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IL PERCORSO VERSO L’OBIETTIVO 1.5°C

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Academic year: 2022

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IL PERCORSO VERSO L’OBIETTIVO 1.5°C

UNA ANALISI DELLA SOCIETA’ CIVILE PER UNA RIDUZIONE EQUA E AMBIZIOSA DELL’EMISSIONE DI GAS SERRA PRE 2020

REPORT SPECIALE IN OCCASIONE DI COP 22

NOVEMBRE 2016

I principali autori che hanno partecipato alla redazione del paper sono Sivan Kartha, Tom Athanasiou, Christian Holz, Alison Doig, Nathan Thanki, Niclas Hällström, Kate Dooley, Matthew Stilwell, Asad Rehman, and Lidy Nacpil.

Il rapporto è stato prodotto da una vasta coalizione di organizzazioni della società civile, gruppi e movimenti sociali da tutto il mondo; tra i primi firmatari 350.org, Action Aid, Asian Peoples Movement on Debt and Development, CAN

South Asia, Christian Aid, Cidse, EcoEquity, Friends of the Earth International, LDC Watch, Pan African Climate Justice Alliance, What Next? Forum.

FOCSIV, in quanto partner di CIDSE, ne ha curato la traduzione e l’adattamento in italiano.

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INDICE

SOMMARIO………..………..3

CAMBIARE È URGENTE………3

IMPEGNI E QUOTE EQUE – ANALISI E RISULTATI………4

IMPLICAZIONI………..……….……….………7

IN CHE MODO VA REALIZZATA L’URGENTE AMBIZIONE PRE 2020………… 6

CONCLUSIONI……….………9

APPENDICE ONLINE………..10

NOTE……….…………10

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SOMMARIO

Non possiamo aspettare fino al 2020 per agire a livello globale e in maniera accelerata per il clima.

Il seguente documento è a favore di un aumento urgente nelle ambizioni di mitigazione. Lo fa tramite un’analisi basata sul principio di quote eque di riduzione delle emissioni di gas serra tra paesi ricchi e paesi impoveriti, e cioè di quote di riduzione che dovrebbero tener conto delle responsabilità di emissione e delle capacità di cambiare i propri sistemi energetici, relativamente agli impegni di riduzione che i paesi hanno effettivamente preso in vista del 2020, prendendo quest’anno come un reale punto di riferimento per il raggiungimento dell’obiettivo di un aumento della temperatura di 1,5 °C. Dall’analisi possono essere tratte conclusioni semplici ma ambiziose circa i cambiamenti che si rendono necessari qualora intendessimo compiere, prima del 2020, una transizione giusta verso un mondo a zero emissioni di carbonio.

Un basso livello di ambizioni pre-2020 renderà terribilmente più ardua la sfida post-2020 costituendo così un ostacolo per

i poveri, le popolazioni vulnerabili, le generazioni future e le specie animali. Si rimarrebbe bloccati in sistemi energetici ad alto tenore di carbonio e si prolungherebbe la dipendenza dai combustibili fossili, aumentando le probabilità che i futuri decisori possano ricorrere a tecnologie ad "emissioni negative" (e cioè capaci di rimuovere il carbonio dall’atmosfera per stoccarlo nel sottosuolo); tecnologie dannose e non idonee al raggiungimento degli obiettivi concordati sui cambiamenti climatici. La transizione verso regimi a più basse emissioni di carbonio deve essere accelerata, e questo significa per i paesi ricchi aumentare i propri impegni nazionali per un mondo libero dai combustibili fossili, cooperando secondo una chiara visione politica ed economica per un futuro equo. Ciò implica anche prevedere una cooperazione tecnologica e un supporto finanziario significativo a favore dei paesi a basso reddito, per aiutarli nel pianificare e nel realizzare rapide ed ambiziose transizioni verso percorsi di sviluppo sostenibile a basso tenore di carbonio. Queste transizioni devono iniziare immediatamente, con urgenza, e i benefici devono essere equamente condivisi tra paesi ricchi ed impoveriti.

CAMBIARE E’ URGENTE

L'Accordo di Parigi ha stabilito l’ambizione a livello mondiale di limitare l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C, e di attuare tutti gli sforzi necessari per contenerlo a 1,5 °C. Tuttavia, come numerosi studi hanno dimostrato, tra cui

“Pre-Paris Fair Shares: A Civil Society Equity Review of INDCs”4, l'azione collettiva frutto dei singoli contributi nazionali (Nationally Determined Contributions, NDC) è insufficiente a contenere il riscaldamento al di sotto di 2°C, e di gran lunga lontana da ciò che è necessario per contenerlo nei 1.5°C. Infatti, anche se venissero rispettati tutti gli impegni previsti negli attuali NDCs, senza prenderne altri aggiuntivi, si raggiungerebbe un riscaldamento di circa 3,5°C.5

Il percorso più equo, tecnicamente fattibile ed efficace rispetto ai costi da sostenere verso l'obiettivo fissato a Parigi mostra che le emissioni globali di carbonio devono raggiungere il picco e cominciare a decrescere prima del 20206. Ciò significa che c'è urgentemente bisogno di accelerare la riduzione delle emissioni nei

L’urgenza di 1.5 °C

Non è necessario sottolineare quanto sia importante rimanere al di sotto di un aumento della temperatura di 2°C, e fare tutto ciò che è umanamente possibile per mantenersi attorno ai 1.5°C. Ciò è particolarmente importante per i piccoli Stati insulari e i Paesi più vulnerabili che già soffrono degli impatti climatici che mettono in pericolo le popolazioni, le economie, gli ecosistemi e il futuro di questi Paesi. E’ necessario non solo per loro ma per tutti noi.

Non dobbiamo neanche aspettare la relazione speciale dell'IPCC sull’obiettivo 1,5°C per capire l'importanza di elevare subito il grado di ambizione riducendo di più le emissioni di gas serra L'evidenza attuale è abbastanza chiara: è probabile che il percorso verso i 2°C ci conduca in un nuovo ed estremamente pericoloso regime climatico, con conseguenze immediate catastrofiche nelle regioni tropicali e polari, negli ecosistemi critici e nelle aree agricole.1

Alcuni sostengono che contenere il riscaldamento a 1,5°C non sia realistico. In effetti potremmo discutere all'infinito sulla dimensione del restante budget di carbonio (il budget di carbonio è l’ammontare di carbonio che si può ancora immettere) per raggiungere l’obiettivo 1,5°C. La verità però è che già sappiamo quanto infinitamente piccolo sia questo budget e come vada restringendosi rapidamente. In effetti, il Segretariato dell' UNFCCC, nel valutare l'effetto complessivo delle promesse di Parigi, ha concluso che, anche se gli INDCs (Intended Nationally Determined Contributions, ossia gli iniziali contributi nazionali base degli Stati per ridurre le emissioni, così come dichiarati in sede UNFCCC), fossero pienamente raggiunti, il budget di carbonio rimanente a disposizione per mantenere il riscaldamento a 1,5°C (con il 50% di probabilità) si esaurirebbe nel 2025.2 Quel che è certo è che fare tutto il possibile è un imperativo politico e morale. Dopo tutto, provare a raggiungere l’obiettivo e quasi riuscirci è molto meglio che fallire catastroficamente.

