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CAP.4 OGGETTI IN PIETRA LEVIGATA

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Academic year: 2021

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CAP.4 OGGETTI IN PIETRA LEVIGATA

4.1 ACCETTE ED ANELLONI

Reperti in pietra levigata vengono rinvenuti nei siti italiani ed europei a partire dal Neolitico Antico e comprendono asce\accette, scalpelli, percussori, levigatoi1, anelloni, elementi di parures, pestelli e macinelli, prodotti utilizzando svariati tipi di rocce tra cui le più comuni sono le pietre verdi.

In questa sede si affronterà soltanto la produzione di asce\accette e anelloni, oggetti allo stesso tempo funzionali e simbolici.

Nella nostra penisola i siti neolitici in cui sono stati rinvenuti oggetti in pietra levigata sono numerosi, ma non in tutti è sempre utilizzata la pietra verde. I siti con reperti in pietra verde sono concentrati in Italia settentrionale, soprattutto nella parte occidentale, vicini alle fonti di approvvigionamento della materia prima. In quest’area si trovano insediamenti in cui sono documentate le varie fasi di lavorazione degli strumenti ricavati dalle ofioliti: si tratta soprattutto di rinvenimenti di superficie ed in alcuni casi anche di importanti rinvenimenti di scavo, in Lombardia nella valle del torrente Staffora il sito di Rivanazzano, in Piemonte Brignano Frascata ed Alba2, che finora è il più ricco di reperti in pietra verde.

Allontanandosi dalle fonti di approvvigionamento diminuisce il numero dei siti in cui avvengono i ritrovamenti3, ed i reperti nel sud della Penisola, dal punto di vista

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si presentano come ciottoli allungati con una estremità ogivale liscia e lucida e si pensa fossero usati per levigare la ceramica (Venturino Gambari 1995a, p.13-26).

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Nell’insediamento neolitico di Alba, i reperti sono stati rinvenuti nella quasi totalità fuori contesto durante ricerche di superficie condotte dall’ingegnere Traverso tra Ottocento e Novecento; Brignano Frascata è uno dei pochi siti officina piemontesi in cui i manufatti in pietra levigata siano stati rinvenuti in giacitura primaria e siano quindi databili con esattezza al Neolitico Antico grazie alla presenza di frammenti ceramici appartenenti alla Cultura del Vhò (Venturino Gambari 1997, p.66-73)

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In Italia centrale nel primo Neolitico è documentata (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242) la diffusione di oggetti in pietra verde ad esempio in siti toscani quali La Querciolaia e l’isola di Pianosa; siti laziali come La Marmotta; siti dell’Emilia Romagna, Faenza-Fornace Cappuccini; nei siti abruzzesi di Colle S. Stefano, Villaggio Leopardi, Marcianese e marchigiani, Maddalena di Muccia e Ripabianca di Monterado (Zamagni 2006, p.750-758). Nel Meridione è testimoniata la presenza di strumenti levigati in litologie locali nel sito calabrese di Favella, e fino ad oggi non sono stati ancora individuati ateliers di produzione (Barfield 1997, p.57-65;Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242).

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quantitativo, e qualitativo, non sono paragonabili a quelli rinvenuti in Italia settentrionale (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242).

In Europa, oltre al Piemonte ed alla Liguria, aree dalle quali i manufatti raggiungevano la Francia meridionale ed i Pirenei, un’altra importante zona di produzione è la Svizzera occidentale, con scambi fino all’Europa del nord (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242).

ASCE\ACCETTE

Le prime attestazioni di questi strumenti da taglio si hanno in Medio Oriente in siti natufiani, collocabili cronologicamente tra X e VIII millennio A.C. (Barfield 1997, p.57-65).

In Europa sono rinvenuti, a partire dal Mesolitico, prodotti inizialmente in selce scheggiata e solo poi, con il Neolitico, in pietra levigata. Nel Calcolitico continuano ad essere fabbricati ma con forme forate ed asce da combattimento ed usati con sempre minore frequenza fino all’età del Ferro. In Europa settentrionale, in alcuni casi, continua la tradizione mesolitica e le asce vengono prodotte tramite scheggiatura di qualità particolarmente resistenti di selce (Barfield 1997, p.57-65). Il manufatto in esame è composto da due parti: la lama in pietra ed il manico in legno. A volte è stato riscontrato l’uso di un manicotto in osso o corno di cervo tra il manico e la lama per rendere lo strumento più elastico e resistente ai colpi violenti (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242;Piel-Desruisseaux 2004, p.168-186).

