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CAPITOLO 1 IMMIGRAZIONE E MINORI DI ETÀ. QUADRO NORMATIVO.

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CAPITOLO 1

IMMIGRAZIONE E MINORI DI ETÀ. QUADRO NORMATIVO.

In questo primo capitolo cercheremo di delineare la cornice giuridica entro cui si colloca lo

status del minore straniero non accompagnato (in seguito denominati MSNA).

Per far questo, sarà necessario dapprima esporre una breve panoramica di quella che è la condizione giuridica dello straniero in Italia, sulla base delle disposizioni normative attuali, a partire dal dettato costituzionale, con brevi accenni anche alla normativa comunitaria. Verrà inoltre esaminato come l’ordinamento italiano (soprattutto sulla base della ratifica di convenzioni internazionali) consideri la persona minore d’età, in quanto portatore di uno specifico e, come vedremo, superiore interesse, nonché di bisogni ed esigenze, anche giuridicamente rilevanti, peculiari.

Alla luce di tutto ciò, analizzeremo quindi come anche il diritto dell’immigrazione cerchi di temperare la posizione del minore d’età, introducendo norme e deroghe ad hoc in considerazione del fatto che “l’infanzia ha diritto a misure speciali di protezione ed

assistenza1”.

1 Considerazioni preliminari alla “Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia” Approvata dall’Assemblea ONU a New York nel 1989.

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1. 1 La condizione giuridica dello straniero in Italia.

1 .1. 1 La Costituzione, il principio di reciprocità e i diritti inviolabili.

Per analizzare quella che è la posizione giuridica dello straniero in Italia, e i conseguenti diritti e doveri, è necessario in primo luogo partire dalla Carta Costituzionale.

L’articolo 10 afferma infatti:

“[…]La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.”

Già il legislatore costituzionale, vista la particolarità e la delicatezza della materia, ha voluto introdurre la riserva di legge per disciplinarla, sottraendola quindi al potere esecutivo e riservandola al Parlamento2.

Per molto tempo il riferimento legislativo principale è stato costituito dall’articolo 16 delle cosiddette Preleggi3, poste in apertura del Codice Civile del 1942. Tale articolo sostiene che:

“Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali.”

Con tale dichiarazione il legislatore del 1942 (che, si noti, è precedente rispetto a quello Costituzionale), ha reintrodotto nell’ordinamento italiano il principio di reciprocità, discostandosi in questo modo dal precedente Codice Civile del 1865 che prevedeva ed assicurava allo straniero un trattamento paritario rispetto al cittadino autoctono.

2 Nello specifico, in base all’art. 117 comma 2 lettera b), la materia dell’immigrazione è competenza legislativa esclusiva dello Stato.

3 R.D. 16 marzo 1942 n° 262 “Approvazione del testo del Codice Civile in vigore dal 21 aprile 1942- I Disposizioni sulla legge in generale”.

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Il principio di reciprocità prevede che sia negata la tutela al cittadino straniero in quei casi in cui il suo Stato di appartenenza non preveda una pari tutela e considerazione per il cittadino italiano4.

Tuttavia, come ribadito da parte della giurisprudenza, occorre dare un’interpretazione dell’articolo 16 delle Preleggi5

orientata costituzionalmente, e quindi eliminare dall’ambito considerato dal medesimo articolo i diritti inviolabili dell’uomo6, che, dalla Costituzione stessa sono riconosciuti e attribuiti a tutti, indipendentemente dalla cittadinanza.

L’applicazione di quanto previsto dall’art. 16 delle Preleggi, deve limitarsi quindi soltanto alla possibilità di un trattamento differenziato, sulla base di criteri di ragionevolezza da verificarsi di volta in volta, tra cittadino italiano e straniero, e non all’attribuzione di diritti inviolabili.

A tale interpretazione, occorre inoltre aggiungere quanto previsto dal Decreto Legislativo 25 Luglio 1998 n° 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina

dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, che delimita ulteriormente

l’ambito di applicazione del principio di reciprocità. In particolare, all’articolo 2 del T.U. I. leggiamo:

“Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai princìpi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.”

Il rispetto e il riconoscimento di tali diritti prescinde quindi non solo dal possesso della cittadinanza, ma anche dalla regolarità del soggiorno.

4

In particolare ci si riferisce qui alla reciprocità definita “di fatto”, ovvero quella che si concretizza nella verifica della sussistenza nell’ordinamento straniero di leggi, prassi amministrative o comportamenti che possano dimostrare le modalità di trattamento del cittadino italiano in quel paese relativamente al diritto in esame (Bonini R. S. La condizione di reciprocità nei rapporti di diritto privato dello straniero in Morozzo Della Rocca P. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline e orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 317.

5 Bonini R. S. La condizione di reciprocità nei rapporti di diritto privato dello straniero in Morozzo Della Rocca P. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline e orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 319

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Questa disposizione poi è ulteriormente integrata da quanto previsto al secondo comma del medesimo articolo, dove si attribuiscono allo straniero regolarmente soggiornante i medesimi diritti in materia civile del cittadino italiano7.

La condizione di reciprocità, quindi, da regola da seguire, è divenuta l’eccezione, da accertare volta per volta.

Occorre però fare una precisazione sul concreto riconoscimento di tali diritti in capo agli stranieri. Infatti, prendendo come punto di partenza la Carta Costituzionale, ed in particolare l’articolo 3, ci troviamo di fronte al riconoscimento di due diverse tipologie di uguaglianza ( e di conseguenza di godimento dei diritti involabili).

La prima parte dell’articolo, infatti, sancendo il principio di non discriminazione come principio formale di legalità, può applicarsi anche agli stranieri regolarmente o non regolarmente soggiornanti. La seconda parte, introducendo il concetto di eguaglianza sostanziale, implica la definizione di criteri (e azioni) per rendere effettivamente esigibili e tutelati i diritti. Tale concetto si concretizza poi in una serie di interventi economici e sociali da parte dello Stato.

La stessa Corte Costituzionale, pur riconoscendo l’uguale titolarità tra italiani e stranieri dei diritti inviolabili, ha specificato la possibile differenziazione nel loro godimento. Il punto di equilibrio deve trovarsi, come già poco sopra esposto, nel principio di ragionevolezza, ovvero, tale eventuale differenza deve essere giustificata dall’esigenza di tutelare valori di pari rango rispetto a quelli che devono essere sacrificati o ridotti. 8

Riassumendo, nel considerare la posizione giuridica dello straniero in Italia, a partire appunto dal dettato costituzionale, dobbiamo leggere in modo combinato gli articoli poco sopra esposti (artt. 2, 3 e 10) e concludere che, mentre non è ammesso nell’ordinamento italiano il principio di discriminazione (in virtù sia del citato articolo 3 Cost., sia dei Trattati Internazionali che l’Italia ha ratificato9

) e sono quindi riconosciuti a tutti i diritti umani fondamentali, è possibile introdurre differenziazioni (sempre e comunque

7 “Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile

attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l'Italia e il presente testo unico dispongano diversamente. Nei casi in cui il presente testo unico o le convenzioni internazionali prevedano la condizione di reciprocità, essa è accertata secondo i criteri e le modalità previste dal regolamento di attuazione.” Art. 2 comma 2 D.lgs. 286/1998.

