• Non ci sono risultati.

Discrimen » L’emergenza figlia delle garanzie? Riflessioni intorno alle norme e alle pratiche di contrasto alla mafia e al terrorismo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Discrimen » L’emergenza figlia delle garanzie? Riflessioni intorno alle norme e alle pratiche di contrasto alla mafia e al terrorismo"

Copied!
15
0
0

Testo completo

(1)

L’

EMERGENZA FIGLIA DELLE GARANZIE

? R

IFLESSIONI INTORNO ALLE NORME E ALLE PRATICHE DI CONTRASTO ALLA MAFIA E AL TERRORISMO *

Renzo Orlandi

SOMMARIO 1.Premessa. 2. Varietà dei fenomeni da contrastare e omogeneità delle strategie preventivo-repressive. 3. Il periodo detto dell’emergenza. — 4. L’emergenza codificata. — 5. Cultura delle garanzie e spinte emergenziali. Doppio binario? o procedimento separato? — 6. Conclusioni.

1. Premessa

Il tema assegnatomi accosta, nel titolo dato alla sessione, due termini contraddittori: l’emergenza, per definizione transitoria, è definita perenne, vale a dire, indeterminata nel tempo. Un ossimoro solo apparente, a ben vedere. Lo si può sciogliere così: temporaneo è il fenomeno criminoso da contrastare di volta in volta;

perenne, l’esigenza di neutralizzare la pericolosità di condotte considerate, trasversalmente nel tempo, esiziali per la sopravvivenza delle istituzioni pubbliche o, con espressione volutamente generica, del potere costituito. Limitando lo sguardo alla storia d’Italia, è possibile fare una rapida rassegna esemplificativa dei fenomeni criminosi che le classi politiche succedutesi al governo hanno inteso debellare:

pensiamo, partendo dall’inizio dell’Italia unita:

al brigantaggio, con coloriture politico-sociali, al quale si cercò di porre un argine con la legge Pica del 1863;

all’anarchismo con inclinazioni terroristiche, che si cercò di contrastare con le leggi crispine del luglio 1894 (successive all’assassinio del presidente francese Carnot Sadi e a conseguenti episodi di matrice anarchica in Italia);

all’opposizione politica al fascismo, vista come tentativo di sovversione violenta degli “ordinamenti nazionali, sociali o economici costituiti nello Stato”, che fu

* Si tratta del testo, corredato di alcune essenziali note, della relazione al convegno su “Strategie di contrasto: terrorismo, mafia e storia d’Italia. Un dialogo tra giuristi e storici”, svoltosi a Palermo, il 25 e 26 maggio 2018, i cui atti, a cura di A. Blando e P. Maggio, sono in corso di pubblicazione nel numero monografico della rivista storica Meridiana.

29.5.2019

(2)

Renzo Orlandi

2

contrastata con le leggi fascistissime (in particolare, con il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del novembre 1926 e con l’istituzione del tribunale speciale per la difesa dello Stato);

al fenomeno mafioso che, a partire dal secondo dopoguerra, fu percepito come fonte di pericolo per la stabilità della neonata Repubblica e che si cercò di studiare e controllare con l’istituzione della prima commissione antimafia (1962, dopo falliti tentativi risalenti alla fine degli anni ’40): ne venne fuori quella prima legge antimafia (la n. 675 del 1965), che rafforzava la strategia di contrasto giocata su un procedimento di prevenzione per la prima volta affidato all’iniziativa (anche) del pubblico ministero;

al terrorismo altoatesino (particolarmente avvertito dal 1956 all’inizio degli anni

’70) che – considerato il particolare contesto internazionale e post-bellico, fu contrastato principalmente con attività di intelligence.

Segue, verso la metà degli anni ’70, il terrorismo politico interno, combattuto con una nutrita serie di provvedimenti normativi sui quali fra breve tornerò.

Vanno poi aggiunti a questa rapida rassegna la recrudescenza del fenomeno mafioso (in particolare dal 1982: omicidi La Torre, Dalla Chiesa), che avrà una risposta pressoché immediata nella l. n. 646 del 1982 (nota principalmente per aver introdotto la fattispecie di associazione di stampo mafioso e aver inaugurato la stagione delle misure di prevenzione patrimoniali antimafia), seguita da numerose altre iniziative legislative nel decennio successivo (legge 55/1990; d.l. 5/1991 che novella l’art, 4-bis OP, vietando la concessione di benefici penitenziari ai condannati per mafia, anche allo scopo di incoraggiarne la condotta collaborativa; il d.l. 345/1991 che istituisce la direzione investigativa antimafia; il d.l. 367/1991che istituisce la direzione nazionale antimafia; il d.l. 306/1992, successivo alla strage di Capaci, che modifica alcune norme del procedimento di prevenzione e attua una decisa involuzione inquisitoria del processo penale, da poco riformato in senso accusatorio, essenzialmente al fine di rendere più agevole il contrasto alla criminalità di stampo mafioso).

Infine, il pensiero va alla comparsa del terrorismo internazionale (settembre 2001) con molteplici ripercussioni sul piano delle iniziative normative anche euro- unitarie: si pensi al mandato d’arresto europeo, all’ordine europe di indagine e alle molte altre decisioni-quadro o direttive emanate in questi anni per agevolare la cooperazione giudiziaria intra-UE1.

