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2.1 Tipologie di consociazione 2. Consociazione: generalit à

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2. Consociazione: generalità

La consociazione agraria è una tecnica colturale che prevede la coltivazione di due o più specie contemporaneamente sullo stesso appezzamento (Willey, 1979a; Giardini, 2003).

In termini più complessi Caporali et al. (1987) la definiscono come un'associazione di pluralità di individui genotipicamente distinguibili, sufficientemente stretta da determinare il manifestarsi di interazioni di rilievo agronomico fra di esse. Tali pluralità vengono dette componenti ed in genere, ma non necessariamente, appartengono a specie diverse. Nel contesto di tale definizione il termine 'interazione' fa riferimento a qualsiasi condizionamento che una delle componenti può operare su ciascuna delle altre.

2.1 Tipologie di consociazione

Si possono individuare numerose tipologie di consociazione, classificate brevemente di seguito in base ai criteri più frequentemente utilizzati.

 Habitus vegetativo delle componenti: si distinguono consociazioni erbacee,

arboree e miste (Giardini, 2003).

 Durata: a seconda che le componenti siano consociate per tutta la durata del

loro ciclo vitale oppure solo per una parte di esso si hanno rispettivamente consociazioni permanenti o temporanee (Giardini, 2003).

 Numero di componenti: una consociazione viene detta bifita, oligofita o polifita

se formata rispettivamente da due specie, tre-cinque specie o più specie (Giardini, 2003); tale distinzione è adottata principalmente in relazione alle consociazioni a scopo foraggero.

 Densità totale: si distinguono consociazioni con disegno sostitutivo, ossia con

densità totale in consociazione equivalente a quelle delle componenti in purezza, e con disegno additivo, in cui la densità totale è pari alla somma di quelle delle colture in purezza (Mariotti et al., 1998). Tale distinzione è utilizzata principalmente nell'ambito della ricerca agronomica ed è esemplificata in fig.1.

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Ofori e Stern (1987), Vandermeer (1989) e Francis (1990) riportano una classificazione delle consociazioni in base alla loro organizzazione spaziale e temporale, individuando le seguenti tipologie:

 'mixed intercropping': le componenti sono coltivate contemporaneamente sullo

stesso appezzamento senza un'organizzazione spaziale precisa; vi si ricorre principalmente in contesti di agricoltura di sussistenza, in cui la maggior parte delle operazioni colturali è eseguita senza l'ausilio di macchine;

 'row intercropping': le componenti sono coltivate contemporaneamente sullo

stesso appezzamento in file distinte e adiacenti; questa organizzazione spaziale può essere utilizzata in contesti di agricoltura meccanizzata in quanto permette, almeno in una certa misura, operazioni colturali specifiche sulle diverse componenti;

 'strip intercropping': le componenti sono coltivate contemporaneamente sullo

stesso appezzamento in strisce adiacenti, ciascuna formata da alcune file della stessa specie; vi si ricorre con lo scopo principale di facilitare la meccanizzazione di operazioni colturali specifiche per le varie componenti, pur ponendo attenzione a conservare un grado di intimità fra le componenti tale da permettere interazioni rilevanti dal punto di vista agronomico;

 'relay intercropping': le componenti sono coltivate in successione una all'altra in

modo che i loro cicli si sovrappongano in parte e che quindi esse, per un certo periodo, occupino contemporaneamente lo stesso appezzamento (colture concatenate).

Alcuni autori introducono infine un'ulteriore distinzione, distaccandosi in parte dalla

Fig. 1: Densità in colture pure e in consociazioni con disegno sostitutivo (a) e additivo 

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definizione originale nel momento in cui riconoscono come possibili componenti di una consociazione anche colture prive di uno specifico ruolo produttivo: essi individuano infatti una categoria di consociazioni caratterizzate dal fatto che almeno una delle componenti è inserita con lo scopo esclusivo di favorire la produttività delle altre (Paolini et al., 1988; Wojtkowski, 2006). Nella terminologia anglosassone introdotta da Wojtkowski (2006) quest'ultima tipologia viene definita 'facilitative intercrops', con l'intenzione di sottolineare che una delle componenti è introdotta con lo scopo principale di “facilitare” l'altra (o le altre) nel raggiungimento di un buon risultato produttivo.

Una trattazione più dettagliata riguardo alla struttura ed alla gestione di questo tipo di consociazioni sarà sviluppata in seguito (vedi sezione 3).

2.2 Vantaggi potenziali della tecnica della consociazione

Lo scopo principale della tecnica della consociazione consiste nella ricerca di un miglior risultato produttivo rispetto alle colture in purezza delle sue componenti, sia in termini quantitativi che qualitativi.

