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CAPITOLO I La chirurgia laparoscopica

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Academic year: 2021

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Capitolo I       13 

CAPITOLO I

La chirurgia

laparoscopica

 

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1.1 Cenni storici

Con il termine “laparoscopia” (dal greco lapara-skopein = fianco, guardare ) si indica una metodica che consente di osservare la parete della cavità addominale e le strutture in essa contenute, mediante l’introduzione, attraverso la parete addominale stessa, di un endoscopio chiamato laparoscopio. Le origini della endoscopia possono essere fatte risalire alla scuola greca di Kos quando Ippocrate ( 460-375 a.C. ) descrisse l’uso del primo speculum da lui ideato per l’osservazione vaginale e rettale. Benché la storia della laparoscopia possa essere accomunata a quella di tutte le metodiche endoscopiche e quindi fatta risalire alle considerazioni del Bozzini nel 1804 (Bozzini P., 1806), il padre della laparoscopia e specificatamente della laparoscopia veterinaria viene considerato (Stellato T., 1992) Georg Kelling, medico di Dresda, che per primo, nel 1901, riferì di un’endoscopia della cavità addominale in un cane vivente, indicandola con il termine “celioscopia”. La prima esplorazione endoscopica della cavità peritoneale e pleurica nell´uomo venne eseguita e pubblicata dallo svedese Jacobeus nel 1910 con un cistoscopio a luce riflessa, metodo che in seguito venne utilizzato da molti ricercatori. Lo stesso Jacobeus introdusse per la prima volta, l’insufflazione dell’addome con aria atmosferica allo scopo di migliorare la visualizzazione degli organi addominali.

Gli anni successivi furono segnati dal moltiplicarsi di studi riguardanti lo sviluppo di nuovi sistemi di illuminazione e di nuove ottiche. Nel 1929 il tedesco Kalk realizzò il primo laparoscopio e riuscì a pubblicare le prime immagini degli organi della cavità addominale. A lui dobbiamo inoltre la creazione della prima ottica con visione obliqua a 35o. Nel 1954 il fisico inglese Hopkins sviluppò un nuovo ed efficace sistema ottico in grado di trasmettere immagini di elevata qualità, mediante l´impiego di ottiche di calibro ridotto alle quali era possibile collegare apparecchiature fotografiche. La grande diffusione della tecnica laparoscopica si è verificato solo negli anni sessanta con l’avvento delle fibre ottiche ed il miglioramento della qualità delle lenti associati all’utilizzo di fonti di luce fredda. Tali ottiche, brevettate e prodotte nel 1960 dal tedesco Karl Storz, sono attualmente le più utilizzate in chirurgia mininvasiva.

Nonostante le numerose ricerche di medici umani su modelli sperimentali animali, l’impiego della laparoscopia nel cane, nonostante le già citate ricerche di Kelling, per lo studio della funzionalità ovarica è stato oggetto di pubblicazione solo nel 1960, mentre la prima applicazione pratica risale al 1972, ad opera di Lettow (Lettow E., 1972), che segnalò la biopsia epatica laparoguidata.

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Le prime segnalazioni di tecniche laparoscopiche sul cane risalgono al 1985 ad opera di Wildt e Lower che praticarono la prima sterilizzazione di una cagna mediante legatura dei corni uterini, mentre nel cavallo Zarucco et all., nove anni più tardi, descrivono la laparoscopia con l’animale in stazione. Negli anni successivi le esperienze operative si susseguirono sino a culminare con il primo congresso mondiale di chirurgia endoscopica tenutosi ad Heidelberg nel 1988 durante il quale Cuschieri e Berci presentarono la prima monografia relativa alla colecistectomia videolaparoscopica.

Questi pochi cenni storiografici fanno comprendere come in realtà la laparoscopia negli animali sia da considerare ancora una metodica assai recente e suscettibile a modifiche, di miglioramenti e di aggiornamenti sia per quanto concerne la tecnica, sia per quanto riguarda la strumentazione.

In passato la laparoscopia in medicina veterinaria veniva impiegata principalmente per l’esplorazione dell’apparato riproduttore, mentre oggi le possibilità applicative sia in campo diagnostico che terapeutico si vanno sempre più ampliando. Inizialmente fu contestata, anche aspramente, per le difficoltà tecniche e perché esponeva il paziente ad un rischio operatorio maggiore rispetto alla chirurgia tradizionale, in particolare in caso di emorragia perché il chirurgo, operando "al di fuori" dell'addome, poteva incontrare difficoltà nell'eseguire un'emostasi rapida ed efficace. L'esperienza maturata in questo campo ed il miglioramento delle tecniche e della strumentazione chirurgica hanno minimizzato però tale rischio.

Dai primi semplici interventi demolitivi quali la colecistectomia, l'appendicectomia, la linfoadenectomia, si è giunti, dopo quasi vent'anni, ad interventi molto più complessi quali le resezioni intestinali, le gastrectomie, gli interventi su pancreas, milza, fegato, vie biliari. Questi interventi, attuati inizialmente sull’uomo, hanno reso possibile l’ampliamento delle tecniche chirurgiche laparoscopiche anche in ambito della pratica veterinaria. Infatti ad oggi, sia nel cane che nel cavallo, possono essere eseguite diverse procedure sia diagnostiche che chirurgiche, quali prelievo di campioni bioptici, ovariectomie, ricerca del residuo ovarico, drenaggio di ascessi, criptorchidectomie, trattamento di rotture vescicali, gastropessi, diagnosi di lacerazioni uterine, erniorrafia etc.

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1.2 Apparecchiature

Al fine di eseguire interventi di chirurgia videoendoscopica, lo strumentario riveste un´importanza fondamentale; negli ultimi anni le case costruttrici hanno apportato notevoli miglioramenti alle apparecchiature ed allo strumentario chirurgico adattandolo ed elaborandolo alle necessità specifiche dell´operatore e della tecnica chirurgica da eseguire. È bene sottolineare che ogni intervento eseguito per via laparoscopica o toracoscopica deve ripercorrere esattamente i tempi e le tecniche eseguite a "cielo aperto"; cambia solo il tipo di accesso alla cavità addominale o toracica. Questo accesso avviene a "cielo coperto", utilizzando ottiche che permettono la visualizzazione del campo chirurgico, minitelecamere e monitor ad alta risoluzione che permettono la visione a più operatori e strumenti chirurgici, appositamente realizzati per "prolungare" la mano del chirurgo all´interno di una cavità che rimane virtualmente chiusa.

1.2.1 Il Laparoscopio

Detto anche Ottica è lo strumento che consente la visualizzazione della cavità addominale producendo all’oculare un’immagine ingrandita delle strutture interne. L’ottica è costituita da un tubo metallico dotato di una fonte luminosa all’interno del quale è ospitato un sistema di lenti ottiche. Il sistema ottico che ad oggi è considerato l’eccellenza nell’industria dell’immagine endoscopica è il Sistema a lenti ad asta Hopkins che utilizza più vetro rispetto ai sistemi a lenti tradizionali e l’aria agisce come lente negativa in un mezzo di vetro rendendo le immagini migliori.

Comparazione tra un sistema tradizionale di lenti (in alto) ed un sistema Hopkins

La porzione del laparoscopio che trasporta la luce consta di numerose fibre ottiche avvolte intorno al sistema di lenti. La luce proveniente dalla sorgente entra in queste fibre ed esce dalla porzione distale del laparoscopio illuminando l’oggetto.

