CAPITOLO 5
Ricoveri per Rivascolarizzazioni e Amputazioni
L’amputazione dell’arto inferiore è un ricovero che coglie bene l’inefficacia del sistema di cura del diabete. I diabetici rappresentano circa il 60 % di tutti i ricoveri per amputazione non traumatica. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS), analizzando il periodo 2001-2009, riscontra nella popolazione diabetica un aumento delle amputazioni minori da 7,1 dimissioni/100.000 residenti nel 2001 a 9,3 nel 2009, mentre le amputazioni maggiori si sono ridotte da 4,3 a 3,8. Il tasso di 3,8 è identico a quello della popolazione generale nel 2009, ma dato che i diabetici sono circa tra il 5 e il 6% della popolazione questo indica che il tasso nella popolazione diabetica è circa 20 volte più elevato che nella popolazione non diabetica. Nel periodo 2001-2009, sebbene i tassi totali di ospedalizzazione siano rimasti alquanto stabili, il tasso relativo alle amputazioni maggiori è diminuito di circa il 30%. Anche questo tipo di ricoveri ha una notevole variabilità regionale, oscillando per l’amputazione maggiore da 0,7 a 5,3 per 100.000 residenti, senza però alcuna evidenza di un gradiente Nord-Sud. Anche il Piano Nazionale Esiti (PNE) mostra una sostanziale stabilità del tasso di ospedalizzazione medio per amputazioni sia maggiori che minori dell’arto inferiore da 12,4 ricoveri per 100.000 abitanti nel 2005 a 12,9 nel 2009, con una variabilità molto accentuata che va dal tasso di 2 ricoveri per 100.000 abitanti nelle province di Arezzo e Isernia a 25 nella provincia di Siracusa 10.
Il tasso di ricovero per patologie del piede è determinato prevalentemente dai ricoveri per aterosclerosi e per ulcera agli arti inferiori. Negli anni si osserva una variazione dei ricoveri per patologie legate al piede diabetico senza un trend chiaramente identificabile; è possibile che variazioni nelle modalità di
codifica possano aver influenzato questi dati. Mentre i ricoveri per patologia aterosclerotica con ulcera o gangrena mostrano un trend di incremento negli anni. Dai dati relativi agli interventi e procedure sull’arto inferiore si evidenzia negli anni 2001-2009 un progressivo e significativo incremento nel numero di rivascolarizzazioni arteriose agli arti inferiori da 8,0 a 19,6 per 100.000 abitanti. Tuttavia, mentre le rivascolarizzazioni endoluminali sono aumentate da 3,9 a 16,2, le rivascolarizzazioni chirurgiche sono diminuite da 4,0 a 3,0 per 100.000 abitanti. Nello stesso periodo il Tasso di dimissione per amputazione nelle persone con diabete varia da 12,0 a 14,7 per 100.000 residenti, e da 4,3 a 4,2 per 100.000 se si considerano solo gli interventi di amputazione maggiore.
Le amputazioni sono più frequenti tra gli uomini, con un tasso di circa due volte superiore a quello delle donne e sono fortemente associate all’età, con valori prossimi allo zero prima dei 40 anni e successivamente crescenti esponenzialmente con l’età con valori, nel 2009, pari a 50 per 100.000 residenti nelle persone con più dio 70 anni.
Rivascolarizzazione
Nei pazienti diabetici la microangiopatia si localizza frequentemente a livello degli arti inferiori configurando il quadro di arteriopatia ostruttiva periferica che caratteristicamente non presenta differenze legate al sesso. La rivascolarizzazione deve essere effettuata precocemente, identificando i vasi distali che possano garantire il ripristino del flusso arterioso dell’arcata plantare.
Il trattamento della patologia obliterante degli arti inferiori trova indicazione ogni qualvolta sia presente una cluadicatio intermittens con breve autonomia di marcia (Stadio IIb
secondo la classificazione di Lériche Fontaine), e ancor più in caso di dolore a riposo (stadio III) o di lesioni trofiche dell’arto (stadio IV). L’ischemia critica di un arto, invece, con o senza lesioni trofiche, rappresenta un’indicazione assoluta all’intervento di rivascolarizzazione.
Le possibilità di trattamento delle arteriopatie degli arti inferiori, si basano su due procedure:
la tromboendoarteriectomia;
il bypass.
La possibilità tecnica è naturalmente influenzata dalla sede ed estensione della malattia steno-ostruttiva che si vuole trattare.
Per tromboendoarteriectomia (TEA) si intende l’asportazione di una placca ateromasica, insieme all’intima e parte della media della parete arteriosa, seguendo un piano di clivaggio nel contesto della parete stessa, di solito situato tra lamina elastica interna ed esterna.
Il bypass ha come principio base l’inserimento di una protesi che collega a “ponte” (bypass) due distretti vascolari, situati prossimalmente e distalmente, rispetto alla zona colpita dal processo morboso; il vaso primitivo viene lasciato in sede, ed è solo la sua funzione a venire sostituita. La tecnica di bypass viene utilizzata nei casi in cui siano presenti lesioni steno-ostruttive lunghe o multiple.
Nella pianificazione dell’intervento risulta importante definire la sede di origine e terminazione del bypass per ottenere un “inflow” ed “outflow” ottimali. Per questo, in base al livello di malattia steno-ostruttiva da trattare, si distinguono procedure di rivascolarizzazione soprainguinale, sottoinguinale e multilivello. - Bypass soprainguinali: aorto-iliaci-femorali.
- Bypass sottoinguinali: femoro-popliteo-tibiale. - Multilivello: aorto-iliaco-femoro-popliteo-tibiale.
Nel corso degli anni la chirurgia ha visto limitare i casi di trattamento grazie ai risultati ottenuti dalle procedure endovascolari, in particolare per le lesioni stenotiche od ostruttive brevi. Per questo, sono divenuti sempre più frequenti interventi di rivascolarizzazione multilivello dove la gravità della malattia riduce le possibilità di successo di un trattamento endovascolare e spesso si deve ricorrere ad interventi chirurgici complessi con associazione di endoarteriectomia e bypass o addirittura bypass e angioplastica .