Attraverso la coltivazione di due o più colture in consociazione si possono infatti ottenere numerosi vantaggi produttivi, sintetizzati brevemente di seguito secondo le indicazioni di diversi autori (Willey, 1979a; Caporali et al., 1987; Paolini, 1988; Fukai e Trenbath, 1993; Midmore, 1993; Trenbath, 1993; Mariotti et al., 1998; Giardini, 2003):

• rese superiori per unità di superficie;

• maggiore stabilità produttiva;

• migliore distribuzione stagionale della produzione;

• minore incidenza di stress abiotici;

• migliore controllo della vegetazione infestante;

• minore suscettibilità all'attacco di fitofagi, parassiti, patogeni;

• miglioramento qualitativo della produzione.

La possibilità di una consociazione di offrire vantaggi produttivi rispetto alle colture in purezza delle sue componenti si basa su numerosi meccanismi biologici, che si possono raggruppare in due tipologie principali: da un lato i fenomeni di tipo competitivo e dall'altro tutte le interazioni di altra natura che si possono instaurare fra le componenti di una consociazione (Caporali et al., 1987; Fukai e Trenbath, 1993; Midmore, 1993). Vediamo adesso più nel dettaglio questi fenomeni.

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2.2.1 Interazioni di tipo competitivo

La competizione è un fenomeno che si instaura nel momento in cui la disponibilità di una risorsa risulta inferiore al fabbisogno di due o più individui che se la contendono (Foti, 1975; Ofori e Stern, 1987; Giardini, 2003): questo fenomeno è riconosciuto come uno dei più importanti meccanismi che intervengono nella limitazione della produzione degli organismi vegetali (Foti, 1975; Park et al., 2003).

L'intensità del fenomeno competitivo e la variazione di produzione che ne consegue variano principalmente in funzione della densità degli individui sull'unità di superficie (Caporali et al., 1987; Bonan, 1991): la produzione delle specie agrarie non fa eccezione a questa regola, sia per quanto riguarda le colture in purezza sia per le colture consociate.

Un elemento chiave della tecnica colturale è quindi la ricerca della densità colturale ottimale: nei decenni passati si è lavorato molto intorno a questa problematica, con riferimento a tutte le principali colture agrarie, nella grandissima maggioranza dei casi con riferimento a colture pure.

In condizione di consociazione, rispetto a ciò che accede in una coltura pura, interviene un ulteriore fattore estremamente importante: i meccanismi di competizione non agiscono soltanto fra individui appartenenti alla stessa specie, ma anche fra individui appartenenti a specie diverse.

Nei casi in cui la competizione interspecifica risulta inferiore a quella intraspecifica ci si può attendere che una consociazione possa garantire un vantaggio produttivo rispetto alle colture in purezza delle sue componenti (Willey, 1979a; Caporali et al., 1987; Vandermeer, 1989; Fukai e Trenbath, 1993; Midmore, 1993; Mariotti et al., 1998).

Questa importante condizione, cui è subordinato il vantaggio produttivo della consociazione, può essere soddisfatta riuscendo a minimizzare la competizione interspecifica ed a sfruttare in maniera ottimale la complementarità delle componenti, ossia la loro capacità di utilizzare le risorse ambientali in modo differenziato sia nel tempo che nello spazio (Willey, 1979a; Caporali et al., 1987; Francis, 1990; Midmore, 1993; Li et al., 2006): come sarà esposto di seguito più ampiamente, tale capacità è fondata sulle differenze in termini morfologici, fisiologici ed ecologici fra le componenti della consociazione.

L'uso differenziale delle risorse ambientali da parte delle componenti consociate viene riconosciuto come presupposto ecologico al successo produttivo delle consociazioni, in quanto può portare ad un utilizzo più efficace di tali risorse rispetto alle stesse colture

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in purezza (Willey, 1979a; Caporali et al., 1987): numerose evidenze sperimentali provano questo fenomeno con riferimento principalmente alla radiazione solare, agli elementi nutritivi ed all'acqua.

Prima di esaminare in breve i principali meccanismi relativi all'utilizzo di questi fattori produttivi separatamente uno dall'altro, è necessario fare alcune importanti considerazioni di carattere generale: i meccanismi di competizione per i diversi fattori di produzione agiscono sempre contemporaneamente, contribuendo alla determinazione del risultato produttivo simultaneamente ed in aggiunta all'effetto di interazioni non competitive fra le componenti, e per questo motivo risulta molto difficile distinguere l'influenza di ciascun meccanismo sulla resa finale (Vandermeer, 1989). Inoltre nei lavori citati, anche a fronte di un utilizzo di quote maggiori di una determinata risorsa o di una maggiore efficacia di conversione in biomassa, non è sempre riportato un effetto positivo sulla resa.

Questi osservazioni mostrano come il legame fra il comportamento complementare delle componenti e l'effettivo risultato produttivo di una coltura consociata sia generalmente molto complesso e difficilmente riconducibile a regole generali (Vandermeer, 1989).