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1.2.3 Cavi a Fibre Ottiche

I cavi a fibre ottiche permettono la trasmissione, senza dispersioni, della luce dalla fonte luminosa all´ottica. Ciascun cavo è formato da numerose fibre ottiche a loro volta formate da un nucleo centrale in vetro e da un involucro più esterno a bassissima diffrazione. La luce attraversa ciascuna fibra ottica e viene rifratta dalla parete esterna sino a raggiungere l´ottica con una minima attenuazione. Ricordiamo infine l’estrema delicatezza dei cavi a fibre ottiche che richiedono di essere maneggiati con molta cura. L’integrità delle fibre può essere valutata illuminando un’estremità del cavo con una fonte di luce: le fibre danneggiate si presentano come puntini neri e quando questi arrivano a rappresentare più del 20% del totale il cavo deve essere sostituito perché le fibre danneggiate producono aree d’ombra sull’immagine.

1.2.4 Sistema Video

Il sistema video è costituito da monitor e telecamera. Le caratteristiche di una telecamera ad uso

endoscopico devono essere: maneggevolezza ed elevata qualità delle immagini riprodotte. Nelle apparecchiature più recenti sono presenti sistemi di zoom e di messa a fuoco automatica. E’ presente un adattatore per connettere la videocamera all’oculare del laparoscopio e trasmettere l’immagine al monitor che deve essere ad uso medicale in modo da non risentire delle interferenze di altri generatori presenti nella sala chirurgica.

Collegamento di monitor, telecamera, ottica e fonte luminosa tramite il cavo a

fibre ottiche.

Il monitor deve essere posizionato in maniera tale da consentire una visione ottimale sia al chirurgo che al video operatore come pure all’assistente e ciò comporta una disposizione diversa delle altre apparecchiature rispetto ad una sala operatoria adibita ad interventi con tecnica open.

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1.2.5 I

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1.2.6 Elettrochirurgia ad Alta Frequenza

In questa carrellata sulle apparecchiature dobbiamo sicuramente porre in un certo rilievo la così detta elettrochirurgia ad alta frequenza (da 300 a 3800 kHz).

Pinze bipolari e ganasce macro e micro per pinze bipolari (Ethicon Endo-Surgery)

L’elettrochirurgia ad alta frequenza permette di tagliare o coagulare i tessuti grazie al calore che si sviluppa con il passaggio di corrente elettrica attraverso di essi. Un’ onda continua produce vaporizzazione cellulare permettendo il taglio del tessuto. Un’ onda discontinua comporta invece disidratazione cellulare coagulando il tessuto interessato. Il chirurgo può selezionare una modalità o l’altra mediante una pedaliera e le due azioni possono anche essere simultanee.

Nel sistema monopolare abbiamo un elettrodo passivo negativo detto “massa a terra” a livello del corpo del paziente ed un elettrodo attivo corrispondente allo strumento chirurgico posizionato nell’area sulla quale vogliamo intervenire. Sono ottenibili sia il taglio che la coagulazione. Ricordiamo che la tecnica monopolare può comportare, soprattutto se eseguita senza opportune conoscenze, una produzione di calore anche in punti diversi da quello desiderato con la conseguente possibilità di provocare ustioni.

Con il sistema bipolare invece entrambi gli elettrodi, rappresentati dalle branche di una pinza, sono attivi e la corrente passa tra essi escludendo la possibilità di creare lesioni altrove. Lo svantaggio di questo sistema rispetto al monopolare è che permette la sola coagulazione utilizzando corrente a basso voltaggio ed elevata frequenza.

In laparoscopia la coagulazione mediante elettrochirurgia ad alta frequenza assume un’importanza fondamentale nella rapidità di esecuzione dell’intervento. In questo tipo di chirurgia infatti le legature (endoloop) sono molto laboriose per cui l’eventuale sostituzione di esse con l’elettrocoagulazione riduce notevolmente i tempi.

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Un inconveniente molto importante conseguente all’utilizzo dell’elettrochirurgia in generale, mono o bipolare, in chirurgia laparoscopica è la produzione di fumo che comporta l’offuscamento della visione del campo operatorio sul monitor. Tale fumo si dissolverà da solo o potrà essere eliminato mediante l’apertura di una valvola sul trocar.

Esperienza personale presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria di Pisa – immagine da DVD - (chirurgo Prof. I Vannozzi) Produzione di

fumo durante l’ elettrocauterizzazione

1.2.7 Ultrasuonochirurgia

Questo tipo di apparecchiatura è in grado di generare frequenze elevatissime (superiori ai 20 kHz) che a contatto con tessuti parenchimatosi comportano l´emulsione delle cellule particolarmente ricche di acqua (effetto di cavitazione) mentre vengono risparmiate le strutture vascolari, nervose, biliari e linfatiche, poiché prevalentemente costituite da tessuto connettivale.

Il generatore converte la corrente elettrica di rete in segnali elettrici ogni volta che il pedale viene premuto. Il trasduttore riceve i segnali elettrici dal generatore e li converte in vibrazioni meccaniche ad alta frequenza che vengono quindi trasmesse alla lama. La lama vibra in senso longitudinale con una frequenza di 55.500 Hz (cicli al secondo); la punta della lama si sposta di 50-100 µ ad ogni ciclo dipendentemente dal settaggio del generatore. L’effetto esercitato sul tessuto varia in funzione del settaggio del generatore, del tipo di tessuto, del tipo di lama, dell’estensione dell’area di contatto tra lama e tessuto, della pressione esercitata e del tempo di attivazione

(Freeman L. J., 1999). Poiché solo una piccola quantità di energia viene trasmessa lateralmente gli

effetti collaterali di natura termica sono limitati. A seconda del settaggio impiegato, l’apparecchio può provocare coagulazione dei tessuti o può essere impiegato sia come una forbice che come un bisturi.

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1.3 Strumenti Laparoscopici

Lo strumentario riveste un ruolo centrale in chirurgia mininvasiva, poiché la possibilità di eseguire un particolare tipo di intervento è in buona parte legata alla disponibilità e alla qualità degli strumenti che “prolungano” la mano del chirurgo. In generale, facilità d´uso, biocompatibilità, radiotrasparenza, ridotta capacità di riflessione della luce, affidabilità e costi di manutenzione contenuti sono le caratteristiche che devono essere prese in considerazione all´atto della scelta dello strumentario per chirurgia mininvasiva.

1.3.1 Trocars

Per trocar si intende uno strumento appuntito (otturatore) inserito all’interno di una cannula (Freeman L. J., 1999).

Rappresenta la via d’accesso all’addome dell’ottica e di una varietà di strumenti manuali. I trocars sono disponibili in diverse dimensioni sia per quanto riguarda la lunghezza che per quanto riguarda il diametro. La scelta in tal senso si basa sia sulla tipologia di strumenti che devono esservi introdotti sia sul tipo di procedura che si vuole eseguire, ma anche sulla regione anatomica in questione nonché sulle preferenze del chirurgo.

Il diametro varia tra i 5 ed i 10 mm e la lunghezza tra i 5 ed i 10 cm. In commercio esistono anche degli adattatori che permettono il passaggio di un piccolo strumento all’interno di una cannula grande senza perdere lo pneumoperitoneo.

Sul mercato sono disponibili trocars con diversi tipi di punta.A punta conica sono poco traumatici ma richiedono una certa pressione per essere inseriti. Quelli a punta piramidale richiedono meno

Trocars monouso (Endopath®, Ethicon Endo-Surgery) trocars

autoclavabili impiegati nell’esperienza personale effettuata presso il Dipartimento

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pressione per l’accesso ma è maggiore il potenziale traumatico sulla parete addominale e sui visceri. I trocars a punta smussa sono totalmente atraumatici e richiedono quindi un accesso chirurgico. Vi sono infine quelli a punta eccentrica, di più recente introduzione, i quali richiedono minor forza di penetrazione perpendicolare e riducono la profondità della penetrazione stessa accorciando la punta

del trocar di più del

70%.