1 L’elenco è ormai chilometrico: se ne trova un riassunto (aggiornato al 2011) nella parte introduttiva della Risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011 sulla criminalità organizzata nell'Unione europea e (con aggiornamento al 2014) nella parte introduttiva della Direttiva 2014/41/UE del

(3)

L’emergenza figlia delle garanzie?

3

2. Varietà dei fenomeni da contrastare e omogeneità delle strategie preventivo- repressive

I fenomeni criminosi cambiano, ma c’è un elemento comune che li unisce e che – nelle diverse epoche – giustifica il ricorso a mezzi eccezionali per contrastarli: li possiamo considerare manifestazioni – mutevoli nel tempo – di quel crimen laesae maiestatis per prevenire o reprimere il quale i criminalisti seicenteschi e settecenteschi ammettevano praticamente ogni mezzo: Propter enormitatem delicti non concedenda conceduntur et licitum est leges transgredi2. Di fronte a pericoli estremi, si reagisce con rimedi eccezionali. Si avverte in questa affermazione qualcosa di ineluttabile, che sfida il corso del tempo e che induce la rassegnata e sconsolante constatazione: così è stato e così sarà anche in futuro.

Uno sguardo retrospettivo rivela che l’eccezionalità delle strumentazioni di contrasto a forme di criminalità reputate esiziali per l’ordine sociale presenta tratti affini, trasversali alle fasi storiche conosciute:

Una particolare severità delle pene, sul presupposto (ingenuo e, comunque, spesso smentito) che l’effetto deterrente segua immancabilmente all’accresciuta minaccia sanzionatoria. Vero è, tuttavia, che anche nei tempi più vicini a noi, l’aumento delle pene punta al diverso risultato di rendere possibili modalità investigative e di accertamento penale particolarmente invasive dei diritti individuali (in tema, ad esempio, di misure cautelari personali, di intercettazioni di comunicazioni, di interrogatorio da parte degli organi di polizia, etc.).

L’attribuzione della competenza penale a giudici speciali o straordinari (vietati dalla nostra Costituzione, ma presenti in altri ordinamenti contemporanei, come ad esempio il sistema penale statunitense);

L’avvio delle procedure (sia penali, sia amministrative) sulla base di semplici sospetti (dalla già ricordata legge Pica fino ai giorni nostri, con il procedimento di prevenzione ante- o praeter delictum);

L’incoraggiamento alla desistenza o alla delazione, grazie alla simultanea introduzione di norme premiali per chi collabora e l’adozione di misure detentive

Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 relativa all'ordine europeo di indagine penale. Per una ricognizione ulteriormente aggiornata dell’abbondante produzione normativa in ambito eurounitario è utile altresì la lettura della Sesta relazione sui progressi compiuti verso un'autentica ed efficace Unione della sicurezza redatta a cura della Commissione europea in data 12 aprile 2017 (la si può consultare in https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/-2017/IT/COM-2017-213-F1-IT- MAIN-PART-1.PDF).

2 M. SBRICCOLI, Crimen laesae maiestatis, Milano, 1974, p. 364-365.

(4)

Renzo Orlandi

4

particolarmente severe per chi si mostra irriducibile (si vedano, oggi il già ricordato art. 4-bis e l’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario);

La supposta diffidenza nei confronti dell’imputato (o della persona soggetta a controllo di polizia) che da fondamento razionale a eccezionalii limitazioni delle garanzie difensive sia in ambito cautelare (si veda l’attuale art. 275 comma 3 seconda parte c.p.p.), sia nella fase investigativa (condotta preferibilmente all’insaputa dell’interessato come dimostrano l’art. 335 comma 3 e l’art. 406 comma 5-bis c.p.p.

oltre alle disposizioni contenute in leggi speciali che consentono di ritardare l’esecuzione di misure cautelari personali e reali), sia nella fase del giudizio; valga per tutti – con riferimento alla situazione attuale della nostra procedura penale – il ruolo di minorata pregnanza che, di fatto, la difesa si trova a giocare nei cosiddetti maxiprocessi.

Il problema affiora in tutti gli ordinamenti contemporanei, anche se con soluzioni diverse.

Ad esempio, negli Stati Uniti, il terrorismo internazionale viene contrastato con strumenti drastici, tali da annullare la personalità umana, come le detenzioni di Guantanamo Bay o l’uso di pratiche violente (che sconfinano nella tortura, quando addirittura non vi si identifichino) per acquisire informazioni utili alla prevenzione di attentati o alla identificazione di persone pericolose.

Siamo qui assai prossimi al brocardo in atrocissimis.

Diversamente, negli ordinamenti demo-costituzionali nati, come quello italiano, dal ripudio di esperienze totalitarie o dittatoriali, che quel brocardo applicarono senza tanti scrupoli, il rispetto della dignità umana è e resta un limite invalicabile, anche di fronte all’esigenza di contrastare pericoli gravissimi.

Ciò non ha tuttavia impedito l’approntamento di strumenti e misure eccezionali.

In un contesto come il nostro, il problema delle garanzie da assicurare ai soggetti (mafiosi, terroristi) reputati pericolosi per la collettività, oltre che per il regolare svolgimento del processo va affrontato con la consapevolezza dei limiti invalicabili che la Costituzione e altre norme sovra-legali pongono, col riconoscere l’inviolabilità dei diritti fondamentali della persona. La soluzione del problema è resa complicata dal quadro di garanzie assicurate agli imputati di reati, per così dire, comuni.