Quando ci si riferisce ai manufatti rinvenuti negli scavi archeologici, soprattutto in quelli italiani, sarebbe più corretto parlare, di “lame d’ascia” piuttosto che di “asce”, termine che designa lo strumento intero con il suo manico. Sulla lama sono distinguibili differenti parti (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242;Piel-Desruisseaux 2004, p.168-186):

-il tagliente (parte funzionale) nella zona distale dello strumento, che può essere ricurvo o rettilineo e sempre levigato;

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-il corpo che può avere forma triangolare o trapezoidale, ed essere martellinato o più raramente interamente levigato;

-i margini o fianchi;

-il tallone (parte immanicata) nella zona prossimale dello strumento che può avere forma conica o piatta.

Secondo alcuni studiosi il tipo di immanicatura sarebbe determinante (fig.10) nel differenziare le asce dalle accette: nel primo caso la lama viene fissata con il tagliente parallelo al manico, mentre nel secondo il tagliente è perpendicolare al manico. Secondo altri, bisognerebbe prendere invece in considerazione la forma del corpo, a sezione biconvessa, regolare e simmetrica nelle asce, a sezione piano-convessa asimmetrica nelle accette (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242) o valutare la combinazione della forma del corpo e della forma del tallone: tallone conico e corpo spesso (asce), tallone lineare e corpo appiattito (accette), caratteristiche individuate nella produzione levigata del sito friulano di Sammardenchia (D’Amico,Ferrari,Ghedini,Pessina 1997, p.84-90).

Per ciò che riguarda la materia prima, mentre nelle regioni settentrionali dell’Italia le asce sono quasi esclusivamente in rocce verdi4, quelle rinvenute nel meridione sono prodotte soprattutto con litotipi differenti dalle ofioliti alpine. In Sicilia è documentato l’uso del basalto (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242), in Calabria ed in Basilicata sono lavorate le serpentiniti, le nefriti, i graniti (Salerno, Pessina 2004, p.765-771), i gabbri e le dioriti (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242), la grovacca ed il calcare silicizzato. Più ci si allontana dalle aree di approvvigionamento dei litotipi alpini, più si nota la tendenza allo sfruttamento degli affioramenti di rocce disponibili localmente5.

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Nel sito di Sammardenchia, in Friuli, è documentato anche l’uso, minoritario, di altre rocce tra cui litotipi locali ed esteri: siltite, nefrite, andesite, cloritoscisti, cinerite vetrosa (D’Amico 1994, p.159-165)

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Un esempio può essere rappresentato dal sito di Colle S. Stefano in Abruzzo (Neolitico antico a ceramica impressa) dove è documentato l’uso di radiolarite, calcilutite a foraminiferi planctonici ed ex-calcarenite bioclastica. (Zamagni 2006, p.750-758).

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4 b a c

FIG.10: Possibili tipi di immanicatura delle asce (a); (c)

immanicatura diretta e

immanicatura con l’uso di una guaina in corno di cervo; (b) tappe della fabbricazione di una guaina di ascia (da Pessina,

Tiné 2008;Piel-Desruisseaux

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Purtroppo in Italia (a differenza di altre nazioni europee) la maggior parte dei manufatti in pietra levigata viene trovata fuori contesto ed è di conseguenza difficilmente databile con precisione. Questo discorso vale in modo particolare per le asce che sono faticosamente inseribili in classificazioni tipologiche in quanto la loro forma rispecchierebbe soprattutto quella del ciottolo di provenienza (Barfield 1997, p.57-65). Una delle ipotetiche soluzioni, finora trovate, a questo problema sembrerebbe quella di fare confronti tra i manufatti ritrovati casualmente e i materiali provenienti da siti ben databili, anche se, potendo essere trasmesse nel tempo e nello spazio (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242) da una generazione all’altra, le asce rimanevano in circolazione per un lungo periodo e venivano modificate nella forma e nelle dimensioni a causa dell’uso e delle riaffilature.