Esperienza personale presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria di Pisa chirurgo Prof. I. Vannozzi – esecuzione dell’accesso chirurgico

l’inserimento di un trocar a punta smussa

Molti modelli di trocars monouso in commercio sono dotati di una lama protetta da una guaina di sicurezza che si ritrae nel momento in cui incontra la resistenza dei tessuti durante l’inserzione ed, una volta in cavità, scivola nuovamente a coprire il tagliente.

La cannula laparoscopica tradizionale è dotata di una valvola a senso unico che permette l’ingresso di uno strumento o del laparoscopio chiudendosi a scatto nel momento in cui questi vengono estratti. Questo meccanismo consente di mantenere l’insufflazione addominale.

Inserimento di un trocar monuso con protezione della

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Anche per taglio e dissezione gli strumenti laparoscopici altro non sono che omologhi modificati di quelli utilizzati per la chirurgia open: ci sono forbici con punta acuta o smussa, con ganasce fini o robuste, rette o curve. Una differenza molto importante sta nel fatto che la chirurgia laparoscopica richiede strumenti molto più fini e delicati perché eventuali errori conseguenti ad una azione troppo grossolana sono decisamente più difficili da risolvere. A tal proposito anche la tecnica dovrà essere adeguata evitando colpi unici e profondi.

Esperienza personale presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria

di Pisa – immagine da DVD chirurgo Prof. I Vannozzi Strumenti da presa e da taglio

Le pinze da laparoscopia si compongono di tre parti: un manipolo, un’asta e due ganasce. Per tutte le pinze, traumatiche e atraumatiche, le caratteristiche dei manipoli e delle aste sono sovrapponibili. I manipoli possono essere dotati o meno di cremagliera per il blocco della presa; inoltre sono disponibili manipoli con dispositivi per la connessione di elettrocoagulatori. La componente delle pinze per laparoscopia che è caratterizzata per la maggiore variabilità per forma e dimensione è sicuramente costituita dalle ganasce. Per quanto concerne la forma, queste si distinguono per la presenza o meno di denti e per il numero di questi, per la presenza di zigrinature e per il disegno delle stesse oltre che per la mobilità di una o entrambe le ganasce.

Le forbici curve Metzembaum, disponibili con diametro di 5 o10 mm, sono le più usate. Molto utili anche forbici a gancio soprattutto per tagliare le strutture tubolari o per asportare eventuali punti di sutura.

1.3.3 Strumenti e Metodi di Sutura

L’applicazione di punti e legature nella chirurgia laparoscopica risulta sicuramente più complesso e difficoltoso rispetto alla chirurgia open. Così come in chirurgia tradizionale, anche in chirurgia mininvasiva l´impiego di una legatura mediante laccio chirurgico è preferibile alla semplice elettrocoagulazione e all´applicazione di clip.

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Strumenti da sutura per la chirurgia laparoscopica

Applicatori di clip e suturatrici meccaniche

Come in chirurgia tradizionale gli applicatori di clip vengono utilizzati per la chiusura di vasi di piccolo calibro, vie biliari e vasi linfatici. Anche in questo caso si trovano in commercio versioni mono e poliuso. Le clip, solitamente in titanio, possono scivolare e staccarsi a causa della retrazione dei tessuti dopo la sezione. Per questo motivo sono state messe in commercio clip dallo speciale design ad elevata tenuta e con terminazione angolabile. Mentre in chirurgia tradizionale l´avvento delle suturatrici meccaniche ha essenzialmente permesso di ridurre i tempi operatori, in chirurgia mininvasiva, per l´elevata difficoltà di esecuzione delle suture endoscopiche "manuali", questi strumenti hanno determinato un significativo ampliamento delle indicazioni.

Fili di sutura, aghi, lacci e portasuture

In chirurgia mininvasiva è ormai disponibile l´intera gamma di fili di sutura e lacci utilizzata in chirurgia tradizionale. Tra i vari fili disponibili, riassorbibili o no, sono particolarmente indicati il Polyglactin 910 (Vicryl®), il Polidioxanone (PDS®) ed il Poliglecaprone 25 (Monocryl®), muniti di aghi inastati retti, da ½ cerchio, ⅜ di cerchio, semicurvi o “a canoa”.

Per quanto riguarda il porta-aghi può essere utilizzato quello classico, a coccodrillo, dotato di meccanismo autobloccante che assicuri una presa sicura sull’ago.

Strumenti chirurgici da 10 e 5 mm per laparoscopia;

dall´alto: applicatore ricaricabile di clip al titanio, forbice curva, pinze da presa

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In alternativa c’è il porta-aghi curvo di Cook: si tratta di un tubo dotato di una fenditura nella quale è posizionato l’ago. E’ munito di un pistone caricato a molla che garantisce una presa solida. In ogni caso si tratta di strumenti da 5 mm di diametro, con impugnatura ergonomica autostatica e stelo rotante a 360°. Sono in commercio anche fili da sutura endoscopici che vengono prodotti già montati su ago e hanno una lunghezza piuttosto limitata (circa 7 cm) per facilitare le varie manovre intracorporee; al contrario i lacci hanno una lunghezza maggiore rispetto al normale (20 cm). L´utilizzo dei cosiddetti endo-ski needle, caratterizzati da una estremità prossimale rettilinea e una terminale a semicerchio, rende le varie fasi della sutura intracorporea più semplici.

Legature

Sono presenti in commercio lacci dotati di nodi preconfezionati (endo-loop) con il filo montato sul relativo spinginodo. L´impiego dell´endo-loop riduce i tempi operatori e risulta particolarmente utile quando si deve afferrare un peduncolo libero come ovaie e testicoli oltre che per il prelievo di campioni bioptici. L’endo-loop preconfezionato è costituito da una cannula monouso contenente un filo preannodato a formare un’ansa strozzante e viene inserito nel primo trocar.

Esperienza personale presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria di Pisa

Nel secondo trocar viene inserita una pinza da presa la cui estremità dovrà passare attraverso l’ansa dell’endoloop per andare ad agganciare la struttura che vogliamo legare. Una volta posizionata l’ansa nel punto prescelto per la legatura, il chirurgo tira il filo dall’esterno facendo scorrere il nodo fino alla sua completa chiusura intorno al tessuto. Infine il filo viene tagliato a circa 2 cm dal nodo. In alternativa agli endo-loop si possono utilizzare i comuni lacci da chirurgia open, che, una volta introdotti in cavità addominale e/o toracica e dopo aver circondato la struttura da legare, con una tecnica del tutto simile a quella impiegata in chirurgia tradizionale, vengono riportati all´esterno dove viene confezionato il nodo extracorporeo. Si può procedere con l’esecuzione di un classico nodo chirurgico o si può versare su una tipologia di nodo tipicamente laparoscopico come quello di Roeder o Roeder modificato o il nodo di Fisherman. Una volta eseguita la legatura questa

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viene spinta all’interno mediante un knot-pusher. Descriveremo le tecniche per eseguire i principali nodi extracorporei. Per semplicità chiameremo capo distale (D) l´estremità del filo che entra nella cavità e prossimale (P) il restante capo.

• Nodo di Roeder: uno dei nodi più utilizzati. Si confeziona una semichiave destra (a). Il capo distale viene avvolto 3 volte attorno all´anello formatosi sotto la semichiave (b) e ritorna verso il capo prossimale, passando all´interno dell´ultima e della prima asola (c). Il nodo viene serrato dolcemente (d) e spinto all´interno della cavità.

• Nodo di Meltzer: si tratta di una variante del nodo di Roeder in cui il primo tempo prevede l´esecuzione di un doppio nodo, invece di una semichiave.

Nodo di Fisher: il capo distale del filo passa sotto a quello prossimale per 3 volte e viene fatto passare all´interno dell´anello formatosi. Il nodo viene, quindi, serrato.