8 C. Cost. , 26 giugno 1969, n° 104 in Ferrero P., La tutela contro le discriminazioni, in Morozzo Della Rocca P.(a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline e orientamenti giurisprudenziali Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 351-352.

9

In particolare, la “Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale” approvata il 21 dicembre 1965 dall’Assemblea delle Nazioni Unite e ratificata dall’Italia con la l. 13 ottobre 1975 n°654.

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giustificate dalle circostanze e dal caso concreto) tra cittadini e non cittadini per ciò che riguarda il godimento di tali diritti. Questo anche in base a quanto previsto dall’ articolo 10 della Costituzione, che da un lato esprime il riconoscimento delle norme del diritto internazionale per ciò che attiene la posizione dello straniero, e, dall’altro sancisce la riserva di legge per disciplinare la condizione giuridica dello straniero stesso.

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1.1. 2 L’ingresso e il soggiorno regolare del cittadino non U.E.

Prendendo in esame la legislazione ordinaria dello Stato, il primo intervento legislativo organico in materia di immigrazione risale alla cosiddetta “Legge Martelli”, Legge 28 febbraio 1990, n. 39, la quale si concentrava principalmente sulla definizione dello status di rifugiato e sulle prassi di accoglienza dei richiedenti asilo, sulla determinazione dei flussi dall’estero e sulle modalità di soggiorno e respingimento alla frontiera.

Tale normativa sarà abrogata pochi anni più tardi con la cosiddetta Legge “Turco –

Napolitano“ n. 40 del 6 marzo 1998, poi confluita nel già citato Decreto Legislativo 25

luglio 1998, n. 286, “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina

dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, il quale raccoglie le disposizioni fondamentali riguardanti il diritto dell’immigrazione, costituendo, assieme alle successive modificazioni introdotte e ai regolamenti attuativi che da esso discendono10, il Testo Unico di riferimento per la materia.

Occorre specificare come tale normativa si riferisca esclusivamente ai cittadini di Paesi terzi all’Unione Europea. Infatti, per questi ultimi si applica quanto previsto dalla normativa comunitaria (e quindi non modificabile dal diritto interno del singolo Stato), e nello specifico dall’Art. 21 del ”Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea” il quale prevede che :

“Ogni cittadino dell’Unione ha diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso”

Tale principio di libero soggiorno e circolazione è stato attuato con la direttiva 2004/38/CE, trasferita poi nel diritto interno italiano con il D. L. ivo n. 30/2007, successivamente modificato dal D. L. ivo 32/2008 e dalla Legge 6 agosto 2008 n. 133. Quest’ultima legge ha rinnovellato l’articolo 1 comma 2 del T.U.I., limitandone quindi l’ambito di applicazione ed affermando che:

10 In particolare, è utile sin da subito citare il D.P.R. 31 agosto 1999 n° 394 “Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 “che si esprime soprattutto riguardo alla regolamentazione delle condizioni per l’ingresso e il soggiorno dello straniero in Italia.

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10

“Il presente testo unico non si applica ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, salvo quanto previsto dalle norme di attuazione dell’ordinamento comunitario”

Il D.L. ivo n. 30/2007 citato poco sopra, prevede quindi che per spostarsi nello spazio dell’Unione Europea sia sufficiente per il cittadino U.E. essere in possesso di documento di identità (o passaporto) valido per l’espatrio11

.

Nell’ambito di questa tesi mi limiterò a approfondire la casistica degli stranieri non U.E. , in considerazione del fatto che, anche quando si parla di minori stranieri non accompagnati ci si riferisce per definizione12 a minori cittadini di stati non facenti parte dell’Unione Europea.

Una volta fatta questa precisazione, doverosa per comprendere al meglio lo spazio in cui ci muoviamo, è importante precisare quelle che sono le condizioni per l’ingresso e il soggiorno del cittadino straniero nel territorio italiano, nonché quindi le possibili cause di respingimento ed espellibilità.

Le condizioni di ingresso nel territorio dello Stato italiano per i cittadini non U.E., e di conseguenza quelle di soggiorno, che sono strettamente collegate alle prime, sono disciplinate dall’Art. 4, c. 1 del D.lgs. 286/1998 e dall’Art. 5 del reg. CE 15 marzo 2006, n. 562/2006, c.d. “Codice delle frontiere Schengen”.

In particolare, i due articoli sopra citati prevedono che, per entrare legalmente nel territorio italiano, occorra: essere in possesso di passaporto (o documento equipollente) in corso di validità e di visto di ingresso rilasciato da autorità diplomatiche o consolari italiane nel paese di origine del cittadino straniero (solo per alcuni paesi di provenienza).

È necessario inoltre entrare in Italia tramite i valichi di frontiera appositamente costituiti (salvo casi di forza maggiore), giustificare lo scopo del soggiorno ed essere in possesso dei mezzi di sussistenza necessari per la durata del soggiorno stesso e per fare ritorno nel paese di provenienza (a meno che non si dimostri la possibilità di ottenere legalmente, una volta in Italia, tali mezzi, ad esempio attraverso l’esibizione di un contratto di lavoro autonomo o subordinato).

11 Art. 4 D.L. ivo n. 30/2007. 12

Art. 2 D.P.C.M. del 9 dicembre 1999, n. 535 “Regolamento concernente i compiti del comitato per i minori stranieri a norma dell’articolo 33, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286” .

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È infine precluso l’ingresso a quanti sono segnalati nel Sistema di Informazione Schengen (SIS), contenente i nominativi delle persone espulse, pericolose o indesiderate, e a coloro che sono considerati una minaccia per l’ordine pubblico.

L’Art. 10 del T.U.I. prevede inoltre che, chi si presenti ai valichi di frontiera privo dei requisiti richiesti debba essere respinto13.

Come si evince da questo sintetico elenco, quindi, l’ingresso sul territorio italiano è consentito allo straniero che possieda sia condizioni positive (passaporto, visto, passaggio dai valichi di frontiera, mezzi di sussistenza), sia negative (non essere segnalato al SIS e non essere condannato per i reati elencati all’art. 380 c.p.p. per i quali è quindi previsto l’arresto in flagranza oltre che reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione e emigrazione clandestina, il reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite) 14.

Le condizioni per il soggiorno di cittadini non U.E., come già accennato, sono strettamente legate a quelle per l’ingresso, in considerazione del fatto che, l’art. 5, comma 1, D.lgs. 286/1998 afferma :

“Possono soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri entrati regolarmente ai sensi dell'articolo 4”

Lo stesso articolo 5 prevede poi che lo straniero entrato regolarmente sul territorio italiano debba richiedere al questore della provincia in cui risiede, entro otto giorni lavorativi, il permesso di soggiorno, ovvero l’autorizzazione amministrativa che consente, per un tempo determinato, la permanenza in Italia15.

Oltre alla richiesta del permesso di soggiorno, lo straniero deve sottoscrivere un accordo di integrazione, così come previsto dall’Art. 4-bis del T.U.I. , introdotto con la L. 94/200916

.

13 Savio G. La disciplina dell’ingresso e del soggiorno, in Morozzo Della Rocca P. (a cura di) Immigrazione, asilo e cittadinanza . Disciplina ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pagg. 13-14.