Il nostro obiettivo deve essere per un'azione immediata. Questo significa stabilire delle condizioni (solida cooperazione, finanza prevedibile e supporto tecnologico) che permettano a tutti i paesi di pianificare e realizzare un futuro low carbon. Questo significa bloccare tutti i nuovi investimenti in infrastrutture di estrazione, produzione e commercio di combustibili fossili, investimenti che saranno bloccati solo in un mondo che guarda all’obiettivo di 1,5°C.3 Ciò significa raggiungere un picco delle emissioni globali prima del 2020, un picco che sia ampiamente compreso e accolto con favore come segnale di un percorso per un futuro a basso carbonio. ossia un futuro di equo sviluppo per tutti.

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prossimi quattro anni. È necessaria un’enorme pressione perché venga raggiunto un rapido picco di emissioni globali, e questo deve accadere tenendo conto della realtà, ossia del fatto che le nazioni hanno livelli radicalmente diversi di sviluppo economico e materiale.

Il grado di ambizione per ridurre le emissioni di carbonio sta sicuramente aumentando in tutto il mondo, ma la mobilitazione necessaria non può essere raggiunta senza tener conto del principio di equità tra i paesi e i popoli. Affinché si abbia successo, è necessario che la transizione low carbon sia riconosciuta come un processo giusto e positivo. Inoltre, il periodo pre-2020 sarà determinante per quello che potrà

accadere post-2020, sia sul piano politico (possiamo lavorare insieme per risolvere questo problema?) e in termini di dati alla mano (è rimasto abbastanza budget di carbonio?). Alcuni di questi numeri sono illustrati di seguito nel report in cui trattiamo anche questioni politiche chiave che devono essere affrontate alla COP22 di Marrakech.

IMPEGNI PER IL 2020 E QUOTE EQUE – ANALISI E RISULTATI

Questa breve relazione si basa sul documento "A Civil Society Equity Review" del 2015. Per una spiegazione dettagliata dell'approccio e della metodologia qui utilizzata, è possibile vedere il rapporto più dettagliato appena citato e anche il sito web Climate Equity Reference Project7. Si noti che, a differenza del rapporto del 2015 che esaminava gli impegni INDCs dei Paesi per il periodo successivo al 2020, la presente relazione si concentra sugli impegni per il 2020.

Gli sforzi per l’obiettivo 1.5°C

Qualsiasi percorso che abbia una ragionevole possibilità di contenere il riscaldamento a 1,5°C richiede uno sforzo di mitigazione estremamente ambizioso che inizi molto, molto presto. In questo rapporto consideriamo 40 GtCO2eq (giga tonnellate equivalenti di carbonio) come il livello di emissioni per il 2020 coerente con un rapido passaggio ad un percorso verso 1,5

°C11. Sulla base di un’economia con gli attuali livelli di emissione (circa 54 GtCO2eq nel 2020; si veda la discussione di seguito), il raggiungimento del livello di 40 GtCO2eq richiede che debba essere messa in atto una mitigazione annua di circa 14 GtCO2eq entro il 2020. Si tratta naturalmente di una prospettiva estremamente impegnativa, dato che le emissioni oggi sono vicine ai 50 GtCO2eq, ma è tanto più importante raggiungerla al più presto se cerchiamo un futuro che non porti all'utilizzo con livelli pericolosi di tecnologie di "emissioni negative" (e cioè di tecnologie capaci di rimuovere il carbonio dall’atmosfera e di stoccarlo nel sottosuolo), che altrimenti verrebbero viste come indispensabili per compensare il fatto di avere ampiamente superato il budget di carbonio a disposizione.12

Il bisogno di risorse finanziarie per la mitigazione

Parte integrante dell’azione di mitigazione è il sostegno finanziario internazionale necessario per consentire una rapida riduzione delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo. Anche se non esiste una metodologia universalmente riconosciuta per calcolare precisamente le risorse finanziarie necessarie, diverse fonti indicano degli intervalli plausibili entro i quali le somme potrebbero variare.13 Una tale stima si trova nel documento dell'Agenzia Internazionale per l'Energia World Energy Investment Outlook 201414 che ha concluso che, in uno scenario di 450 ppm (parti per milioni di CO2), che è un debole scenario per i 2°C, gli investimenti per la mitigazione nel settore energetico dovrebbero ammontare a 790 miliardi di dollari all'anno nel 2020, passando a

2 mila miliardi di dollari l'anno nel 2030. Un altro recente studio ha stimato che la mitigazione necessaria per percorsi coerenti con l’obiettivo di 1,5°C costerà minino 2,2 volte tanto quanto previsto per lo scenario dei 2°C o più, suggerendo che sarebbe necessario almeno 1,7 trilione di dollari di investimenti in mitigazione per il 2020.15

Il bisogno di risorse finanziare per l’adattamento Anche se il riscaldamento rimanesse al di sotto di 1,5°C, ci sarà un immenso bisogno di sostegno tecnico e di finanze per l'adattamento (e per le perdite e i danni che vi saranno a causa del cambiamento climatico), bisogno che è sicuramente più forte nei Paesi in via di sviluppo.

L'Uragano Matthew ha causato un enorme danno nel South Carolina e tra la popolazione di quello Stato, ma questo danno impallidisce di fronte alla distruzione e alla sofferenza di Haiti.

A quanto ammonta la cifra per l’adattamento ancora non è stato valutato. Nel Civil Society Equity Review del 2015, basandosi sul Adaptation Finance Gap Report del 20148 si legge "Per tutti i Paesi in via di sviluppo i costi sono sui 150 miliardi di dollari all'anno entro il 2025/2030, e da 250 a 500 miliardi di dollari all'anno entro il 2050 (per uno scenario di aumento di 2°C entro il 2050)." Questi numeri sono stati sostituiti dall’ “Adaptation Finance Gap Report” del 20169 che ci dice che entro il 2030 i costi di adattamento raggiungeranno i 140-300 miliardi di dollari ogni anno, con la possibilità che questa somma possa essere cinque volte superiore entro il 2050. Da ciò si arriva ad un range tra i 700 miliardi di dollari e l’1,5 trilione di dollari, un intervallo sicuramente più ampio.

