicarvisi, affidano la loro responsabilità di sopravvivenza ad animali vertebrati, domestici e selvatici, compreso l'uomo, che ne divengono più o meno durevoli serbatoi e come tali provvedono alla conservazione della specie ed alla perpetuazione del contagio. I selvatici occupano una posizione di preminenza quali indispensabili anelli della lunga catena epidemiologica dell'infezione. I roditori, soprattutto i muridi, rimangono i portatori più diffusi e pericolosi (Farina, 2002).

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Nei Paesi in via di sviluppo, la leptospirosi è considerata una malattia diffusa prevalentemente in ambienti rurali. In realtà, nicchie ecologiche favorevoli al diffondersi del batterio sono spesso presenti in aree urbane periferiche o quartieri degradati delle metropoli, caratterizzati da condizioni igieniche scadenti, fogne malsane o a cielo aperto, dove il rischio di contatto con urine di topo infetto è molto elevato. (Matassa, 2007). 1.4.1 Resistenza nell'ambiente e negli animali

Le leptospire in ambiente esterno hanno scarsa resistenza. Non rimangono vitali molto a lungo, essendo indispensabili alla loro sopravvivenza speciali condizioni di umidità, di temperatura, di composizione minerale del terreno. Si presentano sensibili alla luce solare ed ai raggi UV che possono inattivarle in poche ore. Sono inoltre sensibili alle variazioni di pH ed a quelle di temperatura. L'esposizione alla luce solare, la disidratazione e la putrefazione ne causano rapidamente la morte, così come l'acqua salmastra, che può neutralizzarle in pochissimo tempo, non tollerando concentrazioni di NaCl superiori al 2,5%. Vengono distrutte in breve tempo dal succo gastrico e dalla bile. La loro resistenza è notevolmente scarsa nelle urine,specialmente se acide. La loro sopravvivenza, tuttavia, aumenta considerevolmente (fino a 3-6 settimane) se le urine vengono a diluirsi in raccolte di acqua piovana o se sono emesse in terreno imbevuto di pioggia. I più comuni disinfettanti, soprattutto se contenenti cloro e tensioattivi cationici, anche a basse concentrazioni (1ppm) sono in grado di inattivarle in soli 3 minuti. Alcuni tensioattivi cationici hanno un elevato potere antimicrobico che deriva dalla possibilità di fissarsi, grazie alla loro carica positiva, alle membrane delle cellule batteriche, determinandone la rottura. A temperature basse i tempi di sopravvivenza si allungano notevolmente; nello sperma di toro o di verro ad esempio esse mantengono il loro potere patogeno per almeno 3 mesi a temperature comprese fra 3°C e -23°C e per almeno 3 anni a -196°C (Faine, 1999; Farina, 2002).

L'estrema sottigliezza del microrganismo e la vivace motilità che lo caratterizzano permettono allo stesso di penetrare agevolmente nell'organismo dell'ospite attraverso abrasioni o soluzioni di continuità della pelle o della congiuntiva, dalle labbra, dalle narici, dalla parte distale degli arti (Farina, 2002).

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gli esseri umani è stata dimostrata solo occasionalmente (Levett, 2001).

Sia negli animali domestici che nei selvatici lo stato di portatore è conseguenza di una localizzazione renale delle leptospire e, più esattamente, a livello delle strutture tubulari. L'infezione di solito è acquisita in giovane età e la prevalenza di un'escrezione cronica nelle urine aumenta con l'età dell'animale.

E' certa l'esistenza di una fase di leptospiremia, sia pur transitoria, nella quale le leptospire sono reperibili in ambito renale e più precisamente nel connettivo intertubulare. Migreranno poi alla loro sede definitiva: le strutture tubulari del nefrone inferiore. La loro escrezione con le urine, anche se rappresenta un evento costante, non avviene in ogni caso con uguale persistenza, continuità ed intensità. Per dare un'idea di rilevanza in termini epidemiologici è sufficiente affermare che nell'urina di alcuni portatori, soprattutto muridi, sono costantemente reperibili fino a 106 – 107 leptospire/ml e che nell'urina di bovino e di suino possono essere presenti sino a 2x108 leptospire/ml (sierovariante pomona) (Farina, 2002).

L'abbondante e persistente eliminazione di L. interrogans con le urine da parte di serbatoi naturali rappresenta quindi il caposaldo epidemiologico delle leptospirosi in generale. Per quanto riguarda gli animali domestici vi è stata peraltro l'importante scoperta di una localizzazione delle leptospire nell'apparato genitale maschile e femminile: testicoli, epididimo, vescicole seminali, prostata, ghiandole bulbouretrali di tori e verri; utero e vagina di bovine e scrofe. Poiché la presenza delle leptospire nell'apparato genitale femminile può protrarsi a lungo (da 83 a 147 giorni), la trasmissione venerea del contagio viene agevolata e ciò può costituire ulteriore motivo di rischio per l'uomo. Sulla base di ricerche sperimentali e di osservazioni in campo pratico, si deve ammettere la possibilità di trasmissione della infezione a mezzo di artropodi ematofagi tra i quali, in particolare, le zecche (Farina, 2002).

Sulla base di ricerche sperimentali si deve ammettere la possibilità di trasmissione della leptospirosi attraverso gli artropodi ematofagi, in particolare le zecche. Dopo l'assunzione con il sangue, le leptospire passerebbero nell'emocele della zecca attraverso la parete intestinale; dopo un'intensa moltiplicazione, le leptospire migrerebbero verso le ghiandole salivari, il liquido coxale, gli organi genitali e le zecche sembrerebbero rimanere portatrici fino a 518 giorni e infettanti fino a 232 (Farina, 2002). La maggior

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parte dei casi di leptospirosi è imputabile all'ingestione di acqua o alimenti contaminati. La porta di ingresso più comune è l'apparato digerente, limitatamente al cavo orofaringeo, anche se non si deve escludere la possibilità, nel caso dei poligastrici, che la penetrazione avvenga all'altezza delle vie digerenti più profonde (prestomaci in particolare) (Farina. 2002).

Le infezioni umane possono essere acquisite attraverso attività lavorative e momenti ricreativi. L'allevamento del bestiame rappresenta un importante fattore di rischio occupazionale in tutto il mondo. Il rischio più elevato associato ai caseifici è ascrivibile al sierotipo Hardjo (Stalheim, 1965).