Durante il Neolitico questi strumenti furono utilizzati nelle attività di disboscamento e di lavorazione del legname e probabilmente anche nella lavorazione dell’osso e delle pelli, come confermato dai dati archeologici ed etnografici; è inoltre testimoniato il loro utilizzo in Europa come armi (Baviera-Cultura della LinearBandKeramik) e come strumenti per l’estrazione della selce nelle miniere inglesi (Barfield 1997, p.57-65).

L’esistenza delle cosiddette “asce lunghe”6 o asce da parata farebbe pensare che questi manufatti, soprattutto quelli in giadeite alpina, non fossero semplicemente degli strumenti da lavoro ma potessero avere piuttosto una valenza simbolica: simbolo delle attività di disboscamento delle foreste praticate dai primi agricoltori, oggetto che conferiva prestigio ed importanza a chi lo possedeva o simbolo del potere delle élites nascenti e della gerarchizzazione della società in corso nel Neolitico (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242; Pétrequin et alii 2005, p.265-321).

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Il termine è riferito ad asce con dimensioni che superano i 20 cm di lunghezza, spessori sottili e superfici interamente levigate a specchio; sono molto diffuse in Europa occidentale e settentrionale dal Neolitico alla prima Età dei Metalli con una distribuzione irregolare, mentre i loro ritrovamenti sono meno frequenti in Italia (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242).

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Testimonianze (Barfield 1997, p.57-65) di questo valore sono rintracciabili in numerosi e particolari contesti neolitici europei (fig.11): in raffigurazioni di asce in tombe o su menhir nella Francia del nord; grandi asce in giadeite infisse nel suolo nel Bacino di Parigi ed in Bretagna (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242); asce gettate nelle torbiere tedesche e belghe (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242); asce rinvenute nelle vicinanze di tombe (fig.12) in Gran Bretagna o sepolte intenzionalmente in Scandinavia, etc.

a

b

FIG.11: (a) Rappresentazione di lame di

asce di prestigio nella tomba megalitica di Gavrinis in Bretagna; (b) asce di prestigio in giadeitite e in fibrolite da Carnac (da Barfield 1997, p.57-65;Ricq-de Bouard,Le Roux 2008).

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La presenza, in Francia, di lame d’ascia nei soli corredi maschili farebbe pensare ad una divisione tra componenti maschili e femminili all’interno delle comunità; la presenza, invece, di asce soltanto in alcune tombe maschili, documenterebbe una sorta di stratificazione sociale nella società già a partire dal Neolitico. Esistono, inoltre, in Europa ripostigli di manufatti levigati interpretabili come forme di tesaurizzazione di ricchezza da parte di singoli individui o di gruppi che avevano probabilmente un ruolo di rilievo nella comunità e non come nascondigli usati dai produttori di asce: vi si rinvengono asce appena sbozzate e\o finite, asce interamente levigate e le asce lunghe (Barfield 1997, p.57-65; Zamagni 1997a, p.144-145).

Anche in Italia settentrionale si verificano nel corso del Neolitico gli stessi fenomeni documentati in Europa occidentale. Le asce lunghe trovate in Piemonte sono soltanto 13: di queste, le asce di tipologia neolitica sono collocate lungo la valle del Tanaro, quelle appartenenti al Neolitico tardo\Eneolitico nel bacino della

FIG.12: Carta della

distribuzione delle asce

lunghe in rocce alpine in

Europa Occidentale

(Pétrequin P., Cassen S., Croutsch C., Errera M., 2002)

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Dora Riparia e quelle appartenenti all’Eneolitico nella Val di Susa; un ripostiglio documentato a San Damiano d’Asti e contenente asce a diversi stadi di lavorazione, asce interamente levigate e uno scalpello, attribuito, al Neolitico Medio; corredi con asce levigate sono testimoniati in Italia settentrionale anch’essi solo a partire dal Neolitico Medio, con la Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata. (Barfield 1997, p.57-65; Zamagni 1997a, p.144-145; Venturino Gambari 1997, p.66-73)