A partire dagli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, il significativo accrescimento delle prerogative individuali in ambito processuale e del ruolo dell’imputato in attuazione dei principi costituzionali ha reso più impegnativo il lavoro per polizia e magistratura.

Di qui un senso di impotenza delle agenzie di controllo e di inadeguatezza degli

(5)

L’emergenza figlia delle garanzie?

5

strumenti processuali a disposizione per perseguire efficacemente fatti di criminalità organizzata (mafia, terrorismo, sequestro di persona, traffico di droga).

Il codice di rito del 1930, di impronta marcatamente inquisitoria, lasciava ampi spazi alla magistratura inquirente impegnata nei processi di terrorismo e di mafia. La sola insufficienza riguardava forse il coordinamento investigativo e la conduzione di maxi-indagini, che il legislatore del 1930 non aveva previsto, per l’assenza, all’epoca, di una criminalità organizzata operante simultaneamente in diverse aree geografiche con l’efficacia dei moderni mezzi di comunicazione o, forse, perché il fenomeno del crimine organizzato (che non fosse collegato all’opposizione politica, contrastata da organismi polizieschi centralizzati) non destava allora soverchie preoccupazioni alla classe di governo.

Le cose cambiano a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, a causa del coevo affermarsi di una cultura dei diritti individuali (riconosciuti e non concessi dagli statuti costituzionali del secondo dopoguerra) e di forme di criminalità ignote all’Italia rurale, che l’Italia del benessere economico, delle grandi aree urbane ad alta concentrazione industriale, aveva contribuito ad alimentare

A misura che la giurisprudenza costituzionale degli anni ’60 portava a compimento la sua opera di segno garantista in favore dell’imputato (soprattutto in tema di diritti di difesa nella fase preliminare e di libertà personale), si percepì netto il rischio di un indebolimento nella strategia di contrasto a quegli inediti fenomeni criminosi rappresentati dai sequestri di persona a scopo di estorsione, dalla nascita di associazioni dedite al traffico di droga, alla prostituzione e dalla nascita di formazioni estremistiche (di sinistra e di destra) nel clima torbidamente golpista dei primi anni ’703.

3. Il periodo detto dell’emergenza

Risale in effetti all’esperienza di quel periodo (anni ’70, in particolare) l’uso dell’espressione “legislazione d’emergenza”, ampiamente ricorrente anche nella letteratura giornalistica per indicare i provvedimenti contenuti in leggi speciali volti

3 Documenta molto efficacemente quel clima il film La polizia ringrazia, uscito nelle sale cinematografiche italiane nel 1972. Il regista, Stefano Vanzina (più noto col nome d’arte di Steno), un tranquillo borghese di cultura liberale, era noto per film leggeri, comici. Desta sorpresa che nel 1972 abbia avvertito l’urgenza di prodigarsi in un’opera, per così dire, di impegno civile, in realtà, un urlo allarmato contro l’eccesso di garanzie difensive che – a suo avviso – ostacolava il contrasto a una criminalità sempre più aggressiva. Il film dava corpo e immagini a un timore diffuso in larghi strati della società benpensante.

(6)

Renzo Orlandi

6

– si può dire – a controbilanciare e compensare le aperture garantiste precedentemente introdotte nel codice di rito.

Nella memoria collettiva, gli anni ’70 sono archiviati come “anni di piombo”.

Chi non li ha vissuti, è portato a pensare che si sia trattato di un periodo buio, con attentati e ferimenti pressoché quotidiani e con le istituzioni pubbliche in stato di prolungato assedio. Indubbiamente, furono anni di forti contrasti sociali e con molte, troppe vittime. Ma non furono solo questo. Eppure la politica criminale di quel decennio registrò una brusca discontinuità, nonostante l’approvazione di leggi di pregevole apertura ai diritti individuali, come la riforma penitenziaria del 1975.

La stagione detta dell’emergenza inizia nel 1974: un anno nel quale si concentrano molti eventi tragici: è l’anno del sequestro Sossi (aprile-maggio), della bomba di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio), della strage del treno Italicus (4 agosto), il tutto nella pesante atmosfera di un colpo di Stato che sembrava incombente (c.d. golpe bianco).

Il 1974 è – si può dire – l’anno zero delle leggi emergenziali. Si esordisce con il d.l. 11 aprile 1974, n. 99, contenente un significativo allungamento dei termini di carcerazione preventiva (come allora la si definiva): e questo anche a seguito dell’allarme che serpeggiava nell’opinione pubblica per effetto della legge che – un paio di anni prima, seguendo una declaratoria di illegittimità costituzionale – aveva stabilito termini di scarcerazione automatica considerati troppo corti per un efficace perseguimento di gravi reati4.

Il decreto-legge appena ricordato segue di una sola settimana l’approvazione della legge-delega (di ispirazione garantista) per la riforma del processo penale (l. 3 aprile 1974, n. 108).

È questa una ambivalenza che caratterizzerà anche gli anni successivi: a iniziative di segno garantista (si pensi alla riforma penitenziaria del 1975) si affiancheranno provvedimenti emergenziali (l. 152/1975; l. 532 e 533 del 1977; d.l.

59/1978; d.l. 625/1975).