14 Ibidem nota 13.

15 La durata del permesso di soggiorno è variabile in relazione allo scopo dell’ingresso. I casi sono elencati all’art. 5 comma 3 del D.lgs. 286/1998, con la rilevante eccezione del permesso di soggiorno per motivi lavorativi che è rinnovabile in base alla durata del rapporto di lavoro.

16 Lo stesso articolo 4-bis comma 3 demanda a un successivo regolamento l’individuazione dei criteri e delle modalità per la sottoscrizione dell’accordo. Il regolamento è stato emanato con d.P.R. 14 settembre 2011, n. 179 ed è entrato in vigore il 16 marzo 2012, “Regolamento concernente la disciplina dell'accordo di integrazione tra lo straniero e lo Stato, a norma dell'articolo 4-bis, comma 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”.

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Il concetto di integrazione qui previsto è esplicitato dallo stesso articolo 4-bis, comma 1, che lo definisce come:

“Ai fini di cui al presente testo unico, si intende con integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società.”

Tuttavia, solo lo straniero è soggetto alla stipula dell’accordo, tanto che esso appare piuttosto come un atto unilaterale di volontà verso lo Stato, che in via teorica è l’altro contraente dell’accordo stesso, ma che, in realtà, non subisce conseguenze dal mancato rispetto di quanto vi è contenuto17.

Nello specifico, il regolamento che disciplina l’accordo di integrazione indica, oltre alle modalità e i termini di sottoscrizione18, le verifiche previste e i criteri di valutazione e gli stranieri a cui si applica (ovvero, gli stranieri che abbiano compiuto i 16 anni, ma non i minori non accompagnati, sottoposti a tutela o affidamento né le vittime di tratta e sfruttamento).

Entrando nel merito dei contenuti, si prevede che, all’atto della sottoscrizione, allo straniero siano riconosciuti sedici crediti corrispondenti al livello A1 di conoscenza della lingua italiana parlata e a un livello sufficiente di conoscenza della cultura civica e della vita civile in Italia. In base a quanto previsto dall’Art. 2 comma 4 del d.P.R. 14 settembre 2011, n. 179:

“Con l'accordo, lo straniero si impegna a:

a) acquisire un livello adeguato di conoscenza della lingua italiana parlata equivalente almeno al livello A2 di cui al quadro comune europeo di riferimento per le lingue emanato dal Consiglio d'Europa;

b) acquisire una sufficiente conoscenza dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica e dell'organizzazione e funzionamento delle istituzioni pubbliche in Italia;

17 Savio G. La disciplina dell’ingresso e del soggiorno, in Morozzo Della Rocca P. (a cura di) Immigrazione, asilo e cittadinanza . Disciplina ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pagg. 21-22.

18

Come previsto dall’Art. 2 comma 1 del D.P.R. 14 settembre 2011, n. 179, l’accordo si stipula presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione (SUI) o presso la questura tra lo Straniero e il prefetto o un suo delegato (che rappresenta lo Stato).

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c) acquisire una sufficiente conoscenza della vita civile in Italia, con particolare riferimento ai settori della sanità, della scuola, dei servizi sociali, del lavoro e agli obblighi fiscali;

d) garantire l'adempimento dell'obbligo di istruzione da parte dei figli minori.”

Lo Stato a sua volta si impegna a fornire allo straniero la partecipazione a una sessione di formazione sulla vita civica in Italia, e a sostenerne il processo di integrazione in accordo con regioni ed enti locali, oltre che ad assicurarne il godimento dei diritti fondamentali19. L’accordo decade in caso di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno o di rinnovo e di revoca del permesso.

E’ previsto (Art. 5 del D.P.R.14 settembre 2011, n. 179) un sistema di assegnazione e decurtazione dei crediti legato all’acquisizione di conoscenze della lingua italiana, alla partecipazione a corsi e percorsi di formazione, alla commissione di illeciti penali, amministrativi e tributari.

L’accordo è di durata biennale, con la possibilità di proroga per un anno ulteriore20

.

Il Regolamento citato descrive e definisce puntualmente i termini e le modalità dell’Accordo di Integrazione, e, con il sistema dei crediti, incide pesantemente sulla condizione dello straniero in Italia.

Infatti, l’Art. 4-bis comma 2 del T.U.I., stabilisce che la perdita integrale dei crediti determina la revoca del permesso di soggiorno e la conseguente espulsione. Sono stati sollevati dubbi sulla legittimità di questa norma, in particolare per l’uso fatto dello strumento regolamentare, a fronte quanto previsto dalla Costituzione, in base alla quale, ai sensi dell’art. 10, la condizione giuridica dello straniero deve essere regolata dalla legge, e non da regolamenti21.

Come si può evincere dalla lettura delle condizioni per l’ottenimento del permesso di soggiorno (e per l’adempimento dei doveri previsti dall’Accordo di Integrazione), i termini e le motivazioni per il rilascio sono molto stringenti: in particolare, per ciò che riguarda la dimostrazione del possesso dei mezzi di sussistenza per vivere in Italia.

19

Art. 2 comma 6 D.P.R. 14 settembre 2011, n. 179. 20 Art. 8 D.P.R. 14 settembre 2011, n. 179.

21

Savio G., La disciplina dell’ingresso e del soggiorno, in Morozzo Della Rocca P. (a cura di) Immigrazione, asilo e cittadinanza . Disciplina ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 22.

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Qualora lo straniero non sia in possesso di tutti i requisiti previsti, è comunque facoltà del questore rilasciare un permesso di soggiorno definito “per motivi umanitari”. Esso è disciplinato dall’Art. 11 comma 1 lettera c) ter del T.U.I.

Nello specifico, esso è rilasciato previo parere delle Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero la dimostrazione da parte dell’interessato (tramite idonea documentazione) dell’esistenza di oggettive e gravi situazioni personali che non ne consentano l’allontanamento dal territorio dello Stato. In tal modo, non essendo inoltre definiti per legge i motivi umanitari, si evita un automatismo riguardo al diniego della richiesta di soggiorno.

Si tratta di una norma residuale, molto spesso applicata per quanti non sono in possesso dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, tanto che, solitamente, la richiesta viene accolta dalle questure quando proviene dalle Commissioni territoriali, mentre vi è maggiore resistenza per quelle provenienti dal diretto interessato22.

A questa eccezione al normale iter di rilascio del permesso di soggiorno, si affiancano anche la presenza di vincoli familiari in Italia e la sopravvenienza di nuovi elementi (come ad esempio la nascita di un figlio o l’istaurazione di un nuovo rapporto di lavoro) . La presenza di tali circostanze fungono da clausola di salvaguardia contro il rifiuto automatico del rinnovo da parte della pubblica amministrazione23.

Come previsto dall’Art. 5 del T.U.I., il permesso di soggiorno ha sempre una durata limitata nel tempo, e strettamente legata alle motivazioni del soggiorno. Nel momento in cui esso scade, lo straniero deve presentare istanza di rinnovo, sottoscrivendo e documentando la domanda. E’ inoltre onere dello straniero dimostrare il mantenimento delle condizioni che ne hanno permesso l’iniziale rilascio o l’esistenza di nuove e sopravvenute motivazioni che possano giustificarne il rinnovo o la proroga24. Il rinnovo infatti può essere negato qualora siano venuti meno i requisiti previsti per il rilascio ed elencati all’Art. 4 T.U.I.25

22 Ibidem nota 21, pagg.28-29 23 Ibidem nota 22.

24

A cura di Marchini Matteo “Sui requisiti per il mantenimento dell’autorizzazione al soggiorno in Italia dello straniero” in Corriere Giuridico , 2012, 7, 890 (commento alla normativa, D.lgs. 25-07-1998, n. 286, art. 5).

