• Non ci sono risultati.

2. INQUADRAMENTO DELL’AREA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "2. INQUADRAMENTO DELL’AREA"

Copied!
23
0
0

Testo completo

(1)

5

2. INQUADRAMENTO DELL’AREA

2.1 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO

L’area, oggetto di studio di questa tesi, si sviluppa all’interno dal bacino del Fiume Serchio (fig. 1), vasta regione della Toscana Nord Occidentale, compresa tra l’Appennino settentrionale (Tosco-Emiliano) a NE e le Alpi Apuane a SW. La porzione di territorio in esame comprende Alta, Media e Bassa Valle del Serchio e alcune porzioni interne dell’area versiliese (Camaiore e Massarosa).

Fig. 1: Bacino del fiume Serchio.

(2)

6

Il fiume Serchio nasce da un ramo appenninico e uno apuano, si estende per 103 Km all’interno di un’ampia depressione tettonica in direzione NE-SW e sfocia nel Mar Ligure nei pressi di Migliarino.

La particolare posizione del bacino, allungato rispetto al mare in direzione NW-SE, e le caratteristiche orografiche e geografiche della zona fanno si che l’area sia una delle più piovose d’Italia, con piogge che, sui rilievi apuani, possono essere particolarmente intense e/o prolungate e possono raggiungere e superare i 4.000 mm annui (D’amato Avanzi et al., 2000). Tale situazione, in aggiunta alle caratteristiche geomorfologiche del territorio, rende il bacino del Serchio una delle aree a maggior pericolosità idrogeologica della Toscana.

Questo territorio, inoltre, risulta a tutt’oggi soggetto ad un parziale regime tettonico distensivo (Nardi, 1981; http://www.severa.it/geolog.asp): il bacino di Castelnuovo sembra infatti presentare numerosi indizi di neotettonica attualmente in fase di studio (Nardi et al., 1987b). I fianchi della vallata hanno una morfologia a gradini di faglia e i versanti corrispondono a superfici di scivolamento (Nardi, 1981); un sistema di faglie appenniniche, fra loro parallele, immergenti verso est e un secondo sistema avente stessa direzione del precedente, ma con faglie immergenti verso occidente, sul lato orientale della depressione (Dallan, et al., 1991), danno luogo ad una struttura che viene descritta come un Graben (Nardi, 1961) (Fig. 2).

(3)

7

Geomorfologicamente le dorsali appenniniche sono caratterizzate da profili più dolci e graduali, mentre quelle Apuane sono più accentuate con rilievi aspri scarsamente coperti da vegetazione. I due sistemi confluiscono alla testata della valle nell’area del Monte Argegna e del Passo dei Carpinelli dando origine ad una sella che separa la Garfagnana dalla Lunigiana (http://www.cm-garfagnana.lu.it:8081/CMG/home.jsp).

In queste aree, poste tra la culminazione tettonica delle Apuane ad ovest e l’Appennino Tosco-Emiliano ad est, affiorano due complessi tettonici sovrapposti. Il più profondo è costituito dalla Successione Toscana non metamorfica (Falda toscana, autoctono), su cui poggiano le unità Liguri. Al di sopra si trovano depositi fluvio-lacustri plio-quaternari e sopra ancora poggiano i sedimenti alluvionali appartenenti a due cicli fluviali distinti attribuibili al Pleistocene medio-superiore e all’Olocene (Nardi et al., 1987a; Nardi et al., 1987b; 2000).

Dai dati dell’Autorità di Bacino Pilota del Fiume Serchio (2000-2007) risulta che il bacino del Serchio ha una superficie totale di 1.565 Km2, la superficie del bacino imbrifero è di 1.408 Km2, l’altezza media annua di pioggia è di 1.946 mm (Tab. 1).

SUPERFICIE TOTALE BACINO 1.565 (Km²)

SUPERFICIE DEL BACINO IMBRIFERO 1.408 (Km²)

ALTEZZA MEDIA ANNUA DI PIOGGIA 1.946 mm

COEFFICENTE MEDIO ANNUO DI DEFLUSSO 0,70

QUOTA MEDIA BACINO 717 m s.l.m.

PORTATA MASSIMA DEL SERCHIO A LUCCA (9.11.1982) 2.200m³/sec

PORTATA MEDIA 46 m³/sec

PORTATA MINIMA 6,50 m³/sec

PORTATA MINIMA STORICA 4 m³/sec

COMUNI RICADENTI NEL BACINO 36

POPOLAZIONE (ISTAT 1991) 270.000 ab.

Tab. 1: Caratteristiche del bacino del fiume Serchio.

(da http://www.serchio-autoritadibacino.it/territorio/caratteristiche_bacino_serchio).