Sembra un andamento contraddittorio: in realtà, si tratta di percorsi separati, destinati a sorreggersi reciprocamente, secondo una visione che tende a trattare diversamente i soggetti pericolosi per l’”ordine democratico” (parola chiave che designa la nuova maiestas, da tutelare con normativa d’emergenza) dai delinquenti comuni, ai quali si ritiene di assicurare con maggior pienezza le garanzie elaborate

4 È il caso di ricordare che gli anni ’70 sono caratterizzati anche da una intensa attività della anonima sequestri: 40 sequestri di persona nel 1974, 62 nel 1975, 47 nel 1976, 75 nel 1977 (cfr. La Repubblica, 17 giugno 1989 – In diciassette anni (1972-1989) 600 sequestri).

(7)

L’emergenza figlia delle garanzie?

7

dalla Corte costituzionale nel decennio precedente.

Uno sviluppo, per così dire, unilaterale, nel senso del rigore emergenziale, si avrà nel biennio successivo al sequestro e all’uccisione di Aldo Moro. Lì cessa il gioco reciproco fra emergenza e garanzie. Ne è dimostrazione il fallimento della riforma processuale, già giunta (nella primavera del 1978), si può dire, all’ultimo miglio. La commissione governativa aveva infatti completato la stesura del progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale, attuando la legge delega del 1974. Il testo era stato pubblicato e – ricordo – si era anche avviata una intensa attività congressuale, costellata di iniziative editoriali volte a commentare in anticipo l’articolato della riforma. Ma il clima politico era poco propizio a una simile operazione, sicché la riforma fu rinviata a una data remota alla quale, francamente, pochi credevano.

Quel progetto restò “preliminare” e non fu mai trasformato in definitivo. Gli anni 1978 e 1979 furono dunque caratterizzati in senso univoco: direi, esclusivamente emergenziale, con forti accentuazioni autoritarie (fermo di polizia, iperbolico prolunga- mento della custodia preventiva5, incentivi premiali alla collaborazione giudiziaria).

All’inizio degli anni ’80 riprese il moto ambivalente del legislatore. Il 1981 è l’anno dell’importante legge “Modifiche del sistema penale” (l. 689/1981) con la quale si cerca di ridurre l’area della penalità attraverso una massiccia depenalizzazione e si riduce l’ambito applicativo della pena carceraria, introducendo le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi: una legge di segno chiaramente garantista e di intelligente apertura su futuribili scenari del sistema penale.

Il 1982, poi, è l’anno che segna la fine del terrorismo politico (accelerata anche dalla l. n. 304 che promette l’impunità a ex terroristi disposti a collaborare). È altresì l’anno della legge sul tribunale della libertà, che anticipa di alcuni anni una parte del futuro codice di rito penale.

Ma è anche l’anno in cui riaffiora l’emergenza mafiosa (omicidi La Torre e Dalla Chiesa), ai quali si risponde, nel mese di settembre, con provvedimenti volti a potenziare le strategie di contrasto al fenomeno mafioso (Istituzione dell’Alto commissariato per la lotta alla mafia, previsione del reato di associazione di stampo mafioso, potenziamento della prevenzione ante delictum, con l’introduzione come già ricordato della confisca preventiva)6.

5 Basti ricordare che con il d.l. 15 dicembre 1979, n. 625 (convertito nella l. 6 febbraio 1980, n. 5) la durata della custodia preventiva potrà protrarsi fino quasi a 11 anni!

6 Non che fossero mancati qualche anno prima omicidi eccellenti, come quello di Piersanti Mattarella (gennaio 1980) e di Gaetano Costa (agosto 1980). Tuttavia, solo dopo l’omicidio di Carlo

(8)

Renzo Orlandi

8

4. L’emergenza codificata

Dall’emergenza terroristica a quella mafiosa, si direbbe. Un’emergenza sembra scacciare l’altra, secondo quel movimento di mutevole fissità evocato dall’apparente ossimoro “perenne emergenza”.

In realtà, il termine emergenza sbiadisce fino a sparire dal vocabolario dei giuristi con l’inizio degli anni Novanta. Lo dimostra la vicenda di una collana editoriale di ampia diffusione fra i penalisti, intitolata, per l’appunto, La legislazione dell’emergenza, pubblicata da Giuffrè e diretta da Giovanni Conso: vi sono raccolti ventisei volumi nell’arco di quindici anni (dal 1978 al 1993). Poi la serie si inter- rompe, forse perché Conso, nel frattempo, diventa ministro della giustizia, ma – se l’idea riflessa in quel significativo riferimento alla “emergenza” avesse avuto un futuro, – non sarebbero certo mancate le persone disposte a proseguire l’opera. Sta di fatto che, con l’inizio degli anni ’90 il termine emergenza esce gradualmente dal lessico penalistico.

Sbiadisce fino a sparire – come dicevo – l’espressione; non i fenomeni dietro i quali siamo stati abituati a cogliere situazioni emergenziali da fronteggiare con mezzi eccezionali. Tutt’altro. Le norme particolari per rendere efficace il contrasto a forme gravi e allarmanti di criminalità continuano ad essere coltivate dal legislatore, che però ora preferisce collocarle nel codice di rito (o nel codice antimafia), senza disperderle in leggi speciali7.

