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La sostenibilità

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Academic year: 2022

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i S u p p l e m e n t i d i

La sostenibilità 49

delle filiere produttive

a cura di MARIA TERESA PACCHIOLI - crpa Spa, reggio emilia e di GIANCARLO MARTELLI - redazione “agricoltura”

Agricoltura, zootecnia, bioenergie

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i S u p p l e m e n t i d i

49

© copyright regione emilia-romagna - anno 2012 Coordinamento redazionale maria teresa pacchioli - crpa Spa, reggio emilia

e giancarlo martelli, redazione “agricoltura”

Distribuzione redazione “agricoltura” - Viale della fiera, 8 - 40127 bologna tel. 051.5274289 - 5274701 - fax 051.5274577 e-mail: agricoltura@regione.emilia-romagna.it crpa Spa - corso garibaldi, 42 - 42121 reggio emilia

tel. 0522.436999 - fax 0522.435142 e-mail: info@crpa.it il Sole 24 ore (bu business media) - Via monte rosa, 91 - 20149 milano tel. 051.6675822 e-mail: marketing.edagricole@ilsole24ore.com Foto del supplemento crpa Spa, tranne dove espressamente citata altra fonte

Agricoltura, zootecnia, bioenergie

La sostenibilità

delle filiere produttive

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SOMMARIO

05 PRESENTAZIONE

i progetti per un’agricoltura che sposa reddito con ambiente

di Adelfo Magnavacchi

06 la valutazione d’impatto dei sistemi agro-zootecnici

di Laura Valli

09 avvicendamenti colturali e tecniche a basso input

di Marco Ligabue, Fabrizio Ruozzi, Lamberto Dal Re, Angelo Innocenti

12 Suinicoltura e agroenergie:

l’integrazione è possibile

di Andrea Rossi, Eugenio Corradini, Maria Teresa Pacchioli, Iller Campani

16 biogas: il potenziale energetico di miscele con triticale e colza

di Mariangela Soldano, Giuseppe Moscatelli, Claudio Fabbri

20 la “carbon footprint”

delle colture in prova

di Stefano Pignedoli, Laura Valli

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ADELFO MAGNAVACCHI – Direttore Crpa Spa, Reggio Emilia

I progetti per un’agricoltura

che sposa reddito con ambiente

preSentazione

Questo supplemento curato dal crpa riassume i risultati di alcuni progetti dedicati allo studio della sostenibilità di sistemi produttivi (agricoltura, zootecnia ed energia rinnovabile) attuabili nelle aree dell’emilia-romagna dove è venuta a mancare, per effetto della forte riduzione del sostegno comunitario, la massiccia diffusione della barbabietola da zucchero.

i progetti, realizzati con il contributo economico della regione emilia-romagna attraverso vari programmi, hanno avuto l’obiettivo comune di testare la possibilità di adottare sul territorio

regionale rotazioni colturali sostenibili dal punto di vista ambientale (ridotto uso di fertilizzanti chimici, minime lavorazioni, salvaguardia e ripristino della sostanza organica del terreno, ecc.) e finalizzate alla produzione di materie prime per l’alimentazione dei suini e di biomasse per energia rinnovabile.

allo scopo sono state attivate e monitorate filiere che per la parte agro-zootecnica hanno testato pisello proteico, soia e canola (colza a bassi fattori antinutrizionali) come fonti proteiche da usare per i suini in accrescimento-ingrasso. Queste colture sono state inserite in successioni opportunamente studiate - sia in condizioni sperimentali, sia in pieno campo - comprendenti anche colture cerealicole ed erbai, in funzione delle caratteristiche pedologiche degli areali interessati.

negli articoli che seguono in particolare sono sintetizzate:

• le verifiche sperimentali sulla produttività e la gestione tecnica ed economica di rotazioni in cui sono state inserite le colture allo studio;

• le prove di alimentazione dei suini, che hanno visto l’impiego di farine proteiche derivate dalle oleaginose coltivate nelle rotazioni;