I comuni facenti parte, totalmente o parzialmente, del bacino del Serchio sono elencati in Tab. 2:

(4)

8 COMUNE PROV. ABETONE PT p BAGNI DI LUCCA LU t BARGA LU t BORGO A MOZZANO LU t CAMAIORE LU p CAMPORGIANO LU t CAPANNORI LU p CAREGGINE LU t CASTELNUOVO DI GARFAGNANA LU t CASTIGLIONE DI GARFAGNANA LU t COREGLIA ANTELMINELLI LU t CUTIGLIANO PT t FABBRICHE DI VALLICO LU t FOSCIANDORA LU t GALLICANO LU t GIUNCUGNANO LU t LUCCA LU t MARLIANA PT p MASSAROSA LU t MINUCCIANO LU p MOLAZZANA LU t PESCIA PT p PESCAGLIA LU t PIAZZA AL SERCHIO LU t PIEVE FOSCIANA LU t PISA PI p PITEGLIO PT p

SAN GIULIANO TERME PI p

SAN MARCELLO PISTOIESE PT p

SAN ROMANO IN GARFAGNANA LU t

SERAVEZZA LU p SILLANO LU t STAZZEMA LU p VAGLI DI SOTTO LU t VECCHIANO PI t VERGEMOLI LU t VIAREGGIO LU t VILLA BASILICA LU p VILLA COLLEMANDINA LU t

Tab. 2: Elenco dei comuni da totalmente (t) a parzialmente (p) ricadenti nel bacino. (da http://www.serchio-autoritadibacino.it/territorio/comuni_bacino_serchio).

L’Alta Valle del Serchio comprende i comuni della Garfagnana propriamente detta, si estende nella zona più a Nord della Provincia di Lucca dal Valico di Carpinelli a Ponte di Campia al confine con le Province di Massa-Carrara a SW, con la Lunigiana a NW e con Reggio Emilia e Modena a NE e comprende i comuni di Campoggiano, Careggine, Castelnuovo di Garfagnana, Castiglione di Garfagnana, Fosciandora, Gallicano, Minucciano, Molazzana, Piazza al Serchio, Pieve Fosciana, San Romano in Garfagnana, Sillano, Vagli, Vergemoli e Villa Collemandina. La Media Valle del Serchio si estende da Ponte di Campia a Borgo a Mozzano e comprende i comuni di Bagni di Lucca, Barga, Borgo a Mozzano, Coreglia Antelminelli, Fabbriche di Vallico e Pescaglia.

La Bassa Valle del Serchio comprende la Piana di Lucca, Villa Basilica, località quali la Brancoleria, e termina a Borgo a Mozzano.

(5)

9

Fig. 3: Suddivisione del territorio del bacino del Serchio nelle tre aree che rappresentano la Alta Valle del Serchio o Garfagnana (Riquadro in rosso), Media Valle del Serchio (riquadro verde) e Bassa Valle del Serchio (riquadro azzurro). (da Touring club italiano, 1997. Modificata).

(6)

10

L’area oggetto di studio si inquadra nelle seguenti sezioni cartografiche:

- Carta Geologica Regionale (Regione Toscana), scala 1:10.000: 234150, 234160, 235130, 249040, 249080, 250010, 250020, 250050, 250060, 250070,

250090, 250100, 250110, 250130, 250140, 250150, 250160, 260080, 261020, 261030, 261060, 261070, 261080, 261090;

- Carta della franosità del Bacino del Fiume Serchio, scala 1: 10.000 (Carte tecniche della Regione Toscana 1:5.000 ridotte fotomeccanicamente a 1:10.000) tavole: 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9,10, 11, 12;

- Carta della Franosità Piano di Bacino Stralcio (Fiume Serchio), scala 1:10.000, tavola: 2.13bis.

2.2 INQUADRAMENTO GEOLOGICO

L’area presa in esame nell’ambito di questa tesi si inserisce all’interno del quadro evolutivo dell’Appennino settentrionale che, a sua volta, costituisce una porzione della più ampia catena Appenninica. Per una miglior comprensione delle caratteristiche geologiche di tale zona, quindi, è importante collocarla all’interno del quadro evolutivo dell’Appennino stesso.