Dietro questa scelta c’è – credo – la presa d’atto che i fenomeni da contrastare con speciali tecniche investigative, con organismi (giudiziari e di polizia) specializzati, con regole particolari in tema di libertà personale, di libertà e segretezza delle comunicazioni, di speciali tecniche investigative, di minori garanzie difensive soprattutto nella fase dell’indagine, di condizioni detentive etc., non sono temporanei, bensì endemici. Ha così perso pregnanza l’argomento speso nel 1978 per accantonare la riforma processuale: vale a dire “non possiamo permetterci un codice garantista in una situazione d’emergenza come quella che stiamo vivendo”. Il codice ingloba nel proprio tessuto normativo le disposizioni speciali ed eccezionali necessarie per

Alberto Dalla Chiesa, si avrà una significativa risposta legislativa, chiaramente volta ad agevolare e rendere più efficace l’attività preventivo/repressiva antimafia.

7 Bisogna peraltro riconoscere che già la codificazione previgente – almeno a partire dall’evoluzione legislativa successiva al caso Moro – conosceva la modalità normativa della norma- contenitore. Tale era, ad esempio, l’art. 165-ter c.p.p. che conteneva un elenco di delitti per i quali si auspicava una circolazione di informazioni fra autorità giudiziaria, ministro dell’interno e forze di polizia, in una prospettiva di contrasto sinergico alle manifestazioni di criminalità organizzata (diremmo oggi).

(9)

L’emergenza figlia delle garanzie?

9

un’efficace strategia di contrasto alla mafia, al terrorismo e, in generale, a una variegata serie di fenomeni criminosi (traffici illeciti di vario tipo) sussumibili sotto la vaga e indefinita nozione di criminalità organizzata.

Sopravvivono, ovviamente, molte disposizioni di questo tipo in leggi extra codicem (spesso risalenti al periodo dell’emergenza, altre più recenti), ma il rilievo non inficia quanto appena affermato.

5. Cultura delle garanzie e spinte emergenziali. Doppio binario? o procedimento separato?

Lo sguardo retrospettivo svela l’esistenza di una relazione dialettica fra garantismo ed emergenza. Se ne è già fatto cenno, ma conviene tornare brevemente sul punto.

A misura che la cultura delle garanzie si afferma, affiorano – con riguardo alle forme di criminalità percepite di volta in volta come allarmanti – esigenze di attenuare l’attuazione di quelle garanzie, allo scopo di facilitare l’effettivo perseguimento delle condotte minacciate da pena. È un’esigenza avvertita inizialmente nelle pratiche processuali (di polizia e del pubblico ministero) e che investe poi la stessa funzione giudicante, spesso pressata da un’opinione pubblica attenta agli esiti (e ai fallimenti) della giustizia penale.

Se la legge penale sanziona una certa condotta, la legge processuale deve assicurare all’autorità i mezzi per accertare le relative responsabilità individuali. E siccome i fatti vanno accertati con tecniche e modalità diverse a seconda dei loro accadere, è comprensibile che le pratiche processuali si affermino e si organizzino per tipologie di reati. Questo spiega l’affermarsi di modalità investigative e di accertamento diverse per reati economici, di mafia, di traffico di stupefacenti etc.8. A dispetto della unitarietà del codice di rito, la legge processuale deve farsi carico di

8 Ne è conferma la tendenza, incoraggiata da recenti norme di ordinamento giudiziario (art. 4 comma 2 d.lgs. 106 del 2006), a istituire presso le procure della Repubblica gruppi di lavoro per “settori omogenei di procedimenti”. Questa tendenza è particolarmente marcata e, come si sa, è attuata direttamente per via legislativa in vista del perseguimento dei reati riconducibili all’art. 51 commi 3 bis, 3 quater e 3 quinquies c.p.p., attribuiti alle 26 procure distrettuali antimafia presenti nelle città sedi di Corte d’appello.

Di riflesso, si produce se non la necessità, quanto meno l’opportunità di specializzare la funzione giudicante, con riferimento, ad esempio, ai reati economici. Una recente modifica dell’art. 7 bis comma 2 bis d.l. 12 del 1941, novellato da l. 17 ottobre 2017, n. 167 ha istituito presso i tribunali distrettuali sezioni o collegi col compito di trattare in via esclusiva i procedimenti di prevenzione ante delictum (regolati dal d. lgs. 159 del 2011).

(10)

Renzo Orlandi

10

queste differenze, introducendo quelle regole che la pratica processuale consiglia di adottare in deroga alle regole riguardanti i reati cosiddetti comuni, un insieme indefinito composto di reati percepiti come di medio-bassa gravità, che non esigono accorgimenti particolari per il loro accertamento.

Per verità, che le modalità di accertamento dei reati più gravi debbano essere meno garantite delle altre è assunto non pacifico e che, anzi, potrebbe essere rovesciato. Più gravi sono le conseguenze sanzionatorie per il reato da accertare, più prudente dovrebbe essere l’azione della pubblica autorità incaricata di quell’accertamento, dalla polizia al giudice passando per il pubblico ministero. In altre parole, quando la posta in gioco è alta, alta dev’essere anche la soglia di attenzione degli organi che possono contribuire alla costruzione della condanna.

Questo ragionevolissimo principio prudenziale (non sempre, nella pratica, tenuto in considerazione quanto meriterebbe) deve però convivere con quello che si può definire “principio d’efficacia”, in base al quale – come già accennato – la legge processuale deve fornire strumenti adeguati ad accertare le condotte che la legge penale minaccia di sanzionare.