Questo rapporto si concentra sul 2020 e possiamo affermare che gli impegni finanziari per quest’anno sono completamente inadeguati, anche se fossero dedicati esclusivamente all'adattamento. Oxfam stima che solo il 16% dei finanziamenti internazionali per il clima è attualmente dedicato all'adattamento, con un range di 4-6 miliardi di dollari all'anno.10

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Quote eque

L'equità conta, non solo perché è un principio positivo in sé ma anche perché è una chiave per la cooperazione. Il cambiamento climatico è uno dei problemi comuni più grandi e difficili che l'umanità abbia mai affrontato, e non sarà risolto senza efficaci sistemi di coordinamento e solidarietà, sistemi che necessitano di azioni concertate. Sarà estremamente impegnativo concordare un indirizzo globale per realizzare il percorso verso 1.5°C, ed il successo è possibile solo se gli sforzi richiesti saranno considerati da tutti come equamente distribuiti tra i diversi paesi. Così, finché c'è ancora spazio per il dibattito sulla definizione precisa di eque quote nazionali, e finché le nazioni del mondo non si accorderanno per una quantificazione espressa in formule condivise, la giustizia climatica non sarà in definitiva qualcosa che ogni paese potrà giudicare da sé. Sono necessarie intese condivise su ciriteri, tra cui criteri di equità, che non possono essere semplici questioni di opinione.

La premessa è che quote eque di riduzione delle emissioni distribuite tra i paesi possono essere definite e quantificate in una maniera solida, rigorosa, trasparente e scientifica, se sono ancorate ai principi fondamentali della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, e questo può essere fatto sulla base di una interpretazione condivisa di questi principi. La premessa è che le quantificazioni possono essere utili, perché offrono ai decisori politici e ai cittadini dei benchmark di equità (o livelli di riferimento di equità) che possano ragionevolmente rappresentare un ampio spettro di interpretazioni legittime dei principi fondamentali di equità della Convenzione.

L'approccio di modellizzazione dell’equità che è alla base della presente relazione16 sostiene alcuni benchmark difendibili come veramente equi. La posta in gioco diventerà chiaro di seguito, dove si mostrano le valutazioni degli impegni nazionali di mitigazione per il 2020 relativi ai due benchmark che definiscono la nostra gamma o intervallo di equità - più un terzo livello di riferimento che non rientra nell'intervallo, ma è politicamente saliente – e che è stato presentato nel Civil Society Equity Review prima di Parigi. Il nostro intervallo di equità è definito da una serie di proiezioni sulla capacità di ridurre le emissioni e sulla responsabilità storica dei paesi nell’emissione di gas serra, che è stata condivisa dalle organizzazioni della società civile coinvolte in questo report, sulla base di ampie discussioni prima di Parigi (vedere il box Spiegazione dei banchmark di equità e il confronto tra questi e altri benchmark definiti di pura capacità e pura responsabilità, con i cursori per approfondire l’analisi e il relativo calcolatore di equità online)

Il quadro globale

Il grafico 1 mostra i risultati a livello aggregato dei paesi sviluppati, dei paesi in via di sviluppo e del mondo intero, presentati in termini di tonnellate totali di mitigazione nel 2020 in assenza di ulteriori interventi17. Per ciascuna delle due "regioni", le colonne verdi mostrano i limiti dell'intervallo di equità. La prima (verde scuro) rappresenta la quota equa di mitigazione secondo un benchmark di equità che riflette la responsabilità totale (cioè le emissioni storiche dal 1850) e la capacità di ridurre le emissioni in maniera altamente progressiva18. La seconda colonna (verde chiaro) rappresenta la quota equa che considera le emissioni storiche dal 1950 con una capacità secondo una progressività media. Il grafico inoltre mostra (in grigio) una terza

colonna che rappresenta un calcolo di quote eque relativo al 1990 con una bassa progressività nella capacità. Il colore grigio indica il fatto che, nonostante questa quota sia comunemente considerata degna di importanza, noi non la consideriamo un benchmark veramente equo. Le linee nere orizzontali riflettono gli impegni di mitigazione per ogni regione, che comprende sia gli impegni più ambiziosi che quelli meno ambiziosi.

Questo risultato trova riscontro anche nella valutazione degli INDCs per il 2030 del Segretariato dell’UNFCCC che ha rilevato come gli INDCs rappresentino impegni che in totale ammontano ad un quarto di quanto necessario per la mitigazione.

Grafico 1. Confronto delle quote eque e degli impegni di mitigazione (in milioni di tonnellate di CO2eq di mitigazione al di sotto del livello base nel 2020). Nota: sono rappresentate tre regioni: i paesi sviluppati, i paesi in via di sviluppo, e il mondo intero.

Quote eque ed impegni nel 2020 (in miliardi di tonnellate di CO2eq al di sotto del livello di base)

1850 / High Progressivity 11.0 2.9 13.9

1950 / Medium Progressivity 9.9 4.0

1990 / Low Progressivity 8.3 5.6

Low End of Pledge Range 1.4 2.3 3.7

High End of Pledge Range 2.0 3.5 5.4

… plus mitigation finance 2.2

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Il risultato sorprendente è che i paesi sviluppati, nonostante abbiano quote eque di riduzione delle emissioni maggiori in base a qualsiasi di questi benchmark (si veda il box Spiegazione dei benchmark di equità), offrono un livello di mitigazione considerevolmente poco ambizioso. Mentre i paesi in via di sviluppo, sebbene non raggiungano quella che sarebbe la loro quota equa di riduzione, sono sensibilmente più vicini a farlo. Comunque, in forma aggregata a livello mondiale è stato promesso meno di un quarto della mitigazione necessaria per raggiungere rapidamente un percorso verso 1.5°C

Confronto degli impegni nazionali per il 2020 per i principali Paesi

Grafico 2. Confronto delle quote eque di mitigazione e degli impegni di riduzione (in tonnellate di CO2eq pro capite sotto il livello di base nel 2020) Nota: i paesi riportati sono (da sinistra a destra) USA, UE28, Giappone, Russia, Corea del Sud, Brasile, Cina e India.

Il grafico 2 mostra i risultati di una valutazione di equità sugli impegni di mitigazione per il 2020 per sei paesi (o regioni), confrontando gli impegni rispetto ai benchmark di equità (per dati precisi su un’ampia gamma di paesi, vedere https://climateequityreference.org/cop22-review/finance). Il grafico riporta i risultati in termini di mitigazione pro-capite al di sotto del livello di base per il 2020 – fatto che ci permette di comparare direttamente gli impegni nazionali, senza che i risultati siano influenzati dalla grandezza relativa delle popolazioni nazionali. Le linee nere mostrano la quantità di mitigazione nazionale secondo la promessa di impegno di ogni paese per il 2020. Alcuni paesi hanno espresso la loro promessa sotto forma di gamma di impegni, associando a volte l’impegno più alto (the high end) di questa gamma al concretizzarsi di una condizione o più condizioni di vario tipo.