Il latte è inoltre considerato una possibile fonte di infezione, in particolare per la sierovariante Hardjo, per alcune professioni a rischio oltre ai mungitori, quali veterinari ed allevatori (Levett, 2001).

1.4.2 Riferimenti epidemiologici internazionali, europei e nazionali

Le leptospirosi presentano una distribuzione a livello mondiale, con una maggiore incidenza nei Paesi tropicali e subtropicali, che va da 10 a 100 casi umani ogni 100.000 persone (Guerra, 2013). La leptospirosi umana ha una vasta distribuzione geografica e questa malattia è da considerarsi endemica in Paesi del Sud-est asiatico, in Oceania, in India, ai Caraibi e in America latina.

L'incidenza della leptospirosi è significativamente più elevata nei paesi caldi anziché nelle regioni temperate principalmente a causa della più lunga sopravvivenza delle leptospire in ambienti umidi ed in cui prevale acqua stagnante. Infatti nei paesi tropicali, che rappresentano anche i Paesi un via di sviluppo, in cui è presente un sistema sanitario povero, scarsamente organizzato e un alto numero di ospiti di mantenimento, vi sono maggiori probabibilità che la popolazione umana possa essere esposta al contatto diretto o indiretto con l'urina di animali infetti. I focolai nei Paesi altamente endemici sono normalmente associati a forti piogge che movimentano le leptospire dal suolo tramite le masse d'acqua. Nella regione pacifica dell'Asia la leptospirosi è considerata una malattia legata all'acqua: sono stati segnalati casi relativamente recenti in Indonesia (2003), in India (2005), nello Sri Lanka (2008) e nelle Filippine (2009), in seguito ad inondazioni urbane che hanno disperso le leptospire contaminando le acque (Evangelista et al., 2010).

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La malattia è stagionale e il picco di incidenza si verifica in estate o nelle regioni temperate, dove la temperatura è il fattore limitante per la sopravvivenza delle leptospire, proprio durante la stagione delle piogge. Negli Stati Uniti annualmente sono stati segnalati dai 100 ai 200 casi umani di leptospirosi fino al 1994, quando la malattia ha cessato di essere soggetta a denuncia. Tuttavia, le più alte incidenze si sono registrate soprattutto nelle isole Hawaii, in Texas, in California e a Puerto Rico. Ci sono inoltre indicazioni sul fatto che l'incidenza può variare e sembrano sempre più in aumento le popolazioni a rischio. I recenti casi negli Stati Uniti sono stati associati alla partecipazione a gare d'avventura in acqua. (Guerra, 2013). Casiverificatisi , per esempio, in Illinois o in un parco vicino Tampa, in Florida hanno infatti coinvolti sportivi che hanno partecipato a competizioni in acque dolci. E’ stata diagnosticata la leptospirosi ai corridori ed agli atleti che successivamente alle gare hanno avvertito i primi sintomi. Infatti nell'ultima decade sono stati osservati cambiamenti epidemiologici riguardo l'incidenza della leptospirosi nell'uomo: in regioni nelle quali la malattia non è in genere comune, come Canada, USA ed Europa, si osservano sporadici focolai insorti in seguito ad attività sportive in acque contaminate con leptospire patogene o per cambiamenti climatici (Guerra, 2013; Evangelista et al., 2010).

Nel 1920 vengono attestati i primi casi di leptospirosi in Messico; nel periodo 2003-2008, il tasso di infezione nazionale fu dello 0.6-2.1casi/10.000 abitanti. Nell'anno 2010 l'incidenza è variata da 0.05 a10 casi/10.000 abitanti. Lo stato di Tabasco, nel 2012 fu definito dalla Direccion General de Epidemiologia (DGE) lo stato messicano più affetto da leptospirosi con 255 casi su 481 riscontrati in tutto il Messico (Torres-Castro et al.,2016).

Focolai di leptospirosi si verificano regolarmente durante la stagione delle piogge nelle baraccopoli o nelle favelas di megalopoli brasiliane o in Asia. . Attualmente circa un miliardo di persone vive in baraccopoli sparse in tutto il mondo e questa popolazione sembra destinata ad aumentare di due volte nei prossimi 20 anni (Picardeau, 2013).

Anche Paesi geograficamente distanti come il Brasile e lo Stato di Israele hanno riportato un cambiamento nell’epidemiologia della leptospirosi non più considerabile solo come uno sporadico problema rurale, ma adesso anche come un importante problema urbano. E’ stato riscontrato un aumento di incidenza di leptospirosi in Francia ed in Repubblica

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Ceca da attribuire ai fenomeni di inondazione avvenuti nel 1997 e nel 2002 (Evangelista et al., 2010).

In Francia oggi l'incidenza della malattia è stimata in 0,5 casi su 100.000 abitanti (circa 300 casi notificati ogni anno), ma è da 10 a 100 volte maggiore nei territori francesi d'oltremare.

Secondo uno studio condotto nel 2011, la Francia annovera appunto una delle più alte incidenze delle malattia trai paesi industrializzati con il maggior numero di casi durante il periodo estate/autunno (specialmente da agosto ad ottobre). Nel 2011 il sierogruppo predominante era Icterohaemorrhagiae (il 36% dei casi), seguito dal sierogruppo Grippotyphosa (21%), Australis (8%), e Canicola (7%).

Di interesse notevole è il fatto che il 10% dei casi è stato importato dopo un viaggio in una zona endemica (America Latina, India Occidentale, Sud-Est Asiatico, Nord Africa) (Picardeau, 2013).

In Italia la leptospirosi è una zoonosi inserita nella lista delle malattie infettive da notificare all'OIE (Office International des Epizooties) e contemplata nel Regolamento di Polizia Veterinaria (D.P.R. 320/54). In caso di riscontro della malattia, è prevista la dichiarazione di apertura del focolaio e la messa in atto di misure finalizzate all'estinzione dello stesso (O.M. 26/03/1970; O.M. 04/09/1985) (Colavita e Paoletti, 2007).