Non tutto si può però fare in nome dell’efficacia. Finché esiste uno Stato di diritto e fino a che il suo fondamento costituzionale poggia sul riconoscimento di diritti inviolabili (art. 2 Cost.), l’accennato “principio di efficacia” va contenuto e per così dire addomesticato entro i limiti del rispetto di quelle prerogative individuali 9.

Le pratiche processuali, dalle tecniche investigative alle modalità di accertamento probatorio, tendono comprensibilmente a modellarsi sulle specie di fatti da accertare. Reati economici, reati tributari, delitti di sangue, delitti di associazione mafiosa e altri reati ad essi associati implicano – nell’esperienza quotidiana – modalità distinte di intervento da parte di polizia e magistratura. Alla lunga, le diverse pratiche procedimentali tendono ad affermarsi sul piano normativo, con regole differenziate secondo il tipo di reato da accertare.

9 Questa è la lezione che ci viene dal ripudio dei regimi dittatoriali e totalitari affermatisi nella prima metà del XX secolo. Le costituzioni democratiche varate nel secondo dopoguerra in quegli Stati che conobbero quei regimi (in particolare Germania e Italia) hanno fatto della dignità umana il nucleo incomprimibile di ogni diritto inviolabile. Curiosamente gli ordinamenti che, non essendo passati per esperienze autoritarie, non hanno conosciuto la mortificazione dei diritti individuali (spesso attuata attraverso le politiche repressive e di polizia) avvertano meno l’imperativo categorico di rispettare la dignità umana nel contrasto alle più gravi forme di criminalità. Si pensi ali modi praticati dall’amministrazione statunitense nella a lotta al terrorismo di matrice islamica dopo l’11 settembre 2001, con l’approvazione del Patriot Act, la speciale detenzione a Guantanamo Bay, l’istituzione di Commissioni militari per giudicare i sospetti terroristi e l’uso di pratiche violente per farli parlare.

(11)

L’emergenza figlia delle garanzie?

11

Questo è quanto accaduto e tuttora accade per la generalità dei procedimenti penali, ivi compresi quelli di criminalità organizzata, lo svolgimento dei quali corre su un binario speciale e – tanto per cominciare, come già accennato – è affidato ad autorità appositamente istituite quali la Direzione investigativa antimafia, i servizi centrali e interprovinciali presso le tre principali forze di polizia, le Direzioni distrettuali antimafia e la Direzione nazionale antimafia.

Le differenze rispetto agli altri procedimenti che possiamo considerare

“comuni”10 sono a tal punto marcate da indurre un autore a proporre un

“procedimento autonomo” per i reati di criminalità organizzata11. Anziché in termini di “doppio binario” si dovrebbe ragionare alla stregua di un criterio di separatezza/autonomia. Bando alle ipocrisie, si sostiene. Prendiamo atto che per i reati di mafia et similia vigono – all’interno di un modello processuale apparentemente unitario – regole peculiari con riguardo a cadenze temporali dell’indagine, diritti di difesa, provvedimenti cautelari, modalità di formazione della prova. Ce ne sarebbe più che a sufficienza, insomma, per giustificare la costruzione normativa di un procedimento penale ad hoc per questo tipo di reati.

La proposta non scende nel dettaglio e non prospetta la fisionomia che dovrebbe assumere questo modello procedurale “separato” e “autonomo”. Si tratterebbe, verosimilmente, di un ulteriore sottosistema processuale, da affiancare a quelli già esistenti e predisposti ratione personae (procedimenti penali militari; procedimenti a carico di minori; procedimenti a carico di persone giuridiche) o ratione materiae (procedimento davanti al giudice di pace). Tutte normative che continuano ad avere nel codice di procedura penale la loro principale base normativa, salvo ragionevolmente differenziarsene quando la materia trattato lo esige.

Non credo si debba fare altrettanto con i procedimenti di criminalità

10 Anche fra i procedimenti considerati “comuni” (qui nel senso di diversi da quelli di “criminalità organizzata”) possono sussistere rimarchevoli differenze di pratiche processuali, con rispecchiamenti normativi magari non molto appariscenti, e tuttavia innegabili: si pensi a taluni delitti sessuali, il cui accertamento è governato da norme ad hoc per l’assunzione della prova orale (art. 190-bis comma 1-bis, art. 392 comma 1-bis, art. 393 comma 2-bis 393 398 comma 5 bis e art. 498 comma 4-ter c.p.p.). E si pensi ancora ai procedimenti per maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), omicidio colposo o lesioni personali conseguenti a violazioni di norme antinfortunistiche (artt. 589 comma 2 e 590 comma 2 c.p.), omicidio stradale o lesioni colpose da traffico stradale (artt. 589-bis e 590-bis c.p.), atti persecutori (art. 612-bis) per i quali sono variamente previste regole speciali volte a rendere più rapido che nei casi ordinari il passaggio alla fase del giudizio (cfr. artt. 406 comma 2-bis, 416 comma 2-bis e 429 comma 3-bis c.p.p.).

11 In tal senso P.GAETA, Il ‘processo di criminalità organizzata' tra frammenti di norme e corte di cassazione, in Cass. pen., 2017, p. 3016 ss.

