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Capitolo 3. METODOLOGIE DI CONTROLLO DELLO SVILUPPO DEGLI PSEUDOMONAS NELLA MOZZARELLA

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Capitolo 3. METODOLOGIE DI CONTROLLO

DELLO SVILUPPO DEGLI PSEUDOMONAS

NELLA MOZZARELLA

Tra le cause di deterioramento organolettico dei prodotti alimentari, si riscontrano principalmente alte cariche di batteri psicrofili e psicrotolleranti, tra cui soprattutto

Pseudomonas spp., lieviti, propionobatteri, ed Enterobacteriaceae.

A seguito del caso della presenza in commercio di “mozzarelle blu” nel 2010 l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lazio e Toscana analizzò 26 campioni di mozzarelle oggetto dell’allerta attivata, di cui 17 reperti provenienti da esposti di privati cittadini, e altri 9 campioni prelevati ufficialmente presso la grande distribuzione (Bogdanova et al., 2010), isolando da questi Pseudomonas spp. in 16 casi; in particolare da 14 campioni di mozzarella fu isolato Ps. fluorescens ed in due fu isolato Ps. aeruginosa. La contaminazione sembrerebbe essere avvenuta attraverso le acque utilizzate nel processo produttivo, nell’operazione di formatura, consolidamento, raffreddamento del formaggio. Anche un’altra serie di esperimenti ha confermato che la causa della colorazione anomala di mozzarelle, verificatasi nell’estate 2010, era riconducibile con certezza alla presenza di Pseudomonas fluorescens, essendo stato possibile riprodurre l’anomalia cromatica attraverso la contaminazione di liquido di governo con un isolato proveniente da mozzarelle con colorazione blu; è stato rilevato inoltre come l’anomalia sia riscontrabile sia in mozzarelle conservate in condizioni di abuso termico, sia in mozzarelle conservate a normali temperature di refrigerazione (Sechi et al., 2011). In generale si può approcciare il problema conseguente a tale contaminazione batterica, che riduce inevitabilmente la shelf-life del prodotto, in due modi:

Migliorare condizioni di processo e qualità delle materie prime (Altieri et al., 2005).

Utilizzare sostanze ad azione antimicrobica, sia di derivazione biologica che inorganica.

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Si riportano di seguito gli esiti di ricerche mirate al controllo di Pseudomonas alteranti attraverso diverse modalità operative.

Recentemente, Quintieri e collaboratori hanno fornito una prova diretta della capacità della lattoferrina bovina e del suo idrolisato peptidico (LFH), contenente il peptide antimicrobico lactoferricin B (LfcinB), di ritardare la crescita di Pseudomonas e di coliformi, contaminanti i campioni commerciali di mozzarella in condizioni di stoccaggio refrigerato (Quintieri et al., 2012); ciò avviene poiché la lattoferrina, essendo una transferrina, agisce andando a sequestrare il ferro presente nei prodotti alimentari, con conseguente svantaggio per lo sviluppo e la proliferazione microbica, in ambiente carente di ferro libero. Questa capacità chelante è finalizzata in natura a prevenire fenomeni ossidativi e i conseguenti radicali liberi prodotti in importanti liquidi biologici quali latte e colostro. Inoltre, l’attività antimicrobica di LfcinB è stata testata anche su superfici funzionali di rivestimento plasmatico, in modo da ottenere un imballaggio attivo da utilizzare nel controllo della crescita di batteri alteranti (Quintieri et al., 2013). Due anni più tardi l’LFH è stato utilizzato come additivo del liquido di governo, atto a contrastare la comparsa di colorazioni anomale sulla superficie delle mozzarelle. L’LFH si è dimostrato un ottimo inibitore della crescita di batteri alteranti, ed in particolare di Pseudomonas fluorescens: i campioni trattati con LFH potevano conservarsi a temperatura di refrigerazione (5°C) fino a 14 giorni senza presentare alterazioni cromatiche, a differenza dei campioni di controllo, non trattati con LFH, che presentavano la comparsa del pigmento leucoindigoidina blu da

Pseudomonas (Caputo et al., 2015).