2.2.1 Formazione dell’Appennino

L’attuale struttura geologica dell’Italia deriva essenzialmente dall’orogenesi alpino-himalaiana. Si tratta di un complesso di deformazioni ed accavallamenti di formazioni rocciose che prende inizio nel Cretaceo (circa 15 milioni di anni fa). L’orogenesi alpina è frutto della collisione della zolla africana con quella europea che ha provocato la compressione del materiale roccioso che costituiva il fondale del bacino oceanico “ligure-piemontese” nel quale si erano accumulati grandi

(7)

11

quantità di sedimenti. I materiali presenti nel bacino si accavallarono in enormi falde di ricoprimento vergenti verso Nord e il margine settentrionale del continente africano scivolò su quello europeo. In questo modo si formarono le due principali catene montuose italiane: le Alpi ad Est e gli Appennini ad Ovest.

Gli Appennini al momento, della loro formazione, si trovavano in una posizione diversa dall’attuale, erano disposti, infatti, sul prolungamento delle Alpi e collegavano le Alpi stesse con le catene della Spagna meridionale. Subito dopo la loro formazione gli Appennini subirono una imponente rotazione in senso antiorario, con perno nel golfo ligure (Fig. 4), ma essendo la migrazione della catena appenninica più veloce di quella del blocco sardo-corso, tra i due tratti di terra si aprì una frattura che ha dato origine al Mar Tirreno.

Fig. 4: Evoluzione dell’orogenesi alpina e appenninica. A) 1-Principali assi delle pieghe, 2-Vergenze, 3-Direzione e senso di rotazione del blocco sardo-corso e dei sovrascorrimenti alpini, 4-Mare, 5-Terra; B) Situazione dopo lo stiramento eocenico; C) Fase tortoniana; D) Situazione attuale dopo la distensione messiniana (da Elter e Giglia, 1976).

A B C D 1 2 4 3 5

(8)

12

Le unità tettoniche implicate nella formazione dell’Appennino appartengono a due domini: uno esterno umbro-toscano ed uno interno ligure.

1 - Dominio Tosco-Umbro: gli elementi facenti parte di tale dominio provengono dalla mobilitazione tettonica del margine dell’avanpaese africano e hanno partecipato solo alle fasi tardive a vergenza africana. Questo dominio contiene un basamento continentale antico, la cui parte più significativa affiora solamente in Toscana, sul quale appoggia una copertura sedimentaria fortemente deformata che inizia nel Trias (225 Ma) e termina nel Terziario (25 Ma).

2 - Dominio Ligure: questo dominio ha caratteristiche oceaniche e, prima di sovrascorrere sul precedente, è stato in gran parte implicato nella tettonica a vergenza europea delle Alpi. È composto da un complesso di unità tettoniche sovrapposte meccanicamente agli elementi toscani e umbri ed, è costituito da successioni litologiche scollatesi dal loro substrato originario. Solo occasionalmente sono trascinate porzioni rocciose strappate al basamento e conosciute come ofioliti (litologia di rocce magmatiche che comprende serpentiniti, gabbri e basalti) (Elter, 1985).

2.2.2 Formazione dell’Appennino Settentrionale

L’Appennino settentrionale è limitato a Nord-Ovest dal bacino terziario piemontese e dalla linea Sestri-Voltaggio (struttura trascorrente sigillata dal bacino terziario-piemontese durante l’Eocene superiore) e a Sud dalla linea Ancona-Anzio (rampa obliqua che porta l’Appennino settentrionale ad accavallarsi alle strutture dell’Appennino centrale) (Elter et al., 1975; Dallan Nardi e Nardi, 1974).

L’Appennino settentrionale è formato da una catena a falde di ricoprimento ed ha una storia evolutiva complessa che si è sviluppata in fasi successive (Elter, 1960,

(9)

13

1973, 1985; Dallan Nardi e Nardi, 1974; 1979; Boccaletti et al. 1980; 1987): nel Trias inferiore si manifestano i primi sintomi di distensione della crosta continentale, e si viene a formare un grande rift allungato in direzione NE-SW all’interno del quale entra il mare. Il processo di distensione continua fino al Cretaceo inferiore ed il rift si allarga e si approfondisce. Nel Giurassico superiore la crosta oceanica, per effetto della distensione, si lacera e si ha neoformazione di un’area oceanica allungata secondo l’asse del rift: si identificano così, per la prima volta, i margini continentali Europeo a NW e Africano a SE (Dewey et al., 1973; Giannelli e Principi, 1977; Beccaluva e Picadoro, 1978, Boccaletti, 1979; Abbate et

al., 1980).

Agli inizi del Cretaceo, l’area oceanica e l’eugeosinclinale alpino-appenninica raggiungono il massimo sviluppo. Subito dopo si innesca un processo di subduzione ed il bacino oceanico comincia a richiudersi. A questo punto ha inizio l’orogenesi che va acquistando il predominio nel processo evolutivo (Boccaletti et al., 1980). Tra il Cretaceo superiore e il Miocene superiore si ha una fase prevalentemente compressiva responsabile dell’impilamento e messa in posto delle unità tettoniche riferibili, da ovest verso est, al Dominio Ligure, Dominio Subligure e Dominio Toscano (Cancelli et al., 2002).