In Italia, negli anni '50-'60 del secolo scorso, quando la leptospirosi era una malattia professionale legata soprattutto alla risicoltura, la sua elevata frequenza era sostenuta dall'associazione con la serovar icterohaemorragiae imputabile principalmente a roditori del genere Rattus e con la serovar bataviae i cui portatori sono prevalentemente topi del genere Micromys; negli anni '70 le modifiche delle condizioni ambientali e delle attività agricole, nonché l'acquisita resistenza alle preesistenti serovar, hanno favorito l'emergenza di nuove serovar (L. poi); negli anni '80-'90 il progressivo incremento dei casi sostenuti da leptospire del gruppo australis è da attribuire alla crescente frequentazione da parte dell'uomo, a scopo ricreativo, delle zone boschive invase dal riccio (Erinaceus europaeus) che funge da reservoir; analogamente nei campi e nei prati l'uomo è esposto al contatto con il topo campagnolo Mus musculus, serbatoio di leptospire del gruppo sejroe. (Russo et al., 1999).

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ad alcune categorie di persone a rischio ed in particolare in alcuni gruppi di lavoratori (6 veterinari, 34 allevatori e 28 macellatori di suini). Il 23,5% dei lavoratori è risultato positivo. Lo studio ribadisce l'importanza della sorveglianza di tale malattia nelle persone esposte per ragioni professionali, come precedentemente detto, e l'eventuale necessità di adottare programmi di controllo per le attività ad alto rischio (Fenga et al., 2004).

In Friuli, tra Dicembre 2004 e Gennaio 2005, casi di leptospirosi sono stati segnalati tra il personale di un salumificio. All'interno dell'azienda non sono state riscontrate tracce di roditori e gli esami sierologici effettuati su campioni di sangue dei suini macellati e da cui provenivano le carni lavorate, hanno evidenziato delle partite positive con titoli variabili da 1:200 a 1:400 per Leptospira interrogans sierotipo Bratislava (Colavita e Paoletti, 2007).

Da una valutazione delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) effettuata nel corso del progetto di Ricerca dell'IZSVe 8/2005 negli anni 2002-2005 nel Triveneto, sono state effettuate 126 ospedalizzazioni e 88 notifiche di casi di leptospirosi: tale situazione però potrebbe essere sottostimata se si osservano i dati relativi alla siero-prevalenza negli animali domestici, che farebbero ragionevolmente ipotizzare prevalenze decisamente superiori.

Figura 2: Mappa della distribuzione dei casi di leptospirosi negli animali domestici nel mondo dal primo

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Figura 3: Mappa della distribuzione dei casi di leptospirosi negli animali selvatici nel mondo dal primo

Gennaio - Giugno 2011 (http://www.oie.int)

1.5 Patogenesi

Le leptospire penetrano nell'organismo attraverso piccole soluzioni di continuo della cute o abrasioni, attraverso le vie mucosali o congiuntivali o attraverso l'inalazione di microscopiche particelle (Levett, 2001).

Qualunque sia la porta di ingresso nell'organismo, le leptospire guadagnano ben presto il torrente circolatorio. Ciò avviene con estrema rapidità, con ogni probabilità a causa della estrema sottigliezza del loro corpo ed in parte anche per i vivaci movimenti di cui sono dotate.

Pervenute in circolo, vi iniziano un'intensa moltiplicazione, la quale porta in un periodo più o meno lungo, alla comparsa delle prime manifestazioni (Farina, 2002).

Con la fase batteriemica, circolano nel flusso sanguigno fino a 7 giorni, raggiungono un numero critico e provocano lesioni dovute all'azione indefinita della tossina da loro prodotta e a componenti cellulari tossici. Le tossine prodotto sono rappresentate da: – GLP: complesso lipidico di una glicoproteina batterica;

– LPS: frazione liposaccaridica.

La frazione lipopolissaridica (LPS) è coinvolta nel processo di patogenesi indotta dai batteri endogeni, svolgendo un ruolo di riconoscimento dell'organismo ospite tramite la

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propria porzione polisaccaridica.

Il lipopolisaccaride (LPS) della leptospira ha mostrato però una bassa attività come endotossina (Levett, 2001).

L'immunità anti-leptospira, di tipo essenzialmente umorale, è prioritariamente rivolta verso l'antigene LPS e risulta protettiva, anche se esistono evidenze di altri possibili meccanismi immunologici in grado di proteggere gli animali dalla malattia.

L'immunità è ovviamente serovar-specifica, con possibilità di protezione crociata nei confronti di altre sierovarianti purchè appartenenti allo stesso sierogruppo (Levett, 2001; Nardelli, 2004).

Inizialmente la moltiplicazione avviene nell'endotelio dei piccoli vasi, con conseguente danno vascolare, responsabile delle principali manifestazioni cliniche, che porta ad ischemia localizzata in vari organi, con conseguente necrosi delle cellule del tubulo renale, danno polmonare, epatico, meningite, miosite e placentite (Matassa, 2007).

Nei casi in cui l'infezione sfoci in malattia conclamata già in questa fase di esordio, si rilevano, oltre alla febbre elevata, anoressia, profondo abbattimento, iperemia congiuntivale, bradicardia (Farina, 2002).

Figura 4: Leptospirosi: Patogenesi. Schema preso da: http://www.leptoinfo.ca/pathogenesis.aspx

Casi di emorragia si verificano quando si riscontra ittero e carenza piastrinica. Una volta che gli anticorpi circolanti compaiono, le leptospire sono rimosse dalla circolazione e dai

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tessuti ed il danno tissutale, anche se grave, può essere reversibile e seguito da riparazione completa (Levett, 2001).

Con la fine della leptospiremia inizia la seconda fase o fase delle localizzazioni. Il quadro clinico è in tale periodo dominato dal grave e costante interessamento epatico e renale, con ittero. Quando l'infezione decorre invece in forma subclinica, alla fase di leptospiremia segue una persistente localizzazione renale e, con essa, nefrite interstiziale cronica.

La serovar pomona è nota come responsabile di patologie emolitiche nei bovini, la serovar ballum provoca sintomi simili nei criceti.

Numerosi ceppi appartenenti alle serovars pomona e copenhageni producono una proteina citotossica ed un'attività citotossica è stata riscontrata in plasma di animali infetti. In vivo questa citotossina lascia dedurre un tipico effetto istopatologico con infiltrazione di macrofagi e cellule polimorfonucleate. Nella serovar copenhageni è stata infatti ritrovata una frazione glicoproteica con confermata attività citotossica. Una frazione simile isolata dalla serovar canicola inibisce la Na+,K+ATPasi. Questa attività inibitoria è da associare agli acidi grasi insaturi, in particolare gli acidi palmitico ed oleico.