25 Per ciò che riguarda l’esistenza di condanne penali riportate dallo straniero, come rilevato da Matteo Marchini in Sui requisiti per il mantenimento dell’autorizzazione al soggiorno in Italia dello straniero” in Corriere Giuridico , 2012, 7, 890 (commento alla normativa, D.lgs. 25-07-1998, n. 286, art. 5), esse non sono causa ostativa automatica al rinnovo del permesso di soggiorno, ma la loro valutazione (assieme ad altri

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Non necessariamente le ragioni che hanno portato al rilascio del permesso di soggiorno devono essere le stesse che possono essere addotte per la richiesta di rinnovo: infatti alcune tipologie di permessi, in particolare quello per lavoro subordinato, autonomo o per motivi familiari consente allo straniero anche di svolgere attività ulteriori. Durante il periodo di validità del permesso di soggiorno non è necessario richiederne la conversione, mentre al momento del rinnovo verrà rilasciato anche un nuovo permesso riguardante l’attività effettivamente svolta26.

Una disciplina particolare riguarda il permesso di soggiorno rilasciato alle persone minori d’età, ma di questo tratteremo più avanti quando ci occuperemo nello specifico di questa categoria.

Una volta descritta la caratteristica di temporaneità del permesso di soggiorno, disciplinato dall’Art. 5 del T.U.I., nonché dagli articoli 9 e seguenti del D.P.R. 394 /1999, per analizzare invece la disciplina dello status per i soggiornanti di lungo periodo, occorre far riferimento all’Art. 9 dello stesso T.U.I. , il quale regolamenta il cosiddetto “Permesso di

soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo”.

Tale normativa è stata inserita nel T.U. con il D.L. ivo n. 3/2007, in attuazione della direttiva 2003/109/CE che ha sostituito la disciplina della carta di soggiorno, introducendo norme comuni in tutta l’Unione Europea.

A differenza del permesso di soggiorno disciplinato all’Art. 4 del T.U.I., quello per soggiornanti di lungo periodo è a tempo indeterminato, consente di entrare in Italia senza visto, di svolgere ogni tipo di attività lavorativa, di usufruire di prestazione di assistenza e previdenza sociale, sanitaria, scolastica, e di partecipare alla procedura per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.

Per ottenere lo status di soggiornanti di lungo periodo, è necessario essere titolari di permesso di soggiorno valido da almeno cinque anni e dimostrare la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale. E’ possibile richiederlo anche per i familiari27 dello straniero che possiede i requisiti per ottenerlo.

elementi) può concorre a considerare lo straniero richiedente il rinnovo come pericoloso per l’ordine pubblico e la sicurezza.

26 Ibidem nota 24. 27

Nello specifico, la norma fa riferimento ai familiari con i quali sia possibile richiedere il ricongiungimento familiare ai sensi dell’Art. 29 comma 1 del T.U.I. In tal caso il reddito di cui lo straniero richiedente deve essere titolare viene ricalcolato secondo i parametri definiti dallo stesso Art. 29 comma 3 lettera b).

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Il rilascio del titolo è legato al superamento di un test di conoscenza della lingua italiana28. A differenza di quanto previsto per l’ottenimento del permesso di soggiorno, non vi è automatismo tra condanne penali e revoca dello status di lungo soggiornanti. Può infatti essere rifiutato soltanto agli stranieri considerati pericolosi per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato29, la cui valutazione è però in larga parte lasciata alla discrezionalità della Pubblica Amministrazione30.

Da parte di molte questure si riscontra una certa resistenza a concedere il permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, per motivi generalmente connessi al reddito, ed in particolare alla presenza di rapporti di lavoro non stabili, a termine o atipici.

Ancora, c’è la tendenza al controllo del perdurare delle condizioni reddituali previste per il rilascio anche al momento dell’aggiornamento del titolo31

, con la conseguente revoca del titolo per lo straniero con un reddito inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale. Queste due pratiche sono comunque state dichiarate illegittime da sentenze del T.A.R.32 In particolare, una recente sentenza del T.A.R. Lombardia33 ha affermato che:

“Lo status di soggiornante di lungo periodo è permanente, potendo essere revocato nei casi previsti dal comma 4 del cit. art. 9, ossia qualora lo straniero sia pericoloso per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, e non invece, come accaduto nel caso di specie, a fronte della mera mancanza di redditi in capo al medesimo;”

Come si può dedurre da questa breve carrellata delle condizioni per l’ingresso e il soggiorno dello straniero non cittadino U.E. , molte delle norme presenti nell’ordinamento italiano derivano da direttive comunitarie, che cercano di uniformare la normativa dell’immigrazione su tutto il territorio dell’Unione.

28

Art. 9, comma 2-bis T.U.I.. 29 Art. 9, comma 4, T.U.I..

30 Savio G. La disciplina dell’ingresso e del soggiorno, in Morozzo Della Rocca P. (a cura di) Immigrazione, asilo e cittadinanza . Disciplina ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pagg. 31-35.

31 Occorre precisare come l’aggiornamento quinquennale non costituisca un rinnovo (il permesso di soggiorno in questione infatti non scade) ma una prassi seguita dalle questure avente la sola finalità dell’utilizzo del titolo come documento di riconoscimento.

32 Ibidem nota 30.

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Nello specifico poi delle prassi adottate dall’Italia, vi è una forte tendenza da parte delle questure a una particolare rigidità specialmente per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, riscontrabile soprattutto in relazione al controllo delle condizioni reddituali.

In un momento di forte crisi economica ed occupazionale, il controllo legato alla necessità di rinnovo annuale o biennale del permesso consente infatti di espellere quanti chiedono il rinnovo ma sono sprovvisti di reddito, cosa non più possibile una volta rilasciato il permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo34 che non ha scadenza e permette l’accesso a prestazioni socio sanitarie e di assistenza sociale al pari del cittadino italiano, con il conseguente onere economico che ne può derivare per la Pubblica Amministrazione.

34

Savio G. La disciplina dell’ingresso e del soggiorno, in Morozzo Della Rocca P. (a cura di) Immigrazione, asilo e cittadinanza . Disciplina ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 36.

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1.1. 3 Lo straniero clandestino e irregolare.

Passiamo adesso ad analizzare lo status di quanti fanno ingresso o soggiornano irregolarmente sul territorio italiano.

In particolare, ci riferiamo qui da un lato a quanti si presentano alla frontiera non essendo in possesso dei requisiti necessari per l’ingresso così come elencati all’Art. 4 del T.U.I., dall’altro a coloro che, pur essendo entrati regolarmente, non siano più in possesso, trascorso un certo tempo, dei requisiti per il soggiorno.

