CAPITOLO II
Il pavimento nel presbiterio del Battistero di Pisa.
Analisi dell’opera all’interno del contesto dei
pavimenti istoriati medievali
1.
Breve introduzione alla tradizione dei pavimenti istoriati
medievali
Se nel corso dell’epoca tardoromana la tecnica decorativa del mosaico pavimentale, in continuità con l’Antichità, aveva goduto di grande favore, in molte regioni europee (in particolare, nei territori settentrionali e in quelli più lontani dalle aree costiere) questa forma ornamentale applicata alle pavimentazioni è destinata a una produzione notevolmente rarefatta fin dalla metà del secolo VI circa1. Tuttavia, a Costantinopoli e
1
A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, in “Enciclopedia dell’Arte Medievale”, IX, Roma 1991-2002, p.264; E. Kitzinger, Mosaico, in “Enciclopedia universale dell’arte”, IX, Milano-Roma 1971-1972, p.695: se fino alla metà del VI secolo sono attestati pavimenti musivi più o meno semplificati (riquadri contenenti animali nelle basiliche di Hemmaberg e Teurnia in Austria o pannelli geometrici nel complesso episcopale di Ginevra) per almeno quattro secoli successivi si perdono testimonianze di opere di questo genere in Europa centrosettentrionale. E’ naturale ritenere in gran parte responsabili della rarità, se non dell’assenza, di opere di questo genere le invasioni barbariche e la conseguente interruzione dei contatti culturali tra le aree orientali dell’Impero e i territori centrali dell’Europa.
nelle aree orbitanti intorno ad essa (nell’Oriente cristiano e in Africa settentrionale2) la tradizione si mantenne in vita e pavimenti a mosaico furono eseguiti largamente, continuando ad essere impiegati all’interno di palazzi e di edifici sacri3. Queste opere si presentano in parte come una versione semplificata della tradizione tardoromana4, poiché utilizzano tessere più “grossolane”, ma la gamma cromatica è particolarmente ricca e nella decorazione sono attestate iconografie puramente ornamentali così come motivi figurativi5. Inoltre, nella Bisanzio d’epoca tardo-antica e poi medievale la tecnica prevalentemente utilizzata per la decorazione pavimentale è quella dell’opus sectile6 marmoreo o dell’intarsio, mentre quella del mosaico ad opus tessellatum7, più in continuità con l’epoca
antica, riveste minore importanza: in sostituzione o in alternanza a quest’ultimo si incontrano, in particolare, pavimentazioni in opus sectile a piccolo modulo, secondo schemi a pannelli con motivi geometrici policromi entro intelaiature di fasce in marmo bianco8. Nella capitale bizantina questa tecnica acquisterà un ruolo preminente ed elitario, sviluppando già dai secoli VII e VIII forme nuove che sostituiranno via via i geometrismi
2
A. Guiglia Guidobaldi, op.cit., pp.265-266
3 Ibidem, pp.267-268: sono in realtà poche e limitate a decontestualizzati frammenti le testimonianze di VI
secolo di pavimenti istoriati a Costantinopoli, ma esse possono essere integrate da fonti quali il De Aedificiis di Procopio e la Descriptio ecclesiae Sanctae Sophiae di Paolo Silenziario. Si veda inoltre la nota nr.5.
4 P.J. Nordhagen, Mosaico, in “Enciclopedia dell’arte medievale”, VIII, Roma 1991-2002, p.570
5 E. Kitzinger, op.cit., p.695; P.J. Nordhagen, op.cit., pp. 570-571 : a Costantinopoli è stato portato alla luce
nel secolo scorso un ricco pavimento musivo, databile alla fine del VI secolo, con scene di caccia e motivi bucolici all’interno di un peristilio del Grande Palazzo; in area palestinese sono poi diversi gli edifici sacri di VI e VII secolo ornati con ricche pavimentazioni a mosaico, tra i quali si ricordano i pavimenti delle chiese Kabr Hiram (ora al Louvre), dei Ss. Lot e Procopio (santuario di Mosé sul Monte Nebo), Madaba e Ma’in.
6 E. Kitzinger, op.cit., p.674: fin dall’antichità la tecnica del mosaico assume denominazioni diverse a
seconda delle dimensioni, della sagoma e della natura del materiale utilizzato. Con il termine opus sectile, nello specifico, viene generalmente definito un commesso di “crustae” marmoree, e non di vere e proprie tessere regolari, di grandezza e forma variabile, utilizzate inizialmente soprattutto per la decorazione parietale. Gli elementi compositivi dell’opus sectile possono essere sagomati secondo la forma del disegno che vanno a comporre o tagliati in svariate forme geometriche (poligonali, quali quadrati, triangoli, losanghe: in questo caso si utilizza anche la definizione di opus alexandrinum), ma anche dischi di varie dimensioni.
7 Ivi: con opus tessellatum viene definito il commesso di tessere molto regolari, tagliate in forma di piccolo
cubo, in materiale marmoreo e lapideo di varia qualità.
8
rigorosi per introdurre linee curve e annodate9; tali formule sarebbero diventate dominanti e con un’ampia diffusione geografica nei secoli successivi10.
In Occidente, è nell’area adriatica, in parte certamente per la maggior vicinanza a Costantinopoli, che la tradizione dei pavimenti a mosaico si mantiene con una certa continuità anche nei periodi in cui altrove essa va scomparendo11. A Ravenna vengono infatti prodotti mosaici pavimentali senza soluzione di continuità dal IV al XII secolo, conservando e sviluppando la tecnica tardoantica12 e utilizzando sia la tecnica dell’opus
sectile che del tessellatum: in questi pavimenti prevale un effetto decorativo
bidimensionale, con motivi astratti ed esclusivamente geometrici13, a volte affiancati a composizioni vegetali come accade nel bel pavimento da S. Severo in Classe nel refettorio di S. Vitale14. In tutti i centri della costa adriatica e in quelli istriani di Parenzo e Pola15, è l’influenza di questa città a dominare; essa raggiunge non solo i principali centri costieri (nelle cattedrali di Pesaro e di Fermo, in S. Maria della Piazza ad Ancona) fino alla Puglia, dove i contatti bizantini, mediati dalla vicina Grecia, sono più evidenti (si veda il mosaico pavimentale a motivi vegetali in S. Leucio di Canosa di Puglia o il mosaico sotto la
9 Ivi: vengono riportati quali esempi costantinopolitani di antiche pavimentazione in opus sectile dalle
iconografie geometriche e con intrecci di nastri il frammento dal mausoleo annesso a S. Eufemia (oggi nell’esonartece di S. Sofia) e il pavimento di Kalenderhane Cami, databili ai secoli VII e VII: “tali esempi dimostrano una vitale continuità e contengono già le coordinate che sarebbero state dominanti nei secoli successivi con ben più ampia diffusione e varietà”.
10 Per quanto riguarda gli sviluppi dell’arte musiva applicata alle pavimentazioni in area bizantina, rimando a
C. Mango, The art of the Byzantine Empire 312-1453. Sources and Documents, Englewood Cliffs, 1972; A. Guiglia Guidobaldi, L’opus sectile pavimentale in area bizantina, in “Atti del I Colloquio dell’Associazione italiana per lo studio e la conservazione del mosaico, Ravenna 1993”, Ravenna 1994, pp. 609-614
11 Una recente catalogazione dei mosaici pavimentali per le aree italiana e francese è stata pubblicata da X.
Barral i Altet, Le décor du pavemente au Moyen Âge. Les mosaïques de France et d’Italie, Roma 2010
12
X. Barral i Altet, Il mosaico pavimentale, in Bertelli C. (a cura di), “La pittura in Italia. L’Altomedioevo”, X, Milano 1994, pp.480-498
13 Isolato rispetto a questa linea di gusto astratto e unicum in area ravennate è un mosaico di VI secolo
rinvenuto nel palazzetto bizantino di via D’Azeglio a Ravenna, in cui, al centro, è rappresentata una “danza dei geni delle stagioni”. Si veda M. Marini Calvani, M.G. Maioli, I mosaici di via D’Azeglio in Ravenna, Ravenna 1995
14 Per approfondimenti si rimanda a R. Farioli, Pavimenti musivi di Ravenna paleocristiana, Ravenna 1975 15
cattedrale di Bari)16. Un unicum rappresenta, infine, la pavimentazione della chiesa di S. Eufemia a Grado, della seconda metà del VI secolo, molto estesa e con lunghe corsie di “tappeti” a motivi geometrici17. Roma, dal canto suo si distingue, come Costantinopoli, per una tradizione in continuità con l’antichità e per l’importanza che acquista fin, sembra, dai secoli VI e VII, una linea decorativa che prevede esclusivamente l’utilizzo di pregiato materiale marmoreo in quadricromia (accanto al marmo bianco troviamo porfido rosso, verde e giallo antico). Si delineano così due tipologie decorative coesistenti (anche nello stesso contesto): si tratta dell’opus sectile geometrico a piccoli elementi all’interno di pannelli e del mosaico a tessere di grandi dimensioni, affiancato da elementi in opus
sectile che vanno a formare schemi geometrici semplici o grandi fiori (a quattro o più
petali)18.