Dopo la collisione e la scomparsa della crosta oceanica, il margine continentale paleoappenninico viene coinvolto in un processo di subduzione sotto il blocco sardo-corso, ma lo scorrimento si arresta dopo poche decine di chilometri anche se il movimento generale non cessa. La litosfera sottostante si svincola e continua a scendere trascinando la crosta sialica che entra sotto il blocco precedentemente disceso e si blocca a sua volta, staccandosi dalla litosfera. Quindi il livello superficiale, continuamente spinto e periodicamente bloccato, subisce una forte

(10)

14

compressione e si accorcia formando una serie di cunei listrici a disposizione embricata (Fig. 5).

Fig. 5: Schema di subduzione ensialica. 1-Margine continentale normale; 2-Crosta oceanica; 3-Margine continentale assottigliato (a: copertura, b: zoccolo cristallino); 4-Mantello litosferico; 5-Granito sincinematico. A) La crosta continentale è trascinata in profondità, poi si arresta mentre il mantello litosferico continua il suo movimento. B) Dopo l’arresto la crosta continentale si rompe e un altro segmento viene trascinato in basso e si addossa al precedente. C) Il processo continua e si forma una crosta spessa che si svincola dal mantello litosferico (da Boccaletti et al., 1980).

In una terza fase (dall’Oligocene inferiore al superiore) la Zona di Massa viene subdotta alla Zona Austroalpina esterna e la Zona Apuana a quella di Massa. Si differenziano così due unità alloctone: l’Unità Austroalpina esterna e l’Unità di Massa. In questo modo si viene a formare, tra le due unità indeformate, una ruga tettonica che costituisce l’abbozzo della futura catena appenninica.

La fase successiva inizia e termina durante l’Oligocene superiore e corrisponde alla differenziazione dell’unità tettonica alloctona apuana e alla contemporanea messa in posto della Falda Toscana (tipica falda di ricoprimento). Questa fase è caratterizzata da una tettonica polifasata e presenta più generazioni di pieghe scistogene e sinmetamorfiche con fenomeni di trasposizione (Boccaletti e Gosso, 1980; Boccaletti et al., 1982; Carmignani e Giglia, 1984)

(11)

15

Fig. 6: Evoluzione tettonica del Bacino ligure e del margine paleoappenninico dal Cretaceo inferiore all’Oligocene superiore. Le fasi evolutive nelle sezioni sono descritte nel testo (da Boccaletti et al., 1980).

Durante la quinta fase (fine dell’Oligocene) la subduzione si sposta verso ovest e va ad interessare la fascia compresa tra il massiccio Sardo-Corso e la ruga paleoappenninica che subisce una deformazione ed un forte accorciamento (Fig. 6). A partire da questa fase assumono importanza sempre maggiore gli scivolamenti gravitativi che in alcune zone interrompono la sedimentazione del Macigno che continua, invece, più ad est, dando origine all’Arenaria del Cervarola (Boccaletti e Coli, 1983).

Dal Miocene superiore al Pliocene inferiore si verificano fasi tettoniche estensionali, da Ovest verso Est, simili a quelle che avevano caratterizzato le fasi del Trias, Giurassico ed inizio del Cetaceo, e che originano horst e graben determinando la formazione di depressioni tettoniche quali la Valle del Serchio, della Versilia, la Val di Magra e i bacini neogenici della Toscana meridionale (Fig. 7).

(12)

16

Fig. 7: Sezione schematica tra La Spezia e l’Appennino emiliano-romagnolo (da Dallan Nardi e Nardi, 1974).

Tali strutture risultano limitate da sistemi di faglie dirette, generalmente di direzione “appenninica” (NW-SE), in cui sono state depositate successioni di sedimenti fluvio-lacustri (Giannini e Tongiorgi, 1958; Elter et al., 1975; Funiciello et al., 1977; Ambrosetti et al., 1979; Boccaletti et al., 1980; Cancelli et al., 2002).

Questa fase vede il rifting dell’Appennino settentrionale e l’apertura del Mar Tirreno (Kastens e Mascle, 1990) ed è caratterizzata da faglie dirette ad alto angolo che interessano tutto il margine dell’Appennino settentrionale (Fig. 8).

Fig. 8: Tratteggio schematico delle principali fosse tettoniche della Toscana settentrionale e zone limitrofe (da Dallan Nardi e Nardi, 1974).