Essendo la lattoferrina una glicoproteina presente nel latte di molte specie, coinvolta nella protezione da agenti patogeni (Conesa et al., 2008), essa è stata testata, con alcuni suoi derivati, su Pseudomonas aeruginosa con risultati positivi (Xu et al., 2010). Anche di altre transferrine sono state studiate le capacità antimicrobiche. Ad esempio, la ovotransferrina o conalbumina è una glicoproteina ferrolegante che occupa il secondo posto nella costituzione dell’albume dell’uovo, in cui ricopre la funzione di antimicrobico, ed è presente anche nel siero ematico. Pure per questa transferrina è stata evidenziata una attività antimicrobica, specialmente nei confronti di

Pseudomonas spp., Escherichia coli, Streptococcus mutans, ed in minor grado su Staphylococcus aureus, Proteus e Klebsiella (Valenti et al., 1982). Proprio grazie a

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questa caratteristica essa ha trovato applicazione come ingrediente in preparazioni per neonati. Inoltre è stato osservato che l'azione antimicrobica dell'ovotransferrina viene aumentata dalla presenza del bicarbonato di sodio (Valenti et al., 1981) ed in certi casi dello zinco (Valenti et al., 1987; Ko et al., 2008).

Considerando che il controllo dello sviluppo microbico del liquido di governo rappresenta uno dei fattori principali per la salubrità e la shef-life della mozzarella durante la fase di conservazione e distribuzione, alcuni studiosi hanno intravisto la possibilità di migliorarne le condizioni sostituendolo con soluzioni di siero neutralizzate, pastorizzate e gelificate con differenti concentrazioni di alginato di sodio (siero-alginato). Gli alginati sono copolimeri lineari di acido D-mannuronico e L-guluronico con forti attività colloidali, estratti dalle alghe brune della classe

Phaephyceae (King, 1983), che hanno la capacità di creare gel forti ed insolubili in

presenza di ioni calcio, con conseguente modifica delle loro proprietà chimico-fisiche (Guilbert et al., 1995). I risultati hanno dimostrato che, sebbene vi fosse una stabilizzazione dei parametri strutturali e chimici del prodotto (nessuna variazione di pH dopo 7 giorni di refrigerazione, minor deformazione della mozzarella e minor rilascio di liquido al taglio rispetto ai controlli), si riscontrava, a partire dai 7 giorni di refrigerazione, un incremento delle conte di Pseudomonas nelle mozzarelle in siero alginato (De Candia et al., 2016). Il siero alginato era stato precedentemente studiato da Conte e collaboratori, che hanno sviluppato un rivestimento attivo con alginato (8% peso/volume), in combinazione con lisozima (25 mg/mL), EDTA (50 mM), ed un confezionamento in atmosfera modificata, dimostrando un prolungamento della shelf-life del formaggio Fior di Latte (Conte et al., 2009).

È stato dimostrato che anche gli oli essenziali vegetali hanno attività inibente contro un’ampia gamma di microrganismi, quali batteri (Deans and Ritchie, 1987), lieviti (Lachowicz et al., 1998) e funghi (Paster et al., 1990), grazie all’azione dei loro composti fenolici (Dorman e Deans, 2000; Lambert et al., 2001). Ad esempio, nel caso dell’olio essenziale di limone, risulterebbe essenziale l’alto contenuto in flavonoidi, tra cui esperidina, narirutina, naringina e eriocitrina, ed in terpeni, come citrale e p-cimene, oltre che in vitamina C (Mouly et al., 1994).