L'aborto costituisce un evento molto frequente nel corso di leptospirosi suina e bovina ed è noto come tale fenomeno rappresenti spesso l'unica manifestazione dell'infezione. Le leptospire infatti, durante la fase di setticemia materna, passano attraverso il filtro placentare, invadono ed infettano il feto, di cui determinano la morte in tempi variabili in rapporto al potere patogeno della serovar in causa (Levett, 2001; Faina, 2002).

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Figura 5: Fisiopatologia del danno renale acuto in corso di leptospirsi. (http://congress.wooky.it)

1.6 Leptospirosi

La leptospirosi è una malattia sistemica che colpisce esseri umani e animali domestici e selvatici, soprattutto cani, bovini e suini, caratterizzata da febbre, insufficienza renale ed epatica, manifestazioni polmonari e problemi riproduttivi. I segni clinici si presentano molto variabili; la maggior parte dei casi sono probabilmente inapparenti e associati a sierovarianti adattati agli agenti ospitanti, come Canicola nei cani, Bratislava nei cavalli e nei suini, Hardjo nei bovini e Australis e Pomona sempre nei suini. Tuttavia, altre serovar possono essere coinvolte nei casi di malattia grave.

Nei suini e nei bovini i segni di leptospirosi includono problemi riproduttivi, aborto, mortalità alla nascita, mummificazione fetale, suinetti o vitelli disvitali e agalassia.

Animali che hanno superato la leptospirosi possono diventare portatori asintomatici che ospitano leptospire virulente nei tubuli renali per periodi estesi con pericolo di diffusione di leptospire infettive nell'ambiente. Animali sensibili si infettano per contatto diretto o indiretto con l'urina o tessuti di animali infetti. Gli ospiti serbatoio (ospiti di

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mantenimento) di solito non mostrano segni evidenti di malattia, ma presenza di leptospire nei reni, diventando un'importante fonte di infezione per esseri umani e altri animali (Adler et al, 2009).

1.6.1 La malattia nelle diverse specie animali Leptospirosi del cane

Per leptospirosi del cane si intende lo stato infettivo essenzialmente determinato da tre siero-varianti: icterohaemorragiae o copenhageni e canicola, riconoscendo alle prime due la responsabilità di una sindrome itteroemmorragica acuta, nota anche sotto la denominazione di “Weil canino” per la perfetta analogia anatomoclinica con la corrispondente affezione dell'uomo, e alla terza la responsabilità di un complesso quadro morboso altrimenti detto “Malattia di Stoccarda” o “tifo canino”, fondamentalmente caratterizzato da nefrite interstiziale nonché da gastroenterite emorragica e stomatite ulcerosa.

L'impiego generalizzato della vaccinazione preventiva in atto da anni ha tuttavia prodotto una sensibilissima rarefazione delle infezioni da canicola, essendosi drasticamente ridotte le possibilità di contagio per il cane che di tale sierovariante rappresenta il principale serbatoio naturale. Tuttavia si è registrato da qualche tempo un considerevole aumento di casi di infezione nei quali appare implicata la sierovariante Bratislava. Le indagini fin qui svolte inducono a ritenere che il cane sia divenuto uno degli ospiti di mantenimento di questa sierovariante, in particolare del genotipo B2a, la cui attività patogena sembra sovrapponibile a quella di L. canicola (Farina, 2002).

La leptospirosi colpisce senza distinzione i cani di qualunque età, razza e sesso. Presenta carattere di stagionalità con punte massime nella tarda estate ed in autunno in coincidenza dell'inizio dell'attività venatoria e delle abbondanti precipitazioni atmosferiche tipiche di quel periodo (Farina, 2002).

Infatti più fattori possono influenzare l'incidenza di tale malattia negli animali domestici come cambiamenti climatici (temperatura, umidità), eventi meteorologici (incremento delle piogge, inondazioni, cicloni), scarse condizioni igieniche ambientali, che favoriscono in particolare la proliferazione dei ratti e di altri potenziali serbatoi (Faine,

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1994; Levett, 2001).

Il contagio è nella maggioranza dei casi indiretto e si realizza per lo più in seguito all'ingestione di acqua ed alimenti contaminati dalle urine di cani o assai più frequentemente di ratti portatori, che delle sierovarianti Icterohaemorragiae e Copenhageni sono gli ospiti di mantenimento. Per tale ragione la leptospirosi ricorre spesso in cani da caccia, avendo questi maggiori occasioni di abbeverarsi in acque stagnanti infette.

Il quadro clinico renale, benché più scarso di segni obiettivi, non è pur tuttavia meno significativo. Nei casi lievi si può osservare oliguria con ipostenuria, nei casi gravi più o meno prolungata anuria, quale espressione dell'insufficienza renale determinata dalle lesioni intrinseche e da un grave crollo della pressione arteriosa.

Precoci e costanti sono le alterazioni urinarie che accompagnano il decorso della malattia. Le urine appaiono giallo cariche, torbide oppure, quando vi si trova bilirubina in forte quantità, color marsala. I disturbi a carico dell'apparato digerente sono per lo più di modico grado; oltre al vomito può manifestarsi diarrea emorragica. Gli animali, notevolmente dimagriti, vengono a morte in 8-10 giorni in stato comatoso e in ipotermia (Faine, 1994, Farina, 2002).

Leptospirosi nel bovino

Per leptospirosi bovina deve intendersi, in senso stretto, l'infezione sostenuta dalla sierovariante Hardjo, della quale il bovino è l'ospite primario di mantenimento. La sierovariante Hardjo è diffusissima nel nostro Paese, ove sostiene ben oltre l'80% dei casi di leptospirosi bovina. Le Regioni maggiormente colpite risultano Friuli, Veneto, Sicilia, Calabria, Lazio e Sardegna.

Abbastanza frequentemente responsabile di focolai in varie parti del mondo, compresa l'Italia risulta tuttora la sierovariante Pomona.

Nel nostro Paese non è segnalata la presenza di Grippotyphosa, non di rado causa di episodi morbosi in Europa centro-orientale (Farina, 2002).

La malattia può colpire indifferentemente animali di qualunque razza, età, sesso e attitudine, pur notandosi di solito una più spiccata recettività nelle vacche da latte e nei vitelli, tra i quali si evidenzia una mortalità più elevata.