Lo straniero che si trova in una di queste due situazioni vive una condizione di illegalità. La condizione di illegalità dello straniero (clandestino o irregolare) è stata introdotta nell’ordinamento italiano (nello specifico, nel T.U.I.) con la L. n. 189/2002 (c.d. “Bossi –

Fini”), a cui hanno fatto seguito una serie di ulteriori disposizioni che hanno portato ad una

specifica evoluzione normativa giunta fino ad oggi35.

Fino al 2009, ed in particolare all’emanazione della L. 15 luglio 2009 n. 94, c.d. “pacchetto

sicurezza 2009”, le sanzioni applicabili allo straniero clandestino o irregolare erano

l’espulsione amministrativa e il respingimento alla frontiera. L’obiettivo di tale scelta normativa era sia la volontà di controllare i flussi migratori (tramite l’allontanamento), sia di semplificare il procedimento tramite l’utilizzo di un atto amministrativo piuttosto che l’istaurazione di una azione penale36.

La citata L. n. 94/2009 ha introdotto però un’importante novità, inserendo nel Testo Unico l’articolo 10-bis (rubricato appunto “Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello

Stato”), che si apre affermando:

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero

si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’articolo 162 del codice penale.”

35 Possiamo citare la L. n. 271/2004, la L. n. 125/2008 (c.d. “pacchetto sicurezza del 2008” ), la L. n. 94/2009 (c.d. “pacchetto sicurezza del 2009”), L. n. 129/2011 (di adeguamento della legislazione italiana rispetto alla direttiva U.E. “rimpatri” 2008/115/CE), fino alla più recente L. n. 67/2014.

36 Lanza E. Diritto Penale dell’Immigrazione in Morozzo Della Rocca P.(a cura di) Immigrazione, asilo e cittadinanza- Disciplina ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pagg. 265-266.

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19

Si tratta quindi di un reato proprio, dove il soggetto attivo è lo straniero, di carattere residuale (l’illecito non si configura nel caso in cui la condizione di clandestinità sia elemento costitutivo di un altro reato più grave, ad esempio la violazione del divieto di reingresso da parte dello straniero espulso)37.

Organo competente ad irrogare la sanzione è il Giudice di Pace.

Come già accennato, in base a tale previsione normativa vengono puniti due tipi di condotta, ovvero, sia l’ingresso irregolare rispetto alle norme che lo permettono (ingresso clandestino), sia la permanenza illegale sul territorio italiano (magari dopo un ingresso regolare, una volta scaduto il permesso di soggiorno). La sanzione prevista è quella dell’ammenda pecuniaria variabile tra 5.000 e 10.000 euro e, nel caso in cui il condannato sia insolvente, la pena viene convertita in lavoro sostitutivo o nella permanenza domiciliare38.

La difficoltà nell’applicare sia la sanzione pecuniaria sia le due disposizioni alternative, rivelano la volontà del legislatore di premiare ed incentivare l’esodo spontaneo dell’ Italia dello straniero irregolare. Il comma 2 dell’articolo 10- bis prevede infatti che :

“Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma 1 ovvero allo straniero identificato durante i controlli della polizia di frontiera, in uscita dal territorio nazionale.”

Tale finalità di agevolare l’ allontanamento è stata perseguita anche con l’introduzione, ad opera della stessa L. n. 94/2009 , della previsione che il Giudice di Pace infligga direttamente la misura dell’espulsione in alternativa alla sanzione pecuniaria (disposizione confluita nell’ Art. 16 comma 1 del T.U.I.).

Il reato di immigrazione clandestina, ed in particolare quanto disciplinato all’Art. 10- bis, è stato molto discusso. È stato infatti considerato lesivo del principio di uguaglianza (si

37 Ibidem nota 36.

38

Tale disposizione è prevista dal D.L. ivo n. 274/2000 "Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468". All’art. 55 comma 1 del Decreto si prevede infatti: “Per i reati di competenza del giudice di pace, la pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato si converte, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo da svolgere per un periodo non inferiore ad un mese e non superiore a sei mesi con le modalità indicate nell'articolo 54. “ e ancora al comma 4 : “Quando è violato l'obbligo del lavoro sostitutivo conseguente alla conversione della pena pecuniaria, la parte di lavoro non ancora eseguito si converte nell'obbligo di permanenza domiciliare”

(17)

20

baserebbe su una condizione soggettiva del reo e dimostrerebbe intolleranza verso lo status dello straniero stesso)39.

Tale obiezione, assieme ad altre di carattere tecnico e procedurale, è stata sollevata di fronte alla Corte Costituzionale, la quale però l’ha respinta, affermando come il citato articolo non vada a sanzionare una condizione personale, ma un comportamento compiuto trasgredendo norme specifiche (ovvero, quelle che attestano la regolarità dell’ingresso e del soggiorno). Il controllo stesso dei flussi migratori ( a cui anche tale disposizione mira), rientra inoltre nella facoltà legislativa dello Stato, il quale può definirne le modalità secondo la propria discrezione40.

Nel 2014 il legislatore pareva aver compiuto un passo indietro riguardo al reato di immigrazione clandestina, quando, con la L. 28 aprile 2014 n.67 (“Deleghe al Governo in

materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”) , il Parlamento aveva conferito al governo la delega per

riformare parte della materia penale.

Tale riforma prevedeva la cancellazione di alcuni reati, che sarebbero diventati oggetto di sola sanzione amministrativa.

Inizialmente, doveva esservi previsto anche l’Art 10-bis del T.U.I.. Tuttavia, il decreto delegato emanato in data 15 gennaio 2016, n. 8, denominato “Disposizioni in materia di

depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67”,

esclude esplicitamente i reati previsti dal D. L. ivo 286/199841.

Conseguentemente, l’immigrazione clandestina (nello specifico l’ingresso e il soggiorno irregolari) è ancora un reato previsto dal nostro ordinamento.

39 Lanza E. Diritto Penale dell’Immigrazione in Morozzo Della Rocca P.(a cura di) Immigrazione, asilo e cittadinanza- Disciplina ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 270. 40

Ibidem nota 36.

41 L’Art. 1 comma 4 del D.L. ivo 8/2016 afferma che :” La disposizione del comma 1 non si applica ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.”

(18)

21

1. 2 Il principio del superiore interesse del minore: normativa sovranazionale e italiana.

Passiamo adesso a trattare l’argomento dei minori d’età, in particolare per ciò che attiene la loro specifica tutela e protezione così come prevista da norme e trattati internazionali, per scendere poi nei casi concreti previsti dall’ordinamento italiano.

Occorre intanto partire dal presupposto che la minore età è un dato normativo, e non di natura42: il diritto italiano ed europeo è ormai allineato a quanto previsto dalla “Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei minori”43

, che fissa il raggiungimento della maggiore età al compimento dei 18 anni.

Si pone il problema per quegli Stati (extra europei) che fissano una soglia più bassa per la maggiore età. Sulla base di quanto previsto dalla “Convenzione Internazionale sui diritti

dell’infanzia”, occorrerebbe seguire quanto previsto dal paese di provenienza44

.

Tuttavia la questione interpretativa può risolversi limitando l’efficacia della soglia europea dei diciotto anni solo per specifici effetti previsti da norme di settore, oppure se ciò realizza in concreto una disciplina più favorevole per lo straniero stesso45.