Gli oli essenziali di piante selezionate sono stati testati anche come conservanti alimentari naturali ad attività inibente sui batteri alteranti (Smith-Palmer et al., 2001;

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Conte et al., 2007). Nel lavoro di Gammariello e collaboratori tali composti sono stati usati nella mozzarella, direttamente sciolti nella soluzione salina di campioni di Fior di Latte, i quali sono stati conservati a 10°C per circa 6 giorni. Le alterazioni ed i microrganismi, in particolare Pseudomonas spp. e coliformi totali, sono stati monitorati. Si è visto che i suddetti agenti attivi esercitano un effetto inibitorio sui microrganismi responsabili del deterioramento della mozzarella, senza influenzare la naturale microflora lattica del latte (Gammariello et al., 2008), od il pH del prodotto, escludendo di fatto l’ipotesi che l’inibizione sia dovuta all’acidificazione piuttosto che all’impiego di tali sostanze (Del Nobile, 2010). Gli oli più inibenti e meno alteranti la percezione sensoriale sono risultati quelli di salvia e limone, usati con concentrazioni di 0,5-1% (Holley e Patel, 2005).

Il chitosano è un polisaccaride lineare, composto da D-glucosamina e N-acetl-D-glucosamina, legate da legami β(1,4), ottenuto per deacetilazione della chitina animale, generalmente ottenuta dall’esoscheletro dei crostacei. È un composto organico, biodegradabile, ecologico e relativamente economico. Dato le sue caratteristiche, è stato impiegato in mozzarelle ad acidificazione biologica conservate a 4°C per circa 10 giorni. I risultati dimostrano che il chitosano non ha alterato la flora lattica del prodotto, né le sue caratteristiche organolettiche, sebbene l’azione inibente verso coliformi e Pseudomonas spp. non sia risultata particolarmente eclatante (Altieri et al., 2005).

Il sorbato di potassio (E202) è il sale di potassio dell'acido sorbico. Grazie alle sue proprietà antifungine e antibatteriche, il sorbato di potassio trova impiego come conservante nell'industria alimentare, sotto la denominazione E202: è usato principalmente nei formaggi (per il trattamento superficiale della crosta) e nel pane di segale, ma si può anche trovare in frutta candita, sidro, succhi di frutta concentrati, creme per ripieni e guarnizioni, albicocche secche, pizze surgelate, macedonie di frutta, capsule di gelatina, margarina, bevande analcoliche e zuppe. Trova un così largo impiego perché esplica la sua azione inibente senza andare ad alterare i caratteri sensoriali del prodotto, quali gusto e odore. Uno studio del 2014 ha dimostrato come il sorbato di potassio risulti un conservante migliore di sodio benzoato, calcio lattato e calcio benzoato, in mozzarelle conservate a 8°C per una settimana. Lo studio ha riportato come nei primi tre giorni di stoccaggio la carica microbica, in particolare quella di Pseudomonas spp., aumentasse rapidamente in tutti i campioni, mentre dal

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quarto, in quelli con il sale di potassio si osservava un rallentamento, a tutte le concentrazioni testate (1%, 2% e 3%), rispetto ai controlli non trattati (Lucera et al., 2014).

Il bicarbonato di sodio, o idrogeni carbonato di sodio o carbonato monosodico, è un sale dell’acido carbonico (Figura 18).

A differenza del carbonato, l'idrogeno carbonato mantiene

uno ione idrogeno dell'acido corrispondente. In natura, oltre che frequentemente disciolto nelle acque superficiali e sotterranee, è presente raramente come minerale, generalmente sotto forma di efflorescenze, incrostazioni e masse concrezionate in depositi di tipo evaporitico. Si rinviene come nahcolite (NaHCO3) o come componente

secondario del natron (Na2CO3·10H2O), un carbonato idrato di sodio di genesi

evaporitica in ambienti aridi. A temperatura ambiente l'idrogeno carbonato di sodio si presenta come una polvere cristallina bianca. È un sale relativamente poco solubile in acqua (8,7 % a 20 °C) ed insolubile in etanolo.

È tra gli additivi alimentari codificati dall'Unione Europea con la sigla E 500 (classe: regolatore di acidità), e può essere utilizzato in vari campi, dal latte disidratato, ai formaggi stagionati, fino agli alimenti di prima infanzia, e tanti altri campi, dato che per questa sostanza non è stata riscontrata alcuna nocività e non ne è stata quindi definita una DGA (dose gionaliera accettabile).