In tali casi, sono riportate due linee, la più bassa rappresentando l’impegno meno ambizioso della gamma promessa.

Se si confrontano gli impegni di mitigazione promessi rispetto alle quote eque dei singoli paesi, possono essere avanzate le seguenti osservazioni. In particolare, per molti paesi, inclusi gli Stati Uniti, l’UE28, il Giappone, la Russia e il Brasile, l’azione promessa è ben inferiore a qualsiasi definizione di quota equa di riduzione (gli ultimi tre paesi, a dire il vero,

Spiegazione dei benchmark di equità

I benchmark presentati in questo rapporto sono tutti basati sui principi cardine di equità definiti dall’UNFCCC, secondo cui i paesi si dovrebbero impegnare a contribuire alla riduzione delle emissioni in base, da un lato, alle loro responsabilità nel causare il problema e, dall’altro, alla loro capacità di risolverlo. I livelli combinano gli indicatori di responsabilità nel causare le emissioni (emissioni storiche da uno specifico anno di inizio) e di capacità nel sostenere la riduzione delle emissioni (ovvero il reddito, calcolato più o meno in modo progressivo), i livelli sono derivati da set di dati standard (maggiori informazioni al link http://gdrights.org/about-the-climate- equity-reference-project-effort-sharing-approach/)

Il limite superiore e quello inferiore della gamma dei livelli di equità sono definiti dalle due colonne verdi. La colonna colorata di verde scuro indica la responsabilità nell’emissione di carbonio che ha un paese o un gruppo di paesi avendo come anno d’inizio il 1850, e calcola la capacità nazionale di applicare la riduzione in modo progressivo, mentre la colonna in verde chiaro ha come anno di inizio della responsabilità il 1950 e calcola la capacità nazionale in modo meno progressivo. In ogni caso, la responsabilità storica e la capacità sono trattate come fattori ugualmente importanti e di conseguenza hanno lo stesso peso (cioè facendo la media dei due indicatori).

Grafico 3. Confronto delle quote eque e degli impegni di mitigazione.

Come nel grafico 1, con l’aggiunta di due nuovi benchmark di equità Per vedere le implicazioni di un diverso peso, si veda il grafico 3, che mostra le valutazioni di equità per quattro paesi campione. Qui, oltre ai due livelli di riferimento standard dell’equità (e la colonna grigia che parte dal 1990 con una bassa progressività), si sono aggiunte due colonne blu, una delle quali rappresenta un livello di sola Grande Responsabilità (con la data di inizio di responsabilità per il 1850, senza considerare il fattore capacità) e una che rappresenta il livello di Grande Capacità (con la capacità considerata in modo progressivo, senza il fattore responsabilità). Si noti come l’altezza della colonna verde scuro si inserisca equamente tra quelle delle due colonne blu.

Similmente, se un livello di riferimento di “Bassa Responsabilità” e uno di “Bassa Capacità” fossero sommati, la colonna grigia si posizionerebbe equamente tra di essi.

Per ulteriori esempi, e per una discussione dettagliata, si veda https://climateequityreference.org/cop22-review/equity-explained.

Per un’esperienza interattiva e un migliore set di controlli, vedere

Climate Equity Reference Calculator

(calculator.climateequityreference.org).

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hanno presentato delle promesse che potrebbero essere onorate senza alcuno sforzo di mitigazione). Per altri paesi, invece, come la Cina e la Corea del Sud, la riduzione promessa rientra, o addirittura supera, ciò che è richiesto per rispettare le quote eque.

La finanza per la riduzione delle emissioni

In un mondo dinamico come il nostro, è importante a volte affermare ciò che è ovvio. La responsabilità più grande dei problemi climatici e la capacità maggiore per risolverli risiedono ancora nei paesi più ricchi, e i loro obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2020 devono essere alzati significativamente. D’altra parte, la maggior parte dei paesi ricchi ha delle quote eque di riduzione delle emissioni che sono troppo grandi per essere onorate solamente all’interno dei propri confini, anche con delle politiche nazionali estremamente ambiziose. Ciò deriva dal fatto che la loro quota di responsabilità e capacità globale di ridurre le emissioni supera di gran lunga la loro quota di mitigazione potenziale. I paesi ricchi, sulla base del principio di equità, devono impegnarsi a sostenere la mitigazione a livello internazionale, finanziando gli sforzi dei paesi in via di sviluppo.

Così, affinché i paesi ricchi rispettino la loro quota equa di riduzione delle emissioni a livello globale, essi devono, oltre a mettere in atto riduzioni nazionali molto ambiziose, finanziare e sostenere una quantità considerevole di riduzioni di emissioni nei paesi in via di sviluppo. Queste riduzioni rappresentano quasi la metà del bisogno di mitigazione mondiale, il che indica la necessità di costruire un sistema di finanza internazionale, sostegno tecnologico e di capacity-building, maggiormente esteso ed interconnesso.

A sua volta, questa necessità evidenzia l’importanza di adottare un approccio profondamente cooperativo (tra i paesi che sostengono e quelli che ricevono questo sostegno) per rendere possibile una riduzione delle emissioni più ampia e ambiziosa.

Nonostante l’importanza di questa cooperazione, la quantità totale del sostegno finanziario che i paesi ricchi hanno promesso a quelli in via di sviluppo per il 2020 è assolutamente minimale. Non è abbastanza sufficiente a sostenere uno sforzo significativo addizionale da parte dei paesi sviluppati relativamente alle loro quote eque, e neanche abbastanza – se si ricordano gli obiettivi di Parigi – a permettere un livello sufficientemente rapido di riduzione delle emissioni nei paesi in via di sviluppo. Degno di nota è anche il fatto che alcuni paesi emergenti hanno promesso dei finanziamenti per il clima, soprattutto la Cina, che si è impegnata ad erogare circa 3 miliardi di dollari negli anni a venire.