Con l’epoca carolingia la decorazione marmorea pavimentale vive in generale un periodo di rifioritura, nel quale si delinea la ripresa di una produzione di pavimenti che riprende le fila della tradizione musiva antica anche in aree dove questa si era persa o comunque fatta piuttosto rarefatta. Dopo aver assistito all’eclissi dei pavimenti musivi in epoca tardo-antica, infatti, ritornano negli edifici sacri, a partire dal secolo IX circa, pavimentazioni a semplici motivi geometrici che utilizzano e sviluppano il repertorio paleocristiano, dal tracciato lineare e spesso in bicromia19, in Francia e in Catalogna20, nell’area germanica21
16A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., pp.268-269; R. Cassano, Mosaici paleocristiani di Puglia, in
“Mélanges de l’Ecole française de Rome”, 88, 1976, pp.277-373; Idem, La basilica di S. Leucio. Il battistero
di S. Giovanni, in Idem (a cura di), “Principi, imperatori, vescovi. Duemila anni di storia a Canosa”, Venezia
1992, pp.841-866
17 E. Kitzinger, op.cit., p.695; A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p.267 18
A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p. 269; F. Guidobaldi, A. Guiglia Guidobaldi, Pavimenti
marmorei di Roma dal IV al IX secolo (Studi di antichità cristiana, 36), Città del Vaticano 1983: esempi di
questa linea decorativa possono essere osservati in particolari delle pavimentazioni di S.Maria Antiqua, di S. Clemente e del battistero Lateranense.
19
X. Barral i Altet, Il mosaico pavimentale, op.cit., p.483
20 E. Kitzinger, op.cit., pp.695-696; A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p. 271 : si riportano gli esempi
di Saint-Quentin, Saint-Hilaire-le-Grand a Poitiers, della cripta di Saint-Martial a Limoges, di Saint-Croix a Orléans e della basilica di Terrassa (Barcellona). Rimando inoltre per approfondimenti riguardo ai mosaici pavimentali romanici in Francia e in Catalogna a X. Barral i Altet, Mosaico pavimentale, in F. Avril, X.
e nell’Italia nordorientale (in Veneto e in Friuli, in particolare)22. Oltre a una produzione quantitativamente più consistente di pavimentazioni musive, la ripresa carolingia è spesso caratterizzata da un intenzionale recupero della tradizione, anche attraverso il reimpiego concreto di parti di sectilia antichi soprattutto in area romana, dove la disponibilità di materiale di recupero è ovviamente maggiore23.
E’ proprio in quel periodo che si pongono le basi per lo sviluppo delle nuove tendenze della decorazione pavimentale che vedranno, in tutta Europa, una nuova fioritura in epoca romanica: con il secolo XI, quando in tutto l’Occidente sono in fermento cantieri e sforzi per elevare e decorare gli edifici romanici, fa la sua comparsa il mosaico pavimentale propriamente medievale, che godrà della sua massima fioritura durante il secondo successivo24. I primi esempi, pavimenti ispirati ai mosaici altomedievali, sono per la maggior parte costituiti da motivi geometrici che inseriscono all’interno del repertorio lineare elementi figurativi d’ispirazione antica: questo accade soprattutto nelle aree in cui si conservano un numero consistente di modelli tardo antichi, come in Italia nordorientale. Per quanto riguarda la tecnica utilizzata, spesso si associano strettamente opus tessellatum e opus sectile, come si vede ad esempio nei pavimenti di Pomposa e di Aquileia, oppure
Barral i Altet, D. Gaborit-Chopin, “I Regni d’occidente. Il mondo romanico 1060-1220”, II, Milano 1984, pp. 145-154 e Idem, Le décor du pavement, op. cit., pp.155-302
21 A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p. 271
22 E. Kitzinger, op.cit., pp.695-696: in area veneta sono attestati pavimenti musivi di IX e X secolo, come a S.
Ilario e S. Zaccaria a Venezia e a Gazzo Veronese. Si veda P.L. Zovatto, I mosaici altomedievali di Gazzo
Veronese, in “Stucchi e mosaici altomedievali. Atti dell’ottavo Congresso di studi sull’arte
dell’Altomedioevo, Verona-Vicenza-Brescia 1959”, I, Milano 1962, pp.260-272. Il mosaico del coro della basilica di Aquileia, sebbene già di XI secolo, riflette ancora il gusto dei pavimenti altomedievali, includendo motivi figurati zoomorfi e vegetali alternati a un ricco repertorio geometrico: X. Barral i Altet, Il mosaico
pavimentale, op.cit., p.438
23 X. Barral i Altet, Il mosaico pavimentale, op.cit., p.480; A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p. 271:
“Si può supporre che il pavimento marmoreo, con prevalenza di porfidi, del presbiterio di S. Maria in Cosmedin a Roma – dell’età di papa Adriano (772-795)- sia l’esempio superstite di un più vasto insieme, che trova poco più tardi espressioni mature nella Cappella Palatina di Aquisgrana, a Saint-Germain di Auxerre e nel duomo di Colonia. […] nell’Europa centrosettentrionale e in particolare nell’area germanica un’analoga tipologia pavimentale pose le basi per la ricca produzione dei secoli seguenti”.
24
nei pavimenti d’area veneziana25, nei quali però il secondo predomina sul primo26. Nelle opere di territorio veneziano e dell’Adriatico settentrionale, quindi, persiste l’utilizzo di motivi geometrici i derivazione altomedievale, ma ne vengono introdotti altri zoomorfi che preannunciano il grande repertorio animale che sarà fondamentale nella cultura romanica; in generale nei territori italiano e francese si delineano iconografie a mosaico sia puramente geometriche che figurative, spesso coesistenti, ma anche motivi geometrici a grande modulo che vanno a disegnare intrecci nastriformi27.
In periodo romanico il mosaico figurato applicato alle pavimentazioni vive un’epoca fiorente, in Italia settentrionale e in quella meridionale, così come in area francese ed in Renania, delineando un ricco repertorio iconografico (vi si ritrovano figure allegoriche, episodi biblici, figure animali e fantastiche, temi legati alla cosmografia…) e spesso in unione con la tecnica dell’opus sectile, laddove l’influenza bizantina risulta più marcata, come a Venezia, in Sicilia, nel meridione italiano e nei territori orbitanti intorno a Montecassino28. Con il secolo XI, in effetti, si possono considerare ormai delineate le due principali linee decorative dei pavimenti della piena età medievale: una, delimitata alle coste adriatiche, prevede pavimentazioni che a stesure in opus sectile geometrico e motivi di triangoli disposti a raggiera affiancano pannelli ad opus tessellatum (puramente decorativo o con figurazioni animali)29; l’altra che, dalla Francia all’Italia settentrionale e alla Puglia, vede distendersi sul suolo degli edifici sacri tappeti musivi figurati i quali,
25
Si assiste infatti all’inizio del XI secolo alla fioritura dei pavimenti a Venezia e nei suoi dintorni: si vedano i pavimenti di S. Zaccaria e S. Marco e il più tardo (secolo XII) di S. Donato a Murano.
26 X. Barral i Altet, Il mosaico pavimentale, op.cit., p.492
27A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p. 271 : ad opus sectile è per esempio la pavimentazione della
cripta di S. Croce a Ravenna; mosaici con inserti figurativi (animali) sono quelli di S. Francesco o S. Vitale; puramente geometrici i decori pavimentali della chiesa di Valentine (Aquitania); sempre geometrici ma con intrecci a grande modulo, infine i pavimenti a mosaico della cattedrale di Reims.