La centralità, e la peculiarità, delle persone minori di età viene riconosciuta da diverse norme e convenzioni sottoscritte da numerosi stati, tra cui l’Italia, sia a livello mondiale che europeo.

La principale tra queste è la “Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo”, approvata il 20 novembre 1959 dalle Nazioni Unite (ma una prima versione era già stata redatta nel 1924 dalla Società delle Nazioni) e revisionata a New York nel 1989 con l’inserimento della “Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia”, a cui già abbiamo accennato.

Mentre la prima parte, ovvero la Dichiarazione, non ha valore giuridico ma solo morale per gli stati sottoscrittori, la seconda, la Convenzione, ha valore vincolante per i paesi che

42 Morozzo della Rocca P., I minori d’età nel diritto dell’immigrazione, in di Morozzo della Rocca P. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 137- 138.

43 Art. 1 “Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori” adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996.

44 “Ai sensi della presente convenzione si intende per fanciullo ogni essere umano di età inferiore ai diciotto anni, a meno che secondo le leggi del suo Stato, sia divenuto prima maggiorenne” Art. 1 “Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia” Approvata dalle Nazioni Unite nel 1989.

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22 l’hanno ratificata46

, i quali devono perciò adeguare i propri ordinamenti nel rispetto dei principi enunciati.

La Dichiarazione si compone di dieci principi, e offre, sin dalle prime righe contenute nel Preambolo, una visione del minore come soggetto giuridico e sociale particolare, riconoscendolo come figura naturalmente immatura (a livello fisico e intellettuale) e quindi meritevole di speciali cure. Lo stesso Preambolo afferma inoltre quanto un’infanzia felice e la garanzia della tutela dei fondamentali diritti e libertà sia un vantaggio sia per il minore stesso che per l’intera società.

I diritti enunciati sia nella Dichiarazione che nella Convenzione devono essere riconosciuti a tutti i fanciulli, senza alcuna eccezione, di razza, colore, sesso, lingua religione, opinioni politiche né origine nazionale47.

Per questo motivo, le legislazioni e le politiche nazionali non possono far differenza tra minori cittadini e non cittadini di quello stesso Stato. Come vedremo nello specifico più avanti, questo si traduce nel caso dell’ordinamento italiano in una serie di diritti sociali che vengono riconosciuti a tutti i minori di diciotto anni, a prescindere dal possesso non solo della cittadinanza, ma anche del permesso di soggiorno48. Inoltre, esso comporta l’applicazione dei medesimi istituti di protezione riconosciuti al minore italiano (in particolare la tutela, l’affido e l’adozione)49, con l’onere, anche finanziario, che ciò implica

per il paese ospitante.

Procedendo nella lettura della Dichiarazione, il secondo principio sancisce la tutela del superiore interesse del minore, che diverrà uno degli elementi fondamentali che orientano e devono orientare le scelte dei legislatori nazionali. Esso afferma infatti che:

“[…] il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione e godere di possibilità e facilitazioni, in base alla legge e ad altri provvedimenti, in modo da essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale, in condizioni di libertà e di dignità.

46 Per ciò che riguarda l’Italia, la Convenzione è stata ratificata il 27 maggio 1991 con la legge n. 176. 47

Principio Primo “Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo” Approvata il 20 novembre 1959 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e revisionata nel 1989.

48 In particolare possiamo fare riferimento alla tutela della salute e al diritto all’istruzione (Art. 35 e 38 D. L. ivo 25 luglio 1998 n° 286 e successive modificazioni “T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”).

49 Bella A. D., Il minore straniero e il reato di immigrazione clandestina, in “Corriere Merito”, 2010, 4 (note a sentenza).

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23

Nell'adozione delle leggi rivolte a tal fine, la considerazione determinante deve essere il superiore interesse del fanciullo.”

L’adozione di questo principio , ribadito anche all’articolo 3 della Convenzione, ha effetti importanti nella materia dei minori stranieri non accompagnati, in quanto esso si traduce in primo luogo nel divieto di espulsione dal territorio nazionale del minore di anni diciotto che pure sia entrato clandestinamente50, nella possibilità che il Tribunale per i Minorenni autorizzi l’ingresso o la permanenza di familiari maggiorenni51

, ma, soprattutto, esso è l’elemento basilare attraverso cui gli organi competenti (in particolare la Direzione Generale dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione ex Comitato Minori Stranieri) sono chiamati a pronunciarsi sull’eventualità di un rimpatrio assistito nel paese d’origine52

. Il diritto fondamentale che il minore ha di vivere e crescere nella propria famiglia, viene riconosciuto dalla Convenzione stessa all’articolo 8, e nello specificodell’ordinamento italiano è affermato all’art. 1 della Legge 4 maggio 1983 n° 84 “Diritto del minore ad una

famiglia”.

Tuttavia, in entrambi i casi, esso viene temperato dalla necessità di un ambiente idoneo alla crescita della persona minore d’età53

. La valutazione anche qui si esercita seguendo il principio del superiore interesse del minore.

E’ evidente che la lontananza fisica dei genitori nel caso specifico dei MSNA è causa sufficiente a giustificare una presa in carico ed un intervento pubblico che, come già sottolineato, non può far differenza tra il minore straniero ed italiano54. Occorre comunque sin da subito sottolineare come lo status giuridico del MSNA non necessariamente corrisponda a quello del minore in stato di abbandono, definito ai sensi dell’art. 8 della Legge n. 184/1983, ove si specifica che :

“Sono dichiarati in stato di adottabilità dal Tribunale per i Minorenni del distretto

nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti

50 Art. 13 comma 2 b) D. L. ivo 25 luglio 1998 n° 286 e successive modificazioni. 51 Art. 31 comma 3 D. L. ivo 25 luglio 1998 n° 286 e successive modificazioni. 52

Art. 7 D.P.C.M. del 9 dicembre 1999 n° 535 “Regolamento concernente i compiti del comitato per i minori

stranieri, a norma dell’articolo 33, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n° 286.

53 Art. 1 comma 4 L.184/1983 “Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del minoresi applicano gli istituti di cui alla presente legge”.

54

Art.1 comma 5 L. 184/1983 “Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento.”

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24

tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.” .

In questo secondo caso, il giudizio espresso dal Giudice del Tribunale per i Minorenni verte sulle capacità genitoriali (o di altri familiari) ad educare e allevare il minore, mentre, il caso dei MSNA ricade piuttosto tra le “cause di forza maggiore” (ovvero la lontananza fisica) che impediscono ai genitori di esercitare assistenza nei confronti del figlio55. Per questo motivo, non è possibile dichiarare tutti i MSNA “adottabili” (previa dichiarazione di abbandono) ai sensi dell’articolo citato poco sopra. Una tale pratica entrerebbe in conflitto sia con il dettato della medesima legge, sia con la stessa Convenzione sui diritti dell’infanzia che all’art. 21 ribadisce ancora una volta come il principio del superiore interesse del fanciullo debba costituire “la principale

preoccupazione in materia56” di adozione.