Secondo le dichiarazioni sugli impegni per il clima raccolte dall’UNFCCC nel 201519, si stima che i paesi sviluppati abbiano promesso un finanziamento totale di 12,2 miliardi di dollari per l’investimento in attività di riduzione delle emissioni nei paesi in via di sviluppo per il 2020. Assumendo un coefficiente di leva finanziaria ottimistico, ciò rappresenta per i paesi sviluppati uno sforzo addizionale di riduzione delle emissioni fino a 267 Mt (megatonnellate, ovvero un milione di tonnellate) di anidride carbonica. In altre parole, se si somma la riduzione sostenuta a livello internazionale pre-2020 con quella interna dei paesi sviluppati (somma rappresentata con una linea tratteggiata nel grafico 1), lo sforzo totale si avvicina solo marginalmente alla quota equa di riduzione che dovrebbero garantire i paesi sviluppati, e aiuta poco a colmare il divario in termini di una mitigazione ambiziosa.20

IMPLICAZIONI

L’Accordo di Parigi ha segnato una nuova era di azione multilaterale, ma ha anche posto una sfida enorme per la comunità internazionale. L’obiettivo ambizioso di Parigi di 1,5°C, per il quale tale accordo è stato ampiamente elogiato, non verrà raggiunto se il livello di ambizione globale corrisponde agli attuali impegni per il 2020 e agli NDC di Parigi. Dato il carattere fragile degli impegni e degli NDC (anche qualora tutte le nazioni rispettassero questi impegni) è probabile che (se non si aggiungono ulteriori impegni) la temperatura mondiale subirà un aumento devastante di 3,5°C.21 Con questa temperatura esiste una grande probabilità che il sistema climatico globale giunga ad un punto critico provocando un surriscaldamento fuori controllo.

L’ambizione deve essere maggiore. E mentre si aprono i negoziati formali (in particolare il “dialogo facilitatore” del 2018) che potrebbero permettere di revisionare e rafforzare gli impegni per il post 2020, sarà estremamente difficile sfruttare positivamente queste negoziazioni se già non si inizia ad intensificare l’ambizione nel periodo pre-2020. Ecco perché la COP22 è così importante, perché non possiamo pensare che nel 2018, quando le parti si incontreranno per fare una valutazione formale dei loro sforzi collettivi per gli

obiettivi a lungo termine dell’Accodo di Parigi, potrebbero esserci opportunità maggiori di quelle che abbiamo oggi. Al contrario, dobbiamo sfruttare al meglio i negoziati del 2018, ma il percorso per aumentare l’ambizione deve iniziare già nel 2016.

La dura verità è che le spese per un necessario intervento climatico superano già di gran lunga le possibilità di molti Paesi in via di sviluppo, per non parlare dei costi di adattamento, delle perdite e dei danni causati da inondazioni e siccità. Inoltre, il ripetuto fallimento dei paesi avanzati nel dare il loro giusto contributo alla riduzione delle emissioni mondiali, sia in termini di alte riduzioni nazionali che in termini di sostegno internazionale, porterà ad un ulteriore peso sulle spalle delle nazioni più povere negli anni a venire.

In parole povere, un intervento ritardato ha dei costi maggiori, e l’azione è già stata ritardata per troppo tempo. Quindi, un intervento cooperativo internazionale a favore di una riduzione delle emissioni di carbonio nei paesi in via di sviluppo, risulta essere di primaria importanza. Se questo sostegno non venisse attuato entro il 2020, qualsiasi azione volta a regolare il sistema energetico faticherebbe molto a realizzare gli obiettivi a lungo termine dell’Accordo di Parigi.

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Inoltre, in mancanza di una solida azione pre-2020, il processo, ancora in corso, di legarsi ai combustibili fossili continuerà. Dove c’è bisogno di maggiore energia – e ce n’è bisogno in molte aree del mondo – si costruiranno nuove infrastrutture ad alte emissioni di carbonio, cioè esattamente il contrario rispetto all’esaurimento dei combustibili fossili di cui abbiamo bisogno, causando così il rischio di rendere le ambiziose riduzioni post 2020 ancora più lontane. Nel peggiore dei casi, gli NDC avranno da sfondo un mondo in cui le emissioni del 2030 saranno maggiori di quelle attuali, mentre gli obiettivi di Parigi diverranno sempre più irraggiungibili.

In questo mondo dove tutto è possibile, la tentazione di sperimentare soluzioni pericolosamente negative, come l’uso di tecnologie di geo-ingegneria di immagazzinamento del carbonio, potrebbe soltanto crescere. La mancanza di una mitigazione sufficiente pre-2020 viene, paradossalmente, già utilizzata come giustificazione per queste tecnologie, molte delle quali minacciano di avere un grande e negativo impatto sociale ed ecologico. Allo stesso tempo, le valutazioni esagerate del potenziale di queste tecnologie vengono utilizzate per giustificare l’inazione durante il periodo pre- 2020. E tutto ciò provocando soltanto ulteriori paure. Il pericolo, reale, è l’accaparramento di terre a favore di programmi di emissioni negative, per il sequestro e immagazzinamento di carbonio, un accaparramento di terre che servirebbe soltanto a punire le fasce di popolazione più deboli del mondo a causa dell’inazione dei governi e delle aziende.

Le implicazioni di tutto questo? Che tutte le nazioni devono mobilitarsi a favore di forti riduzioni delle emissioni. Più specificatamente, tutte le nazioni devono perlomeno dare il loro giusto contributo, e allo stesso tempo i paesi sviluppati e in via di sviluppo devono entrare in una nuova tappa di cooperazione globale, in modo tale che tutte le nazioni possano liberarsi dal carbonio velocemente e nel modo necessario. In un contesto del genere – l’unico contesto in cui è probabile attuare gli obiettivi di Parigi – non può esistere alcun conflitto tra ambizione e giustizia. Bensì l’opposto.

IN CHE MODO VA

REALIZZATA L’URGENTE AMBIZIONE PRE-2020

La COP22 a Marrakech è stata denominata come la “COP di Azione,” in cui gli impegni di Parigi devono essere tradotti in azioni nazionali e globali. In sostanza un lavoro di collaborazione tra tutte le nazioni per costruire un percorso credibile verso un mondo a 1,5 °C.

Per l’accordo globale: Nessun paese ha già iniziato il percorso verso gli 1,5°C. Questo fatto deve essere riconosciuto in toto e convertito in azione, per incrementare sia gli sforzi precedenti che quelli successivi al 2020. Tutti i paesi del mondo sono tenuti a fornire ognuno il proprio giusto contributo.

Gli Insegnamenti dell’Iniziativa Africana per l’

Energia Rinnovabile

L’Iniziativa Africana per l’Energia Rinnovabile (AREI, www.arei.org) ci dà un ottimo esempio degli sforzi tempestivi di cui abbiamo bisogno ovunque, e una chiara immagine del tipo di cooperazione che potrebbe portare ad uno sviluppo concreto, reale e a basso consumo di carbonio, proprio dove ce n’è più bisogno. L’AREI promette nell’immediato la produzione di 10 GW di rinnovabili nuove e aggiuntive, e di raggiungere i 300 GW entro il 2030.