Radiazione solare

A differenza di altre risorse naturali, quali ad esempio l'acqua e gli elementi nutritivi, la radiazione solare non può essere intercettata e poi stoccata per un utilizzo successivo: è disponibile “istantaneamente” e altrettanto istantaneamente deve essere utilizzata dalle piante (Donald, 1961, cit. in Willey, 1979a e Francis, 1990).

Per questa ragione le consociazioni che riescono a garantire i maggiori vantaggi dal punto di vista dell'intercettazione della radiazione solare sono quelle in cui si realizza un certo sfasamento nel ciclo delle componenti, quindi una loro complementarità nel tempo (Willey, 1979a): diversi autori, citati nei lavori di Willey (1979a), Francis (1990) e Caporali et al. (1987), mettono in evidenza il ruolo preponderante della migliore distribuzione nel tempo dell'area fogliare (Leaf Area Duration) nel determinare un effetto positivo a carico delle rese.

Per quanto riguarda la complementarità spaziale delle componenti, si deve ricordare innanzitutto che l'intercettazione della radiazione fotosintetica è legata all'estensione dell'apparato fogliare, all'architettura della copertura vegetale ed alla capacità di assorbimento specifica delle singole foglie (Ercoli et al., 1997): la consociazione di due o più specie con caratteristiche diverse porta generalmente allo sviluppo di una copertura vegetale più estesa e disomogenea in termini di dimensioni dell'apparato

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fogliare, disposizione rispetto al piano orizzontale e caratteristiche specifiche di assorbimento della radiazione, e può determinare in questo modo una migliore intercettazione della luce nello spazio e nel tempo (Keating e Carberry, 1993; Ercoli et al., 1997).

Willey e Roberts (1976, cit. in Willey, 1979a) sottolineano il fatto che, in condizioni di densità ottimale, anche le colture pure sfruttino la radiazione solare in maniera praticamente ottimale, lasciando margini di miglioramento molto ristretti: sono tuttavia riportati diversi casi (Ercoli et al., 1997) in cui la consociazione di due o più specie può portare ad un incremento della quantità di radiazione assorbita dalla coltura.

Questi risultati sono raggiungibili più facilmente nel caso in cui si consocino specie con caratteristiche morfologiche o fisiologiche fortemente complementari, come ad esempio una coltura di taglia alta ed eretta con una bassa e a foglie prostrate, oppure specie con punto di compensazione luminosa molto diverso; inoltre in alcuni casi si può sfruttare vantaggiosamente la plasticità di alcuni genotipi, che possiedono la capacità di adattare l'habitus vegetativo in condizioni di competizione per la luce (Willey, 1979a; Caporali et al., 1987).

In molti casi la consociazione di più specie non offre la possibilità di registrare un aumento sostanziale dell'assorbimento di radiazione fotosintetica rispetto alle colture pure, mentre si può osservare un incremento del tasso di fotosintesi in coltura consociata: l'uso più efficiente della radiazione solare è messo in relazione con la sua migliore distribuzione attraverso lo strato fogliare (Willey et al., 1979a; Caporali et al., 1987).

Elementi nutritivi

In diversi casi si sono osservati in consociazione livelli più elevati di assorbimento di alcuni elementi nutritivi, quali azoto, fosforo, potassio, calcio (Willey, 1979a; Caporali et al., 1987; Francis, 1990; Morris e Garrity, 1993; Szumigalski e Van Acker, 2006). Questo fenomeno può essere spiegato attraverso diversi meccanismi che intervengono nella dinamica dell'assorbimento radicale.

Durante l'assorbimento degli elementi nutritivi da parte delle radici si forma intorno alla radice stessa una zona di esaurimento di tale elemento, tanto più vasta quanto più mobile è l'elemento nella soluzione circolante del terreno (Vandermeer, 1989): nel momento in cui le zone di esaurimento dei sistemi radicali di diverse componenti si sovrappongono interviene il fenomeno della competizione (Caporali et al., 1987).

Nel caso in cui le componenti di una consociazione avessero apparati radicali con sviluppo spaziale complementare, ossia tendenti a svilupparsi in diverse zone del

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profilo del terreno, esse potrebbero subire una ridotta competizione per gli elementi nutritivi, in quanto una sovrapposizione di zone di esaurimento sarebbe meno probabile (Li et al., 2006).

Inoltre la possibilità di avere apparati radicali differenti per struttura e dimensione può garantire l'esplorazione di un più ampio strato di suolo rispetto a colture in purezza (Caporali et al., 1987; Francis, 1990; Li et al., 2006) con potenziali ricadute positive sull'assorbimento di elementi nutritivi poco mobili, quali ad esempio fosforo e potassio (Morris e Garrity, 1993). Alcuni autori riportano inoltre che alcune specie in consociazione possono presentare uno sviluppo dell'apparato radicale alterato rispetto alla situazione di coltura pura, con un approfondimento superiore alla norma di una componente in presenza di un'altra con apparato radicale molto sviluppato negli strati superficiali: questo è stato osservato ad esempio in cece consociato con frumento (Banik et al., 2006) ed in mais consociato sia con frumento che con favino (Li et al, 2006).