Nel Neolitico Medio, si verifica un aumento (Venturino Gambari 1997, p.66-73) della produzione di manufatti in pietra levigata, l’aumento delle asce da parata e la comparsa (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242) di una nuova tipologia di strumenti, gli scalpellini subrettangolari a doppio tagliente, rinvenuti anche in contesti funerari. A partire dal passaggio tra Neolitico Recente ed Eneolitico le asce assumono caratteristiche differenti: la forma diventa prevalentemente trapezoidale con tallone largo e corpo spesso, la lucidatura interessa solo la parte del tagliente e le dimensioni diminuiscono. Sono documentate anche asce miniaturizzate, deposte nei corredi funerari, che possono raggiungere un minimo di 3,5 cm di lunghezza. Con l’Eneolitico, forse a causa della progressiva diffusione ed utilizzo di strumenti metallici, si verifica la perdita d’importanza dei manufatti levigati e di conseguenza i ritrovamenti si fanno più rari fino a cessare con l’Età del Ferro, quando è documentata la presenza, in contesti d’abitato e funerari, di strumenti più antichi con la comparsa delle prime forme di credenze che conferivano all’ascia poteri magici ed apotropaici. Con la prima Età dei Metalli si hanno delle novità: si diffonde una nuova tecnica di lavorazione della pietra levigata definita “sciage” o segatura, con la quale i blocchi di materia prima da lavorare venivano preparati ottenendo porzioni a forma di parallelepipedo; sono prodotte, inoltre, per la prima volta punte di freccia in serpentinoscisto e le cosiddette asce forate ed è testimoniato l’uso della giadeite anche per la produzione di strumenti funzionali (Venturino Gambari 1997, p.66-73).

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ANELLONI

Gli anelloni sono manufatti forati di forma discoidale prevalentemente in pietra verde levigata, talvolta definiti anche bracciali o pendenti, poiché considerati oggetti ornamentali o parti di parures (Traversone 1997, p.197-202).

A partire dal Neolitico Antico si rinvengono in Francia, in Spagna e in Italia. Nella nostra penisola, in particolare, sono molto diffusi (fig.13) in area padano-alpina in quanto caratteristici delle culture del primo Neolitico locale (Gruppo del Vhò, Cultura di Fiorano e Gruppi friulani). Si rinvengono, soprattutto da contesti di superficie o da contesti non databili con precisione, anche in Toscana, in Emilia Romagna, in Umbria, in Liguria (Grotta delle Arene Candide e Grotta della Pollera), in Basilicata e in Campania (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242; Tanda 1977, p.111-155). Non sono documentati nei contesti cardiali dell’area medio tirrenica e nei siti della Cultura a ceramica impressa adriatica (Ferrari, Pessina 1999, p.23-92).

Anche se con la Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata sembrerebbe cessare in Italia (Traversone 1997, p.197-202) la produzione degli anelloni levigati, alcuni esemplari sono presenti ad esempio in Sardegna, nei siti di Alba e di Grotta dell’Orso di Sarteano (SI), ed in alcuni siti abruzzesi quali Catignano, Ripoli e Fossacesia (Tanda 1977, p.111-155;Zamagni 2006, p.750-758).

In Italia settentrionale7 ma soprattutto in Piemonte gli anelloni rinvenuti sono numerosi e provengono in gran parte da contesti d’abitato ben definiti come Alba (6) e Brignano Frascata (12) ma in parte anche da ritrovamenti di superficie decontestualizzati. I rinvenimenti sono stati tutti effettuati nella parte meridionale della regione, a sud del Po, tranne quelli provenienti da Carisio (VC) (1), da Arona (NO) (1),da Torino (1) e da Chieri (TO) (1) (Traversone 1997, p.197-202; Fugazzola Delpino,Pessina,Tinè ,(a cura di), 2004, p.208-221). Le uniche testimonianze di rinvenimenti in Italia di anelloni all’interno di sepolture provengono dalla Liguria, dalla Grotta dei Pipistrelli e dalla Grotta delle Arene Candide (Ferrari, Pessina 1999, p.23-92).

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a differenza della Francia dove gli anelloni, prevalentemente in calcare e in scisto si trovano numerosi anche in corredi funerari (Venturino Gambari 1997, p.66-73;Traversone 1997, p.197-202).

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Da sottolineare è anche il fatto che si ha una particolare concentrazione di asce e di anelloni nelle valli alessandrine al confine con la Lombardia, rinvenuti nella maggior parte dei casi grazie a ricerche di superficie dell’ingegnere Nebiacolombo nel territorio di Brignano Frascata (alcuni provengono anche dagli scavi effettuati dal Tinè nella medesima località tra 1983 e 1984), nel sito di Pozzol Groppo fraz. Biagasco (1) e di Momperone loc. Rio Carona (3) (Traversone 1997, p.197-202).