(12)

Renzo Orlandi

12

organizzata. Non c’è bisogno di un altro sottosistema processuale. Indubbiamente, se questa fosse la via imboccata, si porrebbe subito il problema di definire con la dovuta precisione il novero dei delitti per il cui accertamento varrebbero le regole processuali da applicare in quel sottosistema. Ma tale problema può essere affrontato e risolto anche mantenendo – come oggi accade – la disciplina dell’accertamento processuale nel corpus del codice di rito. Sarebbe anzi opportuno che la legge operasse in questa direzione, onde evitare che, in nome dell’efficacia, polizia e magistratura (sia requirente, sia giudicante) siano indotte ad abusare degli affilati strumenti messi a loro disposizione, arbitrariamente limitando i diritti individuali dell’imputato o dell’indagato oltre i limiti dello stretto necessario.

Rifarsi all’elastica nozione di “criminalità organizzata” – come oggi accade nell’art. 274 lett. c c.p.p. o nell’art. 13 d.l. n. 151 del 1991 – non dovrebbe essere ammesso, quando i diritti fondamentali della persona subiscano limitazioni più gravi e intense di quelle consentite nella generalità dei casi.

È comprensibile e pertanto ragionevole che gli accertamenti di delitti quali quelli inclusi in norme-contenitore come l’art. 51 comma 3-bis o l’art. 407 comma 2 lett. a) c.p.p. esigano modalità di accertamento tali da comportare limitazioni di taluni diritti più intense rispetto ai contesti procedimentali riguardanti altre forme di devianza. Ma l’eccezionalità va circoscritta all’accertamento di delitti tassativamente previsti e va giustificata, sulla base delle rispettive connotazioni criminologiche. E questo nella rigorosa applicazione del principio di proporzionalità, inteso nella sua triplice componente di idoneità allo scopo, minor sacrificio possibile del diritto individuale limitato e proporzione in senso stretto12.

12 È questa la nota triade che compone il principio di proporzionalità, secondo l’insegnamento offerto dall’ultradecennale giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca; insegnamento da tempo insinuatosi nella giurisprudenza della Corte EDU e che fa capolino in talune decisioni della nostra Corte costituzionale (ad esempio, in tema di libertà personale). E questo senza contare la struttura del nostro art. 275 c.p.p. che, nei suoi tre principali commi elenca e definisce le tre componenti del principio:

idoneità (1° comma), proporzione in senso stretto (2° comma), necessarietà o adeguatezza della sola misura più afflittiva ad assicurare il risultato cui mira la custodia carceraria.

Per utili chiarimenti su questo importante criterio di razionalità pratica (che assume contorni peculiari nel diritto processuale penale) si consiglia il saggio di D. NEGRI, Il principio di proporzionalità, in corso di pubblicazione in Riv. it. dir. e proc. pen.

Per una serie di applicazione pratiche del principio in questione sia consentito il rinvio a R.

ORLANDI, Provvisoria esecuzione della pena e presunzione di non colpevolezza, in AA.VV. Presunzione di non colpevolezza e disciplina delle impugnazioni, Milano, 1999, p. 139 (con riferimento alle limitazioni della libertà personale); Garanzie individuali ed esigenze repressive (ragionando intorno al diritto di difesa nei procedimenti di criminalità organizzata), in Studi in memoria di G. D. Pisapia, Milano, 2000, p. 560-561 (con particolare riferimento al diritto di difesa) e La riforma del processo

(13)

L’emergenza figlia delle garanzie?

13

Si afferma che un controllo di legittimità sulle scelte normative in questo campo sia difficoltoso, per la tradizionale riluttanza della Corte costituzionale a sindacare la discrezionalità legislativa13. Giusto rilievo, finché lo scrutinio di legittimità sulle opzioni legislative avviene attraverso il criterio, spiccatamente politico, della ragionevolezza. Qui è elevato il rischio che la Corte delle leggi sovrapponga proprie scelte discrezionali a quelle proprie del Parlamento: donde la comprensibile riluttanza della nostra Corte costituzionale a intervenire sul terreno minato della discrezionalità legislativa e l’uso, semmai, di moniti con l’auspicio di futuri interventi riformistici, come l’esperienza ultradecennale dimostra.

Il rilievo appare meno convincente rispetto a scrutini di legittimità che si fondassero sul test di proporzionalità, assai più preciso e definito di quello di ragionevolezza, e tale da obbligare chi lo usa a spendere argomenti razionali, giuridicamente pregnanti, specialmente quando si ragiona in termini di idoneità del mezzo limitativo del diritto rispetto allo scopo da raggiungere e di indispensabilità dello stesso, essendo altri mezzi meno invasivi del diritto da comprimere inadeguati ad assicurare il risultato cui si mira14.

6. Conclusioni

È il momento di tirare le fila di un discorso ben lontano dall’essere esaurito.

La scelta di mantenere nel codice norme di particolare severità per assicurare l’accertamento di reati reputati gravi e allarmanti trasforma l’emergenza (di per sé temporanea) in perenne eccezionalità. Essa rivela al contempo aspetti positivi (nel senso di apprezzabili) e negativi (nel senso di rischiosi per la sorte dei diritti individuali).