Ciò si traduce nel doppio delle quote di installazione del periodo pre-2020, e come minimo nel raddoppio della capacità di generare energia per l’intero continente, esclusivamente per mezzo delle rinnovabili, entro il 2030. In meno di 15 anni un miliardo di persone potrebbero beneficiare per la prima volta dell’elettricità. Tuttavia, niente di tutto questo sarebbe possibile senza il giusto sostegno finanziario pubblico internazionale, che attualmente è di 10 miliardi di dollari pre 2020. Si tratta di un ottimo segno, dal momento che permette all’AREI di dimostrare in che modo i paesi in via di sviluppo sono in grado di pianificare e mettere in pratica soluzioni intelligenti, diffuse e a misura d’uomo basate sull’energia sostenibile, che permettono la creazione di lavoro e sostengano le economie locali.

Di seguito i punti fondamentali dell’azione.

1. L’AREI inizia con un’azione pre-2020 significativa, esplicitamente pianificata per attivare politiche e programmi più ampi e realmente innovativi.

2. L’AREI mostra in che modo i paesi in via di sviluppo possono, autonomamente, svolgere il pieno esercizio della mitigazione che deve avere luogo all’interno dei propri confini – includendo sia i loro “giusti contributi” sia l’ulteriore

“mitigazione internazionale” che deve essere intrapresa col sostegno dei paesi sviluppati.

3. L’AREI dimostra che i paesi in via di sviluppo, con un ruolo di leadership e con sforzi nazionali ambiziosi, possono agire nella misura necessaria se ricevono un sostegno reale da parte dei paesi ricchi. Essa dimostra, al contempo, l’importanza di un approccio di autentica cooperazione.

L’AREI dà un apporto concreto al dibattito sui finanziamenti climatici. Per portare l’ambizione al giusto grado, sono necessari livelli significativi di sostegno internazionale. Progetti una tantum, doppio conteggio dei sussidi esistenti ed un forzato ottimismo sulla leadership del settore privato non bastano. Per avere certezze, è sì indispensabile il capitale privato in ampia misura, ma occorrono centinaia di miliardi di dollari da investire per gestirlo sensatamente e per dare forza a pianificazioni pubbliche che possano assicurare che questo capitale venga speso a favore dello sviluppo sostenibile e a misura d’uomo.

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Nessuna contabilità creativa: Dobbiamo guardare in faccia la realtà. Non possiamo pretendere di guadagnare tempo con le cosiddette emissioni negative. Né possono esistere

“operazioni bancarie” sulla riduzione “extra” delle emissioni pre-2020, come se queste potessero essere considerate a ragione delle emissioni post-2020. Ogni singola molecola di CO2 si assomma al problema. Tutte le emissioni delle nazioni ricche e privilegiate si traducono in un aumento delle morti e nella distruzione dei mezzi di sostentamento dei poveri e dei vulnerabili nel mondo. La contabilità creativa non regolarizzerà il clima.

Nazioni e popolazioni benestanti: la transizione pre-2020 prevede che i ricchi ed i privilegiati assumano un ruolo guida nell’attuare interventi urgenti e potenziati per ridurre le proprie emissioni di carbonio oltre gli impegni attuali. Ciò significa una transizione molto veloce e completa verso le rinnovabili. Significa anche politiche di transizione a tutti i livelli, politiche che possono permettere agli abitanti benestanti del mondo di adottare quei cambiamenti normativi e di stili di vita relativi al consumo che sono ormai inevitabili.

Finanza Climatica: i paesi sviluppati devono consegnare la loro giusta quota di finanziamento climatico pubblico a sostegno delle necessarie trasformazioni in tutti i settori. Dal punto di vista della mitigazione, a tutte le nazioni deve essere data la possibilità di passare velocemente all’energia rinnovabile, attraverso l’uso delle finanze pubbliche sul clima, in particolare per ridurre i costi ed i rischi degli investimenti sulle energie rinnovabili. Dal punto di vista dell’adattamento, la necessità di risorse sarà enorme. Non dobbiamo mai dimenticarlo.

Paesi in via di sviluppo: i paesi in via di sviluppo possono e devono intraprendere la loro azione ambiziosa di riduzione delle emissioni, ma ciò richiederà cooperazione e sostegno da parte delle nazioni benestanti perché agiscano abbastanza velocemente. Essi devono, a seconda delle loro priorità e realtà, organizzarsi per attuare sia le loro quote eque di riduzione a livello nazionale, che la mitigazione

“internazionale” che le nazioni benestanti devono sostenere.

Ciò significa mirare ad un ambizioso avanzamento verso società a zero emissioni di carbonio, valutando il sostegno necessario e consapevoli che questi percorsi di cambiamento possono migliorare il benessere e fornire uno sviluppo sostenibile concreto.

Ciò si traduce sia in cambiamenti istituzionali che di mentalità nell’economia reale:

 Tutti i governi del G20 devono immediatamente tagliare tutti i tipi di sovvenzioni ai combustibili fossili.

 Tutte le forme di sussidio pubblico a favore dell’espansione della produzione di carbone devono essere gradualmente eliminate.

 Tutto il sostegno internazionale per lo sviluppo energetico attraverso canali bilaterali e multilaterali deve dare priorità al settimo Obiettivo dello Sviluppo Sostenibile, assicurare l’accesso ad un’energia affidabile, sostenibile, moderna e a prezzi convenienti per tutti.

 Tutti i paesi devono sviluppare programmi concreti per un cambiamento energetico giusto e sostenibile, che sia in linea sia con gli obiettivi di Parigi che con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Gli NDC devono perciò essere

rafforzati per sostenere tali programmi, identificando il sostegno necessario degli altri partner di sviluppo.

 Deve essere stabilita una collaborazione globale per l’energia rinnovabile al fine di scambiarsi buone pratiche, spronare una competizione sana e condividere tecnologie e soluzioni, oltre ad organizzare un programma di sostegno ambizioso e sufficientemente finanziato per i paesi in via di sviluppo.

 Sforzi di questo stesso tipo vanno introdotti in altri settori come il trasporto pubblico e le abitazioni, e va incoraggiato un passaggio a pratiche agro-ecologiche di coltivazioni resilienti, indipendenti dai combustibili fossili.

 Per spostare miliardi di miliardi verso investimenti in nuove infrastrutture, sia la finanza pubblica che la privata devono essere completamente trasparenti riguardo ai rischi a cui il cambiamento climatico ci espone, consentendo una valutazione di tutti gli investimenti in termini di impatto sul clima.

CONCLUSIONI

L’unica possibile conclusione è che dobbiamo agire urgentemente ed equamente.