FIG.13: siti appartenenti al primo Neolitico dell’Italia centro-settentrionale in cui sono stati

rinvenuti anelloni ( da Pessina, Tiné 2008).

E’ attestato in Italia settentrionale lo sfruttamento soprattutto di rocce ofiolitiche alpine come giadeitite, onfacitite, paragonite, oltre a scisti e a rocce glaucofaniche ed in Piemonte è usata in misura maggiore la serpentinite; marmo, calcare e steatite sono altre materie prime lavorate per ottenere anelloni in Toscana, in Liguria, in Umbria e in Abruzzo (Pessina, Tiné 2008, p.117-131,229-242;Zamagni 2006 p.750-758)

A partire dagli anni ’70 gli anelloni sono stati studiati dal punto di vista tipologico: un’ analisi di grande importanza fu compiuta da J. Courtin e X.

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Gutherz sugli anelloni della Francia meridionale (Courtin, Gutherz 1976, p.352-369), grazie alla quale si ebbe una prima classificazione di questi manufatti in base alla forma della loro sezione; una distinzione basata su altre caratteristiche come larghezza della corona, misura del diametro esterno ed interno fu elaborata da G. Auxiette nel 1989 prendendo in considerazione gli anelloni della Francia settentrionale, del Belgio e della Germania occidentale (Traversone 1997, p.197-202).

Gli anelloni italiani sono stati studiati e classificati, nella seconda metà degli anni ’70 da Giuseppa Tanda dell’Università di Sassari (Tanda 1977, p.111-155), che li ha raggruppati, in base alla forma della sezione, in 8 tipologie (fig.14). Inizialmente aveva rilevato l’esistenza dei primi 3 tipi solo in Sardegna; successivamente li ha riscontrati anche per gli anelloni della Penisola italiana, individuandone, allo stesso tempo, altri 5 gruppi:

 tipo A: caratterizzato da una sezione a triangolo isoscele, con due varianti: A1 a faccia interna piana

A2 a faccia interna convessa

 tipo B: a sezione piano-convessa

 tipo A-B: a sezione poligonale, con due varianti:

A-B1 a sezione triangolare con faccia interna a profilo angolare A-B2 a sezione triangolare con faccia interna convessa

 tipo C: a sezione di triangolo largo con lati curvilinei

 tipo D: a sezione convesso-piana

 tipo E: a sezione rettangolare

 tipo F: a sezione trapezoidale, con due varianti:

F1 a basso spessore

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 tipo G: a sezione ellissoidale, con due varianti:

G1 a sezione ellissoidale

G2 a sezione ellissoidale schiacciata

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Nel corso degli anni, sono state prese in considerazione numerose ipotesi per spiegare in quale categoria di manufatti potessero rientrare gli anelloni e quindi capire la loro funzione; sono stati interpretati come oggetti d’ornamento, pendenti, accessori di indumenti, bracciali per braccia e per gambe e anelli da naso o come armi da getto, teste di mazza o addirittura come spianatoi delle cuciture, levigatoi delle superfici interne dei vasi e monete da scambio (Tanda 1977, p.111-155). G. Tanda (Tanda 1977, p.111-155) cercò nei suoi studi di incrociare altri dati quali il tipo di appartenenza, il litotipo, asserendo che nei tipi A, B e A-B rientrano nella maggioranza gli anelloni in pietra verde, mentre gli anelloni in altri litotipi (marmo, calcare e steatite) prevalgono nei restanti gruppi, cercando di stabilire così una relazione tra il tipo di anellone ed il tipo di roccia usata. Dividendo gli anelloni studiati in tre categorie in base alle misure del diametro interno, superiore a 5 cm, tra 4 e 4,9 cm e inferiore a 4 cm, notò che il maggior numero di anelloni rientrava nella prima classe dimensionale ed incrociò poi i dati sulle dimensioni e quelli sulla materia prima utilizzata: il primo gruppo è formato prevalentemente da anelloni in pietra verde, il secondo ed il terzo sono più eterogenei, costituiti da anelloni in pietra verde ed in minor misura anche da anelloni in marmo, calcare e steatite. Per quanto riguarda la funzione, ipotizzata su base dimensionale, gli anelloni del primo e forse anche del secondo gruppo sono considerati come bracciali portati al braccio, all’avambraccio ed alla caviglia; gli esemplari del 2 e 3 gruppo sono imitazioni di bracciali usati come pendagli; in base al litotipo, gli anelloni in pietra verde sono considerati oggetti ormamentali con valenza magico-religiosa e monetale, quelli in marmo sono esclusivamente ornamenti, al contrario di quelli in calcare che potrebbero essere stati usati come pesi da rete o teste di mazza, per la bassa qualità della materia prima e per la lavorazione non molto ricercata.