Alla complementarità spaziale possono affiancarsi altri fenomeni, quali lo sfruttamento di diverse forme disponibili dello stesso elemento e differenti capacità di estrazione del medesimo elemento dal suolo (Willey, 1979a).

Nel caso in cui siano consociate componenti con cicli vitali sensibilmente sfasati la competizione è ulteriormente ridotta dalla possibilità che i periodi critici per i diversi elementi nutritivi risultino sfasati, con picchi di assorbimento non coincidenti. Questo può avvenire comunque anche nel caso in cui le componenti abbiano periodi di crescita simili, benché in maniera meno sensibile: in tal modo la richiesta di un determinato elemento può risultare inferiore alla disponibilità ambientale durante tutto il ciclo di accrescimento, così che almeno una delle componenti possa soddisfare più pienamente le proprie esigenze a fronte di una disponibilità immutata (Willey, 1979a; Francis, 1990).

In alcuni casi assume molta rilevanza ai fini del risultato produttivo l'instaurarsi di interazioni positive fra le componenti, che portano allo sfruttamento di quote di una determinata risorsa nutritiva altrimenti inaccessibili ad una di esse (Caporali et al., 1987): per una trattazione più esauriente relativa ai fenomeni di questo genere si rimanda alla sezione dedicata alle interazioni non competitive fra le componenti di una consociazione.

Acqua

In merito all'utilizzo della risorsa idrica gli indicatori principali da prendere in considerazione sono due: la quantità di acqua utilizzata e l'efficienza di utilizzo, ossia la

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quantità di biomassa prodotta per unità di acqua impiegata.

Lo sviluppo complementare degli apparati radicali delle diverse componenti, con l'esplorazione di diversi strati di suolo, potrebbe giustificare l'attesa di consumi idrici maggiori da parte di una consociazione, grazie ad un utilizzo più completo delle disponibilità ambientali (Caporali et al, 1987; Li et al., 2006). Tuttavia le differenze in termini di consumi idrici fra colture pure e consociate risultano generalmente di scarsa entità: Morris (1993), in un ampio lavoro di sintesi in merito all'utilizzo della risorsa acqua in consociazione, sintetizza i risultati ottenuti in un gran numero di lavori e riporta variazioni oscillanti intorno allo zero, con valori compresi fra -6 e +7%. Lo stesso autore riconosce l'esistenza di alcune eccezioni importanti, che riguardano principalmente i casi in cui le componenti hanno cicli sensibilmente sfasati: in tal caso i consumi idrici più elevati derivano essenzialmente da una stagione di crescita più prolungata.

In termini di sfruttamento della risorsa idrica la differenza fra consociazioni e colture pure si evidenzia piuttosto a livello di efficienza di utilizzo dell'acqua (Caporali et al., 1987; Morris, 1993), fenomeno per cui è possibile individuare diverse cause: innanzitutto la maggiore copertura del suolo generalmente ottenuta in consociazione fa sì che una frazione maggiore dell'evapotraspirazione totale sia ascrivibile alla traspirazione, con conseguente riduzione delle perdite di acqua per evaporazione dal terreno, soprattutto negli stadi giovanili della coltura. Inoltre i condizionamenti microclimatici derivanti dalla copertura vegetale più ampia e disomogenea, cui si farà più ampio riferimento nella sezione dedicata alle interazioni non competitive fra le componenti, sembrano favorire un utilizzo più efficiente dell'acqua: la modificazione del flusso dell'aria internamente alla coltura, dell'umidità relativa e della quantità di radiazione direttamente incidente sulle foglie giocano un ruolo fondamentale a questo proposito (Morris, 1993).

Abilità competitiva relativa

La complementarità fra le componenti consociate, attraverso i meccanismi finora analizzati, può ridurre la competizione fra di esse, ma difficilmente potrà eliminarla: benché siano riportati casi di mutua cooperazione (Willey, 1979a), ossia casi in cui ciascuna delle componenti risulta più produttiva in consociazione che in coltura pura, il caso più frequentemente osservato è quello in cui una delle componenti si comporta da dominante e le altre da dominate (Willey, 1979a; Ofori e Stern, 1987; Francis, 1990; Fukai e Trenbath, 1993).