In una ricostruzione palinspastica della catena, lungo la trasversale dell’Appennino settentrionale, vengono distinti, dall’interno verso l’esterno, i seguenti domini:

(13)

17

1 – Dominio Ligure: comprendente relitti di basamento oceanico e relative coperture sedimentarie pelagiche del tardo Giurassico-Cretaceo inferiore e flysch cretacei paleogenici scollati dal loro substrato. Il Dominio è caratterizzato da sequenze ofiolitiche di età giurassica, formatesi a seguito dell’apertura dell’Oceano Ligure-Piemontese, e dalle relative coperture sedimentarie deposte fin dall’Eocene medio (Fig. 9).

Fig. 9: Serie stratigrafica schematica del Dominio Ligure (da Carmignani et al., 1993).

Nel complesso può essere suddiviso in due unità separate da un contatto tettonico (Levanto-Ottone):

a) Unità Liguri Interne: rappresentate da un dominio oceanico formato dalle masse ofiolitiche;

b) Unità Liguri Esterne: formate da una successione sedimentaria scollata dal basamento ofiolitico a livello delle formazioni argillitiche Cretacee.

2 – Domino Subligure: è rappresentato da una successione sedimentaria paleogenica (Unità di Canetolo) profondamente tettonizzata, di cui non si conosce l’originaria ampiezza e l’origine del substrato, ma sembra essere una successione sedimentata in un’area di transizione tra la crosta oceanica del Dominio Ligure e il substrato continentale del Dominio Toscano.

3 – Domino Toscano: è documentato da successioni deformate su livelli strutturali differenti e quindi viene ulteriormente suddiviso in:

(14)

18

a) Dominio Toscano Interno (Falda Toscana) (Fig. 10): affiora al di sopra e intorno ai nuclei metamorfici, lungo la costa Tirrenica da La Spezia fino al Monte Argentario (isola D’Elba, del Giglio e di Giannutri) e, ad est, fino all’anticlinale rovesciata M. Orsaro, Pania di Corfino, Val di Lima, Montecatini Terme, Monti Albani, Monti del Chianti e Monte Cetona. Il dominio toscano interno comprende termini da anchimetamorfici a non metamorfici di età dal Trias superiore al Miocene inferiore. Le successioni che costituiscono la Falda Toscana sono costituite dalla copertura sedimentaria del margine originato dall’apertura dell’Oceano Ligure-Piemontese. Indicano, dunque, un dominio di tipo continentale.

Fig. 10: Serie stratigrafica del Dominio Toscano (da Carmignani et al., 1993).

Le successioni rispecchiano un passaggio da una situazione di rift continentale ad uno di margine, dapprima passivo e poi attivo, con un inizio di orogenesi. Si passa da una deposizione evaporitica nel Trias ad una serie di piattaforma nel Giurassico. A seguito dello sprofondamento di quest’ultima segue una sedimentazione di tipo

(15)

19

pelagico fino ai Diaspri. La serie si chiude con Calcari a calpionelle (o Maiolica), Scaglia e Macigno;

b) Dominio Toscano Esterno (Autoctono) caratterizzato da metamorfismo in facies scisti verdi che, oltre ad una copertura mesozoica e terziaria comprende anche formazioni paleozoiche del suo basamento ercinico. L’Unità di Massa, compresa tra Falda Toscana e Autoctono, è costituita esclusivamente da termini paleozoici e del Trias inferiore e medio e potrebbe rappresentare il substrato della Falda Toscana scollata o derivare da un dominio intermedio tra il Dominio Toscano interno ed esterno di cui non si conosce la copertura mesozoica e terziaria (Fig. 11).

Fig. 11: Serie stratigrafica dell’Autoctono Toscano (da Carmignani et al., 1993).

La tettonica polifasata della Falda Toscana documentata fin dagli anni settanta da Pertusati et al. (1977) è stata soggetta ad interpretazioni spesso contrastanti. A partire dagli anni ’90 (Coli, 1989; Carmignani e Kligfield, 1990; Carmignani et al., 1994) la struttura dell’area delle Alpi Apuane, che dapprima veniva attribuita interamente alla tettonica compressiva, fu interpretata come un core complex

(16)

20

estensionale di tipo Nord americano. In questo modello la Falda Toscana costituisce l’upper plate non metamorfico, mentre l’Unità delle Alpi Apuane e L’Unità di Massa, caratterizzate da un metamorfismo più elevato, rappresentano la lower plate. Una fase deformativa D1 viene riconosciuta come responsabile dell’impilamento delle varie unità tettoniche, le strutture successive sono, invece, attribuite interamente alla tettonica estensionale (Giammarino e Giglia, 1990; Carmignani et

al., 1991; Carter, 1992).