28 E. Kitzinger, op.cit., pp.695-696 29
X. Barral i Altet, Il mosaico pavimentale, op.cit., pp.483-484; A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., pp.271-272: tra gli esempi più antichi (prima metà XI secolo), i pavimenti del presbiterio della basilica patriarcale di Aquileia, dell’abbazia di Pomposa e della chiesa di Carrara Santo Stefano (Padova), mentre esempi di XII secolo sono osservabili in area veneziana, nella chiesa dei Ss. Maria e Donato a Murano e in S. Zaccaria a Venezia.
parte integrante dell’arredo liturgico, guidano il fedele all’interno dell’edificio attraverso l’esposizione di molteplici temi figurativi di svariata derivazione30. Vi si ritrovano, infatti, episodi biblici (solitamente dell’Antico Testamento) e figure allegoriche, ma anche motivi legati alla cosmografia quali le rappresentazioni dei Mesi, delle Stagioni e i segni dello Zodiaco, o addirittura scene prettamente profane come episodi tratti da cicli letterari (leggende di Alessandro o di Artù), immagini di caccia, di battaglia; uno dei repertori più ampi ed utilizzati è poi quello degli animali, reali e fantastici, derivati dalle raccolte di bestiari. Si tratta di un repertorio multiforme ma culturalmente omogeneo, una sorta di iconografia “universale e enciclopedica”31che può essere applicata e realizzata in maniera differenziata a seconda dell’area e che può anche dipendere da tradizioni decorative locali32. La collocazione di questi soggetti, concepita spesso in maniera complementare e simultanea rispetto alla decorazione delle pareti dell’edificio, tiene conto dei rapporti con la struttura e con gli arredi liturgici; alcune iconografie (la croce, le teofanie, le immagini della Vergine…), infine, vengono direttamente escluse dalla decorazione pavimentale, in quanto si tratterebbe di una collocazione irrispettosa (il piano di calpestio).
Tra gli esempi più importanti tra le produzioni pavimentali a mosaico d’età romanica, senza dubbio vanno inseriti quelli dell’area pugliese: è di metà XI secolo il pavimento di Santa Maria nell’isola di San Nicola (Tremiti), in opus tessellatum d’elevato livello tecnico, con motivi geometrici e zoomorfi disposti, come in un tappeto, intorno ad una rosa centrale33; continuità con la tradizione tardo antica dimostrano inoltre le pavimentazioni pugliesi di XII secolo, come quelle della cattedrale di Trani, di Taranto, di Bari34 e il famosissimo pavimento della cattedrale di Otranto, popolato da una moltitudine di figure
30
X. Barral i Altet, Il mosaico pavimentale, op.cit., pp.485-486
31 Ivi
32 A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p. 272 33
X. Barral i Altet, Il mosaico pavimentale, op.cit., p.488
34 A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p. 274; in generale sui mosaici pugliesi: R. Carrino, Mosaici
pavimentali dell’XI e XII secolo in Puglia: committenza, artefici e musivari, in "Actes du VIIIème Colloque
International pour l’Étude de la Mosaique Antique et Médiévale, Lausanne 6-11 octobre 1997”,1, 2001, pp. 132-170
all’interno di medaglioni e iconografie derivanti dalle più varie fonti (animali, episodi biblici, personificazioni allegoriche dei Mesi, rappresentazioni di Artù…)35. A queste opere sono accostabili anche alcuni pavimenti d’area calabrese, quali il mosaico di S. Maria del Patir a Rossano e il pavimento di S. Adriano a San Demetrio Corone (entrambi nella Calabria settentrionale ionica), quest’ultimo arricchito da stesure in opus sectile geometrico e figure animali con riempimento “a scacchiera”36. Un altro gruppo stilisticamente omogeneo, che si distingue nella produzione di pavimenti a mosaico bicromo (bianco/nero), è quello delle opere piemontesi di XI secolo, ben conservate e di alta qualità tecnica37: tra i più antichi (entro la metà del secolo) si colloca il pavimento a intrecci geometrici e vegetali nella cripta di S. Giustina di Sezzadio (in Monferrato), mentre della seconda metà del secolo sono il mosaico del duomo di Acqui con figure zoomorfe fantastiche (oggi conservato presso il Museo Civico di Arte antica a Torino) e quello, anch’esso al Museo Civico d’Arte antica, proveniente da S. Salvatore rappresentante una complicata raffigurazione cosmografica38; è poi databile al primo XII secoolo il frammento pavimentale del duomo di Novara, fortemente rimaneggiato39. Al gusto bicromo dei modelli piemontesi si avvicinano inoltre l’esempio padano del mosaico di S.Tommaso ad Acquanegra sul Chiese (in Lombardia orientale) e, seppur mediato attraverso tradizioni locali, un gruppo di opere toscane di XI e XII secolo rappresentanti composizioni di raffigurazioni zoomorfe entro clipei, di chiara ispirazioni a tessuti orientali
35 Per approfondimenti sul mosaico della cattedrale di Otranto: G. Gianfreda, Il mosaico di Otranto. Anima
per l’Europa, Lecce 2003; L. Pasquini, Salire sull’albero. Note su alcuni motivi iconografici nel mosaico della cattedrale di Otranto, in “Atti del XII Colloquio dell’Associazione italiana per lo studio e la
conservazione del mosaico” (Padova, 14 - 15 e 17 febbraio - Brescia, 16 febbraio 2006), 2007, pp.513-524; Idem, Il mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto, in F. Guidi (a cura di), “Tessere di Storia. Dai mosaici di Pella alla basilica di San Vitale: ciclo di lezioni, Ravenna, Casa Traversari, ottobre-novembre 2010”, Bologna 2011, pp.70-101
36 A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p. 274: queste particolarità collegherebbero il pavimento di S.
Adriano anche alle produzioni altoadriatiche e a quelle bizantine della Grecia.
37
Per quanto riguarda i mosaici piemontesi, una catalogazione e completa analisi delle opere viene offerta da E. Pianea, I mosaici pavimentali, in G. Romano (a cura di), “Piemonte romanico”, Torino 1994, pp.393-420
38 A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p. 273: rappresentazioni di tipo cosmografico, semplificate, si
ritrovano anche nei mosaici del duomo di Aosta e in S.Savino a Piacenza.
39
(S.Trinita a Firenze, oggi al Museo del Bargello; S. Maria e S. Stefano ad Arezzo; S. Fabiano a Prato)40.
Anche in area padana ritroviamo un numero consistente di pavimenti a mosaico policromo prodotti tra XI e XII secolo: famosi sono quello della cripta di S. Colombano a Bobbio (nell’appennino piacentino) rappresentante iconografie varie (raffigurazioni di Mesi entro arcatelle, scene di battaglia e frammenti di un monumentale labirinto41), quello di S. Benedetto al Polirone (nell’oltrepó mantovano) con le Virtù cardinali all’interno di arcatelle su colonne, e il mosaico di S. Evasio a Casale Monferrato42 con scene di battaglia entro riquadri. Pavia doveva rappresentare una delle città più ricche di opere di questo genere, se nel XVI secolo l’Anonimo di Pavia ne loda i bei pavimenti43 e in particolare quello di S. Michele, del XII secolo: si tratta di un ricco mosaico con scene varie tra cui raffigurazioni dei Mesi e un labirinto; sempre a Pavia, inoltre, è conservato il più esteso racconto agiografico pavimentale d’epoca medievale, proveniente da S. Maria del Popolo44.
Un’ulteriore linea decorativa applicata ai mosaici pavimentali vede la luce a partire dalla piena età romanica. Si tratta di quella comunemente chiamata “cosmatesca”, definizione derivante dal nome col quale viene indicato un insieme di botteghe di artisti-imprenditori attive a Roma e nei suoi dintorni tra XII e XIII secolo, operanti a conduzione familiare nella produzione di lussuosi pavimenti ed arredi liturgici incrostati di marmi preziosi. Il
40 G. Guidoni, Pavimenti musivi medievali della Toscana, in “Atti del II Colloquio dell’Associazione Italiana
per lo studio e la conservazione del mosaico (Roma 5-7 dicembre 1994)”, Bordighera 1995, pp.561-568. I motivi zoomorfi racchiusi in cerchi di derivazione tessile bizantina e/o islamica, comunque, non erano sconosciuti ai modelli piemontesi; testimonianza ne è, per quanto il trattamento stilistico sia differente dai mosaici toscani, il trattamento bidimensionale e grafico delle raffigurazioni di grifoni del mosaico della chiesa abbaziale di S. Benigno Canavese (prima metà XI secolo): E. Pianea, op.cit., pp.398-399
41 L’iconografia del labirinto è attestata anche a S. Savino e in S.Michele a Pavia. 42 E. Pianea, op.cit., pp. 409-411
43 X. Barral i Altet, Il mosaico pavimentale, op.cit., p.494 44
termine “Cosmati” risulta correntemente utilizzato fin dalla storiografia ottocentesca45, benché fosse già allora avvertito l’equivoco nato dall’estensione del nome Cosma o
Cosmatus, insieme al patronimico Cosmati, ad un gruppo di artisti piuttosto vasto e non
necessariamente appartenente allo stesso clan familiare46. A Roma, le botteghe artefici di queste opere lavoravano secondo una stretta conduzione familiare e trasmettendo soluzioni formali e modelli di generazione in generazione; possedevano inoltre una sorta di monopolio sul commercio e sulla lavorazione dei marmi. L’interpretazione imprecisa di epigrafi e di documenti, dunque, ha portato ad associare alla denominazione “Cosmati” o all’aggettivo “cosmatesco”, in maniera convenzionale, non solo botteghe di artisti non legate tra loro dal punto di vista famigliare, ma anche una precisa connotazione stilistica: quella propria delle opere scultoree e decorative (pavimenti, arredi liturgici e particolari architettonici) caratterizzata da motivi geometrici generati dall’alternanza di aree in marmo bianco e di altre policrome in opus sectile e a mosaico. Da qui, perciò, l’estensione del termine a tutte le opere in area tirrenica e meridionale (in particolare campana) lavorate con una ricca decorazione mosaicata policroma.