Difficilmente è ipotizzabile che esso coincida per i minori stranieri presenti sul nostro territorio (soprattutto con i cosiddetti “grandi minori” il cui arrivo in Italia è frutto di un progetto economico e migratorio che coinvolge l’intero nucleo familiare57) con il recidere ogni legame giuridico ed affettivo con la propria famiglia naturale. Non è inoltre da escludere che il minore si sia volontariamente allontanato da casa anche con il parere contrario dei genitori.58

A proposito del soggiorno e della permanenza in un paese diverso da quello di origine, l’articolo 9 della medesima Convenzione afferma che, pur essendo compito degli Stati sottoscrittori assicurare la possibilità per il minore di vivere e crescere nella propria famiglia naturale, è possibile per le autorità competenti decidere la separazione qualora quest’ultima risponda al superiore interesse del fanciullo.

Entro tale articolo ricade buona parte della casistica dei minori stranieri non accompagnati, nei confronti dei quali, all’interno delle procedure di accoglienza, possono essere predisposte (su richiesta dei Servizi Sociali degli Enti Locali interessati) indagini socio – familiari volte a comprendere ed accertare la situazione di partenza, oltre che le motivazioni che stanno dietro alla storia migratoria, per valutare appunto l’eventualità di

55 Morozzo della Rocca P., I minori d’età nel diritto dell’immigrazione, in di Morozzo della Rocca P. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 156.

56 Art. 21 “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”.

57 Accorinti M., Politiche e pratiche sociali per l’accoglienza dei minori non accompagnati in Italia, Roma, 2014, CNR Edizioni, pagg. 13-15.

58 Miazzi L. , Minori non accompagnati in Morozzo Della Rocca P. (a cura di ), Immigrazione e cittadinanza, Roma, 2008, UTET Giuridica, pag. 343.

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un rimpatrio assistito, o autorizzare la permanenza sul territorio italiano e la partecipazione a un percorso di integrazione.

Procedendo nella lettura della Convenzione, è necessario soffermarsi sugli articoli 19 e 20. Il primo afferma il dovere degli Stati di proteggere i fanciulli da ogni forma di sfruttamento, violenza e maltrattamento. Come analizzeremo meglio più avanti, anche tale disposizione riguarda da vicino la categoria dei minori stranieri non accompagnati.

Anche l’articolo 20 della presente Convenzione sancisce l’impegno degli stati sottoscrittori nell’assistenza al minore che “venga privato, permanentemente o temporaneamente del

suo ambiente familiare o che nel suo proprio interesse non possa essere lasciato in tale ambiente59” a garantire “speciale protezione e assistenza”60.

La Convenzione oggetto di analisi procede con l’elencare una serie di diritti fondamentali che gli Stati sottoscrittori devono assicurare: accoglienza e adeguata protezioni ai minori richiedenti protezione internazionale61, assistenza ai fanciulli con disabilità62, godimento del diritto alla salute63, alla sicurezza sociale64, alle pari opportunità nell’educazione65, al rispetto e alla promozione delle minoranze etniche, religiose e linguistiche66, allo svago, al gioco e al riposo67, alla protezione da ogni forma di sfruttamento e tortura68.

Oltre a questa normativa, che vale, in linea generale, per tutti i minori e che ispirerà nei sui contenuti anche la Carta Europea dei Diritti del Fanciullo69, nel 1961 viene approvata anche la Convenzione sulla Competenza delle Autorità e sulla Legge Applicabile in Materia di Protezione dei Minori70, nella quale si dichiara, all’articolo 1 che “Le autorità,

sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza abituale di un minore sono competenti, salve le disposizioni degli artt. 3, 4 e 5, terzo capoverso, della presente Convenzione, ad adottare misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni.”, quindi la cura e la protezione prescinde dal possesso della cittadinanza. L’articolo

9, inoltre, approfondisce ulteriormente questo aspetto, prevedendo che ” In tutti i casi di

59 Art. 20 “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”. 60 Ibidem nota 59.

61

Art. 22 “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”. 62 Art. 23 “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”. 63 Art.24 “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”. 64

Art. 26 “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”. 65 Art. 28 “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”. 66 Art. 30 “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”. 67 Art. 31 “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”. 68

Artt. 32,33, 34,35, 36 e 37 “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia”. 69 Risoluzione A3-0172/1992 del Parlamento Europeo.

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urgenza, le autorità di ogni Stato contraente sul territorio del quale si trovano o il minore o dei beni a questo adottano le necessarie misure di protezione.”.

Da tali disposizioni, e dalla ratifica della Convenzione in oggetto da parte del Parlamento Italiano, discende il dovere, per lo Stato di occuparsi dei minori stranieri non accompagnati, e di mettere in atto le azioni necessarie per garantire loro assistenza, protezione e cura.

Per concludere questa breve analisi dei diritti e delle normative poste a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, occorre citare quanto previsto dalla nostra Carta Costituzionale. Gli articoli di nostro interesse sono in particolare due : l’Art. 30 e l’Art. 31.

Il primo, oltre a stabilire il dovere e diritto dei genitori al mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figlio, prevede l’intervento legislativo per disciplinare modalità alternative per l’assolvimento di tali compiti nel caso di loro incapacità.

Il secondo invece affida alla Repubblica il compito di proteggere “la maternità, l’infanzia e

la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo” .

Come già affermato in apertura del paragrafo, tali diritti sono riconosciuti in capo ai minori indipendentemente dalla nazionalità. È responsabilità quindi dello Stato sul cui territorio il minore si trovi applicarli e renderli effettivamente esigibili, affinché sia tutelato quello che viene riconosciuto come suo interesse, superiore sia a quello di altre figure adulte di riferimento, sia a una normativa più stringente come può essere quella del diritto degli stranieri.

Elencati quindi i diritti principali del minore, e la loro considerazione a livello normativo nazionale e sovranazionale, passiamo adesso ad esaminare come la specifica normativa di settore in materia di immigrazione si sia preoccupata di introdurre disposizioni particolari nel rispetto delle peculiarità fisiche, intellettuali e affettive del fanciullo.

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27

1. 3 Il minore d’età nel diritto italiano dell’immigrazione.

Tenuto conto di quanto previsto dalla normativa specifica riguardante le persone minori di età da un lato, e il diritto dell’immigrazione dall’altra, abbiamo quindi gli strumenti per poter analizzare analogie e differenze rispetto a quanto previsto per i cittadini di stati terzi non U.E. maggiorenni.

La preoccupazione del legislatore nel disciplinare lo status giuridico del minore d’età cittadino di stati terzi, infatti, è quella di prevedere una normativa efficace in termini di ordine pubblico, e quindi di controllo dei flussi migratori, ma di farlo nel rispetto di quel principio di superiore interesse del minore di cui abbiamo abbondantemente parlato. Interesse che, in questo caso, supera anche quello di regolamentare e controllare i flussi migratori71.

Si tratta quindi di introdurre alcuni interventi puntuali (recepiti in larga misura dal T.U.I., D. L. ivo n. 286 /1998) applicabili ai minori d’età, che, come vedremo, coinvolgono però in modo consistente anche i familiari maggiorenni, ed aprono una serie di problematiche di non poco conto.

Una lettura analitica del T.U.I. ci pone immediatamente a contatto con una serie di disposizioni specifiche per i minorenni, che talvolta assumono i caratteri di vere e proprie deroghe.

