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CCaappiittoolloo II

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Academic year: 2021

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Connettività cerebrale

I.1 Introduzione e definizioni

Negli studi dei processi cognitivi, attraverso i quali l’uomo acquisisce “dati“ dall’ambiente esterno e li elabora, il cervello riveste evidentemente un ruolo cruciale.

A partire dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso si è affermato uno schema interpretativo dei meccanismi cognitivi che guarda al cervello da un punto di vista computazionale, come un insieme di molte reti, ciascuna delle quali costituita da un certo numero di unità (i nodi) che interagiscono fra loro per elaborare uno o più flussi di informazione (anche in parallelo) [1]. Ciascuno dei nodi (i neuroni) ha una propria dinamica e, se riceve in ingresso uno stimolo, che può essere eccitatorio o inibitorio, a propria volta risponde a chi lo ha inviato ed eccita o inibisce chi gli è collegato.

Questo tipo di modello ha influenzato profondamente le indagini del cervello che, negli ultimi cento anni, possono dirsi caratterizzate da una sorta di dicotomia: da un lato quelle di coloro che potremmo chiamare i “neuroanatomisti” e dall’altro quelle

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diverse popolazioni di neuroni e a stabilirne fino ai più intimi legami anatomici in modo da evidenziare dei veri e propri circuiti neuronali; i secondi che invece fondano i propri studi sulla possibilità di registrare l’attività di un singolo neurone o di un loro insieme omogeneo, isolandone una specifica funzione.

I primi studi funzionali sul cervello hanno utilizzato come dati quelli elettrofisiologici (EEG e MEG) e poi, a partire dagli anni ’90, le bioimmagini ricostruite con PET ed fMRI, basate rispettivamente su risposte metaboliche ed emodinamiche.

Inizialmente l’indagine mirava all’individuazione di regioni funzionali specializzate ed ha riguardato soprattutto quell’aspetto che comunemente viene definito

segregazione funzionale delle aree cerebrali. Tuttavia, specialmente nelle ultime due

decadi, un sempre maggior numero di neuroscienziati ha cercato di stabilire come gruppi di neuroni, anatomicamente collegati fra di loro e caratterizzati dallo svolgimento di funzioni specifiche e diverse, si integrino secondo una certa architettura organizzativa: la così detta integrazione funzionale. Questi sono due aspetti che coesistono e si integrano all’interno delle funzionalità cerebrali; da un lato c’è la specializzazione delle aree cerebrali nello svolgimento di particolari funzioni specifiche, dall’altro ci sono una integrazione e una comunicazione molto spinte delle diverse regioni che vanno a formare dei veri e propri modelli di connettività.

Su questo aspetto i ricercatori fanno una distinzione sostanziale tra modelli di connettività indicando tre classi: connettività anatomica, connettività effettiva e

connettività funzionale [2]. Questa distinzione è dovuta in parte alle tecniche di indagine su cui si basano i diversi tipi di ricerca ed in parte ai modelli matematici ed alle metodologie con cui vengono trattati i dati acquisiti, che ne colgono aspetti ed interpretazioni differenti associabili all’uno o all’altro tipo di connettività.

La connettività anatomica è determinata dalle connessioni anatomiche che esistono fra neuroni e fra loro popolazioni, e una sua qualche conoscenza risulta condizione necessaria per uno studio fruttuoso delle altre due tipologie.

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Per queste ultime le definizioni più largamente adottate sono quelle fornite da Karl Friston nel 1993 [3]: la connettività funzionale è la correlazione temporale fra due eventi neurofisiologici spazialmente distanti; mentre la connettività effettiva è riportata come l’influenza che un sistema neuronale esercita, direttamente o no, su un altro (figura 1.1).