Attualmente l’ipotesi più accreditata resta quella che considera l’anellone un oggetto ornamentale e più propriamente un bracciale, basandosi soprattutto sul rinvenimento di anelloni in corredi di sepolture francesi, in alcuni casi (fig.15) anche inseriti all’altezza del gomito del defunto (Traversone 1997, p.197-202; Venturino 2004, p.25-43).

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E’ probabile che gli anelloni non fossero soltanto degli oggetti ornamentali, ma avessero anche un significato simbolico: simbolo di ricchezza o dell’appartenenza ad un certo ceto sociale. Basti pensare alla lavorazione accurata a cui venivano sottoposti questi manufatti, fino ad una levigatura totale, a specchio e all’utilizzo di una materia prima non molto diffusa e non facilmente lavorabile, ma di notevole pregio estetico. Un elemento che testimonia ulteriormente l’importanza di questi oggetti come espressioni del prestigio personale è la riparazione dei manufatti fratturati con dei fori alle estremità rotte (Traversone 1997, p.197-202).

FIG.15: Sepoltura neolitica ad inumazione di Longues Raies (Seine et Marne).

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Frequente è il rinvenimento di semilavorati di forma discoidale concentrati soprattutto nel Piemonte centro meridionale nelle valli (Valcurone, Ossona, Staffora, Grue) al confine con la Lombardia: in queste aree, come ad Alba nel cuneese, sono numerosi, anzi prevalgono sui manufatti finiti, gli abbozzi frammentari, le schegge di lavorazione, gli scarti, i percussori e gli anelloni semilavorati, reperti che permettono di classificare i siti di ritrovamento come siti officina specializzati nella produzione degli anelloni levigati.

4.2 LA CATENA OPERATIVA

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L’incrocio dei dati ottenuti dalle analisi delle tracce di lavorazione e dall’archeologia sperimentale ha fornito utili indicazioni per ricostruire la catena operativa sia delle lame d’asce sia degli anelloni che possono essere suddivise (fig.18-23) in varie fasi, alcune comuni ad entrambi i manufatti:

-sbozzatura della lama\anellone per scheggiatura -rifinitura della lama\anellone per bocciardatura -perforazione dell’anellone

-levigatura dal tagliente\anellone

Un’accurata selezione delle rocce verdi da lavorare precede la produzione del manufatto: si pensa che, si preferisse utilizzare ciottoli raccolti in depositi alluvionali o lungo i torrenti piuttosto che distaccare schegge direttamente dagli affioramenti primari poiché l’azione dell’acqua eliminerebbe dalle rocce le parti esterne, facendole risultare più depurate e quindi lavorabili con più facilità.

La scelta di un particolare litotipo da usare può influenzare i tempi di produzione, infatti una elevata tenacità implica una grande resistenza agli urti e di conseguenza comporta un rallentamento dei tempi di lavorazione.

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Rocce dure e tenaci eclogiti a grana fine; giadeiti; onfaciti Rocce dure eclogiti con granati visibili ad occhio nudo Rocce di media

durezza

eclogiti retrocesse; glaucofaniti; prasiniti

Rocce tenere serpentiniti; anfiboliti

FIG.16: classificazione delle rocce impiegate nella produzione di asce riferibili ad

orizzonti culturali neolitici (da Delcaro 1997).

Si ha inoltre una scelta dei ciottoli più adatti, con una forma che più si avvicina a quella dell’ ascia o dell’ anellone (allungati o subcircolari ed appiattiti ad es.) e, per verificare la qualità della materia prima e per evitare di trasportare grandi quantità di materiali per lunghe distanze, si ricorre ad una prima scheggiatura del materiale raccolto (“testatura”) nelle immediate vicinanze delle aree di approvvigionamento. Si inizia, poi, all’ interno del sito, con la scheggiatura a dare la forma, le dimensioni e lo spessore voluti. La scheggiatura, detta anche sbozzatura, si effettua con l’uso di percussori (ciottoli sferoidali) di elevata durezza, in genere in pietra verde, e serve a regolarizzare i bordi delle lame e degli anelloni predeterminando la forma. E’ stato riscontrato che alcune delle schegge così prodotte potevano essere levigate ed utilizzate come sgorbie.