Suture "manuali" intracorporee

Si tratta di manovre non sempre facili, soprattutto perché si opera con strumenti i cui movimenti sono vincolati dalla posizione dei trocar.

L´esecuzione di una sutura endoscopica prevede diverse fasi.

• Introduzione e posizionamento intracorporeo del filo di sutura. Una volta all´interno, il filo viene disteso e l´ago posizionato su una superficie piana e orizzontale.

Posizionamento sul porta-aghi. Se viene utilizzato un ago tipo endo-ski, questo viene

montato sul porta-aghi destro circa a metà della sua porzione rettilinea.

Passaggio dell´ago nei tessuti. Il porta-aghi sinistro solleva il margine destro della linea di

sutura, mentre il destro ruota sino a disporre la punta dell´ago perpendicolarmente al tessuto. L´ago viene spinto verso il basso e, una volta trafitto il tessuto, fatto ruotare verso l´alto.

Esecuzione del nodo intracorporeo. Con l´aiuto dei due strumenti si forma, con il filo di

sutura, un´ampia "C" aperta verso destra. Il porta-aghi destro afferra il filo a circa 2 cm

Realizzazione del nodo extracorporeo secondo Roeder. (P) capo prossimale; (D)

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dall´ago e avvolge per due volte il filo attorno alla punta del porta-aghi sinistro (a). Lo strumento di sinistra afferra la coda del filo e, facendola passare all´interno della parte avvolta attorno alla propria punta, completa il primo nodo (b) che viene serrato (c). A questo punto il porta-aghi di sinistra afferra il filo in prossimità dell´ago, lo avvolge attorno allo strumento di destra con modalità identiche a quelle sopra descritte, e confeziona il primo e poi il secondo seminodo di bloccaggio (d).

1.3.4 Strumentario Addizionale

Oltre agli strumenti laparoscopici standard, ne occorrono anche alcuni utilizzati nella chirurgia tradizionale quali:

• Teli per coprire il campo operatorio.

• Quattro/sei pinze fissateli (Backhaus o Doyen).

• Un bisturi per l’incisione cutanea con lama e manico di dimensioni opportune. • Quattro pinze Cocker da utilizzare dopo aver effettuato la mini laparotomia iniziale. • Una forbice chirurgica per un’eventuale dieresi.

• Tamponi sterili.

• Un porta-aghi per le suture delle brecce laparotomiche. • Una pinza chirurgica.

• Un filo con ago inastato per la sutura a fine intervento.

Oltre agli strumenti suddetti è indispensabile avere sempre a disposizione una trousse chirurgica completa per la chirurgia open nel caso fosse necessario convertire l’intervento.

 

Realizzazione del nodo intracorporeo.

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Capitolo I

   

  31 

1.4 Sala Operatoria per Interventi Laparoscopici

La sala operatoria utilizzata per la chirurgia laparoscopica può essere appositamente progettata a tale scopo oppure può essere una sala originariamente destinata alla chirurgia open successivamente riadattata. Questa “conversione” è possibile a patto che la stanza sia di dimensioni sufficientemente grandi e possieda un adeguato numero di prese elettriche. L’insufflatore deve essere posto vicino al monitor in modo che sia possibile una immediata verifica della pressione intraddominale in qualsiasi momento.

La soluzione ottimale è quella di porre tutte le apparecchiature necessarie su di un unico carrello (colonna) limitando in questo modo anche la possibilità che i numerosi cavi si attorciglino.

Esperienza personale presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa

Insufflatore, fonte di luce, monitor, videoregistratore sono posizionati su di un unico carrello munito di ruote

Elettrocauterio e monitor devono avere uscite elettriche separate per evitare che il primo interferisca con il secondo portando alla formazione di righe orizzontali sul monitor. Il suddetto carrello viene posizionato in modo da consentire una visione ottimale del monitor da parte del chirurgo, del video-operatore e dell’equipe. Durante l’intervento il chirurgo si posiziona dal lato del tavolo operatorio che gli permette di effettuare la maggior parte delle manualità utilizzando la mano dominante, il video-operatore si posizione sul lato opposto insieme all’eventuale assistente. Il tavolo deve poter ruotare in diverse posizioni: Trendelenburg, anti-Trendelenburg, angolazione destra e sinistra e flessione standard. Tali movimenti servono a spostare per gravità gli organi addominali in modo da liberare il campo operatorio.

La bombola contenente il gas per la formazione dello pneumoperitoneo sarà assicurata ad una parete. E’ importante che la sala sia dotata di una fonte di luce offuscabile in modo da poterne ridurre l’intensità al fine di ottenere una visione ottimale attraverso il monitor. Come per qualsiasi intervento chirurgico dovranno essere scrupolosamente eseguite tutte le procedure di asepsi di chirurgo, equipe, strumenti, paziente e sala operatoria.

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1.5 Esame Clinico e Valutazione Preoperatoria

Prima di sottoporre un soggetto a qualsiasi tipo di intervento è opportuno e doveroso eseguire tutta una serie di accertamenti e considerazioni.

E’opportuno valutare le condizioni generali del soggetto ed rischio anestesiologico con gli accertamenti routinari che si mettono in atto prima di un intervento. Si procede quindi ad una accurata anamnesi seguita da una attenta visita clinica con particolare attenzione alla funzionalità respiratoria e cardiaca alla quale può essere associata l’esecuzione di un elettrocardiogramma. Va sempre effettuato un esame emocromocitometrico per la valutazione dei parametri plasmatici (con particolare attenzione ad ematocrito e piastrinocrito) ed appurare la presenza o meno di infezioni in atto. Fondamentali sono i tempi di coagulazione: tempo di protrombina e di tromboplastina parziale per escludere alterazioni del processo di emostasi.

E’ inoltre consigliabile, soprattutto su pazienti non più giovanissimi, effettuare un profilo biochimico per la valutazione della funzionalità epatica e renale, oltre a valutare i possibili rischi connessi ad uno squilibrio acido base ed elettrolitico ed alla somministrazione precedente o concomitante di farmaci.

L’American Society of Anesthesiology ha elaborato una classificazione del rischio anestesiologico basata sulla valutazione delle condizioni fisiche del soggetto:

¾ ASA 1: soggetti senza malattie organiche; soggetti con manifestazioni patologiche senza disturbi sistemici

¾ ASA 2: soggetti affetti da lesioni che non determinano disturbi sistemici o che interferiscono in maniera limitata con le normali condizioni fisiologiche

¾ ASA 3: soggetti con manifestazioni patologiche lievi o medie associate a disturbi sistemici moderati

¾ ASA 4: soggetti con lesioni medio-gravi affetti da gravi disturbi sistemici e nei quali l’intervento si rende indispensabile per salvare la vita del paziente

¾ ASA 5: soggetti con lesioni gravi o gravissime nei quali si prevede la morte in un lasso di tempo di 24-72 ore

In base alla classe ASA assegnata ed alle peculiari eventuali problematiche del paziente l’anestesista valuterà il protocollo anestesiologico più adeguato. Ovviamente in soggetti a rischio in età avanzata andranno valutati i vantaggi effettivi di un intervento che può comunque mettere a rischio la vita del paziente.

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Capitolo I

   

  33 

Nel caso in cui si intenda optare per la chirurgia laparoscopica alle valutazioni già fatte ne vanno aggiunte altre. Bernet Jones ha individuato uno schema di esami ai quali sottoporre il soggetto al fine di individuare eventuali controindicazioni (1990):

• Esame anamnestico accurato.

• Esame obiettivo generale comprendente la palpazione addominale. • Esame emocromocitometrico.

• Accertamento di patologie sistemiche o di patologie cardiorespiratorie • Tempo di protrombina e di tromboplastina parziale e conta delle piastrine. • Elettrocardiogramma.