Questo modello ornamentale è piuttosto comune nei secoli XII e XIII, soprattutto a Roma, da cui si espande poi nel Lazio, e raccoglie un gruppo numeroso ed omogeneo di
45
C. Boito, Architettura cosmatesca, in “Il Politecnico. Giornale dell’ingegnere architetto ed agronomo, VIII, febbraio 1860, pp.7-42 e I Cosmati, in Idem, “Architettura del Medio Evo in Italia”, Milano 1880, pp.117-182; G. Clausse, Les marbriers romains et le mobilier presbytéral, Parigi 1897
46 Per un’analisi riassuntiva della questione dei “Cosmati” e una bibliografia completa: G. Matthiae, Cosmati,
in “Enciclopedia universale dell’arte”, III, 1958, pp.838-843; D. Glass, Studies on Cosmatesque Pavements, in “British Archaeological Report - International series”, 82, Oxford 1980; P.C. Claussen, Marmi antichi nel
medioevo romano. L’arte dei Cosmati, in “Marmi antichi”, Materiali della cultura artistica 1, Roma 1989,
pp.65-79; E. Bassan, Cosmati, in “Enciclopedia dell’Arte Medievale”, V, Roma 1991-2002 pp.336-374; M. Cigola, Mosaici pavimentali cosmateschi. Segni, disegni e simboli, in “Palladio”, 11, 1993, pp.101-110; L. Creti, I “Cosmati” a Roma e nel Lazio. Il ruolo dei marmorari romani nell’architettura medievale, Roma 2002; A. Monciatti, I “Cosmati”: artisti romani per conduzione famigliare, in E. Castelnuovo (a cura di), “Artifex bonus: il mondo dell’artista medievale”, Roma-Bari 2004, pp.90-101; D. Del Bufalo, Marmorari
magistri romani, Roma 2010, pp.95-105. Per un censimento dei nomi di artisti conosciuti anche grazie alle
numerose epigrafi lasciate insieme alle opere rimando inoltre alla fondamentale pubblicazione di P.C. Claussen, Magistri doctissimi romani. Die Römischen Marmorkünstler des Mittelalters. Corpus Cosmatorum
I, Stuttgart 1987 e il quale ha anche tentato una ricostruzione critica delle famiglie e il riconoscimento di
pavimentazioni ed arredi lavorati secondo una tecnica di derivazione bizantina47, che prevede la decorazione delle superfici con l’incrostazione marmorea policroma, secondo schemi geometrici48 ricorrenti, creati da un ornato di fasce nastriformi che si svolgono intorno a dischi di porfido e di serpentino49 o a formare disegni geometrici regolari. Gli effetti ornamentali vengono quindi generati dal ritmo e dal contrasto coloristico tra i campi in marmo bianco e quelli riempiti ad opus sectile con piccole tessere marmoree colorate e tagliate in svariate forme o (in minor percentuale) con paste vitree colorate e dorate50. Tradizionalmente, si ritiene che la reintroduzione a Roma così come in Campania dell’opus sectile applicato alla pavimentazione e lo sviluppo dei motivi ornamentali tipici della tradizione “cosmatesca” abbiano preso il via in seguito alla chiamata da parte dell’abate Desiderio di artisti costantinopolitani per la realizzazione di mosaici e di un pavimento marmoreo policromo nella nuova abbazia di Montecassino (1066-1071)51; in realtà, sebbene siano evidenti i collegamenti con modelli propri delle pavimentazioni bizantine52, non bisogna sottovalutare l’influsso di una precedente tradizione locale di derivazione classica: durante l’alto Medioevo non mancano, in effetti, pavimenti a commessi in marmi policromi lavorati a tessere più o meno minute. Se a lungo si è fatta dipendere l’origine del gusto decorativo cosmatesco esclusivamente dal modello orientale,
47
In area bizantina, infatti, una tipologia di pavimento di lusso molto comune è quella appunto ad opus
sectile con elementi marmorei policromi regolari, disposti secondo schemi che prevedono fasce bianche
avvolte intorno a dischi colorati di diverse dimensioni. Si vedano: P.C. Claussen, Marmi antichi… op.cit., pp.67-72; A. Guiglia Guidobaldi, Tradizione locale e influenze bizantine nei pavimenti cosmateschi, in “Bollettino d’Arte”, VI, 69,1984, pp. 57-72; M. Cigola, op.cit., pp.101-102; E. Bassan, Eredi dell’antico: i
Cosmati a Roma e nel Lazio, in “Art e dossier”, 207, Gennaio 2005, pp.41-46, Idem, La memoria dell’impero: i Cosmati e l’antico, in “Art e dossier”, 209, Marzo 2005, pp. 40-45; D. Del Bufalo, op.cit.,
pp.95-105
48 Solo raramente all’interno del disegno aniconico vengono introdotti particolari figurati.
49 E. Bassan, La memoria…, op.cit., pp.40-45. Ricordiamo che Roma, a differenza di altre aree, vantava
all’epoca una grandissima disponibilità di materiale marmoreo e porfiretico, proveniente da monumenti e opere antiche. Oltre al riutilizzo di frammenti marmorei di vari colori, uno degli elementi principalmente reimpiegati dai maestri marmorari era proprio la rota in porfido.
50 A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit.; E. Bassan, Cosmati, op.cit.
51 Il pavimento della navata, distrutto in seguito al bombardamento dell’abbazia, è conosciuto attraverso
frammenti e incisioni più tarde.
52 D. del Bufalo, op.cit., p.115: sarebbero da attribuire all’influenza bizantina l’utilizzo di motivi a ruote
monocrome o stellari, la disposizione a croce delle rotae e gli spazi fusiformi; per quanto riguarda la tecnica, invece, la componente orientale più vistosa è l’impiego di materiali appariscenti come le tessere vitree dorate.
sarebbe una limitazione trascurare il contributo offerto dalla tradizione locale; i ruderi e le antichità classiche nel territorio romano rappresentavano infatti non solo una miniera di materiali pregiati, ma anche di exempla decorativi, e che sia esistita una continuità stilistica tra l’antichità e l’era cosmatesca lo testimoniano la persistenza di alcune forme geometriche e il gusto coloristico53. Ciò che è certo è che comunque l’iniziativa di Desiderio (il quale volle anche l’istituzione di una scuola di mosaicisti per educare allo stile orientale gli artisti locali) ebbe effetti nei territori cassinesi così come in quelli romani: la diffusione dell’insegnamento bizantino è testimoniata, quindi, da una serie di edifici nell’area di Montecassino (S. Angelo in Formis, S. Menna a S. Agata dei Goti, il duomo di Salerno) mentre a Roma essa è legata in particolare all’ondata di rinnovamento, collegata alla Riforma gregoriana, che si manifesta in maniera distintiva soprattutto dall’epoca di Pasquale II (1099-1118) in poi54. Infatti, negli edifici ecclesiastici fondati o rinnovati in questo periodo, grande risalto viene dato alla complessa organizzazione dell’arredo interno, e la concezione stessa del pavimento in opus sectile, ora “semplificato” rispetto al modello cassinese, appare fortemente connessa alla regia del cerimoniale liturgico.
Gli schemi compositivi e le forme ornamentali delle pavimentazioni “cosmatesche”, dunque, vengono ripresi dal mondo classico, ma attraverso la mediazione dell’esperienza bizantina e si presentano come una vera e propria sintesi di modelli tra loro distanti, da quelli più antichi della tradizione classica a quelli bizantini, con l’aggiunta di componenti
53
D. del Bufalo, op.cit., pp.114-115: l’esperienza cassinese, con la chiamata di maestri da Oriente, sarebbe da imputare, più che all’estinzione di artisti locali esperti in opere musive e nella lavorazione dei marmi (come vuole la tradizione letteraria, dalla Chronica Monasterii Casinensis alla Historia Normannorum di Amato), alla volontà di ritornare ad una decorazione iconograficamente e stilisticamente più vicina a quella dell’età paleocristiana, in linea con quel movimento di renovatio a cui aveva aperto la strada la Riforma gregoriana. Secondo l’autore, se dall’analisi dell’impianto compositivo del pavimento di Montecassino “si è potuto sostenere che […] fosse di certo foriero di importanti innovazioni, nell’insieme esso non era comunque così dissimile da quelli precosmateschi di S.Maria in Cosmedin, di S. Prassede o dell’Aracoeli; questo confermerebbe […] che la penuria di artisti del marmo italiani […] non fosse poi così cronica”.