In positivo: collocando nel corpus codicistico le norme di contrasto a mafia, ter- rorismo e altre manifestazioni di formidabile devianza, si riduce la possibilità di for- zature (antigarantiste) spesso associate alle leggi speciali in ragione della loro eccezio- nalità e/o temporaneità. Accolto all’interno del codice, il doppio binario assicura una

penale fra correzioni strutturali e tutela “progressiva” dei diritti fondamentali, in Riv. it. dir. e proc.

pen. 2014, 1159 (con particolare riferimento alla materia delle intercettazioni).

13 Così P. GAETA, Il ‘processo di criminalità organizzata', cit., p. 3020.

14 La lunga serie di declaratorie di illegittimità intervenute sul tormentato art. 275, comma 3, seconda parte (a partire dalla n. 265 del 2010) sono fondate, a ben vedere, su un’applicazione del principio di proporzionalità, nella sua componente di necessarietà o indispensabilità del mezzo (custodia in carcere) a perseguire il risultato voluto (neutralizzazione della pericolosità di persone indagate o imputate per reato di una certa gravità).

(14)

Renzo Orlandi

14

più ragionevole tutela dei diritti di libertà della persona, anche attraverso la comparazione ravvicinata con le disposizioni che comprimono quegli stessi diritti nei procedimenti per reati comuni.

In negativo: c’è il rischio che, stando nel codice, le norme “anti-crimine organizzato” siano facilmente trasferibili a fenomeni criminosi diversi da quelle inizialmente presi in considerazione, secondo “l’aria che tira” nella pubblica opinione;

le norme antimafia sono state estese prima al terrorismo, poi a taluni reati collegati con l’immigrazione clandestina e, ora, almeno in parte, ai più gravi reati di corruzione.

Inserite in un medesimo corpus normativo, tali disposizioni eccezionali sviluppano, col tempo, una sorta di naturale potenzialità espansiva. Occorrerà vigilare allo scopo di evitare che le regole speciali, giustificate dalla necessità di perseguire con la desiderata efficacia fenomeni criminosi sicuramente temibili, non siano estese a condotte efficacemente perseguibili con mezzi ordinari e questo solo per corrispondere alle inclinazioni antigarantiste liberticide che oggi più di ieri serpeggiano in larghi strati della pubblica opinione.

Ancora in negativo: un effetto riflesso di questa scelta è – io credo – il crescente uso del procedimento di prevenzione ante delictum, come strategia di contrasto al terrorismo, alla mafia e ora anche alla corruzione (organizzata).

Specialmente nel campo delle misure patrimoniali, il procedimento di prevenzione consente di ottenere risultati, come la confisca, in tutto simili a quelli acquisibili per la via più garantita del processo penale. In altre parole, il procedimento di prevenzione, per come si è andato sviluppando dopo l’approvazione del codice antimafia e le successive anche recentissime modifiche, si presta ad essere il facile escamotage per aggirare garanzie che il codice di rito imporrebbe, persino a imputati di reati di mafia, terrorismo o criminalità organizzata. Basti dire che nel procedimento di prevenzione anche i terzi sono passibili di confisca preventiva; le garanzie difensive sono attenuate; la presunzione di innocenza (come regola di giudizio) è sostanzialmente aggirata da meccanismi presuntivi; il diritto di impugnazione limitato. Si può anzi affermare che il procedimento separato, vagheggiato da P. Gaeta, trova una sua embrionale o parziale realizzazione nel procedimento di prevenzione ante o praeter delictum, sempre più attratto nell’orbita della penalità.

Ritengo, in definitiva, che l’esigenza di prevenire e reprimere fenomeni criminosi difficili da contrastare implichi comprensibilmente l’adozione di modalità e procedure adeguate e non condannate già in partenza al fallimento.

Va inoltre rispettato il principio di proporzionalità, inteso soprattutto in quella

(15)

L’emergenza figlia delle garanzie?

15

sua componente della stretta necessarietà del mezzo usato per raggiungere l’esito che la legge autorizza a perseguire.

Vi sono tuttavia limiti invalicabili da rispettare, anche a rischio di mancare il risultato. Va sempre rispettata, in particolare, la dignità della persona, vero nucleo inviolabile e incomprimibile di ogni diritto fondamentale.

Riferimenti

Documenti correlati

La paura nei confronti della diversità ha sua massima espressione negli Stati Uniti d’America intorno agli anni ’20, quando si tenta di chiudere le frontiere ai

CONTRASTO AL FINANZIAMENTO DEL TERRORISMO IL MANUALE DELLE PROCEDURE.. DILIGENZA

In misura minore o maggiore, tutti i paesi – e soprattutto quelli che hanno patito un major attack – tendono a considerare il terrorismo nelle attuali forme

Per quanto simili soluzioni in- terpretative siano rimaste sostanzialmente isolate, per l’inadeguatezza delle rispettive formulazioni normative ad identificare il disvalore

Due decisioni prese a distanza di pochi giorni l’una dall’altra riaccendono il dibattito su una questione fortemente controversa del “mondo 231/2001”, riguardante

La linea di continuità tratteggiata tra terrorismo e mafia mostra il suo acme sul versante della collaborazione processuale, interessando in particolare: l’espansione e

Sono sta- ti oggetto del processo, anche con l’audizione di uomini politici e di magistrati, fatti della vita istituzionale e politica dal 1992 al 1994: scelte relative alla

Le complessive e definitive conclusioni alle quali sono giunte sia la magistratura milanese nella se- conda indagine per la strage del 12 dicembre che ha dato luogo alle