• Esame radiografico ed ecografico dell’addome.

Per quanto riguarda l’intervento laparoscopico, da queste analisi valuteremo le possibili controindicazioni a questa tipologia di intervento.

1.4.1 Controindicazioni

Possiamo semplificare la valutazione suddividendole in assolute e relative a seconda che rendano controindicato l’intervento o che presuppongano accorgimenti particolari.

Controindicazioni assolute

Ernia Diaframmatica

In nessun caso devono essere sottoposti ad intervento chirurgico con tecnica laparoscopica soggetti con accertata o anche solo sospetta ernia diaframmatica. In questo caso infatti il gas introdotto per la realizzazione dello pneumoperitoneo potrebbe spingere gli organi in torace attraverso la breccia. Inoltre il gas insufflato provocherebbe uno pneumotorace con aumento della pressione intratoracica e conseguente collasso polmonare.

Patologie Cardiopolmonari

Allo stesso modo l’intervento laparoscopico è assolutamente controindicato in soggetti affetti da patologie cardiopolmonari poiché l’insufflazione addominale, con il conseguente aumento di pressione, spinge verso il torace la cupola diaframmatica riducendone la possibilità di escursione durante gli atti respiratori. Tale situazione viene accentuata dalla posizione di Trendelenburg (con la porzione craniale del paziente abbassata di 15° rispetto a quella caudale). E’ opportuno però sottolineare che studi effettuati su donne sottoposte ad interventi di tipo ginecologico hanno

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dimostrato che la posizione di Trendelenburg, seppur riduce il volume polmonare totale e la compilance polmonare, non modifica in maniera significativa i parametri respiratori (Brown,

Fishburne, Robertson et al. 1976). La posizione di Trendelenburg avrebbe quindi un ruolo

marginale nell’insorgenza di problematiche di tipo respiratorio anche se, associata all’insufflazione addominale, aumenta gli effetti di compressione sulla cupola diaframmatica.

Altra problematica respiratoria è legata alla CO2, che è il gas di elezione per la formazione dello pneumoperitoneo. Questa viene in parte assorbita per via transperitoneale potendo così provocare ipercapnia ed acidosi respiratoria. Nel paziente adulto e con il sistema cardio-respiratorio in buone condizioni questo fenomeno è generalmente limitato e di scarso significato clinico e non si presenta monitorando attentamente che la pressione intraddominale resti al di sotto di 15 mmHg. Ipercapnia ed acidosi respiratoria possono invece essere causa di complicanze anche gravi in soggetti con concomitante patologia cardiopolmonare.

Una frequente ed importante complicanza cardiovascolare che si può verificare in corso di intervento laparoscopico è l’insorgenza di ipotensione acuta generalmente causata da compressione della vena cava caudale ad opera di eccessiva pressione dello pneumoperitoneo oppure da una eventuale aritmia generata dall’ipercapnia. Anche il riflesso vagale può essere causa di ipotensione anche se tale evenienza è più comune nella tecnica chirurgica laparotomica dove le manipolazioni degli organi sono maggiori. Vanno comunque considerate ed escluse altre possibili e gravi cause di ipotensione quali l’emorragia addominale, che può presentarsi anche in corso di intervento laparotomico, e l’embolia conseguente ad accidentale insufflazione in una struttura vascolare. E’ importante tenere presente che in corso di chirurgia laparoscopica è frequente l’insorgenza di aritmie cardiache che si verifica in circa il 17% dei pazienti umani (Ballantyne, 1996). Il meccanismo patogenetico di tali fenomeni è ancora sconosciuto ma si ritiene che l’attivazione simpatica conseguente all’ipercapnia possa avere un ruolo. Va detto che le aritmie, in soggetti con un precedente ritmo cardiaco nella norma, possono essere considerate reperti occasionali e tenute sotto controllo mediante una attenta regolazione della CO2 e con una ventilazione appropriata. atta a prevenire l’ipercapnia. Nei soggetti che invece presentano precedenti turbe del ritmo cardiaco le aritmie possono avere conseguenze anche molto gravi fino al collasso cardiocircolatorio.

Utero Gravido

Va infine sottolineato che anche l’utero gravido nella seconda metà della gravidanza può rappresentare una controindicazione assoluta andando ad occupare gran parte della cavità addominale e limitando di conseguenza le manualità chirurgiche.

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Capitolo I       35 

Controindicazioni relative

Sono definite “relative” quelle controindicazioni che non impediscono in maniera assoluta l’esecuzione dell’intervento laparoscopico, ma che sicuramente lo rendono molto più delicato.

Anamnesi di Precedenti Interventi Chirurgici o Malattie Infiammatorie Addominali

L’eventuale presenza di aderenze tra visceri o tra essi ed il peritoneo, spesso conseguenza di precedenti interventi chirurgici, rappresenta sicuramente una controindicazione poiché è causa di limitazione nelle manovre chirurgiche. Nel caso in cui ci siano state precedenti chirurgie addominali, infatti è altamente probabile che si siano venute a creare aderenze peritoneali più o meno gravi e diffuse che limiterebbero notevolmente sia la visione che le manualità in un intervento eseguito con tecnica laparoscopica.

Comunque pare opportuno ricordare che in medicina umana, dove è presente una più ampia esperienza ed una maggiore familiarità nel campo della chirurgia laparoscopica, quest’ultima viene molto spesso utilizzata per la risoluzione di briglie aderenziali soprattutto nell’endometriosi della donna.

Organomegalia

Lo stesso problema è causato da organomegalia di qualsiasi origine: splenomegalia, epatomegalia, meteorismo intestinale e/o gastrico, vescica e/o stomaco pieni etc. In questo caso alla riduzione nelle manualità chirurgiche si aggiunge il rischio di perforazione degli organi e soprattutto della milza all’inserimento del primo trocar. L’ eventuale organomegalia, così come pure l’entità delle aderenze, deve essere accertata e quantificata accuratamente nella fase di valutazione preoperatoria del paziente mediante palpazione ed esami radio ed ecografici. A seconda dell’importanza del fenomeno il chirurgo potrà ritenere di procedere ugualmente all’intervento laparoscopico utilizzando precauzioni e strumenti appropriati.

Aderenza dell’ovaia destra alla parete addominale ed

Adesiolisi laparoscopica Dr LK Yap; Dr Anne

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1.6 Preparazione del Paziente

Il paziente viene preparato procedendo con la tricotomia dell’ addome partendo dall’apofisi xifoidea dello sterno per arrivare alla regione inguinale allargandosi lateralmente fino al limite inferiore della regione dorsale. Con un aspiratore si asportano i peli recisi rimasti sul soggetto. A questo punto si posiziona il soggetto in decubito dorsale sul tavolo operatorio assicurandolo con lacci legati agli arti ed al tavolo operatorio stesso. Si disinfetta il campo con passaggi alternati di iodopovidone ed alcool (3 + 3) iniziando dal sito dove verrà praticata l’incisione e procedendo con movimenti circolari verso la periferia, per poi nebulizzarlo con una soluzione di iodopovidone al 10%. Queste procedure di disinfezione sono molto importanti in quanto, nonostante si parli di metodiche mini invasive e il video laparoscopio porti ad una diminuzione delle possibilità di contaminazione peritoneale, la messa in opera di tutti i provvedimenti per garantire il massimo della sterilità è oggi un’esigenza imprescindibile anche in medicina veterinaria.

Esperienza personale presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria

dell’Università di Pisa

Bisogna avere sempre a disposizione un accesso venoso, meglio se due.

Prima di sottoporre il soggetto all’intervento è opportuno intubarlo ed inserire un catetere vescicale in modo che la vescica piena di urina non interferisca con le manovre chirurgiche.