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La componente dominante è tale in quanto possiede abilità competitiva superiore rispetto alle altre, ossia mostra una maggiore capacità di accaparrarsi le risorse contese ed una maggiore adattabilità a condizioni di scarsa disponibilità di tali risorse Queste capacità derivano principalmente da caratteristiche morfologiche e fisiologiche della specie in questione, ma il contesto ambientale e gli interventi agronomici possono modificare in maniera sostanziale la loro espressione (Foti, 1975; Caporali et al, 1987; Fukai e Trenbath, 1993; Midmore, 1993).

I principali caratteri che definiscono l'abilità competitiva delle specie vegetali riguardano il tasso di crescita, l'altezza, l'estensione dell'apparato fogliare, la profondità e l'estensione dell'apparato radicale, la precocità di germinazione, l'attitudine a stabilire relazioni trofiche con altri individui della stessa specie o con altre entità biologiche, l'adattabilità a condizioni ambientali avverse (limiti di tolleranza relativi a fattori biotici ed abiotici) (Caporali et al, 1987; Fukai e Trenbath, 1993).

Nel momento in cui si vanno a definire le caratteristiche di una consociazione si deve tenere di conto della necessità di associare componenti con abilità competitiva il più possibile bilanciata: in questo modo si può evitare che una delle componenti prenda il sopravvento sulle altre, compromettendo il successo produttivo della consociazione (Caporali et al, 1987).

Tuttavia, come già ricordato, l'abilità competitiva di una specie non dipende esclusivamente dalle sue caratteristiche intrinseche.

Condizioni ambientali particolari possono avvantaggiare una specie nei confronti di un'altra che in altre condizioni sarebbe dotata di maggiore abilità competitiva: questo può accadere ad esempio in condizioni di scarsità estrema di una risorsa in particolare, eccezionale rispetto alle generiche condizioni di crescita delle componenti, oppure in caso di attacchi selettivi da parte di fitofagi o patogeni (Fukai e Trenbath, 1993).

Anche gli interventi agronomici possono ricoprire un ruolo molto importante nella modificazione degli equilibri competitivi fra le componenti di una consociazione: interventi di irrigazione, concimazione o diserbo, modifiche della data di semina e delle dosi relative di seme, nonché della densità totale e della disposizione spaziale delle piante rappresentano strumenti di gestione della consociazione da utilizzare con la piena consapevolezza della loro influenza sulla composizione della consociazione e sul successo produttivo della coltura (Midmore, 1993).

Proprio quest'ultima considerazione individua uno dei fattori che, in ultima analisi, determina la maggiore difficoltà nella gestione di una consociazione rispetto a quella di una coltura pura: le scelte organizzative e gestionali devono necessariamente tenere

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conto delle esigenze di più specie, ciascuna con le sue peculiarità, e dell'equilibrio competitivo fra le diverse componenti.

2.2.2 Interazioni di tipo non competitivo

Più piante che crescono sullo stesso appezzamento sono in grado di influenzarsi reciprocamente anche attraverso meccanismi del tutto estranei al fenomeno competitivo.

Harper (1977) individua a questo proposito due tipologie fondamentali di interventi: azioni dirette di aggiunta o rimozione di sostanze o entità fisiche ed azioni di modificazione delle condizioni ambientali di base (ad esempio il flusso dell'aria, la temperatura, l'insolazione del suolo, la disponibilità di cibo e rifugio per organismi dannosi o benefici).

Analizziamo più nel dettaglio, sia pure in breve, i fenomeni coinvolti in questo tipo di interazioni e le ricadute che queste possono avere sul risultato produttivo della coltura.

Modifica delle condizioni microambientali della coltura

Generalmente le condizioni microambientali che caratterizzano una coltura in consociazionea differiscono rispetto alle condizioni in coltura pura, spesso in maniera apprezzabile ma con intensità variabile a seconda delle colture prese in considerazione: queste differenze possono incidere in maniera significativa sullo sviluppo delle piante e sulla resa finale della consociazione (Fukai e Trenbath, 1993). La prima conseguenza dell'associazione di colture di taglia diversa è l'alterazione della penetrazione della radiazione solare all'interno del profilo della coltura. L'ombreggiamento da parte di una componente di taglia maggiore può avere conseguenze negative sullo sviluppo e sulla resa dell'altra componente, a causa di una minore intercettazione di radiazione fotosinteticamente attiva: questo inconveniente può comunque essere risolto attraverso un'appropriata organizzazione spaziale della consociazione e con interventi agronomici mirati al contenimento della componente di taglia maggiore (Wojtkowski, 2006). La condizione di ombreggiamento può risultare invece positiva ai fini dello sviluppo della componente di taglia inferiore quando le condizioni di temperatura e irraggiamento in piena luce sono limitanti per il suo sviluppo (Midmore et al., 1988), grazie alla riduzione della temperatura e all'aumento di umidità relativa dell'aria che si verificano nel microambiente interno alla coltura consociata. Le condizioni per avere un vantaggio produttivo associato alla condizione di ombreggiamento di una o più componenti si verificano principalmente in regioni dal clima caldo e arido, ma non è da escludere la possibilità di conseguire dei vantaggi

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anche in regioni temperate nel caso di colture con ciclo primaverile-estivo.