Il bicarbonato, può manifestare azione antimicrobica. Nel 1988 è stato osservato come una quantità di bicarbonato di 120 mM potesse inibire microrganismi come

Escherichia coli, Lactobacillus plantarum, Staphylococcus aureus e Pseudomonas aeruginosa, attraverso il semplice sviluppo di alcalinità (Corral et al., 1988). E' stato

dimostrato inoltre come il bicarbonato inoculato possa alterare la permeabilità di membrana (Sears e Eisenberg, 1961; Jones e Greenfield, 1982) ed influenzare i processi di fosforilazione ossidativa (Newbrun et al., 1984; Daniels et al., 1985).

Figura 18. Struttura chimica del bicarbonato di sodio (https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2 2/SodiumBicarbonate.svg).

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L’ozono, o ossigeno triatomico (O₃), è un allotropo instabile dell’ossigeno. Molti utilizzi dell’ozono sono stati saggiati, da parte di Segat e collaboratori, per valutare l’azione inibente sui batteri alteranti nella mozzarella attraverso: l’inclusione di 2 ml/l nel liquido di governo; la dispersione nell’acqua di raffreddamento con concentrazioni di 2,5-10 mg/l; l’impiego sotto forma di gas a concentrazioni di 10-20-30 mg/m³. In questi esperimenti l'ozono non si è dimostrato efficace nella decontaminazione microbiologica superficiale del formaggio, tuttavia non vi è stato alcun aumento nella formazione di prodotti di ossidazione primaria e secondaria dei lipidi. L’unica applicazione funzionalmente utile si è dimostrata quella di decontaminazione dell’acqua “di processo” dalla presenza di potenziali batteri alteranti, prima di entrare in contatto con il prodotto (Segat et al., 2013). Le capacità antimicrobiche di questa sostanza sono strettamente correlate con le sue caratteristiche di solubilità in acqua, stabilità e reattività con composti organici ed inorganici. La scarsa conservabilità della mozzarella è principalmente causata dalla presenza di elevate cariche di batteri non lattici e non patogeni che, durante lo stoccaggio, possono causare difetti ed alterazioni, idrolizzando frazioni di caseina diverse (Baruzzi et al., 2012). Sono principalmente coliformi, Pseudomonas spp. e altri batteri psicrotrofici, in grado di rilasciare lipasi e proteasi, e di conseguenza influenzare le proprietà strutturali del prodotto, e anche causare la comparsa di anomale colorazioni (Cantoni et al., 2003a; Soncini et al.,1998), odori inusuali e sapore amaro (Oommen et al., 2002). Non tutti questi microrganismi derivano dal latte, spesso vengono veicolate dall’acqua utilizzata nella fase di raffreddamento (Cabrini e Neviani, 1983), specialmente se a ricircolo continuo (Green et al., 1999). L’ozono può quindi essere impiegato nell’industria alimentare come alternativa all’uso del cloro per la sanificazione delle acque, con il vantaggio dell’assenza di residui tossici a fine processo decompositivo (Novak e Yuan, 2007; Tiwari et al., 2010).

Negli ultimi anni, Laurenzio e collaboratori hanno messo a punto un sistema di imballaggio innovativo che vede la sostituzione del tradizionale liquido di governo delle mozzarelle con un gel a base di polisaccaridi, che permette alla mozzarella di stabilizzare le sue proprietà microbiche (rallenta lo sviluppo di alteranti), meccaniche (la texture) e nutrizionali (evitando squilibri di sodio e calcio, e conseguenti variazioni di pH), in periodi di conservazione a 4°C che vanno dai 15 ai 30 giorni (Laurenzio et al., 2006; Laurenzio et al., 2008).