Lo stomaco deve essere vuoto ed a questo scopo il soggetto deve essere sottoposto al digiuno per le 12 ore che precedono l’intervento. Quest’ ultima precauzione è importante al fine di ridurre il rischio di emesi conseguente all’anestesia. Alcuni chirurghi gradiscono che anche l’ultima porzione intestinale sia libera, cosa facilmente ottenibile mediante clistere prima dell’induzione dell’anestesia.

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Capitolo I       37 

1.7 Protocollo Anestesiologico

La valutazione preoperatoria è importante in tutti i pazienti che devono essere sottoposti ad anestesia generale ed è essenziale nei soggetti da destinare a chirurgia laparoscopica.

1.7.1 Premedicazione

La predicazione anestetica, è una pratica ampiamente messa in atto in medicina veterinaria perché offre considerevoli vantaggi. Tra questi i principali sono:

• Riduzione della risposta agli stimoli ambientali con conseguente diminuzione di paura. • Riduzione della motilità gastrointestinale al fine di prevenire fenomeni di emesi. • Riduzione del dosaggio degli anestetici aumentando così il margine di sicurezza.

• Prevenzione di alcuni effetti secondari degli anestetici quali bradicardia, scialorrea, iperattività del sistema nervoso simpatico etc.

A differenza dei normali interventi laparotomici, dobbiamo tener presente che determinate peculiarità di un intervento laparoscopico obbligano ad alcune considerazioni.

Ad esempio gli α2–agonisti, come xylazina e medetomidina, inducono riduzione della portata cardiaca ed aumento delle resistenze vascolari polmonari e sistemiche (Booth, Mc Donald, 1991), fattori che possono essere aggravati dall’insufflazione della cavità addominale e dalla posizione di Trendelenburg (Freeman 1999). I derivati fenotiazinici, come l’acepromazina, possono provocare marcata vasodilatazione con conseguente ingorgo splenico e quindi splenomegalia. Ciò comporta un notevole aumento del rischio di perforazione della milza stessa all’inserimento dei trocars e comunque riduzione del campo visivo del chirurgo e limitazione dello spazio intraoperatorio . I derivati morfinici possono causare in alcuni soggetti ipotensione e spasmo dello sfintere di Oddi. Anche gli anticolinergici possono causare ipotensione arteriosa e bradicardia.

Tali considerazioni non costituiscono delle controindicazioni assolute all’utilizzo di questi farmaci negli interventi con tecnica laparoscopica ma sono fattori da tener presenti nel momento in cui se ne consideri l’impiego ed il dosaggio.

1.7.2 Induzione dell’Anestesia

L’anestesia generale in medicina veterinaria è più spesso indotta con farmaci iniettabili e quelli maggiormente utilizzati sono i tiobarbiturici che inducono il sonno senza provocare effetti

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convulsivanti. Determinano una diminuzione della frequenza respiratoria e una depressione dose-dipendente della contrattilità miocardica che può essere responsabile di una diminuzione della portata cardiaca pari anche al 20%. A dosi elevate possono provocare tachicardia con vasodilatazione periferica e ipotensione. Anche se l’ arresto cardiaco è un evenienza rara non devono essere utilizzati in pazienti cardiopatici.

Altro farmaco iniettabile molto utilizzato per l’induzione dell’anestesia generale è la ketamina la quale, a differenza dei suddetti tiobarbiturici, non provoca depressione cardio-respiratoria. Può essere iniettata sia intramuscolo sia endovena ed è generalmente utilizzata in anestesie bilanciate con altri farmaci ed anestetici. Al contrario dei tiobarbiturici induce un aumento della gittata cardiaca ma, seppur raramente, può determinare aritmie. Può inoltre provocare laringospasmo e broncospasmo con conseguente tosse. Al fine di prevenire tali problematiche viene spesso somministrata nel cane in associazione con xilazina.

Sempre per quanto riguarda gli iniettabili un altro farmaco molto utilizzato è il propofol che determina effetti assimilabili quelli dell’ induzione barbiturica quali una rapida induzione con rapida diminuzione della contrattilità miocardia e vasodilatazione. Talvolta causa ipotensione e alterazioni della frequenza cardiaca, inconvenienti questi che possono essere limitati somministrando il farmaco lentamente. Si usa sia per l’induzione che per il mantenimento dell’anestesia. Non crea fenomeni di accumulo nei tessuti, fatto questo che lo rende più sicuro. Per quanto riguarda invece i farmaci inalatori utilizzabili per l’ induzione dell’anestesia ricordiamo

isofluorano ed alotano. L’elevato quantitativo di anestetico necessario, derivante dalla

somministrazione attraverso la maschera, può determinare riduzione della contrattilità miocardica, della portata cardiaca e della pressione sanguigna. L’isofluorano viene preferito all’alotano in quanto, a concentrazioni equipotenti, ha effetti meno depressati sugli apparati cardiaco e respiratorio. E’ anche meno aritmizzante. Inoltre, essendo poco metabolizzato, non è nefro ed epato-tossico. Non risulta essere convulsivante. Dà induzione e risveglio rapidi perché è poco solubile nel sangue. Tutti gli anestetici inalatori determinano un aumento del flusso ematico cerebrale e questo è molto importante vista la posizione del paziente durante un intervento laparoscopico.

1.7.3 Mantenimento dell’Anestesia

Per il mantenimento dell’anestesia (per via gassosa) il soggetto deve essere intubato. Il protossido

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Capitolo I

   

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avendo una MAC molto elevata. Per questa ragione non può essere utilizzato da solo ma deve essere associato ad altri anestetici volatili o al Propofol nelle anestesie bilanciate. Ha effetti trascurabili sull’apparato cardio-respiratorio e, non essendo metabolizzato, non ha alcun effetto sul fegato e sul rene. Inoltre non è irritante sulle prime vie respiratorie. Per quanto riguarda la chirurgia laparoscopica ricordiamo che il protossido d’azoto provoca meteorismo intestinale interferendo così con la visione del campo operatorio oltre che con le manualità chirurgiche, quindi generalmente non viene utilizzato per questa pratica.

L’alotano è un anestetico volatile dotato di scarso potere analgesico. Circa il 60-80% del gas viene eliminato con l’espirazione mentre la restante quota viene biotrasformata ed eliminata dal fegato con possibili effetti epatotossici. Deprime il SNC in maniera dose-dipendente fino a provocare il collasso cardio-respiratorio e quindi la morte. Sensibilizza inoltre il cuore all’ azione aritmizzante delle catecolamine.

Infine consideriamo l’ isofluorano che è in linea generale il migliore degli anestetici gassosi. Questa affermazione è giustificata dal fatto che è quello che provoca minor depressione cardio-respiratoria e che sensibilizza meno il cuore all’azione aritmizzante delle catecolamine.

Inoltre, essendo scarsamente metabolizzato, non ha effetti tossici né epatici né renali.

Anche l’ isofluorano però induce ipotensione provocando la caduta delle resistenze periferiche e riduzione della gettata cardiaca.

Cane intubato mantenuto con anestesia gassosa mediante

isofluorano.

Esperienza personale presso il dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa

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1.8 Monitoraggio del Paziente

Durante un intervento chirurgico è fondamentale avere un costante monitoraggio delle funzioni vitali del paziente allo scopo di poter intervenire tempestivamente qualora si presentino eventuali complicazioni. Questo compito è affidato alla figura dell’ anestesista ed al suo eventuale aiuto. I parametri routinariamente rilevati sono:

¾ la frequenza cardiaca mediante il fonendo-endoscopio collocato in esofago. Con l’ECG oltre alla frequenza si valuta anche il ritmo cardiaco.

¾ la frequenza respiratoria sempre mediante fonendo-endo.