Recenti studi hanno tuttavia riconosciuto nella Falda Toscana quattro fasi deformative le cui caratteristiche geometriche e cinematiche sembrano mettere in discussione il ruolo svolto dalla tettonica estensionale nell’evoluzione dell’Appennino settentrionale (Carosi et al., 2004).

4 – Unità del Monte Cervarola: è costituita esclusivamente da un flysch del Miocene medio deposto in un bacino situato di fronte all’alloctono e attualmente in parte accavallato al Dominio Umbro-Marchigiano.

5 – Dominio Umbro-Marchigiano: è un fold belt scollato a livello delle evaporiti che affiora in Umbria e Marche ed è sepolto dalle coltri liguri sulla trasversale dell’Appennino Tosco-Emiliano. È la zona più esterna della catena con una successione sedimentaria che arriva al Miocene (Carmignani et al., 1993).

2.2.3 Caratterizzazione della Formazione del Macigno e delle

coperture del Macigno

La formazione del Macigno è rappresentata da un flysch arenaceo o arenaceo

marnoso-argilloso a sequenze torbiditiche di arenarie gradate provenienti dallo

smantellamento dei margini continentali in sollevamento. Le stratificazioni sono nette e le bancate più grossolane, che generalmente superano il metro di spessore,

(17)

21

sono solitamente separate da sottili livelli argillitici e siltosi (Dallan Nardi e Nardi, 1974). I flysch, infatti, si definiscono come alternanze di sedimenti clastici associati a fenomeni orogenetici. Chiudono un ciclo di sedimentazione e il materiale clastico deriva dall’erosione di rilievi formati nelle fasi precedenti (Marinos e Hoek, 2001) (Fig. 12).

Fig. 12: Serie stratigrafica schematica del Dominio Toscano (da Carmignani et al., 1993).

Tra le componenti mineralogiche del Macigno il quarzo è molto abbondante e i feldspati sono frequenti; si trovano inoltre biotite, muscovite, clorite e minerali accessori tra cui il granato, lo zircone e la tormalina. I frammenti litici presenti possono essere rappresentati da rocce metamorfiche (principalmente micascisti) e rioliti, mentre rocce sedimentarie, selci e calcari sono rare.

Le arenarie possono essere petrograficamente definite grey-wackes feldspatiche o litareniti.

Negli anni dal 1960 al 1962 il CNR, e più precisamente la Sezione di Pisa del Centro Studi per la Geologia dell’Appennino, riprese l’ipotesi di una Falda Toscana inserita nel quadro dell’Appennino come un edificio a falde sovrapposte. A tale questione Giannini et al. (1962) prospettavano due soluzioni: nella prima il fronte

(18)

22

poteva coincidere con le strutture ad anticlinale coricata estese longitudinalmente e con carattere unitario dal Monte Orsaro al Monte Cetona; la seconda ipotizzava che, durante il Tortoniano superiore, si fosse verificato un accidente tettonico particolarmente vistoso che avrebbe portato l’accavallamento del Flysch arenaceo della Zona Toscana Esterna su quella umbra grazie al grande orizzonte plastico costituito dagli Scisti varicolori della Toscana occidentale (Fig. 13).

Fig. 13: Avanscorrimento gravitativo degli scisti varicolori e del Macigno della zona toscana esterna sulla Marnoso-arenacea umbra. Zona toscana esterna: 1) Basamento; 2) Formazione evaporitica; 3)Formazioni varie liassico-cretaciche; 4) Scisti varicolori; 5) Macigno. Zona umbra: 6) Formazioni della copertura; 7) Formazione marnoso-arenacea. L = Fronte dell’accavallamento degli Scisti varicolori sulla Marnoso-arenacea; P = ipotetico piano di subduzione (da Boccaletti et al., 1980).

A tal proposito venivano anche formulate ipotesi sulla cronologia del tetto della formazione: la prima Oligocenica, al massimo Aquitaniana, per la presenza nelle formazioni sovrastanti (Unità del Monte Cervarola e del Monte Falterona) di sedimenti databili a quel periodo (Dallan Nardi e Nardi, 1974). La seconda ipotesi indicava una ripresa del movimento dall’edificio a falde sovrapposte nel Tortoniano. La terza ipotizzava la fine del Pliocene inferiore, ma riguardava essenzialmente le aree più esterne dell’Appennino.

Ricerche successive (Nardi, 1965) hanno messo in luce che lungo la struttura del M. Orsaro-Monte Cetona i rapporti tra il Macigno e le formazioni più esterne non sono sempre tettonici ma esistono anche rapporti stratigrafici.

