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3. PREVENZIONE DEL SUICIDIO
Le conoscenze sul suicidio sono aumentate negli ultimi decenni. Questo grazie al fatto che molti paesi hanno riconosciuto questo atto come un problema di salute pubblica e hanno investito risorse umane e finanziarie nella prevenzione che deve essere multisettoriale e deve interessare non solo la sanità ma anche altri settori pubblici come l’istruzione, l’occupazione, l’assistenza sociale, la giustizia e dove possibile il settore privato.
I risultati più importanti raggiunti riguardano:
• il riconoscimento che il comportamento suicidario è dato dalla interazione di fattori biologici, psicologici, sociali, ambientali, culturali e dalla comorbidità di malattie mentali;
• l’identificazione dei fattori di rischio e di protezione sia sulla popolazione generale sia su gruppi vulnerabili;
• il riconoscimento del ruolo positivo o negativo delle tradizioni culturali e religiose sul comportamento suicidario.
La maggior sensibilizzazione sul problema suicidio ha dato luogo allo sviluppo di strategie di prevenzione a livello mondiale, come per esempio l’istituzione della Giornata Mondiale della Prevenzione del Suicidio fissata il 10 settembre di ogni anno, e a livello nazionale con molti stati che hanno sviluppato strategie in funzione della loro casistica sul suicidio (WHO, Preventing suicide 2014).
Gli interventi possono essere suddivisi in tre gruppi strategie di prevenzione
universali, selettive e indicate (Gordon, 1983).
Le strategie di prevenzione universale hanno lo scopo di massimizzare la salute degli individui. Consistono nel miglioramento delle politiche di salute mentale, nella promozione di campagne di sensibilizzazione sugli effetti nocivi provocati sulla salute dall’uso eccessivo di sostanze alcoliche (Chisholm et al., 2004), nella semplificazione all’accesso alle cure sanitarie (Cho et al., 2013), nella limitazione all’accesso ai mezzi (Yip et al., 2012)
16 come per esempio pesticidi, farmaci, armi da fuoco o nella realizzazione di barriere architettoniche che ostacolano l’accesso a strutture pericolose, nella responsabilizzazione dei media in modo che diano una informazione responsabile e non celebrativa del suicidio e infine nello sviluppo di campagne di sensibilizzazione per migliorare l’atteggiamento della comunità verso i disturbi mentali e i disturbi da uso di sostanze.
Le strategie di prevenzione selettive prevedono interventi specifici per gruppi vulnerabili, per esempio persone che hanno subito abusi, traumi, disastri e conflitti (Matsubayashi et al., 2013; Jankovic et al., 2013), rifugiati, migranti, prigionieri di guerra, militari tornati da scene di guerra, carcerati (Fazel et al., 2008), omosessuali (Marshal et al., 2011), volti a migliorare i legami sociali, a eliminare barriere culturali, a dare assistenza attraverso personale specializzato e a supportare i parenti in lutto per il suicidio di una persona cara (Szumilas et al., 2011), la formazione di “ gatekeepers” in modo da avere personale che sappia identificare chi contempla il suicidio e chi necessita di trattamento (Tompkins et al., 2010) e la realizzazione di centri di ascolto a cui le persone possono rivolgersi per avere un supporto.
Le strategie di prevenzione indicate riguardano specifici individui vulnerabili e si basano sul follow-up e sostegno della comunità su pazienti che vengono dimessi dopo ricoveri in strutture ospedaliere per sostenere l’individuo e incoraggiarlo a proseguire il trattamento e la cura (Luxton et al., 2013), sulla valutazione e gestione dei comportamenti suicidari attraverso colloqui clinici condotti da personale sanitario (Wasserman et al., 2012) e sulla formazione degli operatori di assistenza sanitaria perché possano riconoscere persone affette da disturbi mentali o che fanno uso di sostanze per prevenire i loro comportamenti suicidari (Pearson et al., 2009).
Non esistono cure mirate per le condotte suicidarie. La prevenzione si basa sul riconoscimento dei fattori di rischio, sulla diagnosi precoce di malattia mentale e sul tempestivo intervento terapeutico (Cassano et al., 2006).