La prima e fondamentale differenza riguardante i minori d’età è contenuta nell’articolo 19, rubricato “Divieti di espulsione e di respingimento. Disposizioni in materia di categorie

vulnerabili”. Il comma 2, lettera a), dell’articolo in questione, pone gli stranieri minori di

anni diciotto tra le categorie nei confronti dei quali non è possibile mettere in atto un provvedimento di espulsione (salvo il diritto di seguire genitori o affidatari espulsi). Per questo motivo, non è imputabile al minore irregolarmente presente sul territorio dello Stato il reato di immigrazione clandestina, così come previsto all’Art. 10- bis del T.U.I. Si tratta di una incompatibilità legata al fatto che l’ordinamento italiano non solo impedisce la sua espulsione, ma provvede anche alla sua tutela, in base a quanto affermato nella Convenzione O.N.U. (articolo 2, comma 2), dove viene sancito il principio di non discriminazione.

71 Bella A. D., Il minore straniero e il reato di immigrazione clandestina, in “Corriere Merito”, n. 4, anno 2010, (note a sentenza).

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Il minore straniero, comunque sia avvenuto l’ingresso72 sul territorio italiano, gode di un diritto, ovvero quello a soggiornarvi: non può quindi essere chiamato a rispondere penalmente di ciò. Una condanna in questo senso sarebbe infatti contraria all’Art. 51 del Codice Penale73, il quale esclude che l’esercizio di un diritto possa essere punito74.

A questo deve aggiungersi che l’autorità competente a giudicare per il reato di immigrazione clandestina è il Giudice di Pace, mentre per i reati commessi da minori è sempre chiamato a esprimersi il Tribunale per i Minorenni75.

Certo, questo non esclude che non possa essere disposto un provvedimento di espulsione anche nei confronti di una persona minore d’età, ma tale disposizione deve essere giustificata dal fatto che lo straniero costituisce un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, ai sensi dell’Art. 13, comma 1, del T.U.I.76, e deve essere adottata dal Tribunale per i Minorenni, come previsto all’Art. 31, comma 477

. Sono previste inoltre modalità particolari per l’esecuzione dell’espulsione stessa, a sottolineare comunque la peculiarità e i particolari diritti di cui il minore gode78.

Il citato articolo 19, comma 2, alla lettera d) estende il divieto di espulsione alle donne in stato di gravidanza, o nei sei mesi successivi al parto. Tale disposizione ha come ratio la volontà di tutelare sia la maternità che la vita nascente, garantendo al figlio le cure genitoriali79. L’interesse del minore è qui centrale, ed è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale, la quale, con sentenza n. 376 del 27 luglio 2000, ha affermato la necessità di estendere il divieto di espulsione anche al padre del nascituro, in quanto la norma,

72

Art. 33, comma 5, L. 184/1983 “Diritto del minore ad una famiglia”.

73 Articolo 51 Codice Penale “Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità.

Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine.

Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.

Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.”

74 Bella A. D., Il minore straniero e il reato di immigrazione clandestina, in “Corriere Merito”, n. 4, anno 2010, (note a sentenza).

75 Art. 3 D.P.R. n. 448/1988 e successive modificazioni “Codice del processo penale minorile”. 76

Oltre al caso in cui il minore segua i genitori naturali o affidatari espulsi (art. 19 comma 1 lettera a)) 77 Il comma in questione afferma infatti “Qualora ai sensi del presente testo unico debba essere disposta

l'espulsione di un minore straniero il provvedimento è adottato, su richiesta del questore, dal Tribunale per i minorenni.”.

78 Morozzo della Rocca P., I minori d’età nel diritto dell’immigrazione, in Morozzo della Rocca P. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 140.

79

Morozzo della Rocca P., I minori d’età nel diritto dell’immigrazione, in Morozzo della Rocca P. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pagg. 153-154.

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qualora permettesse l’espulsione di quest’ultimo, si porrebbe in contrasto con gli articoli 29 e 30 della Costituzione80.

Particolare rilevanza assume anche il principio dell’unità familiare, rintracciabile non solo nel citato articolo 19, comma 2, lettera d), ma anche in altre disposizioni. In primis, lo stesso art 19, comma 2, lettera a), il quale prevede che lo straniero minore d’età non possa da un lato essere espulso, ma che dall’altro abbia il diritto a seguire il genitore o l’affidatario sottoposto a provvedimento di espulsione.

La tutela dell’unità familiare, e quindi del diritto del minore a vivere e crescere nella propria famiglia 81, è garantita inoltre agli artt. 28, 29 e 30 del T.U.I..

E’ proprio l’articolo 28 a citare il principio del superiore interesse del minore, quando al comma 3 afferma:

“In tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176.”

A questo proposito, la legge specifica le modalità per il ricongiungimento familiare (artt. 29 e 29-bis ), nonché quelle per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari (art. 30).

Ancora più specifico è inoltre l’art. 31 del T.U.I. , significativamente rubricato “Disposizioni in favore dei minori” .

Esso prevede che lo straniero minore di quattordici anni venga iscritto nel permesso (o nella carta) di soggiorno di uno o di entrambi i genitori (anche affidatari). Per ciò che riguarda la condizione giuridica, segue quella del genitore con cui convive o quella a lui più favorevole.

80 La sentenza nello specifico afferma che :”essa (la norma prevista dall’articolo 19 comma 2 lettera d)) non garantirebbe l’unità familiare e non consentirebbe allo straniero di esercitare i diritti e i doveri nei riguardi dei figli minori e del coniuge.”

81 Così come sancito dall’ Art. 9 “Convenzione Onu Diritti dell’infanzia” e dall’ Art. 1 L. 4 maggio 1983, n. 184 “Diritto del minore ad una famiglia”.

(27)

30

Compiuti quattordici anni, viene rilasciata al minore un permesso (o carta) di soggiorno per motivi familiari, convertibile, raggiunta la maggiore età, in un permesso di soggiorno per motivi di studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura, come previsto dall’Art. 32 T.U.I..

E’ soprattutto però il comma 3 dell’Art. 31 ad introdurre nel nostro ordinamento una deroga forte alla normale normativa in materia di immigrazione.

Esso prevede che:

“Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L'autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza.”

In questo caso, l’organo chiamato a giudicare riguardo all’autorizzazione al soggiorno dei familiari (non necessariamente i genitori, ma anche altre figure significative) è il Tribunale per i Minorenni, e il successivo rilascio del permesso da parte della questura è un mero atto dovuto al decreto da esso emanato.

E’ previsto inoltre che il familiare richiedente tale autorizzazione possa godere del gratuito patrocinio, in considerazione del fatto che la difficoltà economica possa essere proprio il motivo principale che rende problematica la richiesta di permesso di soggiorno di altro tipo: anche da tale orientamento della giurisprudenza si può leggere come centrale per questa norma, e per le decisioni che da essa possono derivare, sia l’interesse del minore82. La legge (il citato articolo 31, comma 3) fa riferimento a gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, oltre che all’età e alle condizioni di salute.

82

Morozzo della Rocca P., I minori d’età nel diritto dell’immigrazione, in di Morozzo della Rocca P. (a cura di), Immigrazione, asilo e cittadinanza. Discipline ed orientamenti giurisprudenziali, Ravenna, 2015, Maggioli Editore, pag. 147.

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