Associando colture con caratteristiche morfo-strutturali diverse si genera inoltre una alterazione dei flussi di aria immediatamente adiacenti agli individui coltivati: l'intensità di tali effetti varia molto a seconda dei casi che si considerano ed anche le conseguenze sulle rese sono molto diverse e difficilmente prevedibili. Paolini et al (1988) riportano i risultati di numerose ricerche riguardanti colture erbacee, eseguite in condizioni climatiche estremamente varie, che attestano i risultati positivi attribuibili all'”effetto barriera” esercitato dalle componenti di taglia maggiore: si osservano in particolare la riduzione della velocità superficiale del vento e la deviazione del suo flusso, la cui conseguenza principale consiste nella diminuzione della domanda evapotraspirativa della coltura. Vandermeer (1989) conferma queste conclusioni, riportando a sua volta numerose evidenze sperimentali precedentemente ottenute da altri autori.

Come già ricordato in precedenza, la ricaduta sui consumi idrici totali della coltura consociata è spesso trascurabile, mentre si evidenzia un effetto positivo sull'efficienza di utilizzazione dell'acqua (Morris, 1993).

Disponibilità di nutrienti

In consociazione l'azione di una o più componenti può aumentare la disponibilità di alcuni elementi nutritivi per le altre colture associate, grazie al contributo di rapporti di simbiosi specifici con alcuni microrganismi oppure in ragione di differenti capacità di solubilizzazione di un dato elemento nutritivo da parte dei diversi sistemi radicali (Gardner e Boundy, 1983; Caporali et al, 1987; Midmore, 1993).

Il caso più esemplificativo è quello della consociazione di una specie leguminosa con una non leguminosa: grazie alla simbiosi con batteri rizobi azotofissatori le specie leguminose possono sfruttare la forma gassosa dell'azoto, ossia la più abbondante e stabile delle forme di questo elemento. Questo fenomeno, oltre a soddisfare le necessità della coltura leguminosa, può aumentare la disponibilità di azoto nel terreno a vantaggio delle altre componenti, attraverso l'intervento di diversi meccanismi.

Prima di esaminarli in breve, occorre ricordare che l'azotofissazione simbiontica è un processo complesso che può essere notevolmente influenzato dalla condizione di consociazione: l'ombreggiamento da parte di una componente di taglia maggiore può ridurre il tasso di assimilazione fotosintetica, penalizzando il fenomeno dell'azotofissazione, molto dispendioso per la pianta dal punto di vista energetico (Fujita et al., 1992; Jensen, 1996). Allo stesso tempo la riduzione della disponibilità di azoto nel terreno dovuta all'assorbimento delle componenti non leguminose

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(solitamente ben più competitive per l'assorbimento di tale elemento) può provocare l'incremento del tasso di fissazione simbiontica dell'azoto atmosferico: solitamente questo si verifica quando la leguminosa ha la possibilità di sviluppare una buona copertura fogliare e quindi si trova in condizioni di buona assimilazione fotosintetica del carbonio (Schulze, 2004; Fan et al., 2006).

Il trasferimento di azoto fissato dalle leguminose ad altre colture può avvenire sia nel corso della stagione di crescita sia in seguito, con la mineralizzazione dei residui colturali (effetto residuo) (Fujita et al., 1992). Nel caso delle consociazioni la quota maggiormente interessante è quella trasferita nel corso del ciclo vitale della componente leguminosa.

È ormai accertato il fatto che le radici di specie leguminose possano arricchire il terreno circostante di azoto escreto sotto varie forme organiche ed inorganiche: questo fenomeno è influenzato in modo tuttora poco chiaro da fattori sia ambientali sia fisiologici e si stima che coinvolga circa il 10-15% dell'N totale fissato dalla coltura (Fujita et al., 1992; Jensen, 1996; Xiao et al., 2004). Probabilmente il meccanismo principale attraverso cui l'azoto fissato dalla leguminosa viene utilizzato dalle altre componenti è l'assorbimento radicale dell'azoto contenuto in questi essudati radicali (Fujita et al., 1992; Xiao et al., 2004).

Un ruolo di non secondaria importanza sembra ricoprire il trasferimento di composti azotati dalla leguminosa all'altra componente a parte delle ife dei funghi micorrizici, in particolare delle micorrize vesciculo-arbuscolari: numerose ricerche sono state svolte intorno a questo fenomeno, con risultati contrastanti, da cui si può trarre la conclusione che questa modalità di trasferimento dell'azoto può avere una certa importanza ma che non si verifica in tutte le condizioni (Hamel et al, 1991; Frey e Schüepp, 1992).