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Sul piano clinico l'infezione si manifesta con sintomi diversi e di diversa intensità in rapporto anche alla sierovariante e alla virulenza dello stipite in causa.

Quando evolve in forme cliniche manifeste, la leptospirosi bovina è fondamentalmente caratterizzata da febbre, anemia, ittero, emoglobinuria e, nelle femmine, spesso da agalassia, mastite atipica, nonché da aborto.

Con notevole frequenza, peraltro, essa decorre in forme lievi o del tutto asintomatiche, tanto da sfuggire ad un'esatta diagnosi o da passare del tutto inosservata (Farina, 2002). Leptospirosi equina

Negli equini la leptospirosi è una malattia che si incontra molto raramente in forma conclamata, infatti è spesso del tutto asintomatica. Può essere sostenuta da numerose specie di Leptospira, ma le più riscontrate sono: Leptospira interrogans sierotipi Icterohemorragiae e Pomona, Leptospira noguchii sierotipo Pomona Leptospira interrogans sierotipi Bratislava e Grippotyphosa e Leptospira kirschneri sierotipo Grippotyphosa.

La leptospirosi equina è un'infezione diffusa a livello mondiale. Può esplicarsi in una classica sindrome ittero-emorragica o abortigena oppure nella cosiddetta oftalmite periodica, chiamata anche “mal della luna” poichè l'occhio dell'equino, diventato traslucido, sembra una luna piena ed inoltre anche perchè ricorre a fasi alterne. Quest'oftalmite è rappresentata da flogosi recidivante del sistema uveale degli equini, con progressivo interessamento dell'intero globo oculare, fino a giungere alla vera e propria cecità.

La via di trasmissione più frequente è rappresentata dal contatto diretto o indiretto con urina, feti abortiti, placenta e in questa specie non è mai stata documentata la trasmissione venerea (Faine, 1994; Farina, 2002).

Leptospirosi degli ovini

Casi isolati o piccoli focolai di malattia sono generalmente sostenuti dalla sierovariante Hardjo. In Italia sono state riscontrate positività sierologiche negli ovini nei confronti delle serovars Icterohemorrhagiae, Pomona, Ballum, Bratislava, Canicola, Tarassovi. Alla pecora, per molto tempo considerata ospite accidentale della sierovariante Hardjo, è oggi

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riconosciuto il ruolo di secondo ospite di mantenimento, essendo portatrice renale fino a 11 mesi (Pinzauti et al., 2006).

Gli ovini sono considerati animali scarsamente recettivi. Si deve ricordare però la non trascurabile frequenza con la quale l'infezione stessa si manifesta in forme lievi o asintomatiche, difficilmente diagnosticabili. La pecora si infetta soprattutto attraverso l'assunzione di alimenti e acqua di bevanda contaminati dalle urine di animali leptospirurici. Oltre alle urine, anche gli aborti, gli invogli fetali e gli scoli vaginali rappresentano dei prodotti morbosi in grado di propagare l'infezione (Faine, 1994; Farina, 2002).

Leptospirosi nei caprini

La recettività di questi animali è molto limitata. I pochi episodi segnalati riguardano soggetti giovani e le sierovarianti Pomona e Grippotyphosa, le quali portano solo ad un'infezione asintomatica di breve durata. Le indagini sierologiche e quelle microbiologiche realizzate in alcuni Paesi portano ad affermare che la capra deve essere considerata un ospite puramente accidentale e, come tale, un ospite privo di particolare significato epidemiologico (Farina, 2002).

1.6.2 Zoonosi di importanza globale

La leptospirosi è una zoonosi di importanza globale. Negli ultimi anni, emorragie polmonari gravi, endemiche ed epidemiche, vengono sempre più riconosciute come manifestazioni di infezioni da Leptospira. La leptospirosi è stata anche denominata come la malattia del “viaggiatore avventuriero”, che colpisce soprattutto coloro che praticano degli sport acquatici. E' distribuita in tutto il mondo, ma è più comune nelle zone tropicali dove le condizioni per la trasmissione sono particolarmente favorevoli. Tuttavia la malattia continua a verificarsi nei paesi sviluppati, per esempio, tra i villeggianti nelle isole Hawaii o sporadicamente in centro città. Nel corso degli anni si sono compiuti importanti progressi concernenti diversi aspetti di questa malattia infettiva emergente. Le condizioni ambientali influenzano pesantemente la trasmissione della leptospirosi, andando a modificare la biologia delle popolazioni recettive, il comportamento ed anche l'ecologia stessa delle spirochete e dei loro ospiti (Bharti et al., 2003).

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Nel corso degli anni, infatti, in seguito alle precarie condizioni igienico-sanitarie dovute ad alcuni eventi, quali cambiamenti climatici associati a calamità naturali, si è verificata sempre maggiormente la diffusione di malattie contagiose come la leptospirosi.

La leptospirosi negli esseri umani viene sempre contratta grazie ad un animale ospite di mantenimento, il quale costituisce una riserva naturale di una sierovariante in un particolare ecosistema. All'interno di ciascun ecosistema, l'ospite di mantenimento costituisce la nicchia ecologica per quella particolare sierovariante, cioè la particolare posizione funzionale al mantenimento dell'equilibrio ambientale che la sierovariante occupa all'interno dell'ecosistema in rapporto con gli altri esseri viventi (Tolari et al., 1987).

Le leptospire patogene vivono nei tubuli prossimali dei reni dei portatori anche se possono essere fonte di infezione altri tessuti e organi. Dai reni, le leptospire sono escrete nelle urine e possono quindi contaminare il suolo, le acque superficiali, i torrenti e i fiumi.

Le infezioni di animali o di esseri umani si verificano dal contatto diretto con l'urina o indirettamente da contaminazione delle acque. I vettori possono essere animali selvatici o domestici, in particolare roditori e piccoli marsupiali, bovini, suini e cani.

Figura 6: http://www.medicalzone.net/leptospirosis-symptoms.html

Quasi tutti i mammiferi e marsupiali di tutto il mondo sono stati dimostrati essere portatori di leptospire. Gli esseri umani non diventano quasi mai portatori cronici, ma presentano infezioni acute, a volte con conseguenze a lungo termine.