(19)

23

Risulta inoltre che il Macigno toscano debba essere datato almeno all’Oligocene medio-superiore (Tavani, 1954; Abbate 1966; Gasperi 1966; 1968; Dallan Nardi; 1968), come risulta dalla presenza, alla base, di fossili e microfossili di Nummuliti e

Lepidocycline e, in alcune aree, di Mioyipsinoides (Decandia e Lazzarotto, 1972).

Bortolotti e Prini (1965) riferiscono la datazione alla regione della Valle del Serchio, successivamente Abbate (1966) ha esteso la datazione alla zona di La Spezia dove sono state ritrovate le stesse Lepidocycline. Secondo una ricostruzione di Fazzuoli et al. (1985) la sedimentazione delle arenarie torbiditiche tipo Macigno sarebbe iniziata nella Toscana marittima proprio nella zona di La Spezia.

Per quanto riguarda l’evoluzione tettonica, l’Oligocene può essere considerato un periodo di stasi, in cui sedimenta il Macigno nel Dominio Toscano e le Arenarie di Ranzano in quello Ligure. In questo periodo le due formazioni non mostrano movimenti durante la fase di deposizione.

In corrispondenza del limite Oligocene-Miocene si sviluppa una nuova fase tettonica e si delinea un primo fronte della Falda Toscana a partire dalla Zona di Massa, in seguito ulteriormente dislocato (Baldacci et al., 1967).

Nel suo movimento verso Ovest, la falda Toscana invade il bacino del Macigno e ne interrompe gradualmente la sedimentazione, anche se per un tempo breve, in corrispondenza della zona apuana. La formazione del Macigno sembra, infatti, mancare in gran parte della Zona di Massa e sul lato occidentale di quella apuana, mentre sul lato orientale è presente la parte bassa della formazione che differisce dal Macigno per il suo metamorfismo e che è stata, per lungo tempo, considerata una formazione diversa e pertanto nominata Pseudomacigno.

(20)

24

La sedimentazione arenacea, invece, continua sia sulla falda toscana, durante il suo movimento e anche successivamente, sia più ad Ovest fino al bacino del Complesso di Canetolo (Boccaletti et al, 1980).

Durante il Burdigaliano e Elveziano solo l’Unità delle Argille e Calcari avanza interrompendo progressivamente la sedimentazione nelle aree ricoperte. La sedimentazione del Macigno termina in seguito al progressivo avanzamento verso NE dei complessi liguri (Carmignani et a., 1993).

Nel Tortoniano, sotto la spinta della Falda toscana, il Flysch si scolla nella zona toscana esterna dal suo substrato, formando le unità del Cervarola. Rimangono indietro solo i lembi dello Pseudomacigno.

Alla fine del Pliocene inferiore le ultime pulsazioni orogenetiche si estendono alle zone più esterne dell’Appennino Settentrionale (Baldacci et al., 1967).

Lo spessore della formazione del Macigno aumenta andando da Ovest verso Est. (Dallan Nardi e Nardi, 1974).

2.2.3 Formazione del Macigno e delle coperture del Macigno nel

Bacino del Serchio

Nella Toscana nord-occindentale affioramenti consistenti di Macigno si possono ritrovare in tutto il territorio del Bacino del Serchio, area oggetto di studio di questa tesi (Fig. 14).

Frequentemente tale formazione risulta sepolta da coperture quaternarie più o meno spesse, soggette, talvolta, ad instabilità in dipendenza delle condizioni ambientali dell’area e della pendenza dei versanti su cui sono deposte.

(21)

25

Fig. 14: Affioramenti di Macigno in Toscana (da Dallan Nardi e Nardi, 1972). L’area di studio è evidenziata dal cerchio rosso.

(22)

26

Tali coperture risultano terreni a prevalente comportamento granulare e, considerando una classificazione basata sulla granulometria e sul grado di addensamento (AGI, 1977; IAEG, 1981; Esu, 1977; ISRM, 1978; Carrara et al., 1987; Canuti et al., 1992), si possono suddividere in cinque classi prevalenti: - depositi sabbiosi sciolti: sedimenti generalmente ben classati caratterizzati da

una resistenza al taglio elevata, con comportamento non dilatante, bassa compressibilità ed elevata permeabilità primaria. In tali depositi si può presupporre che i dissesti più frequenti si verifichino per fenomeni erosivi (Canuti et al. 1998);

- depositi sabbiosi moderatamente addensati: sono generalmente costituiti da sabbie, limi e sabbie limoso-argillose e caratterizzati da una resistenza al taglio generalmente elevata, da un comportamento leggermente dilatante, bassa compressibilità e elevata permeabilità primaria. I dissesti più comuni in questo tipo di coperture sono dovuti ad erosione superficiale e movimenti di massa. I fenomeni franosi sono rappresentati in prevalenza da scivolamenti traslazionali su pendii acclivi o a colamenti rapidi della coltre superficiale in seguito a piogge intense (Canuti et al. 1998);