Anche la disponibilità di altri nutrienti può risultare più elevata in consociazione, grazie alla presenza di una componente con capacità di solubilizzazione ed estrazione dal suolo particolarmente elevata. In particolare questo può avvenire per il fosforo, elemento poco mobile e facilmente immobilizzato nel suolo in forme inorganiche indisponibili per l'assorbimento radicale (Gardner e Boundy, 1983; Li et al., 2007): il principale meccanismo cui viene attribuito questo fenomeno è la forte capacità di solubilizzazione delle forme non assimilabili del fosforo nel terreno posseduta da diverse specie, in particolare leguminose, attraverso l'azione di vari essudati radicali acidi e di alcuni enzimi che catalizzano la mineralizzazione delle forme organiche (Jones e Darrah, 1994; Kahm et al., 1999; Vance et al., 2003; Li et al., 2007).

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Controllo della vegetazione infestante

Una consociazione dimostra in genere maggiore capacità di soppressione della vegetazione infestante rispetto alle colture pure delle sue componenti, o almeno di una di esse: Liebman e Dyck (1993) riportano un vastissimo numero di esperienze, eseguite nei contesti più diversi, a sostegno di questa affermazione. La soppressione delle infestanti, evidenziata dalla riduzione della biomassa prodotta e della densità degli individui, è messa in relazione con lo sfruttamento complementare delle risorse ambientali da parte delle componenti e con la conseguente riduzione della loro disponibilità a favore delle avventizie (Paolini et al., 1988; Bàrberi, 2002; Banik et al., 2006).2.2.2 Interazioni di tipo non competitivo

La scelta di colture con un rapido accrescimento nelle prime fasi del loro ciclo ed una buona capacità di copertura del suolo contribuisce fortemente alla soppressione delle infestanti in consociazione: l'efficacia del controllo affidata a queste caratteristiche si evidenzia maggiormente quando una delle componenti viene scelta con questo scopo precipuo (“smother crops” o “living mulch”), mentre quando entrambe le componenti hanno scopo produttivo l'effetto di soppressione mostra un andamento più variabile (Liebman e Dyck, 1993).

Un contributo può essere offerto anche dalla capacità di soppressione allelopatica che una o più componenti possono possedere nei confronti di alcune specie infestanti: alla difficoltà di confermare con prove di pieno campo l'efficacia dei numerosi composti allelochimici testati con successo in ambiente controllato (Bàrberi, 2002), in consociazione si aggiunge la problematica del rischio di interferenza allelopatica fra le colture medesime, con la conseguente esigenza di verificare la selettività di azione delle sostanze allelopatiche al momento della scelta delle componenti da consociare (Liebman e Dyck, 1993).

In merito al meccanismo di soppressione competitiva della vegetazione infestante gli interventi agronomici e la progettazione accurata della coltura rivestono un ruolo di fondamentale importanza: si segnalano in particolare la densità totale e l'organizzazione spaziale della coltura, come accade del resto anche nelle colture pure (Ofori e Stern, 1987; Liebman e Dyck, 1993; Midmore, 1993).

Un ulteriore elemento di interesse legato a questa problematica è l'influenza che la tecnica della consociazione può avere sulla struttura della comunità infestante: rispetto alle comunità presenti nelle corrispondenti colture pure si sono osservate modifiche dei rapporti relativi di abbondanza e dominanza delle specie e dei gruppi funzionali che si possono individuare all'interno della flora infestante (monocotiledoni e dicotiledoni,

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autunno-vernine e primaverili-estive, perennanti e annuali, specie con ciclo C3 o C4) (Poggio, 2005; Hiltbrunner et al., 2007). Risulta tuttavia molto difficile trarre conclusioni generalizzabili e definitive, a causa della numerosità e variabilità estrema dei fattori che in influenzano questo fenomeno: Liebman e Dyck (1993), sintetizzando i risultati dei lavori precedenti riguardanti questa problematica specifica, evidenziano che essi mostrano una forte dipendenza dal contesto ambientale, dalle colture scelte e dalla struttura della comunità infestante già esistente.

Controllo di fitofagi

La tecnica della consociazione può garantire una minore incidenza dei danni imputabili a fitofagi su una determinata coltura rispetto alla situazione di coltura pura: questo viene posto in relazione con il più elevato livello di biodiversità funzionale associato ad agroecosistemi complessi e diversificati. È infatti opinione ormai consolidata e supportata da numerosi lavori scientifici che queste caratteristiche possano garantire ad un agroecosistema una migliore capacità di opporsi agli attacchi di fitofagi (Paolini, 1988; Trenbath, 1993; Altieri e Nichols, 2003; Gurr et al., 2003). Numerosi autori invitano comunque ad evitare semplificazioni eccessive, ricordando che un aumento della biodiversità per se non costituisce una garanzia di successo nel controllo dei fitofagi: si devono invece comprendere e sfruttare consapevolmente i meccanismi attraverso i quali la diversificazione dell'agroecosistema può migliorare la gestione degli organismi dannosi per la coltura (Landis et al., 2000; Gurr et al., 2003).