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La leptospirosi nell'uomo può variare di gravità a seconda della sierovariante infettante di Leptospira, dell'età, della salute e della competenza immunologica del paziente; si passa da uno stadio lieve, malattia simil-influenzale, ad una grave infezione con insufficienza renale ed epatica, insufficienza polmonare e morte (la classica malattia di Weil).

Esistono caratteristiche associazioni di particolari sierovaianti con determinate specie animali a supporto, ma le associazioni non sono specifiche e sempre verificabili. Lo stato del portatore renale è quindi una componente fondamentale centrale per la persistenza e l'epidemiologia della leptospirosi.

Le leptospire non sopravvivono bene nelle urine acide, ma rimangono vitali in urina alcalina. Di conseguenza, gli erbivori e gli animali la cui dieta produce urine alcaline sono relativamente più importanti rispetto ai produttori di urina acida.

La leptospirosi nell'uomo inizia improvvisamente con emicrania, febbre (in genere a 39° C), malessere e mialgia.

Successivamente la malattia può essere lieve e autolimitante o grave e mortale. Il tipo lieve può essere grave e invalidante, ma raramente porta ad insufficienza epatica o renale, emorragie o morte.

Le serovar coinvolte maggiormente negli episodi umani sono: Icterohemorrhagiae, leptospira più pericolosa e virulenta, Hardjo, Pomona, Copenhageni, Canicola, Bataviae, Grippotyphosa, Hyos, Sejroe ed Australis.

La malattia dovuta all'infezione da parte delle sierovarianti sopra citate può portare occasionalmente a leptospirosi gravi che possono condurre anche a morte. L'infezione umana da serovar Pomona può causare insufficienza renale, mentre gravi problemi alla colecisti sono stati segnalati per le infezioni da Hardjo. I sintomi iniziali possono essere seguiti da remissione transitoria, che può quindi procedere ad una riacutizzazione e includono meningite asettica, insufficienza renale e dolori addominali o al torace.

Il recupero è di solito completo, ma debolezza, stanchezza, depressione e anche psicosi possono impedire un ritorno alla vita normale per settimane o mesi.

Le leptopsirosi più gravi sono osservate oltre che nelle infezioni da sierovariante Icterohemorrhagiae, anche in quelle da sierovariante Copenhageni. Le fonti di infezione sono rappresentate più comunemente da ratti o altri roditori. Un aggravarsi della malattia solitamente avviene subito dopo l'insorgenza, di modo che l'insufficienza renale può

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verificarsi entro 7-10 giorni.

Sono stati segnalati tassi di mortalità che si avvicinano al 20% ed è stata recentemente riconosciuta una manifestazione respiratoria associata a Leptospira che comporta grave edema ed emorragia polmonare, causa principale di morte in alcune epidemie. Leptospirosi croniche e in corso di gravidanza, inoltre, espongono a rischi di infezione intrauterina e morte fetale (Levett, 2001; Bharti et al., 2003).

Gli esseri umani possono infettarsi:

– dopo il contatto diretto con l'animale infetto;

– indirettamente attraverso l'acqua, il cibo o il terreno contaminato con batteri; – quando i batteri penetrano nella cute abrasa o nelle mucose della bocca, del naso o attraverso la congiuntiva;

– a seguito di contagio proveniente da un feto abortito o da placenta, dovuto all'assistenza durante il parto senza un'adeguata protezione per il personale.

La sala mungitura, tra gli schizzi di urina ed il contatto tra le vacche e i mungitori, è un ambiente molto favorevole perché l'infezione si verifichi. La leptospira infatti è riversata nel latte quando le vacche sono malate. Per questi motivi si ritiene che i produttori di latte, le loro famiglie e le persone che lavorano nelle aziende lattiero-casearie siano sottoposte a maggior rischio di contrarre l'infezione.

Si sono verificati più di 70 casi umani in Australia segnalati alla New South Wales (NSW) Pubblic Health Unit nel 2001 e circa 40 casi umani segnalati tra il 2003 e il 2004. La tendenza decrescente potrebbe essere associata al fatto che con gli anni si è instaurata una maggiore consapevolezza del rischio di contrarre leptospirosi in ambiente rurale. Tuttavia, si ritiene che il numero reale di esseri umani infettati da leptospira sia di gran lunga maggiore del numero di casi segnalati, poiché molti infettati non si rivolgono alle autorità sanitarie o gli viene erroneamente diagnosticata una sindrome influenzale (Zelski, 2007).

Norme di salute e sicurezza sul lavoro richiedono agli agricoltori di fornire un ambiente sicuro per i loro dipendenti.

Il modo più efficace è proteggere gli esseri umani vaccinando regolarmente tutte le vacche da latte ed evitando che materiale infetto venga a contatto con il corpo, e con i dispositivi di protezione individuale compresi guanti, grembiuli, impermeabili e stivali

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(Bolin, 2003).

Le misure preventive da adottare negli allevamenti sono le seguenti:

– applicare le barriere in capannoni lattiero-caseari, come paraspruzzi e coprire i canali di drenaggio;

– periodiche visite veterinarie;

– allontanarsi quando gli animali urinano;

– il letame e i liquami devono subire una buona maturazione prima di essere usati come fertilizzanti;

– bere solo latte pastorizzato o crudo preventivamente bollito;

– tenere i bambini lontani dai capannoni da latte e i bovini dai cantieri; – lavarsi sempre accuratamente dopo il contatto con il bestiame; – porre attenzione a scarichi e a zone paludose;

– effettuare una costante lotta ai roditori ed ai suini selvatici;

– separare il bestiame da suini, porcilaie, dagli affluenti di porcilaie e dalla fauna selvatica;

– prevedere adeguate procedure di quarantena per prevenire l'introduzione di leptospire;

– adottare precauzioni igieniche per tutti gli addetti ai lavori: indossare stivali quando si va in stalla e i guanti impermeabili quando si rischia di entrare in contatto con deiezioni animali e soprattutto con materiale patologico (es. feti, placente, carcasse, ecc.); – cambiarsi e lavarsi le mani prima di rientrare a casa (Zelski, 2007; Colavita et al., 2007).

1.7 Diagnosi di laboratorio

A causa dell'accentuato polimorfismo clinico la diagnosi di leptospirosi risulta particolarmente difficile, specie sui singoli animali o quando il quadro clinico è scarsamente indicativo.