La fase successiva (fig.20) è rappresentata dalla bocciardatura o martellinatura che consiste nella picchiettatura prolungata dell’intera superficie della lama o dell’ anellone tramite un percussore duro e serve ad asportare un’ulteriore quantità di materiale superfluo dall’oggetto, che può anche essere appoggiato su un’incudine. La quantità asportabile del materiale dipende dal percussore, dalla sua tenacità e dalla forma della superficie di lavoro: più la superficie del percussore è appuntita, maggiore sarà la quantità eliminata di materiale.

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- i percussori di grandi dimensioni per distaccare grandi schegge iniziali - ciottoli per la sbozzatura

- piccoli percussori per la bocciardatura

- percussori ricavati da frammenti di asce\anelloni rotti durante la lavorazione o l’uso

- percussori ricavati da schegge, con forma casuale

Nel caso in cui i percussori usati siano di piccole dimensioni o ciottoli, essi avranno, a causa di un consumo molto elevato, al termine del loro uso, una forma particolare, diversa da quella di partenza, pentagonale o pseudo-esagonale con due coppie di superfici inclinate tra loro di circa 120°.

L’ipotesi che per il percussore possono essere utilizzati, oltre a ciottoli, anche frammenti di asce o di anelloni rotti deriva dal fatto che il numero dei percussori rinvenuti è sempre molto basso rispetti agli oggetti finiti. I manufatti provenienti da scavi e le ricostruzioni sperimentali hanno confermato questa ipotesi con dati reali. E’ possibile vedere le tracce lasciate dal riutilizzo delle asce sia sul tallone che sul taglio e capire, in base al tipo di tracce, più o meno fini, la durezza del materiale lavorato: se la roccia è dura i segni sul percussore sono più grossolani, i segni saranno più fitti e fini se il percussore ha colpito una roccia di pari o minore durezza.

I frammenti di ascia possono essere usati inoltre come incudine: è presente in questo caso, sulla superficie laterale, una sorta di incavo con segni di una martellinatura non grossolana sui bordi.

E’ stato riscontrato grazie all’archeologia sperimentale ed alle analisi traceologiche sui reperti, l’impiego sia come percussore sia come incudine anche di asce semilavorate integre ancora da finire. Era possibile così lavorare contemporaneamente, cioè bocciardare, tre manufatti: il primo strumento faceva da incudine, il secondo da percussore ed il terzo era l’ascia principale da lavorare. La bocciardatura è la parte più complessa della catena produttiva sia nel caso delle asce che in quello degli anelloni, in quanto richiede molto tempo ed abilità poichè si rischia di rompere l’ oggetto semilavorato: la frattura delle lame d’ascia è in genere obliqua, determinata da un forte colpo dato dal percussore sul fianco dell’abbozzo; la frattura degli anelloni è invece longitudinale (lungo l’asse del diametro).

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La lavorazione degli anelloni implica un’ ulteriore fase, quella della perforazione centrale bidirezionale, che non troviamo nella catena produttiva delle asce: si ottiene picchiettando con un percussore duro (pietra verde) ed appuntito il centro del manufatto da entrambi i lati fino ad ottenere un foro a sezione biconica che verrà man mano allargato sempre attraverso una leggera martellinatura. Anche in questa fase è possibile causare la rottura degli abbozzi.

Ultima fase, la levigatura, interessa nel caso delle lame d’ascia soltanto una parte del manufatto, il tagliente, che viene così rifinito ed affilato; nel caso degli anelloni, invece, viene levigato l’intero manufatto e allargato e rifinito il foro. Possono essere usati due tipi di mole in pietra abrasiva (arenaria, micascisti granatiferi o quarziferi, quarzoarenite, cloritoscisti granatiferi), quelle dormienti di grandi dimensioni che possono avere la superficie concava e quelle attive, di minori dimensioni usate come lime, che possono derivare anche dalla frantumazione di una mola grande sfruttata fino alla completa consunzione.