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Un nuovo sistema di imballaggio antimicrobico (poli-etilene-tereftalato, PET) è stato formulato e testato in vitro contro i batteri alteranti del formaggio mozzarella. Esso è costituito da idrossidi doppi lamellari, o idrotalciti (LDH), intercalati da anioni di salicilato e carbonato dispersi in un solvente basico, che svolgono la funzione antimicrobica. Seguendo l’evoluzione della popolazione di microrganismi alteranti (coliformi totali, Pseudomonas, funghi) e la flora lattica della mozzarella (batteri lattici), a temperatura di conservazione di 18 ° C, per simulare l'abuso termico e velocizzare il fenomeno di alterazione, si sono ottenuti dei risultati sperimentali che dimostrano un allungamento del termine di conservazione fino a 20 giorni, confermando che il rivestimento attivo esaminato esercita un effetto inibitorio sui microrganismi responsabili dei fenomeni di deterioramento, senza compromettere la flora funzionale del prodotto (lattica) (Gorrasi et al., 2016).

La ricerca sulla formulazione e la produzione di materiali innovativi per le applicazioni alimentari, come imballaggi e superfici di contatto delle derrate, sta rapidamente evolvendo negli ultimi anni grazie al crescente sviluppo di composti e nano-composti. In un altro studio è stata utilizzata l'aggiunta di chitosano alla produzione di formaggio, combinata con un rivestimento attivo (lisozima e etilendiammina, acido tetraacetico, sale di sodio) e MAP (packaging in atmosfera modificata) per prolungare la durata del formaggio "Fior di latte". Sul formaggio sono stati monitorati, per un periodo di 8 giorni a 4°C, i parametri microbiologici, di pH, di composizione del gas e sensoriali. I risultati hanno mostrato che la combinazione di chitosano, rivestimento attivo e MAP ha migliorato la conservazione del formaggio "Fior di latte" aumentando la durata di conservazione (5 giorni) rispetto all'imballaggio tradizionale (1 giorno) (Del Nobile et al., 2009).

Ulteriormente, si è visto come un rivestimento a base biologica, contenente nanoparticelle di argento-montmorillonite combinate con un imballaggio in atmosfera modificata (MAP), abbia avuto effetti positivi sul decadimento della qualità microbica e sensoriale del formaggio Fior di latte. Diverse concentrazioni di nanoparticelle d'argento (0,25, 0,50 e 1,00 mg/mL) sono state disperse in una soluzione di acido alginico di sodio (8% vol/vol) nel confezionamento. L'imballaggio in atmosfera modificata è composto da 30% CO₂, 5% O₂ e 65% N₂. I risultati hanno dimostrato come il prodotto immagazzinato nell'imballaggio tradizionale abbia avuto una durata di conservazione di circa 3 giorni, mentre il formaggio testato ha raggiunto una durata

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superiore a 5 giorni, indipendentemente dalla concentrazione di nanoparticelle d'argento (Gammariello et al., 2011).

In altri studi è stata testata l'attività antimicrobica nei confronti di batteri Gram negativi da parte del lisozima e dell'acido etilendiamminotetraacetico (EDTA), aggiunti nel liquido di governo per migliorare la shelf-life della mozzarella. Il lisozima è un enzima di 14,4 kilodalton presente nei tessuti animali, dotato di attività battericida: lede la parete batterica di alcuni batteri, catalizzando l'idrolisi del

legame beta 1,4 tra l'acido N-acetilmuramico (NAM) e la

N-acetilglucosamina (NAG), che sono la componente principale del peptidoglicano. Questo enzima litico solitamente si trova in alimenti come latte e uova, e nelle secrezioni animali, quali lacrime e saliva.

In Italia l’utilizzo di lisozima è consentito dal disciplinare di produzione del formaggio D.O.P. Grana Padano, onde evitarne il gonfiore tardivo ad opera di clostridi (DPR n. 1269 del 30 ottobre 1955, modificato dal DPR 26 gennaio 1987 – GURI n. 295 del 22 dicembre 1955).

L'acido etilendiamminotetraacetico, più noto con la sigla EDTA è un acido carbossilico: in particolare è un acido tetracarbossilico dotato inoltre di due doppietti elettronici (donatori di Lewis) appartenenti all'azoto (Figura 19).

A temperatura ambiente si presenta come una polvere cristallina inodore, con colorazioni che variano dal bianco al giallo, moderatamente solubile in acqua, cui impartisce una reazione acida, e solubile nelle soluzioni alcaline sotto forma di anione policarbossilato.