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mediante esame istologico di organi e tessuti, osservazione microscopica dei liquidi organici, isolamento in coltura, inoculazione di animali da esperimento ed indagine sierologica (Matassa, 2007; Adler, 2010).

1.7.1 Coltivazione in laboratorio

Le leptospire sono microrganismi microaerofili, la cui coltivazione richiede particolari accorgimenti.

E' stato dimostrato, mediante prove di laboratorio, che la soglia massima di temperatura a cui le leptospire riescono a sopravvivere è pari a 41-42°C; tali microrganismi sono invece inattivati in soli 45 minuti a temperature di 50-55°C. Appaiono invece ben più resistenti alle basse temperature, al punto che un ottimo sistema di conservazione è rappresentato dalla loro immissione in azoto liquido a -196° C, utilizzando come crioprotettore il DMSO (dimetilsulfossido) al 5% o il classico glicerolo. Un altro metodo adatto per la conservazione è la liofilizzazione che permette di preservarle per lungo tempo.

Nonostante alcune sierovarianti crescano bene a 37°C e numerosi specie saprofite anche a temperature di 11-13°C, l'ottimale temperatura a cui si moltiplicano è compresa tra 28 e 30°C.

L'acqua salmastra è in grado di neutralizzarle in breve tempo, non tollerando in genere concentrazioni di NaCl superiori al 2,5%; esistono comunque alcune sierovarianti definite alofile, che necessitano per lo sviluppo della presenza dello ione Na+ .

Notevole importanza ha l'aerazione del terreno; essendo sensibilissime soprattutto agli spostamenti verso l'acidità: il pH ottimale varia fra 7,2 e 7,6 (Ellinghausen, 1973; Farina, 2002).

Per la coltivazione si può ricorrere a terreni semisolidi, liquidi o solidi.

Negli appropriati terreni liquidi di coltura la loro curva di crescita è simile a quella della maggior parte dei batteri, ma richiede solitamente tempi molto più lunghi. Infatti i tempi di duplicazione si aggirano intorno alle 6-8 ore per le sierovarianti patogene, mentre le acquicole necessitano di tempi ridotti. Per lo sviluppo in coltura le leptospire utilizzano prevalentemente gli acidi grassi a lunga catena (più di C15) da cui, tramite processi di β-ossidazione, ricavano carbonio ed energia. Concentrazioni elevate di acidi grassi risultano

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tuttavia tossiche per questi microrganismi, per cui, è importante l'associazione nel medium di sostanze ad azione detossificante, che agiscono assorbendo gli acidi grassi in questione, rilasciandoli nel terreno di coltura a basse concentrazioni. Tra le sostanze maggiormente impiegate si sono dimostrati indispensabili il siero emolizzato di coniglio al 4% e la frazione V di albumina bovina. Le sierovarianti apatogene sono in grado di utilizzare indistintamente gli acidi grassi saturi ed insaturi con catene formate da 12-18 atomi di Carbonio, mentre le serovars patogene appaiono in genere maggiormente selettive, necessitando di catene sature a 15 atomi di carbonio potendosi servire delle catene insature solo in presenza di quelle sature. Esistono alcune linee mutanti di leptospire che possono crescere e moltiplicarsi anche in assenza di sostanze detossificanti ed alcuni ceppi produttori di lipasi, che nei terreni solidi provocano la formazione di placche di lisi ben evidenti, con conseguente saturazione del terreno che perde così la sua capacità detossificante (Faine, 1994).

Oltre al substrato energetico possono essere aggiunti al terreno molti altri composti per favorire la crescita di questi microrganismi: il piruvato di sodio ed il glicerolo. E' stato altresì accertato che la presenza di alcuni amminoacidi (arginina, prolina, lisina, asparagina, acido aspartico o glutammico), gli acidi grassi (formico e tartarico) e di vitamine (tiamina, riboflavina, cobalamina, acido nicotinico) incrementa la crescita senza che però tali sostanze, singolarmente o in varia associazione tra loro siano in alcun modo capaci di sostituire il siero di sangue di coniglio e/o l'albumina bovina.

I metalli pesanti, se presenti nel terreno di coltura, hanno effetto tossico. Il ferro, che invece risulta essenziale per lo sviluppo, influenza positivamente la patogenicità (Levett, 2001; Farina, 2002).

Nei terreni di coltura viene impiegato il 5-fluorouracile come agente selettivo, in virtù del fatto che le leptospire possono incorporare nel loro DNA le basi puriniche, ma non quelle pirimidiniche (Faine, 1994; Levett, 2001).

La possibilità di coltivare le leptospire sui terreni di questo tipo contenenti, oltre alla frazione V di albumina bovina e siero di coniglio, anche sostanze ad azione tensioattiva come i tween che, se aggiunti al terreno, rendono disponibili gli acidi grassi in forma non tossica, complessati con esteri del poliossetilene sorbitano.

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crescita, in questo caso, è sempre piuttosto lenta e può richiedere fino a 24-26 settimane, a causa delle difficoltà di adattamento dei microrganismi al terreno. Nei passaggi successivi invece la crescita si evidenzia in soli 4-6 giorni. Ad ogni modo i terreni liquidi sono quelli maggiormente impiegati per l'isolamento e per il mantenimento delle colture da utilizzare come antigene per i test sierologici di microagglutinazione.

Tra i terreni liquidi maggiormente impiegati troviamo: il terreno di Ellinghausen-McCullogh-Johnson-Harris (EMJH) contenente tween 80 e albumina serica bovina (BSA), il terreno di Korthof-Babudieri e quello di Stuart contenenti siero parzialmente emolizzato di coniglio.

Tra i terreni semisolidi, come già detto poco frequentemente impiegati, contengono agar in percentuale variabile (1,2% - 2%), tween 80, siero di coniglio o BSA e piruvato di sodio. Le colonie si presentano di forma rotondeggiante, di varie dimensioni e si rendono evidenti in 20-30 giorni dalla avvenuta semina. Più che per l'isolamento e la conservazione degli stipiti, i terreni solidi possono rivelarsi utili per lo studio di eventuali variazioni di fasi e di mutazioni (Faine et al.,1999; Farina, 2002).

La conservazione a lungo termine in azoto liquido garantisce buoni risultati ed appare ad oggi il miglior metodo di “memorizzazione” perchè possa essere mantenuta pressochè inalterata la virulenza del ceppo (Adler et al., 2010).