In sostanza uno studio di connettività funzionale consiste nel testare con metodi statistici l’ipotesi nulla che due regioni della corteccia cerebrale svolgano attività statisticamente incorrelate o, addirittura, indipendenti: si tratta di capire “cosa” fa il cervello in risposta ad una stimolazione più o meno complessa a livello sensoriale, motorio o cognitivo, cioè misurare quali aree funzionalmente specializzate si attivino contestualmente e in maniera coordinata per contribuire all’ottenimento

Architettura Funzionale del Cervello

Segregazione Funzionale :

Analisi univariata delle attivazioni regionali specifiche

Integrazione Funzionale :

Analisi multivariata dell’interazione regionale

Connettività Effettiva “L’influenza che un sistema neurale esercita sugli altri” Connettività Funzionale

“La correlazione temporale tra eventi neurofisiologici spazialmente separati”

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Se, una volta individuate le specializzazioni funzionali di un certo numero di regioni, si intende indagarne l’eventuale coordinamento ed organizzazione allora si appronta uno studio di connettività effettiva mirato a capire “come” il cervello, attraverso quel circuito di aree funzionalmente specializzate ma coordinate, porta a termine il risultato della comunicazione fra tutte quelle zone funzionali. Ad esempio la funzione sensoriale visiva e quella cognitiva semantica hanno ciascuna attribuzioni funzionali specifiche e sedi anatomiche distinte ma, per lo svolgimento di un compito come quello di comprensione di una qualunque frase scritta, esse devono integrarsi e comunicare fra loro.

Ebbene sia la connettività effettiva che quella funzionale si collocano proprio in una prospettiva di integrazione funzionale; la prima cerca di comprendere come comunichino ed interagiscano fra loro un certo numero di regioni specializzate, tra le quali si assume l’esistenza di connessioni anatomiche, al fine dell’assolvimento di un compito complesso che le vede tutte attivate; la seconda indica invece quali aree siano attivate in quanto concorrono alla macrorisposta cerebrale.

I.2 Considerazioni metodologiche generali

I metodi utilizzati per lo studio dei tre tipi di connettività sono allora ben differenti: ciò è lampante per quanto concerne la connettività anatomica, per la quale si sfruttano studi in vivo sui primati e più recentemente anche sull’uomo grazie alla diffusione della tecnica non invasiva di neuroimaging denominata DTI (Diffusion Tensor Imaging) che, sebbene non raggiunga la risoluzione per individuare connessioni fra singoli neuroni a livello sinaptico e la loro direzione, fornisce in ogni caso risultati “macroscopici” sufficienti per definire lo “spazio di connettività”. Questo rappresenta l’insieme dei vincoli bioanatomici su cui basare teorie e modelli

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per l’analisi di neuroimmagini funzionali e quindi anche i modelli teorici di connettività effettiva fra aree che condividono uno stesso circuito.

Infatti uno studio di connettività effettiva non può prescindere da ipotesi fondate circa la presenza di vincoli anatomici fra le regioni “effettivamente” connesse. A tale proposito le ricerche di connettività funzionale sono classificate “model free” perché caratterizzate attraverso una analisi puramente statistica delle correlazioni presenti nei dati, mentre la connettività effettiva è studiata in modo “hypothesis driven”, cioè a partire da uno o più modelli ipotetici di connessione (causali o meno) fra le diverse aree che formano un circuito.

Anche se tipi di dati diversi presuppongono approcci differenti, in cui le stesse definizioni sopra enunciate possono assumere significati e sfumature da tenere in debita considerazione, negli ultimi anni si sono delineati una serie di punti fermi. Il primo riguarda la necessità di combinare informazioni anatomiche e di carattere funzionale per avere uno strumento completo e soprattutto efficace nella postulazione di modelli che illustrino come certe aree funzionalmente specializzate comunichino fra loro. In questa direzione il primo passo da muovere è quello di individuare uno spazio di connettività, tenendo conto del fatto che seppure due regioni funzionalmente connesse non sono per forza anche anatomicamente connesse, la caratterizzazione anatomica e quella funzionale spesso assumono contorni piuttosto sfumati: difatti una efficace descrizione di collegamenti anatomici diretti fra due neuroni o due loro gruppi non dovrebbe prescindere dall’individuare il tipo di recettori coinvolti, il tipo di sinapsi e di neurotrasmettitori e il rapporto tra connessioni inibitorie ed eccitatorie. E’ soltanto così che si connota completamente uno spazio di connettività.