Abitualmente si lega in complessi stabili con cationi metallici (Ba²ᶧ, Ca²ᶧ, Cd²ᶧ, Co²ᶧ, Fe²ᶧ, Fe³ᶧ, Hg²ᶧ, Mg²ᶧ, Mn²ᶧ, Ni²ᶧ). Per questa sua attività chelante l’EDTA viene impiegato nella produzione alimentare allo scopo di prevenire le reazioni catalizzate

Figura 19. Struttura chimica dell'EDTA

(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/9/9d/EDTA_struttura. PNG).

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dai metalli e le ossidazioni. Inoltre ne è stata anche dimostrata la sua azione inibente nei confronti di alcuni batteri Gram negativi (Branen e Davidson, 2004).

È tra gli additivi alimentari codificati dall'Unione Europea con la sigla E 385 (classe: antiossidanti e correttori di acidità). Si può utilizzare in salse, carne trasformata trattata termicamente, molluschi e crostacei non trattati, emulsioni di oli e grassi, e prodotti ortofrutticoli in recipienti.

In uno studio di Conte e collaboratori si è testata l’azione inibente di lisozima ed EDTA in combinazione con un rivestimento attivo e con il confezionamento in atmosfera protettiva (MAP) per prolungare la shelf-life del Fior di latte. Il rivestimento attivo era composto da alginato di sodio (8% vol/vol), contenente lisozima (0,25 mg/ml) e EDTA- sale di sodio (Na₂-EDTA, 50 mM). La MAP era invece composta da 30% CO₂, 5% O₂ e 65% N₂. La velocità di perdita di qualità per la mozzarella Fior di Latte, conservata a 10°C, è stata valutata monitorando il pH e la perdita di peso, nonché i cambiamenti microbiologici e sensoriali. I risultati hanno mostrato che la combinazione di rivestimento attivo e MAP ha migliorato la conservazione del Fior di Latte, aumentando la durata di conservazione di 3 giorni rispetto al controllo; considerando anche che la carica di Pseudomonas spp. è rimasta al di sotto del valore di 10⁶ ufc/g, carica al raggiungimento della quale generalmente iniziano a comparire le alterazioni del prodotto (Bishop e White, 1986). L’efficacia dell’azione antimicrobica è stata probabilmente determinata dal contatto diretto dei composti attivi con la superficie dell'alimento (Conte et al., 2009).

Negli stessi anni Sinigaglia e collaboratori hanno saggiato l'efficacia della combinazione lisozima e del Na₂-EDTA contro i microrganismi alteranti della mozzarella, senza però ricorrere all’utilizzo di un rivestimento protettivo. Nei test, le mozzarelle sono state confezionate in una soluzione di condizionamento (soluzione salina diluita con un buffer a pH 6,5, per impedire un eccessivo abbassamento del pH, il quale avrebbe potuto mascherare i reali effetti antimicrobici delle sostanze) contenente lisozima (0,25 mg/mL) e diverse quantità di Na₂-EDTA (10, 20 e 50 mM) e conservate a 4 ° C per 8 giorni. La popolazione di microrganismi deterioranti (coliformi totali e Pseudomonadaceae), insieme alla flora naturale del latte (batteri lattici) è stato monitorata. L’attività sinergica di lisozima e di Na₂-EDTA ha inibito significativamente la crescita di coliformi e Pseudomonadaceae durante i primi 7 giorni di stoccaggio, mentre i batteri lattici non ne sono stati influenzati. I risultati di

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questo studio hanno dimostrato che è possibile estendere la durata di conservazione della mozzarella attraverso l'uso di lisozima e Na₂-EDTA nella soluzione salina di condizionamento (Sinigaglia et al., 2008). Le cellule batteriche possono, dopo un periodo di latenza, riuscire a riparare i danni a livello di membrana cellulare determinati dall’EDTA e riprendere la capacità moltiplicativa (Richards e Cavill, 1976), ma, fortunatamente, questo periodo risulta incompatibile con i normali tempi di shelf-life del formaggio a pasta filata in questione.

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