Sappiamo che la crisi climatica mette in pericolo tutta la civiltà come gran parte del mondo naturale. Sappiamo come interfacciarci con la crisi, evitando il peggio e proteggendo i più vulnerabili. Solo le azioni precedenti il 2020 possono creare le condizioni per la necessaria mobilitazione post 2020.

Non ci sono più scuse per ritardare.

Ci sono sicuramente coalizioni di interessi capaci di bloccare i negoziati su molti fronti, che stanno creando non soltanto ritardi ma anche danni e confusione e rischi su larga scala.

Già gli impatti sono estremi, ed i rischi - per i vulnerabili, per le nostre economie, per la nostra sicurezza collettiva ed individuale - sono incalcolabili. In questo contesto non ci sono scuse per trascurare l’ovvia verità per cui l’iniquità rende possibili coalizioni conservatrici.

Abbiamo bisogno di azioni reali, che inizino all’interno dei paesi ma non restino ancorate nei confini nazionali. La crisi è globale, e solo una risposta globale può essere sufficiente.

Condividere visioni, partenariati internazionali, meccanismi di sostegno finanziario, condivisione di tecnologie - si tratta di azioni importanti quanto le azioni interne, tutte cruciali per una giusta transizione.

L’equità è essenziale, e non deve essere vista come un ostacolo per la mobilitazione. Nemmeno le sfide che pone l’equità saranno facilmente soddisfatte. La valutazione dell’equità, per esempio, può solamente essere compresa in termini di fasi di sviluppo, e gli Stati nazionali non sembrano ancora in grado di negoziare un intesa a proposito di queste fasi. Si tratta di una sfida che dobbiamo cogliere perché è essenziale affinché funzioni un concreto e ambizioso meccanismo di riduzione delle emissioni.

Fortunatamente, adesso abbiamo almeno una visione comune.

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile, in particolare, annunciano un ampio consenso su un futuro senza povertà, in

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pagina 10

cui l’economia e l’ambiente fioriscono insieme. Questa visione, ahimè, rimarrà solamente un sogno senza il proseguimento dell’Accordo di Parigi, e questo dipenderà da cosa sarà deciso prima del 2020, non dopo.

Gli impegni devono essere rafforzati, adesso.

Più degli impegni, abbiamo bisogno di azioni, senza cui gli obiettivi di Parigi sulla temperatura svaniranno davanti ai nostri occhi. Per questo la società civile deve chiedere ulteriori sforzi sulla finanza e nel prendere sul serio la valutazione d’equità. Per questo invitiamo i Governi ad assicurare che il dialogo facilitato del 2018 non sia solo una vuota pantomima, ma un momento di verità, per mezzo del quale guardare e preparare il Bilancio Globale sull’impatto delle azioni di mitigazione previsto per il 2023, che include l’attuazione del principio dell’equità.

Abbiamo solo due anni per realizzarlo.

APPENDICE ONLINE

Un'appendice online è disponibile all'indirizzo https:

https://climateequityreference.org/cop22-review/appendix

 Essa contiene una descrizione della metodologia utilizzata per la stima degli impegni finanziari 2020.

Si fa riferimento a ricerche Oxfam e OCSE, così come a informazioni tratte dalla Roadmap per i 100 miliardi di dollari in finanza climatica, ed include

una tabella completa delle equivalenze di contributi per gli impegni di finanziamento 2020, come stimato da questa metodologia.

 L'appendice contiene gli Indici di Responsabilità e Capacità 2020 (Responsibility and Capability Indexes, RCIs) per tutti i Paesi, calcolati per il percorso a 1.5 °C e 2°C, e fa riferimento anche ad altre impostazioni di calcolo dell'equità, come quelle usate in questa relazione, nonché a ulteriori casi di

"pura" responsabilità e capacità, per servire come analisi di sensibilità e consentire diverse esplorazioni nella dimensione dell'equità.

 Infine, essa evidenzia le implicazioni che il lato della produzione, piuttosto che quello del consumo, avrebbe sui nostri risultati. Questo per due motivi: 1) il lato del consumo è importante nel dibattito sull'equità e 2) questo mette in evidenza la flessibilità dell'approccio sull' equità utilizzato in questa indagine.

NOTE

1Differential climate impacts for policy-relevant limits to global warming: the case of 1.5°C and 2°C, Schleussner et al., 2016. http://www.earth-systdynam.net/7/327/2016/

2 Aggregate effect of the intended nationally determined contributions: an update. Report di sintesi del Segretariato.

Documento FCCC/CP/2016/2. Il restante budget disponibile per stare sotto i 2°C (con il 66% di probabilità) si esaurirebbe nell’arco di pochi anni entro il 2030

3 Vedi Oil Change International, The sky’s limit: Why The Paris Climate Goals Require a Managed Decline of Fossil Fuel Production, Settembre 2016

4 Fair shares: A Civil Society equity Review of INDCs, Novembre 2015, http://civilsocietyreview.org/report

5 La stima di 3.5°C è stata prodotta da Climate Interactive con l’assunzione di "nessuna ulteriore azione dopo la fine del periodo di impegno del Paese". Vedi https://www.climateinteractive.org/programs/scoreboard/. La stima più bassa, spesso citata, di 2,7°C è stata fatta da Climate Analytics, e, in modo critico, dipende da ulteriori ipotesi - che il primo round degli NDCs sia pienamente implementato e che questi impegni siano seguiti da “un livello continuato e comparabile di sforzi per il resto del

secolo." (Vedi

http://climateactiontracker.org/assets/publications/CAT_globa l_temperature_update_October_2015.pdf.)

6 Ad esempio, "Abbiamo visto che negli scenari di 1,5°C le trasformazioni dei sistemi energetici sono in molti aspetti simili agli scenari consistenti con 2°C, ma mostrano un aumento più veloce di azioni di mitigazione in molti settori, con conseguenti differenze osservabili in riduzione delle emissioni nel 2030 e nel 2050. Rogelj, Joeri. et al. (2015).

Energy System Transformations for Limiting End-Of-Century Warming to Below 1.5°C, Nature Climate Change, 5(6), pp.

519–527.