54 Tra i primi esempi di pavimenti “cosmateschi” di XII secolo ricordiamo S. Clemente, S. Crisogono, S.
Croce in Gerusalemme, Ss. Quattro Coronati e S. Maria in Cosmedin per quanto riguarda l’area romana; nel territorio laziale S. Andrea in flumine a Ponzano Romano, S. Anastasio a Castel Sant’Elia, S. Maria di Castello a Tarquinia, S. Maria Immacolata di Ceri.
islamiche. La composizione di questo ricco repertorio di motivi e di schemi geometrici è sempre strettamente legata alla fruizione del luogo sacro: all’interno alla chiesa, il pavimento in opus sectile spesso ha la precisa funzione di evidenziare un percorso longitudinale privilegiato (lungo la navata mediana e all’interno delle transenne della
schola cantorum)55 nell’impianto scenografico dato dalla disposizione della suppellettile liturgica, e di rappresentare il raccordo visivo tra l’ingresso e la zona più sacra dell’edificio, il presbiterio56. La fascia centrale nella navata è generalmente caratterizzata da una serie di rotae porfiree concatenate da fasce di marmo bianco alternate da fasce a mosaico; questo schema può prevedere fasce con andamento circolare continuo intorno a dischi (guilloche57) o a dischi e rettangoli alternati e può anche complicarsi fino a sviluppare un disegno più complesso o a dare luogo, tramite l’accostamento di cinque
rotae e l’intersecazione delle fasce che lo avvolgono, allo schema del quinconce58, utilizzato specialmente nella parte centrale dell’area pavimentale. Un’altra iconografia di rilievo utilizzata nelle zone centrali del pavimento cosmatesco è il rettangolo inscritto in un rombo con un disco accostato ad ogni lato. Nelle restanti parti di pavimentazione decorata ad opus sectile, i disegni prediligono le forme geometriche quadrangolari, create attraverso le fasce in marmo bianco e un ricco, vario riempimento musivo (di solito ripetuto simmetricamente rispetto all’asse longitudinale della fascia centrale) la cui policromia può risultare meno vivace rispetto ai brillanti colori utilizzati nelle fasce centrali e nel presbiterio59. Il significato simbolico intriso nelle pavimentazioni “cosmatesche” è dunque
55 A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit., p.275: i pavimenti romani di XIII secolo, come S. Lorenzo fuori
le mura, l’oratorio di S. Silvestro ai Ss. Quattro Coronati e la cappella del Sancta Sanctorum, sviluppano le intelaiature partizionali ponendo maggior attenzione su schemi centralizzati.
56
Lo schema compositivo della pavimentazione all’interno del presbiterio può diventare anche molto complicato, come accade per esempio a S. Lorenzo fuori le mura a Roma.
57 Col termine guilloche si indica normalmente una serie più o meno numerosa di dischi allineati e connessi
tra loro attraverso fasce che si intrecciano nella maniera dell’intreccio “bizantino”.
58 Si tratta di uno schema quadrato che racchiude una rota principale circondata da altre quattro,
generalmente di dimensioni minori, tutte collegate dalle fasce di marmo bianco e a mosaico in continuità. Il
quinconce può assumere notevoli dimensioni tramite l’utilizzo di grandi rotae porfiretiche centrali.
59
importantissimo: esse vanno a delineare un vero e proprio percorso ideale, connesso con le cerimonie di consacrazione di vescovi e pontefice. Questo simbolismo è dato prima di tutto attraverso l’iconografia dei dischi di porfido, tradizionalmente legati all’idea di regalità60, in posizione privilegiata, e in secondo luogo attraverso l’uso del contrasto cromatico (i colori più vivaci riservati alla fascia centrale, quelli più chiari alle aree periferiche della pavimentazione), che permette una lettura più facile del disegno compositivo nella sua totalità61. All’interno di questa trama “geometrica” della pavimentazione, quindi, trovano posto gli arredi liturgici, altrettanto riccamente decorati, realizzati con la stessa tecnica in marmo bianco e inserti mosaicati coloratissimi: il ciborio, la cattedra papale, gli amboni e i pulpiti, l’altare stesso, le recinzioni presbiteriali e il candelabro pasquale sono gli elementi che scandiscono gli spazi e la scenografia dell’edificio sacro; anche in questi,naturalmente, non mancano i rimandi simbolici, per esempio nell’utilizzo di dischi di porfido negli schienali delle cattedre episcopali62.
Parallelamente alle opere romane, seppur attraverso origini diverse e con altrettanto diversi sviluppi, nei pavimenti e negli arredi liturgici delle aree campana e siciliana si ritrovano simili motivi decorativi e la stessa tecnica ad opus sectile e mosaico con l’utilizzo di marmi colorati, pietre semipreziose, tessere vitree e dorate, smalti: opere “smaglianti di colore, informate soprattutto all’arte bizantina, alla musulmana, ad antichi modelli, ellenistici, romani”63. Per quanto riguarda l’area campana, si tratta di pavimenti e
60
La tradizione dell’utilizzo del porfido nelle pavimentazioni è lunga e ha radici nell’antichità orientale: il colore purpureo è infatti sempre stato legato al concetto di regalità e, in particolare, ai cerimoniali connessi all’incoronazione imperiale nel mondo bizantino. M. Cigola, op.cit., p.107: “Rotae porfiretiche con carattere cerimoniale fanno la loro comparsa, principalmente in Oriente, nel periodo costantiniano e si protraggono fino al VI-VII secolo; è proprio in questo periodo che si registra una puntualizzazione del significato simbolico del materiale porfiretico o più in generale purpureo…”.
61 Per quanto riguarda l’analisi approfondita dell’iconografia e del simbolismo legati ai pavimenti
cosmateschi rimando a D. Glass, Papal patronage in the early twelfth Century: notes on the iconography of
cosmatesque pavements, in J.W.C.I., 32, 1969, pp. 368-390
62Come si può ad esempio vedere nella sedia episcopale in S. Maria in Cosmedin a Roma, di XII secolo, alla
sommità del cui schienale (per altro firmato) una rota di porfido rosso contornata da girali geometriche in
opus sectile conferisce una sorta di “aureola” d’autorità e prestigio a chi vi siede.
63
soprattutto di opere d’arredo liturgico: i famosi amboni, il pavimento e le transenne del duomo di Salerno, gli amboni del duomo di Ravello (prima metà del XII secolo e seconda metà del XII), l’ambone ed il pavimento della cattedrale di Sessa Aurunca e altri64. Anche nelle opere campane gli schemi decorativi non sono figurativi, ma una raffinata combinazione geometrica simile a quella delle opere romane65, però rispetto a quest’ultime l’apporto islamico, dovuto a contatti diretti ma anche, ancora una volta, alla mediazione bizantina, è più accentuato e si identifica in un maggior intenso carattere ornamentale: il gusto per il disegno minuto e labirintico, la complicazione dei motivi di riempimento a mosaico66 e l’estensione delle parti policrome vanno a discapito del rapporto spaziale, con una limitazione delle superfici in marmo bianco. E’ importante notare come la componente islamica, però, non assuma qui un aspetto univoco, ma si fonda con eterogenee tendenze orientali proprio perché agisce in gran parte indirettamente. Anche l’aspetto cromatico si evolve verso un gusto più vivace, grazie all’utilizzo di tessere vitree dai colori brillanti e all’arricchimento delle superfici con tessere dorate e anche con smalti, in particolare quelli bianchi, per realizzare un contrasto coloristico più netto e per definire lo schema ad intreccio geometrico: queste peculiarità li avvicinano maggiormente ai suntuosi mosaici bizantini e l’utilizzo di smalti incrostati nel marmo bianco ricorda le opere cloisonnées orientali67. L’incontro con le opere campane dalla forte componente musulmana e genericamente orientale hanno portato, nel sud del Lazio, ad accogliere le evoluzioni coloristiche meridionali e a subirne l’influenza, risultando, rispetto al repertorio
64
Le opere campane sono state oggetto di un primo studio approfondito da E. Bertaux, L’art dans l’Italie
méridionale, I, Parigi 1904, pp.495-508
65 A. Guiglia Guidobaldi, Pavimento, op.cit.,p.275: in realtà la produzione d’area campana può includere nel
contesto geometrico degli elementi figurati poco elaborati. E’ il caso del duomo di Sant’Agata dei Goti, della cattedrale di Casertavecchia e del duomo di Terracina.
66 In particolare si ritrova qui un ampio repertorio di motivi stellari, a quattro-sei-otto punte, tipicamente
islamici (si veda ad esempio la decorazione dell’ambone Guarna nella cattedrale di Salerno - seconda metà del XII secolo).