E’ abbastanza semplice capire se una lama d’ascia sia stata molata su una pietra abrasiva oppure se sia stata levigata con una lima, poiché solo con le mole attive è possibile limare superfici concave. E’ inoltre possibile anche capire se sono stati impiegati sabbia o abrasivi grossolani dalle tracce lasciate dai granuli poiché essi incidono maggiormente i cristalli delle rocce, rendendo più o meno irregolari le superfici levigate.

Per quanto riguarda gli anelloni, le superfici esterne vengono assottigliate e levigate facendo scorrere l’anellone su una mola dormiente ed il foro, invece, viene allargato e rifinito per mezzo di lime attive.

Subito dopo essere stata levigata la lama d’ascia finita era probabilmente immanicata con osso o legno, ma di questa fase (fig.17) ancora non sono state rinvenute nei siti piemontesi possibili tracce come invece accade in contesti umidi e in insediamenti lacustri transalpini. Si pensa che si preferisse utilizzare un’immanicatura diretta con l’ inserimento nel legno della lama senza l’uso di guaine in corno di cervo oppure il fissaggio della lama con strisce di pelle o tendini di animali.

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FIG.17: Asce neolitiche immanicate provenienti dalla Germania meridionale (da Barfield

1997)

La produzione di manufatti levigati era un’ attività che richiedeva un’ elevato grado di conoscenze teoriche e pratiche.

E’ verosimile, quindi, che l’ esperienza necessaria venisse acquisita solo dopo un lungo periodo di apprendistato durante il quale si imparava non solo a lavorare manufatti levigati ma anche a riconoscere i litotipi in base alle loro caratteristiche, i luoghi di approvvigionamento e a selezionare la materia prima più adatta al tipo di oggetto che si voleva produrre. Vista l’esperienza richiesta, i lunghi tempi di lavorazione e le difficoltà incontrate durante tutto il ciclo produttivo, si può parlare dell’ industria su pietra verde levigata come di una forma di artigianato specializzato con l’esistenza di un gruppo ristretto di persone, gli specialisti, che lavoravano all’interno della comunità a tempo parziale, come dimostrato da confronti etnografici con le popolazioni della Nuova Guinea, piuttosto che un’ attività praticata da tutta la comunità in alcuni periodi dell’anno (Barfield 1997, p.57-65).

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Si pensa che gli strumenti da taglio possano aver circolato non solo sottoforma di prodotto ultimato, ma anche di semilavorati scheggiati o martellinati da finire nei singoli insediamenti di destinazione senza dover necessariamente ricorrere all’ uso di conoscenze tecniche particolari. E’ stato notato grazie alla documentazione archeologica che più ci si allontana dalle aree di approvvigionamento e dai siti di lavorazione, più diminuisce, fino scomparire, il numero di ciottoli e di blocchi di materia prima grezza ed aumenta invece il numero di prodotti finiti o ad uno stadio quasi ultimato di lavorazione. Si nota inoltre in questi siti l’elevato numero di lame rotte durante l’uso ed il riutilizzo come percussori soprattutto delle asce rotte. Al contrario gli anelloni sono stati spostati in Italia già come manufatti finiti. Finora infatti è stata documentata soltanto nelle regioni nord occidentali la presenza di anelloni rotti e di abbozzi a diversi stadi di lavorazione, trovati sia in superficie sia in siti d’abitato (Venturino Gambari 2004, p.25-43).

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FIG.18: Schema ricostruttivo della

catena operativa delle lame d’ascia. (da Venturino Gambari, a cura di, 2004)

FIG.19: Ciottoli percussore dal sito

neolitico di Rivanazzano. (da

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FIG.20: Ricostruzione sperimentale della fase di bocciardatura su incudine e di levigatura di una lama d’ ascia. (da Delcaro 1997)

FIG.21: Lame d’ascia a

diversi stadi di

lavorazione da San

Damiano d’ Asti (da AA.VV. 1997).

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FIG.22: Lame d’ascia a diversi stadi di lavorazione da Castello d’ Annone (da AA.VV.

1997).

FIG.23: Schema ricostruttivo della catena lavorativa degli anelloni. (da Pessina,Tiné

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FIG.24: Anelloni a diversi stadi di lavorazione da Brignano Frascata (da AA.VV. 1997)

a

FIG.25: Anelloni finiti da Alba

(a), da Vho di Piadena e da Torino (b) (da AA.VV. 1997)

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