Nell’uomo il problema dello studio della connettività anatomica (e perciò effettiva) è abbastanza rilevante a causa della impossibilità di isolare in vivo connessioni cerebrali a livello microscopico, possedendo sostanzialmente come unico strumento il DTI. L’alternativa è quella di riferirsi a studi omologhi sugli animali, in particolare i primati, che tuttavia per certi circuiti e funzioni differiscono dall’uomo sia a livello

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quantitativo che qualitativo (ad esempio dimensionalmente le aree dell’olfatto nell’essere umano sono piccole frazioni di quelle negli animali).

Una ulteriore questione centrale è quella relativa alla inferenza di connettività effettiva a partire da evidenze di connettività funzionale: Ed Bullmore propone due metodi di inferenza, la precedenza temporale e la perturbazione del sistema, che sono anche utili per evidenziare le differenze fra i due tipi di connettività (anche da un punto di vista operativo). Nel primo caso si deduce la presenza di una relazione di causa-effetto fra due regioni neuronali A e B per il semplice fatto che l’attivazione in A è collocata temporalmente prima di quella in B: questa affermazione va presa con estrema cautela in ogni caso, ed è manifestamente inadatta per i dati fMRI nei quali si riscontrano latenze tra attività sinaptiche (quindi a livello neurale) ed emodinamiche (che sono le risposte misurate). In effetti la risposta delle aree neurali microscopiche è significativamente più rapida di quella emodinamica legata al livello di ossigeno richiesto dalla loro attività e quindi il segnale misurato dalla fMRI potrebbe mostrare delle inversioni temporali rispetto all’ordine cronologico effettivo degli eventi neurofisiologici verificatisi.

La perturbazione del sistema invece si fonda sulla visione del cervello come un sistema dinamico, in cui lo/gli stimoli sperimentali sono lo/gli ingressi che perturbano il sistema, e le attività misurate ne sono le risposte (che possono essere di varia natura: elettromagnetiche, metaboliche od emodinamiche). I vantaggi di questa tecnica di deduzione della connettività effettiva sono essenzialmente due: essendo l’esperimento sotto il diretto ed esplicito controllo del ricercatore la perturbazione può essere precisamente collocata sia nello spazio che nel tempo; in più si possono stimolare selettivamente certe aree, valutando gli effetti su altre zone non direttamente attivate, che quindi possiamo scoprire interagenti con quelle perturbate dall’esterno.

Concludiamo evidenziando che non deve essere ritenuta secondaria la natura dei dati a partire dai quali si costruisce uno studio di connettività effettiva; infatti, innanzitutto, mentre la risoluzione temporale delle misure elettrofisiologiche è elevata (dell’ordine delle decine di ms), PET e soprattutto fMRI (che non sono

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altrettanto risolte nel tempo) presentano risoluzioni spaziali ben migliori (2-5 mm la risonanza funzionale) per cui ciò che si vuole ricavarne ed i modi utilizzati per farlo non potranno non tenerne conto. Ancora, andrà ben chiarita qual è la scala della misura perché fMRI e PET certamente daranno origine alla osservazione di attività su larga scala, cioè l’unità di volume selezionata dalla misura è ben maggiore del livello del singolo neurone; invece misure a livello microscopico saranno possibili ricorrendo alla registrazione di attivazioni neuronali estremamente localizzate con microelettrodi: si dovrà allora sempre rendere ben manifesta la relazione esistente fra substrato neurale e attività macroscopica osservata, o almeno distinguere nettamente i due piani. Chiaramente grande cautela dovrà di conseguenza essere mantenuta nel confrontare i risultati ottenuti a partire da dati funzionali ricavati con tecniche diverse, ed anche per lo stesso tipo di dati potranno essere adottate metodologie analitiche che seguono criteri differenti sia nell’organizzazione dei dati a disposizione sia negli schemi matematico-statistici selezionati per elaborarli ed anche nel tipo di elaborazione applicata (fra soggetti diversi per uno stesso stimolo, per uno stesso soggetto fra condizioni di stimolo diverse, etc. ).

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