67
“conservatore” romano, più aperto al discostamento dagli schemi “classici” che a Roma dominavano isolati dagli influssi esterni68.
In relazione all’ambiente campano vengono poi elaborati anche i pavimenti siciliani all’epoca del regno normanno, i quali, stilisticamente più vicini ai mosaici campani che a quelli romani tanto da essere stati ritenuti una derivazione dai primi69, risentono, nel disegno decorativo più che nella tecnica in sé, del clima di koiné culturale respirabile allora nella capitale siciliana: alle decorazioni di pavimenti e suppellettili ad opus sectile d’ispirazione bizantina si associano chiari suggerimenti islamici, così da far supporre interventi diretti di maestranze musulmane (ad esempio, nel ricchissimo interno della Cappella Palatina70). In queste opere soprattutto palermitane71, accanto agli schemi nastriformi che avvolgono ad andamento curvilineo dischi e rettangoli di marmo pregiato, si sviluppano complessi motivi esclusivamente geometrici, cari al repertorio islamico, in cui l’andamento delle bande marmoree a linee spezzate formanti poligoni (regolari o non, e stellari) viene arricchito dall’inserimento di rotae porfiree importate da Roma72. I motivi di
68
D. del Bufalo, op.cit., pp.115-116
69 Inizialmente il Bertaux, op.cit., pp. 500-505, riteneva, sulla base di confronti stilistici e compositivi, che i
mosaici campani fossero una derivazione di quelli siciliani, tanto da intitolare il capitolo VIII della propria opera “Les mosaiques arabo-sicilienne en Campanie”. Il Toesca, op.cit., pp. 851-856, però, rovescia questa tesi, pur sottolineando l’esistenza di reciprochi rapporti di influenza artistica tra le due aree soprattutto dalla seconda metà del XII secolo. In realtà, anche se è chiaro che nei mosaici salernitani in particolare appaiono elementi islamici e analoghi motivi compositivi o iconografici, questi non sono sufficienti a dimostrare rapporti di diretta dipendenza della Campania dalla Sicilia: come specifica A. Thiery, L’art dans l’Italie
Méridionale: aggiornamento dell’opera di Emile Bertaux sotto la direzione di Adriano Prandi, 1978, V,
pp.681-682, i mosaici salernitani, in base alle differenze stilistiche (prima tra tutte, il senso coloristico e le modulazioni cromatiche) che li contraddistinguono, non possono essere semplicemente giustificati con l’imitazione o con la mediazione di elementi siciliani.
70
F. Gabrieli, U. Scerrato, Gli Arabi in Italia: cultura, contatti e tradizioni, Milano 1979, pp.339-340; B. Brenk (a cura di), La Cappella Palatina a Palermo, Mirabilia Italiae 17, II, t.2, Modena 2010, pp.510-514: nel presbiterio, probabilmente la prima area dell’edificio ad essere interessata dalla decorazione pavimentale, si ritrovano motivi curvilinei vicini allo stile bizantino, mentre spostandosi nella navata centrale e in parte di quelle laterali la decorazione vira verso un gusto più islamico, con disegni a linee spezzate e angolose. Il cambiamento viene datato presumibilmente agli anni quaranta del XII secolo: gli autori ritengono possibile un’iniziale presenza diretta di marmorari costantinopolitani a cui si sarebbero intorno a quell’epoca associati maestri di educazione islamica che avrebbero “contribuito a cambiare le tecniche, gli schemi compositivi, e lo stile delle aggettivazioni decorative”.
71 Oltre all’arredo liturgico e ai pavimenti della Cappella Palatina, si vedano la pavimentazione della chiesa
di S. Cataldo, la decorazione pavimentale e parietale del Duomo di Monreale e gli interni della Zisa.
72 X. Barral i Altet, Il mosaico pavimentale, op.cit., p.488. La presenza di porfido romano nei pavimenti e
riempimento delle bande a mosaico che vengono qui impiegati sono dati da poligoni stellari e intrecciati di gusto islamico, creati non solo attraverso minute tessere marmoree ma anche da un ampio utilizzo di paste vitree dai colori vivaci, a rinforzare il cromatismo brillante che queste opere hanno certamente in comune con quelle campane. D’altra parte, il gusto per la policromia caratterizza anche le pavimentazioni di edifici religiosi musulmani delle province occidentali, dove fin dal IX secolo si diffondevano pavimenti in marmi colorati arricchiti da inserti di ceramica invetriata73. In questa indubbia presenza di motivi, schemi e temi decorativi i gusto islamico, è bene però notare che in Sicilia (come in Campania) essi vengono trattati in maniera “anislamica”74: infatti, se l’ornato islamico è proprio caratterizzato da una tendenza alla ripetizione (potenzialmente) infinita del motivo decorativo su tutta la superficie della composizione, nelle opere siciliane gli schemi geometrici dell’intreccio appaiono conchiusi in loro stessi e non semplicemente delimitati alla cornice che li contiene.
Uscendo dall’ambito occidentale, ricordiamo sinteticamente che anche nelle regioni occidentali del territorio islamico (Siria, Palestina, Africa settentrionale e Spagna) non furono sconosciute le pavimentazioni decorate, con tecniche diverse a seconda delle epoche e delle regioni75. Oltre alla consuetudine di ricoprire i piani di calpestio in acciottolato, in grandi lastre marmoree, in cotto o in mattoni76, sopravvive in questi territori la tradizione romano-bizantina dei mosaici bicromi o policromi a disegno geometrico77 (di solito rivisitato in chiave ornamentale islamica), di cui possediamo documentazioni fin
73
Le tipologie di pavimenti dei territori islamici medievali viene approfondita in seguito.
74
F. Gabrieli, U. Scerrato, op.cit., p.340
75 Per approfondimenti rimando a K.A.C. Creswell, L’architettura islamica delle origini, Milano 1966;O.
Grabar, Arte islamica. La formazione di una civiltà, Milano 1989; R. Hillebrand, Islamic architecture. Form,
function and meaning, Edinburgh 1994; A. Bagnera, Pavimento, in “Enciclopedia dell’arte medieval, IX,
Roma 1991-2002, pp.276-279; R. Ettinghausen, Islamic art and architecture 650-1250, New Haven-London 2001
76 A. Bagnera, op.cit., p.277 77
dall’VIII secolo in alcune opere d’edilizia civile d’epoca omayyade78. Questi mosaici a tessere litiche, che possono anche essere arricchiti da particolari vitrei79, delineano pannelli a disegno geometrico e intrecci che chiaramente derivano dalla tradizione tessile, ad imitazione dei tappeti80, ma sono attestati anche motivi figurati in accostamento a schemi aniconici81. In Africa settentrionale, l’eredità dei predecessori romanizzati mantiene la tradizione delle pavimentazioni a tessere litiche e dal secolo IX circa i pavimenti esterni dei più importanti edifici religiosi vengono rivestiti con lussuosi intarsi policromi in marmo e ceramica invetriata82. Diffusi sono gli schemi decorativi ottenuti dall’intreccio di poligoni stellari, o di stelle a quattro/otto punte con quadrati, croci e esagoni a lati concavi83. Il gusto per la policromia è dimostrato anche dalle opere pavimentali a opus
sectile geometrico (con tessere marmoree triangolari, rettangolari e stellari) che appaiono
dalla metà del XIII secolo in Egitto e in Siria: negli esempi a noi pervenuti84, il mosaico policromo viene utilizzato per delineare disegni geometrici in accostamento a dischi marmorei, in continuità con la tradizione bizantina, e i motivi geometrici sviluppano iconografie a nastri intrecciati di derivazione tessile in cui evidente è l’ispirazione a tappeti; talvolta insieme a ornati aniconici possono inoltre coesistere o essere accostati
78 B. Finster, Mosaico, in “Enciclopedia dell’Arte Medievale”, VIII, Roma 1991-2002, pp.574-578: esempi
ben conservati sono alcuni mosaici pavimentali del palazzo di Khirbat al-Minyā (Palestina) e dell’edificio termale di ʿAnjar (Libano), entrambi di inizio VIII secolo. Di poco più tardi sono i famosi pavimenti delle terme monumentali a Khirbat al-Mafjar (Palestina), composti da pannelli policromi a mosaico decorati con svariatissimi motivi: si veda O. Grabar, op.cit., pp.198-199 e R. Ettinghausen, op.cit., pp.36-42
79 K.A.C. Creswell, op.cit, pp.102-115: per esempio nel pavimento a mosaico nel complesso di Quṣayr ʿAmrā (Giordania), datato alla prima metà dell’VIII secolo.