7 https://climateequityreference.org/

8 Adaptation GAP Report del 2014,

http://web.unep.org/adaptationgapreport/2014

9 Adaptation Gap Report 2016,

http://web.unep.org/adaptationgapreport/2016

10 Vedi Oxfam, 2016.Unifished Business: How to close the post Paris adaptation finance gap,

www.oxfam.org/en/research/unfinished-business

11 Questo benchmark 2020 di 40 GtCO2eq corrisponde al

"Percorso 1,5°C" tratto dal database dello scenario IPCC e

presentato da Climate Action Tracker

(http://climateactiontracker.org/global.html). Oltre il 2020, tuttavia, sosteniamo un percorso di mitigazione che riflette un più alto livello di riduzione delle emissioni, sia per migliorare questa possibilità di mantenere il surriscaldamento al di sotto di 1,5°C (il citato Percorso 1,5°C ha solo una probabilità del 50% di limitare il riscaldamento a 1,5°C nel 2100), sia per

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evitare una pesante dipendenza dalle emissioni negative. Si noti inoltre che un benchmark delle emissioni 2020 di 40 GtCO2eq è più ambizioso dell’ "azione ritardata" dei percorsi a 1,5°C e 2°C utilizzata in vari studi recenti (ad esempio, l’Emission Gap Report dell’UNEP, 2015), in cui la riduzione delle emissioni nel 2020 è limitata agli impegni di mitigazione di Cancun. Per ulteriori dettagli, vedere A Civil Society Equity Review of INDCs,2015.

12 Sempre più spesso, gli scienziati stanno puntando l'attenzione sulle assunzioni prodotte in molti degli scenari di mitigazione secondo cui le tecnologie ad emissione negative (come la bioenergia con CCS: Carbon Capture and Sequestration) saranno disponibili in abbondanza in futuro (per una recente critica, per esempio, vedere Anderson e Peters, 2016). In poche parole, è estremamente rischioso fare affidamento sulla futura distribuzione su larga scala delle emissioni negative senza che si possa essere sicuri sul fatto che le opzioni assunte si riveleranno tecnicamente fattibili, impiegabili su scala desiderata in modo ecologicamente e socialmente accettabile, e in grado di riuscire davvero a neutralizzare gli effetti delle emissioni precedenti. Vedere Kartha e Dooley, The risks of relying on tomorrow’s negative emissions’ to guide today’s mitigation action, Working paper SEI No 2016-08. Per informare utilmente la politica oggi, i modelli di mitigazione dovrebbero per lo meno essere pienamente trasparenti nelle loro ipotesi di emissioni negative, riportando esattamente quante emissioni negative stanno supponendo, quando, e in base a quali tecnologie.

Questo almeno rende possibile per altri ricercatori valutare le loro ipotesi sociali e ambientali.

13 Vedere per esempio Pre-Paris A Civil Society Equity Review of INDCs o Brief Estimating international mitigation finance needs 2014 dello Stockholm Environment Institute’

14 IEA (International Energy Agency) (2014). World Energy Investment Outlook. Special Report. Pubblicazione OCSE, Parigi

https://www.iea.org/publications/freepublications/publication/

WEIO2014.pdf, pagina 44.

15 Gli autori dello studio (Rogelj, Joeri et. Al., Op. Cit, pp.

519-527) affermano che i costi del percorso verso 1,5°C sono in una gamma di 2.2 - 3.7 volte superiori a quello di un medio scenario di 2°C come quello dell’IEA. Tuttavia, questo intervallo si riferisce alla proporzione del costo di mitigazione cumulato dal 2010 al 2100. Abbiamo prudentemente preso l'estremità inferiore di questo intervallo come proporzione dei costi per il breve periodo, com’è ragionevole assumere che i costi di mitigazione aumentino più velocemente per i percorsi più ambiziosi.

16 Il modo migliore per esplorare l'intera gamma di possibilità e valutarne le implicazioni in termini di quote eque, è quello di provare il Climate Equity Reference Calculator , https://calculator.climateequityreference.org/

17 Questo divario di mitigazione è definito rispetto ad un percorso globale di emissioni in assenza di ulteriori interventi.

I sistemi di condivisione degli sforzi, a differenza di quelli di condivisione delle risorse che prevedono la spartizione di un budget fisso di emissioni, richiedono delle emissioni baseline (ossia quelle emissioni che si avrebbero in assenza di un progetto di abbattimento), perché uno "sforzo" deve essere misurato nei confronti di un percorso che riflette "nessuno sforzo" o "nessuna politica”. In questo rapporto, i calcoli si

basano su una serie baseline “non-sforzo” che, a loro volta, si affidano il più possibile sulle già esistenti, ampiamente note e ben controllate proiezioni nazionali per tutti gli indicatori chiave (ad esempio proiezioni della popolazione, proiezioni del PIL , proiezioni di intensità di carbonio) aggiornati per la storia recente. Per saperne di più su tutto questo, vedere Definition, sourcing and updating of the emissions baselines.

18 Progressivo è qui utilizzato nello stesso modo come, ad esempio, sono progressivi i sistemi di tassazione del reddito in molti paesi: con esenzioni per i più poveri ed aliquote fiscali progressivamente più alte man mano che i redditi diventano più elevati. Allo stesso modo, i benchmark più progressivi in questo rapporto presuppongono che gli individui più ricchi siano in grado di contribuire con più capacità per affrontare la sfida climatica.

20 Come possiamo ricavare questi dati? Qui, in estrema sintesi, la metodologia generale (per maggiori dettagli sulla metodologia e sui dati paese per paese, vedere https://climateequityreference.org/cop22-review/finance):

1. Supponiamo che il Paese immaginario di Northeros impegni un totale di 5 miliardi di dollari in finanziamenti per il clima nel 2020. Usiamo la divisione storica tra adattamento e mitigazione (utilizzando l'analisi di Oxfam in Unfinished Business, op. Cit.) e, utilizzando i dati OCSE per i flussi bilaterali di finanza climatica nel 2013 e 2014, estraiamo la somma dedicata alla mitigazione nel 2020, ossia 2 miliardi di dollari.

2. Poi supponiamo un ottimistico coefficiente di leva finanziaria di 1:3. In altre parole, si assume che i 2 miliardi in finanza per la mitigazione faranno leva per un supplemento di 6 miliardi di dollari per una nuova o reindirizzata finanza per la mitigazione. Così, Northeros, mobilita un totale di 8 miliardi di dollari.

3. Poi prendiamo la stima dell'IEA per cui, per il 2020 e secondo lo scenario 450 ppm, sono necessari 790 miliardi di dollari di investimenti in energie rinnovabili ed efficienza energetica. (Si tratta di uno scenario per 2°C molto debole ma ha il pregio di essere stato accuratamente valutato dalla IEA.) La quantità della mitigazione per il 2020 del settore energetico ammonta a 4.3Gt CO2.

4. Questi dati possono poi essere utilizzati per stimare gli sforzi aggiuntivi che possono essere assimilati al totale degli 8 miliardi mobilitati da Northeros Poiché 8 miliardi è circa l'1% di 790 miliardi, si stima che il contributo finanziario di Northeros rappresenta l'1% di 4.3 Gt.

21 Vedi nota numero 2.

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