- depositi sabbiosi addensati poco cementati: sono composti da sabbie, limi e sabbie limoso-argillose che, a differenza dei precedenti, sono caratterizzati da un comportamento marcatamente dilatante e da fenomeni di instabilità dovuti ad erosione superficiale e movimenti di massa. La franosità è caratterizzata da scivolamenti traslazionali su pendii acclivi o da colamenti rapidi della coltre superficiale in seguito a piogge intense; inoltre si possono verificare fenomeni di maggiori dimensioni dove sono presenti livelli limosi o argillosi che costituiscono superfici di debolezza; in tal caso i dissesti sono costituiti da

(23)

27

scivolamenti roto-traslazionali che spesso mostrano un’evoluzione retrogressiva (Canuti et al. 1998);

- Ghiaie e ciottolami: depositi costituiti da elementi a grana grossolana (più del 50% della massa formato da elementi con diametro maggiore di 2 mm). Hanno resistenza al taglio molto elevata e compressibilità bassa, ottima permeabilità per porosità primaria (Canuti et al. 1998);

- Depositi superficiali incoerenti a granulometria variabile a prevalente

comportamento granulare: includono depositi alluvionali e terrazzi costituiti da

ghiaie e sabbie, talvolta misti a materiali limosi di esondazione. La resistenza al taglio, compressibilità e permeabilità sono influenzate dalle percentuali relative tra le varie componenti coesive e granulari. I dissesti sono limitati a fenomeni erosivi superficiali e movimenti di massa modesti in corrispondenza delle sponde degli alvei (Canuti et al. 1998).

In generale, nella maggior parte dei casi presi in esame nell’ambito di questa ricerca si osserva che immediatamente al contatto con le coperture invece della roccia intatta si incontra uno strato di transizione rappresentato da Macigno alterato che può essere identificato, in base alla classificazione precedentemente utilizzata (AGI, 1977; IAEG, 1981; Esu, 1977; ISRM, 1978; Carrara et al., 1987; Canuti et al., 1992), come arenaria debole costituita da sabbie cementate, arenarie friabili e “molasse”. Si tratta di depositi arenacei in cui il grado di cementazione è tale che il comportamento meccanico è intermedio tra quello delle rocce e dei terreni granulari. L’unità è caratterizzata da una certa permeabilità e fratturazione. I dissesti si limitano ai crolli, scivolamenti e ribaltamenti di blocchi isolati da fratture talvolta associate a rotture di neoformazione (Canuti et al. 1998).

Figura

Fig. 1:  Bacino del fiume Serchio.
Fig. 2:  Fossa tettonica della Val di Serchio a livello di Castelnuovo Garfagnana (da Nardi, 1981)
Tab. 2:  Elenco dei comuni da totalmente (t) a parzialmente (p) ricadenti nel bacino.  (da http://www.serchio-autoritadibacino.it/territorio/comuni_bacino_serchio)
Fig.  3:  Suddivisione  del  territorio  del  bacino  del  Serchio  nelle  tre  aree  che  rappresentano  la  Alta  Valle  del  Serchio  o  Garfagnana  (Riquadro  in  rosso),  Media  Valle  del  Serchio  (riquadro  verde)  e  Bassa Valle del Serchio (riqua
+7

Riferimenti

Documenti correlati

77

«Nonostante l’Italia sia considerata custode della “die- ta mediterranea”, paradigma mondiale di salute alimenta- re- spiega la dottoressa Barba- ra Paolini, specialista in Scien-

Quando le condizioni ambientali diventano critiche, le femmine possono riprodursi partenogeneticamente, producendo cisti che sono, per l‟appunto, forme di resistenza.

Figure 49, 50 and 51 report land suitability maps for wheat and lentil cultivation and for the two crops combined in rotation in the region of RSZZ, considering current

Questa crescita si sposa ad un calo massiccio del numero degli inattivi (-104mila) che si sono tradotti, oltre che nei nuovi occupati, anche in 19mila

co. 1 «Nell'aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette, previa pubblicazione di un bando o avviso di indizione di gara.

cP "calcari di Puglianella": calcari compatti a grana fine, in grossi strati, talvolta lastriformi, di colore bianco latte, piu’ raramente grigio verdastro o chiaro, nella

Le medie sull’intero campione, mostrano dati relativi al volume di fatturato medio (15,8 mln), agli stock investiti, sia di capitale fisso (4,1 mln) che circolante