80 A. Bagnera, op.cit., p.278
81 G. Bisheh, Pavimentazioni musive ommiadi da Qasr al-Hallābāt in Giordania, in M. Piccirillo (a cura di),
“I mosaici di Giordania”, Roma 1986, pp.129-134; B. Finster, op.cit., p.577: si tratta di alcuni particolari nel frammentario pavimento a mosaico rinvenuto a Qaṣr al-Hallābāt (Giordania) e delle stilizzate figurazioni simboliche presenti nel già citato mosaico di Khirbat al-Mafjar.
82 K.A.C. Creswell, op.cit, pp. 278-286 ; A. Bagnera,op.cit., pp.277-278: questa tecnica sembra comparire
per la prima volta nella Grande moschea di Qairawān, nell’odierna Tunisia, area in cui testimonianze di pavimenti a mosaico non mancano nei palazzi aghlabidi di Raqqāda (secoli IX e X) e nel palazzo fatimide di al-Qāʿim a Mahdia (X secolo). Ben presto la tecnica si diffonde anche in Egitto e in Siria.
83 A. Bagnera, op.cit., p.279
84 A. Bagnera, op.cit., p.277. Esempi ne sono i pavimenti delle madrase di Ibn Qalāwūn (fine del XIII
elementi figurati85. In ultimo, spostandoci in territori geograficamente europei, ricordiamo che all’interno del palazzo di Madinat al-Zahrāʾ, presso Cordova (del X secolo), oltre a pavimentazioni a mattoni e conci di pietra sono attestati pavimenti ad intarsio di ceramica smaltata86.
85 I motivi figurativi riscontrati nei mosaici palestinesi e siriani vengono chiaramente ripresi dalla tradizione
preislamica delle chiese di V secolo o dall’iconografia ebraica: B. Finster, op.cit., p.577
86
2.
Il pavimento del presbiterio del Battistero di Pisa:
descrizione dell’opera
L’area pavimentale inclusa nella recinzione presbiteriale del Battistero di Pisa è costituita da un ampio piano di calpestio rettangolare e rialzato, tramite due gradini, rispetto al resto della pavimentazione (Fig.1-3); all’interno di esso sono distinguibili tre sezioni pavimentali diversificate in base al disegno decorativo che presentano: la parte immediatamente dietro all’altare, rettangolare e più piccola per dimensioni (in quanto corrisponde, in lunghezza, al lato lungo dell’altare stesso: cm 320 x 160) è decorata in opus
alexandrinum87 con un disegno ad intreccio curvilineo di bande bianche e a mosaico intorno a dischi colorati secondo uno stile decorativo che possiamo avvicinare a quello “cosmatesco”; le due aree ai lati dell’altare, invece, rettangolari e più ampie della prima (cm 175 x 460; la sinistra è però racchiusa su tutti i lati da una cornice larga 14 cm, perciò il riquadro pavimentale risulta più ampio), sono decorate sempre con una tecnica mista ad intarsio marmoreo e a mosaico policromo, ma entrambe presentano un identico schema geometrico e aniconico a linee spezzate e poligoni, d’evidente ispirazione islamica.
La porzione pavimentale sita esattamente dietro all’altare, per alcune peculiarità dell’ornato e per la tecnica utilizzata, è in un certo senso definibile “in stile cosmatesco”. Nello specifico, il motivo elaborato in questo riquadro pavimentale si presenta come un
87
Cfr. nota nr.6: la definizione opus alexandrinum viene molto spesso usata indifferentemente quale sinonimo di opus sectile. In realtà, da questa ultima tecnica essa si differenzia per il taglio non sagomato, ma in forme geometriche regolari, delle tessere marmoree o vitree che lo compongono. In generale, quindi, si indicherà con questa definizione un lisostrato ottenuto con frammenti marmorei policromi regolari a disegno geometrico. Rimando per le definizioni a E. Kitzinger, op.cit., p.674; M.Salmi, Pietre e marmi intarsiati e
scolpiti, in “Civilità delle arti minori in Toscana” Atti del convegno, Arezzo 11-15 maggio 1971, Firenze
1973, pp. 113-120; M. Cigola, op.cit., pp.101-110; X. Barral i Altet, Il mosaico pavimentale, op.cit., pp.480-498.
intreccio di fasce nastriformi curvilinee in marmo bianco che si sviluppano annodandosi intorno a diciotto dischi di due differenti dimensioni (otto dischi grandi e dieci più piccoli) di porfido e di marmo verde88; le fasce bianche, inoltre, si alternano ad altre bande decorate da piccoli e svariatissimi motivi geometrici policromi, dati dall’opus sectile geometrico in tesserine marmoree e in pasta vitrea. Le porzioni di pavimento non comprese dalle fasce nastriformi (le tre sezioni centrali ad ottagono con lati concavi, le otto esterne a trapezio con lati concavi e le quattro sezioni angolari) sono anch’esse decorate a mosaico policromo, con minuti motivi geometrici diversi da quelli interni alle campiture dei nastri
(Fig.4). Il repertorio di motivi geometrici creati attraverso le piccole tessere verdi, blu,
nere, bianche, gialle e rosse che riempiono a mosaico gli intarsi è, in definitiva, davvero ampio (Fig.5-6). Le porzioni “esterne” che incorniciano le volute dei nastri sono riempite con un motivo di stelle a quattro punte rosse o bianche (e, in misura di molto inferiore, gialle) su sfondo verde. I tre spazi centrali, ad ottagono con lati concavi, sono riempiti uno con un motivo dato da una serie di triangoli a formare strisce a colori alterni (verde-rosso-nero) e dischetti verdi su fondo bianco; quello centrale con miniaturizzate stelle a quattro punte, rosse e verdi, sempre su sfondo bianco; l’ultimo con un motivo ad alternanza di triangoli rossi e neri su sfondo bianco. I motivi policromi di riempimento di quelle che abbiamo definito “fasce nastriformi” in marmo bianco sono ancora più complessi e vari: vi troviamo, infatti, stelline a otto punte verdi e gialle su fondo bianco o rosso; stelle a quattro punte rosse o bianche su fondo verde; motivi cruciformi dati da tesserine triangolari e romboidali; stelle a otto punte variamente colorate create con losanghe romboidali; tutto arricchito da ulteriori suddivisioni delle varie forme geometriche e dei fondi date dalle tesserine triangolari, quadrate, romboidali, circolari, in tutta la varietà di colori utilizzati. Anche i diciotto dischi rossi e verdi sono incorniciati da minutissimi e differenti motivi a
88 Il colore dei dischi è variamente disposto senza seguire una logica simmetrica. Si riscontrano sette dischi
triangoli e a rombi bianchi e neri. Le tesserine geometriche che costituiscono i motivi dell’opus alexandrinum sono principalmente lapidee (vi troviamo marmo bianco, serpentino, giallo antico, porfido, nero) ma in parte costituite da frammenti di pasta vitrea nera, rossa e in misura inferiore blu.
Intorno allo schema centrale, mentre su tre lati il rettangolo pavimentale è racchiuso da semplici bande marmoree grigio chiaro89 che lasciano spazio solo ai piedi della cattedra lignea ad una piccola fascia (cm 8 x 33) decorata geometricamente (Fig.7), dal lato adiacente all’altare, per tutta la lunghezza di esso, una fascia policroma più larga sembra avere la funzione di cornice (questa fascia misura 18cm di larghezza per 320 di lunghezza)
(Fig.8). Essa è decorata con un motivo di riempimento stellare ripetitivo su fondo rosso, in
cui da stelle a otto punte blu si diramano bracci incrociati dati da listarelle bianche e blu e contenenti stelline gialle a sette punte90; i lati lunghi della fascia sono delineati verso l’esterno da due singole file bianche di losanghe e piccoli rombi. Tale cornice, come abbiamo detto, delimita il lato lungo adiacente all’altare di questa porzione pavimentale, mentre va improvvisamente a troncarsi all’altezza dei lati brevi del rettangolo (Fig.9-10): questo interrompersi di netto del motivo ornamentale geometrico potrebbe indicare che essa in origine si prolungava tutt’intorno il motivo di riempimento almeno sui due lati brevi del rettangolo91. Non è dato sapere comunque se la cornice continuasse per tutto il perimetro di questa porzione rettangolare, per interrompersi solo laddove, ai piedi del seggio ligneo, si trova la fascia con un diverso motivo geometrico; in questa sede mi limito a prendere nota del fatto che oggi dove termina la cornice, chiaramente “tagliata”, il rettangolo di pavimento policromo è racchiuso da fasce di marmo grigio. Anche questa
89 La banda grigia che separa la sezione centrale del pavimento da quelle laterali misura in larghezza 15cm
nella parte sinistra; in quella destra misura invece 17cm ed è affiancata da un nastro bianco di 5cm di larghezza.