Per spiegare come la tecnica della consociazione possa portare una riduzione degli attacchi di fitofagi alle sue componenti sono state eleborate diverse ipotesi, di cui si riportano le due più affermate (Root, 1973; Trenbath, 1993; Altieri e Nichols, 2003):

 “ipotesi di concentrazione delle risorse” (resource concentration hypothsis);  “ipotesi dei nemici” (enemies hypothesis).

La prima ipotesi afferma che, in un contesto in cui piante non suscettibili si frappongono a piante suscettibili all'attacco, un fitofago ha maggiore difficoltà a trovare la pianta ospite ed a spostarsi da una all'altra, nonché che tende ad abbandonare prima la coltura a causa della minore probabilità (rispetto alla situazione di monocoltura) di atterrare sopra un individuo suscettibile. Tutto questo è particolarmente rilevante nel caso di fitofagi specifici, in quanto in consociazione essi trovano la rarefazione della risorsa essenziale ai fini della loro sopravvivenza e del successo riproduttivo. La seconda ipotesi afferma invece che la densità e l'efficacia dell'azione dei nemici naturali dei fitofagi (predatori e parassitoidi) sono maggiori in un sistema

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diversificato: questi organismi vi possono trovare infatti condizioni favorevoli per la loro sopravvivenza e riproduzione, in particolare fonti di cibo alternative rispetto al fitofago target (polline, nettare, altre prede), luoghi di rifugio e condizioni microclimatiche generalmente favorevoli alla loro azione (Root, 1973; Paolini et al., 1988; Vandermeer, 1989; Altieri e Nichols, 2003; Gurr et al., 2003).

L'importanza relativa di queste due ipotesi ha grande importanza ai fini della possibilità di predire un determinato effetto di una coltura consociata, ma è di difficile valutazione: intervengono infatti diversi fattori, numerosi ed estremamente variabili a seconda degli organismi presi in considerazione (colture, fitofagi, antagonisti), del contesto ambientale, della densità e dell'organizzazione spaziale della coltura (Paolini et al., 1988; Altieri e Nichols, 2003).

Vandermeer (1989), in accordo con autori precedenti citati nel suo lavoro, inserisce un'ulteriore meccanismo di azione che potrebbe essere sfruttato in consociazione: una componente potrebbe essere inserita per funzionare da 'coltura trappola' (trap crop), per la sua capacità di attirare un determinato fitofago più di un'altra componente che interessa maggiormente difendere dagli attacchi. L'autore riporta numerosi casi di notevole successo di questa tecnica, particolarmente efficace nei confronti di fitofagi non specifici, ma ne mette in evidenza anche alcuni difetti: la 'coltura trappola' potrebbe attirare nell'appezzamento consociato un numero maggiore di fitofagi rispetto alla norma, così come potrebbe esercitare una competizione troppo elevata nei confronti della coltura principale (tenendo conto che per un'azione 'trappola' efficace è richiesta una certa densità di individui).

Controllo dei patogeni

Le colture pure e ad alta densità si rivelano particolarmente esposte all'attacco di patogeni in quanto sono uniformemente suscettibili al loro attacco e offrono un'alta densità di tessuto attaccabile nell'unità di superficie: per questi motivi esse creano spesso le migliori condizioni per lo sviluppo e la moltiplicazione dei patogeni, che riescono ad estendere l'attacco a tutta la coltura con relativa facilità (Paolini et al, 1988).

La ridotta incidenza dei patogeni specifici talvolta segnalata in colture consociate (Altieri e Liebman, 1986; Fininsa, 1996) è da mettere in relazione con il superamento dei punti deboli delle colture pure: in consociazione si ha una diminuzione degli individui suscettibili all'attacco, quindi una riduzione della densità di tessuto attaccabile, così come la diminuzione della produzione di inoculo da parte del patogeno; inoltre la presenza di piante non suscettibili può fungere da “barriera” alla diffusione dell'inoculo

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e quindi dell'epidemia (Paolini et al, 1988.; Francis, 1990).

Tuttavia a questo elemento positivo potrebbe contrapporsi l'influenza di alcuni fattori microclimatici, quali temperatura e umidità relativa dell'aria, che in condizioni di densa copertura potrebbero favorire l'attacco e la produzione di inoculo da parte di alcuni patogeni, principalmente di quelli fungini (Francis, 1990).

Figura

Fig. 1: Densità in colture pure e in consociazioni con disegno sostitutivo (a) e additivo  (b)

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