¾ la pressione sistolica, la diastolica rilevate mediante manicotto. Con un apposito calcolo da queste viene ricavata la pressione media: PAM (non è corretto fare la media matematica tra sistolica e diastolica poiché quest’ultima ha durata maggiore e deve quindi avere un peso diverso nel calcolo).

¾ la temperatura corporea mediante una sonda endoesofagea.

¾ la saturazione di ossigeno dei tessuti mediante il pulsossimetro. Questo, calcolando l’indice di rifrazione della luce, riporta la saturazione di O2 dell’ Hb (emoglobina).

¾ La composizione gassosa dell’espirato del paziente. Nelle moderne sale operatorie si trova un macchinario multiparametrico che riporta la PO2, la PCO2, l’inspirato e l’espirato di isofluorano ed eventualmente dell’N2, oltre alla frequenza respiratoria.

Per la valutazione della profondità dell’anestesia si considerano, oltre a frequenza cardiaca e respiratoria, anche i riflessi corneale, pupillare e laringeo. In corso di intervento con tecnica laparoscopica andrà posta particolare attenzione al ritmo cardiaco e alla respirazione.

Possiamo comunque configurare tre situazioni durate l’insufflazione addominale:

I. Per valori di pressione intraaddominale (IAP) inferiori a 10 mmHg si può dire che in sostanza non vi sono variazioni circolatorie importanti, l’output cardiaco (OC) e il ritorno venoso non subiscono variazioni;

II. Per valori di IAP compresi tra 10 e 15 mmHg si verifica un aumento dell’OC e del ritorno venoso;

III. Per valori di IAP superiori a 15 mmHg si ha un progressivo decremento dell’OC e del ritorno venoso con aumento delle resistenze periferiche.   

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Capitolo I       41 

1.9 Pneumoperitoneo

Con il termine pneumoperitoneo si intende l’introduzione di un gas tra il peritoneo parietale, che riveste le pareti addominali, e quello viscerale, che riveste gli organi. In questo modo la cavità addominale, che normalmente è uno spazio virtuale, diventa uno spazio reale.

La pressione intraperitoneale normale varia tra -5 e 7 mmHg (Freeman L.J. 1990) mentre quella che raggiungeremo mediante l’insufflazione dovrà essere compresa tra i 12 ed i 14 mmHg.

Alcuni studi hanno dimostrato che pressioni intraddominali fino 20 mmHg determinano solo lievi modificazioni emodinamiche che si mantengono entro limiti fisiologici tollerabili. Quando invece la pressione supera i 25 mm di Hg si verificano marcate modificazioni emodinamiche che , oltre i 40 mm di Hg, determinano uno stato di shock (Diebel LN. et al., 1992).

1.9.1 Complicanze derivanti dallo pneumoperitoneo

Alterazioni della funzionalità cardiaca

Diversi studi hanno ampiamente dimostrato che l´incremento della pressione addominale determinato dall´insufflazione di gas può essere causa di riduzione del ritorno venoso al cuore (da compressione dei circoli venosi periferici e splancnici) e conseguente tachicardia compensatoria da riflesso simpatico. La stessa ipercapnia provocata dalla prolungata insufflazione di CO2 può essere causa di aumento della frequenza cardiaca. Lo pneumoperitoneo provoca una vasocostrizione compensatoria con conseguente aumento delle resistenze periferiche che da un lato incrementano ulteriormente l´ipercapnia e dall´altro riducono il ritorno venoso al cuore.

Alterazioni del ritmo cardiaco

La comparsa di aritmie cardiache si verifica in una percentuale compresa tra il 25 e il 45% dei pazienti sottoposti a interventi di chirurgia laparoscopica. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di aritmie sinusali, del tutto prive di significato patologico.

Alterazioni del circolo periferico e splancnico

Alcuni studi hanno dimostrato che una pressione addominale superiore a 25 mmHg può causare una riduzione significativa (fino al 40%) del flusso a livello della vena femorale e dei vasi periferici . Una tale riduzione, associata alla posizione di Trendelenburg, nonché alla maggiore durata degli interventi stessi, incrementa la stasi venosa periferica e quindi, almeno in linea teorica, il rischio di trombosi venosa profonda (TVP) e/o embolia polmonare postoperatoria.

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D´altro canto, la più rapida mobilizzazione del paziente, nonché la riduzione dello stress chirurgico e, quindi, la minor liberazione delle citochine potrebberocompensare il rischio di TVP.

Alterazioni della funzionalità polmonare

Gli effetti dello pneumoperitoneo sulla funzionalità respiratoria sono prevalentemente legati alla riduzione del volume polmonare provocata dalla dislocazione del diaframma verso l´alto, nonché dalla ritenzione di CO2 e dalla conseguente ipercapnia. La riduzione della compliance polmonare, l´aumento delle resistenze sulle vie aeree, la riduzione della capacità vitale nonché la posizione di Trendelenburg sono altre conseguenze respiratorie tipiche dello pneumoperitoneo.

Embolia gassosa

L´embolia gassosa è una rara ma potenzialmente letale complicanza strettamente legata allo pneumoperitoneo. L´ingresso di gas all´interno dell´apparato cardiocircolatorio è causato dalla lesione accidentale di strutture vascolari intraddominali con strumenti e/o ago di Veress.

L´insorgenza di embolia è strettamente legata alla dose e alla solubilità del gas: la CO2 è un gas molto solubile e la dose letale è piuttosto alta (circa 25 ml/kg) in rapporto all´aria (circa 5 ml/kg).

Ipotermia

Nonostante la cavità addominale rimanga virtualmente chiusa, il rischio di ipotermia intraoperatoria è maggiore in corso di laparoscopia rispetto alla chirurgia aperta. Il motivo è strettamente legato allo pneumoperitoneo: la CO2, infatti, presente in forma compressa all´interno della bombola, una volta insufflata nell´addome si espande, con conseguente riduzione della pressione, raffreddamento del gas e, quindi, della cavità addominale

Sommario degli effetti fisiologici dovuti all’aumento della pressione intraddominale e alla posizione di Trendelenburg (inclinazione di 15° della testa rispetto al corpo del paziente) (tabella 2-5, cap. 2, Freeman, 1999)

AUMENTO DIMINUZIONE

9 Impedenza polmonare e della parete toracica 9 Picco della pressione inspiratoria

9 Resistenza polmonare

9 PaCO2

9 Pressione media del sangue arterioso

9 Pressione ventricolare sinistra e tensione parietale a fine sistole

9 Resistenze vascolari periferiche 9 Pressione intracranica

9 PaO2

9 Compliance polmonare 9 Capacità funzionale residua 9 Capacità vitale

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Capitolo I

   

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L’insufflazione addominale può essere manuale o automatica. L’insufflazione automatica ci da maggiore tranquillità consentendo un costante ed oggettivo controllo della quantità di gas erogato nonché della pressione raggiunta. Un altro fattore da valutare attentamente è la velocità di erogazione del gas. Questa dovrebbe essere lenta (1-2 l/min) nella fase iniziale e successivamente rapida (6-10 l/min). Il basso flusso iniziale ha lo scopo di minimizzare i danni che potrebbero conseguire ad un errato posizionamento dell’ago da insufflazione o della cannula laparoscopica in un organo addominale, in un vaso o in una zona extraperitoneale.

1.9.2 Scelta del Gas

Il gas ideale per la formazione dello pneumoperitoneo è trasparente, incolore, non esplosivo, fisiologicamente inerte, di facile reperibilità e non viene assorbito né eliminato a livello polmonare.

Anidride Carbonica

E’ il gas maggiormente utilizzato perché di facile reperibilità, economico e non infiammabile. Viene facilmente assorbita ed eliminata grazie alla sua elevata solubilità nel sangue (0,49). Gli svantaggi principali conseguenti all’utilizzo di questo gas conseguono essenzialmente alla formazione di acido carbonico. Questo può determinare irritazione della superficie dei visceri addominali e passare in circolo e dando luogo ad ipercapnia, stimolazione del sistema nervoso simpatico, vasodilatazione, ipertensione, tachicardia e aritmie.