90 Il motivo stellare con nastri intersecanti non è affatto estraneo alla decorazione di pavimenti e suppellettili
“cosmatesche” e si riscontra soprattutto nelle opere siciliane e campane.
91 In realtà, l’interruzione in tronco del motivo decorativo, potenzialmente prolungabile, è anche un tratto
banda ad opus sectile è costituita da tesserine geometriche policrome, ma in questo caso la presenza di paste vitree è molto più rilevante rispetto al resto della decorazione, soprattutto per quanto riguarda i “bastoncini” blu e bianchi che formano il motivo stellare intrecciato. Infine, la piccola porzione di “cornice” situata ai piedi della cattedra lignea, in posizione centrale al lato opposto dell’altare (Fig.7), presenta una decorazione geometrica molto semplificata rispetto al motivo stellare precedentemente descritto, data dall’intreccio di bastoncini marmorei bianchi (che vanno così a formare delle forme allungate a sei lati) e tessere triangolari e quadrate bianche, verdi, gialle e nere; sono inoltre ben distinguibili là dove si posiziona la cattedra lignea delle mezze stelle gialle a otto punte.
Dal punto di vista conservativo, questa sezione pavimentale si presenta a prima vista come fortemente danneggiata dall’usura del tempo e, soprattutto, del calpestio. Parte del guasto è dovuta alla tecnica mista utilizzata in questa opera: l’opus sectile in marmo bianco, che forma le bande nastriformi intrecciate, è infatti visibilmente infossato rispetto alle parti policrome, probabilmente sostenute da un fondo di malta più resistente. Questo crea diverse irregolarità nel livello della pavimentazione. In generale, sembra che in questa porzione del pavimento si abbia avuto un cedimento del fondo nella parte sinistra e verso l’altare, dal momento che si può facilmente notare un dislivello nel raccordo tra questo riquadro pavimentale e quello sinistro, che va da 2 cm circa (nei pressi della pedana dell’altare) a 0,5 cm (dal lato del coro ligneo). I due riquadri pavimentali sono mal raccordati tramite una banda marmorea che appare visibilmente inclinata a causa del dislivello (Fig.11-12). Altri danni ben visibili sono poi le lacune e i guasti nell’opus
alexandrinum policromo: si possono constatare in più parti fratture e anche la mancanza di
alcune tesserine marmoree, probabilmente staccatesi dal fondo e andate perdute, ma anche il danneggiamento di alcune delle tessere in pasta vitrea che risultano scheggiate; in
generale, ai bordi delle tessere il taglio non appare netto e è evidente la levigatura dovuta al consumo. Non sono, infine, indenni da fratture e scheggiature le bande in marmo bianco.
Sebbene venga utilizzata la stessa tecnica di intarsio marmoreo riempito ad opus
alexandrinum, le due sezioni laterali nella pavimentazione presbiteriale del Battistero
appaiono in maniera evidente, per composizione dello schema ornamentale e quindi da un punto di vista stilistico, molto diverse dal pavimento nell’area dietro all’altare. Infatti, anche se come nelle opere “cosmatesche” a disegno curvilineo lo schema-base del disegno è dato da nastri intersecanti di marmo bianco, questi, invece di annodarsi e svolgersi intorno a dischi in forme sinuose, formano un geometrico intreccio di linee spezzate. L’andamento dei nastri lineari è chiaramente identificabile nelle bianche fasce marmoree definite, al loro interno, da “listarelle” di paste vitree colorate (rosse, blu, nere e verdi) che a loro volta si intrecciano alternativamente sopra e sotto, a livello dei punti di intersezione. Lo schema geometrico qui utilizzato è totalmente formato da linee spezzate, privo di elementi circolari o curvilinei, in cui i segmenti, dati dall’intersecazione di forme rettangolari, vanno a formare varie figure geometriche, tra cui stelle a sei punte, rombi, triangoli ed esagoni (Fig.13-14).
Questo tipo di complessa composizione geometrica, abbinata alla minuta decorazione a tessere marmoree che riempie le tarsie, inganna e confonde l’occhio dell’osservatore: egli fatica a riconoscere e a seguire la matrice dello schema ornamentale costituita dalle fasce di marmo bianco, dato che queste, piuttosto sottili e a loro volta arricchite all’interno da nastri colorati, si vanno a confondere con il riempimento a mosaico policromo. Ad un primo sguardo, in effetti, lo schema compositivo può sembrare basato su un elemento
centrale a forma di stella a sei punte92 dal quale si dipartono sei braccia a “T”93 che a loro volta, negli spazi formatisi dalla loro intersecazione, danno luogo ad elementi romboidali, triangoli e parallelogrammi (Fig.15). In realtà, soffermandosi un poco sulla composizione, si può ben distinguere una seconda modalità di lettura dello schema, delineato fondamentalmente da tre successioni di rettangoli94 su file parallele che si intersecano con forme analoghe inclinate di 60° 95 (Fig.16): gli spazi risultanti da questa intersecazione danno luce a elementi romboidali, triangoli, grandi esagoni e stelle a sei punte (date dall’intersecazione di due triangoli96). Ai punti di intersezione dei lati brevi di tre rettangoli tra loro ruotati di 60° troviamo infine i piccoli poligoni stellari che secondo la modalità di lettura “a prima vista” abbiamo definito centrali. Un’ulteriore chiave di lettura che ho individuato osservando attentamente lo schema è quella che trova come motivo-base della composizione la successione di elementi pentagonali irregolari raggruppati tre a tre, e tra loro annodati per la base (Fig.17). Essi sono ben riconoscibili seguendo l’andamento delle listarelle vitree di analogo colore all’interno delle fasce bianche della matrice e, intersecandosi in maniera speculare in ogni direzione, vanno a formare i rettangoli stessi che stanno alla base della “seconda” modalità di lettura. La possibilità di decifrare variamente il motivo di base, e il motivo stesso del “poligono stellare generatore”97 sono caratteristiche tipiche dell’ornato islamico, così come la concezione di uno schema ornamentale potenzialmente ripetibile all’infinito e non concluso in se stesso, o la forza centrifuga creata dal motivo ripetuto in ogni direzione sono tratti distintivi della decorazione islamica.
92 Le stelline a sei punte centrali sono formate dall’intersecazione di due triangoli equilateri dai lati di 15cm. 93 Lunghe 28cm e larghe 10cm. Il segmento superiore della “T” misura invece 25cm alla base e 15cm alla
sommità.
94 I rettangoli che costituiscono la base dello schema-matrice del disegno misurano cm 83x72. 95 R. Meoli Toulmin, op.cit., pp.3-10
96 I triangoli equilateri che formano le stelle a sei punte misurano 150cm per lato. 97
Anche i motivi di riempimento a mosaico delle figure geometriche create dall’intreccio dei nastri contribuiscono a confondere l’occhio dell’osservatore: essi non sono, infatti, disposti secondo un ordine preciso né simmetricamente, ed essendo composti da minutissime tessere marmoree e vitree, in un’ampia gamma di colori, da una distanza non ravvicinata creano una caleidoscopica visione policroma. A differenza dei motivi che riempiono lo schema curvilineo della sezione pavimentale dietro all’altare, qui non ritroviamo la stessa ricorrenza di composizioni stellari e floreali, ma accostamenti “a scacchiera” di tesserine quadrate e triangolari verdi, bianche, nere, gialle, rosse, azzurre, in una gamma di colori più estesa rispetto alla porzione di pavimento precedentemente analizzata, dovuta al considerevole impiego di paste vitree nell’opus sectile; i motivi risultanti dal mosaico, quindi, sono esclusivamente aniconici. Considerando le tessere che vanno a formare i motivi di riempimento dell’opus sectile, un’ulteriore guida alla lettura del disegno è individuabile nell’utilizzo, all’interno dei poligoni romboidi e stellari creati dall’intersecazione dei nastri, di tessere esagonali in serpentino: esse risultano infatti corrispondenti agli angoli di grandi “virtuali” esagoni intrecciati tra loro, individuabili nello schema compositivo tramite un’attenta osservazione98.
Anche se tra loro molto simili, questi due riquadri del pavimento presbiteriale non sono esattamente identici. Prima di tutto si noti come la sezione a sinistra dell’altare sia racchiusa su ogni lato da una cornice ad ornato geometrico policromo (14 cm in larghezza), particolare che manca completamente nella porzione a destra, semplicemente incorporata tra due fasce laterali in pietra grigia (le bande misurano 17 cm in larghezza) e frontalmente delineata dalle lastre di marmo chiaro che costituiscono la “pedana” rialzata dell’area presbiteriale (Fig.3). Inoltre, osservando anche da una posizione non ravvicinata il pavimento è facile notare come i colori della sezione sinistra appaiano meno accesi
98 Questa lettura degli esagoni in serpentino ai lati degli esagoni vale solo per la sezione a destra dell’altare,