1.7.2 Esame sierologico

la diagnosi sierologica è uno strumento fondamentale non solo per accertare in un animale la presenza di anticorpi specifici verso una determinata sierovariante qualora si abbiano sospetti in seguito a manifestazioni cliniche come l'aborto, ma anche per controllare periodicamente i capi presenti in un allevamento e quelli di nuova introduzione (Cerri et al, 2003).

Il rilevamento di anticorpi specifici è possibile tramite il test di microagglutinazione (MAT), il saggio indiretto di emoagglutinazione (IHA) ed il test immuno-enzimatico (ELISA) (Levett, 2001).

MAT è la prova sierologica di più largo impiego ed ha il vantaggio di essere specifica per le serovar, o almeno per i sierogruppi. Tale microagglutinazione è in grado di rilevare gli anticorpi specifici nei confronti delle diverse serovars.

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L'antigene è rappresentato da colture di leptospire vive in terreno liquido. Ogni siero in esame viene posto a contatto con diverse sierovarianti alla diluizione iniziale di 1:100. Se questa prima prova dà risultato positivo, si allestiscono diluizioni scalari del siero che si saggiano poi con la sierovariante o le sierovarianti agglutinate.

La reazione positiva è svelata al microscopio in campo oscuro da quadri più o meno netti di agglutinazione.

La lettura della prova si considera positiva quando si ha il 50% o più di agglutinati rispetto a leptospire libere sul campo e su più campi di osservazione al microscopio osservati.

La concentrazione di leptospire libere deve essere paragonabile al controllo antigene, costituito dalla coltura diluita 1:2 in soluzione fisiologica. Dal punto di vista pratico, è necessario valutare il numero di leptospire libere e non di quelle agglutinate, che sono difficilmente misurabili a causa di agglutinazione e precipitazione. Per questo motivo è importante utilizzare per la prova un ceppo la cui concentrazione sia nota (generalmente 2x108 leptospire/ml), e le cui condizioni colturali in termini di purezza e vitalità siano ottimali.

Gli anticorpi agglutinanti sono svelabili nel siero a partire da 7-10 giorni dall'infezione; il loro tasso ematico poi aumenta rapidamente fino ad un massimo di 5x105 _ 1x106 (Farina, 2002; Suepaul et al., 2011).

Sono tuttavia dimostrabili per molti mesi e, spesso, anche per anni. La valutazione dei risultati è quindi in funzione del tempo intercorrente fra inizio dell'infezione ed accertamento sierologico. Nelle forme conclamate di malattia il titolo è solitamente molto basso, così che la diagnosi può essere confermata solo dopo sieroconversione.

Le agglutinine sono dimostrabili, seppur con tassi nettamente inferiori rispetto al sangue, anche nel liquor, nelle urine, nel latte, nel muco cervico-vaginale delle bovine e negli umori oculari dei cavalli.

Il più grande pregio del test microagglutinazione risiede nella sua alta specificità e nel fatto di consentire quasi sempre l'esatta individuazione della sierovariante in causa. Si dimostra estremamente utile per inchieste sieroepidemiologiche e rende ancora oggi valido aiuto tipizzazione degli stipiti. Al pari di tutti gli altri test sierologici fallisce, e non di rado, nell'individuazione dei portatori renali cronici di leptospire (suini ed in

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particolare bovini) (Farina, 2002).

La fissazione del complemento (FDC), utilizzando antigeni polivalenti, può essere impiegata come prova di screening su quantità numerose di sieri, in modo tale da ridurre al minimo il ricorso alla microagglutinazione. Rispetto a quest'ultima ha lo svantaggio di essere meno sensibile, di non svelare anticorpi a basso titolo e di non consentire il riconoscimento della serovar o delle serovars responsabili dell'infezione.

L'ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay) indiretta è stata impiegata a partire dagli anni '80, inizialmente in medicina umana dove anche oggi trova un più largo utilizzo. Solo in un secondo momento questo test è stato impiegato anche in medicina veterinaria, sebbene più a scopo di ricerca che di diagnosi routinaria (Farina, 2002).

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2. LA LEPTOSPIROSI SUINA

La leptospirosi suina è un'infezione cosmopolita che riveste considerevole importanza economico-sociale per numerosi Paesi, compreso il nostro.

Si tratta, quindi, di un'infezione a diffusione universale, i cui aspetti epidemiologici variano a seconda delle sierovarianti che la sostengono.

Nel suino la leptospirosi è responsabile di alterazioni riproduttive (aborto, nati-mortalità, infertilità), con gravi perdite economiche per gli allevamenti. E' stata descritta in tutto il mondo, con particolare riferimento alle nazioni dove si pratica la suinicultura intensiva (Alborali et al., 2005).

In senso stretto per leptospirosi suina si deve oggi intendere l'infezione sostenuta da Leptospira pomona e da Leptospira tarassovi. Tuttavia va sottolineata la sempre maggior frequenza con cui da qualche tempo vengono identificati focolai di infezione nei quali sono coinvolte leptospire del sierogruppo australis e, soprattutto, la sierovariante bratislava. (Farina, 2002).

La malattia può colpire indifferentemente animali di qualunque razza, età, sesso e attitudine. Sul piano clinico l'infezione si manifesta con sintomi diversi e di diversa intensità (Levett, 2001).

Nella specie suina i sierotipi più diffusi sono responsabili di aborto, ma in questa specie animale, la malattia si manifesta per lo più in forma asintomatica. Negli allevamenti di suini da riproduzione il rischio è relativamente contenuto, in quanto in alcuni casi viene praticata la vaccinazione ed una profilassi antibiotica nelle scrofette, nelle scrofe e nei verri. Nei suini all’ingrasso, invece, l'infezione è più diffusa, poiché la pressione numerica è maggiore ed inoltre, sia la vaccinazione che la profilassi antibiotica di norma non vengono effettuate (Bosio et al., 2000).

La più spettacolare e temuta manifestazione resta comunque l'aborto. Quest'ultimo rappresenta spesso, come già precedentemente detto, l'unico sintomo dell'infezione, altrimenti destinata a passare inosservata, e si verifica tipicamente durante la seconda metà della gestazione, con massima frequenza tra il 90° e il 100° giorno.

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