Protossido d’Azoto

Come l’anidride carbonica è facilmente reperibile e viene rapidamente assorbito ed eliminato. Rispetto ad essa ha però il vantaggio di non determinare acidosi ed ipercapnia ed è anche dotato di un modesto potere analgesico. Rappresenta comunque una seconda scelta in quanto può determinare distensione viscerale e combustione per reazione con il metano e l’idrogeno intestinali.

Gas Inerti (Argon, Elio, Xenon)

Hanno vantaggi simili al protossido d’azoto. Sono però molto più costosi e di difficile reperibilità. A proposito dell’elio è stato effettuato uno studio che propone questo gas come alternativa all’anidride carbonica, gas di elezione. Questo studio dimostra che l’elio, a differenza della CO2, non comporta né ipercapnia né acidosi (Leighton, Bongard, Liu – 1991). Questo gas però risulta poco solubile nel sangue (0,0098). Questo aspetto lo rende poco adatto ad un sicuro impiego clinico per le possibili conseguenze in caso di embolia gassosa.

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Ossigeno ed Azoto

Sono gas facilmente reperibili e abbastanza economici ma vengono assorbiti ed eliminati lentamente dal paziente con conseguente elevato rischio di embolia. Inoltre l’ossigeno è infiammabile per cui un suo utilizzo è improponibile in concomitanza di quello dell’elettrobisturi.

1.9.3 Metodi per la Realizzazione dello Pneumoperitoneo

Esistono diversi metodi per ottenere lo pneumoperitoneo.

Ago di Veress: viene introdotto in cavità addominale vicino all’ombelico a livello della

regione paramediana destra. Per posizionare correttamente l’ago di Veress occorre una piccola incisione cutanea eseguita sollevando e mantenendo in tensione la parete addominale. Lo strumento viene inserito perpendicolarmente alla parete addominale stessa evitando oscillazioni al fine di scongiurare possibili lesioni agli organi sottostanti. Esistono varie prove per verificare il corretto posizionamento dell’ago di Veress al fine di evitare la formazione di pneumoderma:

1. Una volta posizionato l’ago vi si collega il tubo dell’insufflatore e si apre il rubinetto. Se l’ago

è posizionato correttamente il manometro registrerà una leggera pressione negativa.

2. Dopo che l’ago è stato posizionato si apre il rubinetto e si solleva la parete addominale. Se la

punta dell’ago è effettivamente in cavità addominale si verificherà la fuoriuscita dell’aria dal rubinetto ogni volta che si solleva e si rilascia l’addome.

3. Dopo aver posizionato l’ago, con una siringa priva di ago collegata allo strumento si iniettano

in cavità addominale 1-2 ml di soluzione fisiologica sterile. Se l’ago di Veress è penetrato correttamente la soluzione defluirà liberamente indicandoci che la punta non è ostruita.

4. Dopo aver inserito l’ago vi si collega una siringa sterile priva di ago e si aspira per verificare la

presenza del vuoto addominale dimostrato da un rapido ritorno dello stantuffo nella sua posizione iniziale.

5. Nel momento in cui iniziamo l’ insufflazione verifichiamo sia il valore della pressione

intraddominale che quello del flusso di gas erogato. Questi dovrebbero rispettivamente essere 2-3 mm/ Hg e 1 l/min. Se la pressione è alta e il flusso è nullo significa che la punta dell’ago è ostruita.

6. La prova definitiva del corretto posizionamento dello strumento e della formazione di un

adeguato pneumoperitoneo ci viene fornita dall’uniforme distensione della parete addominale e dal distanziamento della stessa dai visceri sottostanti che viene percepita mediante la prova del ballottamento.

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Capitolo I

   

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Mini-open per l’introduzione del trocar: E’ forse la tecnica più sicura e rapida per la

creazione dello pneumoperitoneo. In prossimità della cicatrice ombelicale si pratica una piccola incisione di cute e sottocute delle dimensioni del diametro del trocar che vi verrà introdotto e si procede alla dissezione per via smussa del grasso sottocutaneo. E’ possibile effettuare una sutura a borsa di tabacco del sottocute all’interno della quale verrà eseguita l’incisione del peritoneo.

Una volta introdotto il trocar nella breccia si procede con la rimozione dell’otturatore. Infine si connette la cannula all’insufflatore e si procede alla formazione dello pneumoperitoneo.

A questo punto si stringe la sutura in modo da evitare eventuali dislocazioni della cannula che comporterebbero perdita di gas e quindi dello pneumoperitoneo.

Trocar ottico: Si tratta di un trocar particolare munito di una lente a livello dell’estremità

distale dell’otturatore. Una volta introdotto il laparoscopio nell’otturatore la lente consente di osservare sul monitor la penetrazione del trocar attraverso le diverse strutture che compongono la parete addominale. Effettuato l’inserimento l’otturatore con il laparoscopio viene rimosso e si collegata l’insufflatore al trocar in modo da creare il pneumoperitoneo.

Sebbene questa tecnica consenta un adeguato controllo delle fasi di ingresso del trocar all’interno della cavità addominale in modo da evitare di danneggiare i vasi sanguigni presenti, al chirurgo è richiesta una certa esperienza per identificare correttamente le diverse strutture anatomiche (Freeman L.J., 1999).

Esperienza personale presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’ Università di

Pisa

chirurgo Prof. I. Vannozzi Incisione di cute e sottocute e

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1.10 Tecnica Chirurgica

Le prime fasi dell’intervento di ovariectomia e di criptorchidectomia laparoscopica coincidono: il paziente cateterizzato ed intubato è posizionato in decubito dorsale con la testa dal lato del monitor o al lato opposto a seconda delle tecniche.

I trocar vengono inseriti, nel nostro caso con tecnica mini-open evitando il legamento falciforme e sfruttando lo spessore del muscolo retto dell’addome per la tenuta pneumatica del trocar evitando il coricamento del trocar stesso al momento di retrarre gli strumenti (Vannozzi et al., 1999). Tale incisione deve essere di dimensioni idonee rispetto al trocar che verrà utilizzato: circa 3 cm per il trocar da 11 mm generalmente utilizzato per questa porta. Il trocar armato viene quindi impugnato dal chirurgo con la mano dominante ed inserito mediante energici movimenti rotatori inclinandolo in senso caudale al fine di scongiurare il rischio di lesionare la milza sottostante. Una volta inserito il trocar in addome viene estratto l’otturatore ottenendo così la prima via di accesso (porta).

Esperienza personale presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’ Università di Pisa

chirurgo Prof. I. Vannozzi

Prima dell’inserimento in addome dell’ottica è opportuno immergerla in soluzione fisiologica riscaldata onde evitarne l’appannamento oppure utilizzare apposite soluzioni antiappannamento (FRED® Anti-Fog Solution, Dexide, Inc, Fort Worth, Texas) (Freeman LJ., 1999). Al momento dell’inserimento l’ottica può sporcarsi con eventuale sangue rimasto nella cannula. In tal caso l’ottica dovrà essere estratta per essere pulita delicatamente con una garza sterile o si può tentare di pulirla appoggiandone la superficie su quella di un’ansa intestinale. Tali operazioni dovranno essere ripetute anche nel corso dell’intervento ogni qual volta si dovesse sporcare. A questo punto si procede all’insufflazione addominale con CO2 con una pressione intraddominale tra i 12 ed i 14 mmHg. Si effettua quindi una accurata esplorazione addominale al fine di valutare le condizioni degli organi addominali, compresi quelli sui quali andremo ad operare (testicoli o ovaie).

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