• la valutazione della produttività energetica delle colture per la produzione di biogas.

i progetti sono stati completati dallo studio degli impatti ambientali, condotti con la metodologia lca (Life Cycle Assessment). per questo ultimo aspetto sono stati utilizzati i dati provenienti dalle sperimentazioni e dai monitoraggi condotti; l’obiettivo era quello di ottenere valutazioni di impatto effettivamente riferite alla realtà regionale, con informazioni specifiche sul sistema produttivo allo studio e non provenienti da database standard.

in questo senso il crpa sta continuando a raccogliere i dati tecnici riferiti all’emilia-romagna, in termini di fattori produttivi impiegati (carburanti, fertilizzanti, ecc.) e rese, proprio con l’intento di costituire una banca dati specifica per gli studi di impatto ambientale riferiti al sistema agro- zootecnico ed energetico regionale.

il gruppo di ricerca che ha condotto i progetti fa capo a crpa Spa, fondazione crpa Studi e ricerche e azienda Sperimentale “m. marani” di ravenna; le attività di ricerca zootecnica sono state svolte in collaborazione con il gruppo martini di gatteo (fc).

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L’

offerta di alimenti di qualità ottenuti con proces- si ambientalmente sostenibili è un’esigenza sempre più sentita non solo dai consumatori, ma pure dai produttori, ormai consapevoli che una produzione attenta all’ambiente può consentire risparmi di energia, di risorse e di materiali che si traducono anche in benefici eco-

nomici. I concetti di “sostenibilità delle filiere alimentari”

o “dieta eco-compatibile” stanno entrando sempre più nel linguaggio comune non solo degli addetti ai lavori, ma an- che in quello utilizzato dai media per richiamare l’attenzio- ne dei consumatori sulla qualità dei prodotti.

La valutazione dell’impatto ambientale complessivo delle

La valutazione d’impatto

dei sistemi agro-zootecnici

LAURA VALLI - Crpa Spa, Reggio Emilia

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filiere produttive nel settore agro-zootecnico coinvolge numerosi aspetti tra loro interconnessi. Occorre in- fatti un approccio globale, perché la ricaduta sull’am- biente generata da un singo- lo segmento della filiera può essere amplificata o com- pensata nelle fasi successive, ovvero la riduzione dell’im- patto su un determinato corpo recettore (aria, acqua, suolo, ecc.) può aggravarne gli effetti nei confronti di altri (il cosiddetto pollution swapping).

Ad esempio, la riduzione delle emissioni di ammo- nica nella fase di ricovero degli animali porta all’au-

mento del tenore di azoto dei liquami, con conseguente in- cremento del loro potenziale emissivo in fase di stoccaggio e spandimento agronomico. L’interramento dei liquami per ridurre le emissioni di ammoniaca, d’altra parte, può au- mentare le emissioni di protossido di azoto, in quanto la so- stanza organica facilmente degradabile dei liquami alimen- ta i micro-organismi denitrificanti del suolo. La proibizione dello spandimento agronomico nel periodo invernale per minimizzare la lisciviazione e percolazione dei nitrati, con conseguente concentrazione degli spandimenti nel perio- do primaverile-estivo, può invece portare all’aumento delle emissioni di ammoniaca dovute alle alte temperature, e via elencando.

I metodi LCA e Carbon footprint

Fra le tante metodologie che si pongono l’obiettivo di una valutazione complessiva dell’impatto di singoli prodotti o di interi processi produttivi e della loro sostenibilità ambien- tale, quelle che vengono più diffusamente utilizzate sono la cosiddetta “impronta del carbonio” (Carbon footprint) e la valutazione del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA).

La LCA è una tecnica internazionalmente riconosciuta (Iso 14040-14044) per valutare l’impiego di risorse naturali e

gli impatti ambientali e sull’uomo del ciclo di produzione di un bene, di un servizio o di un intero processo. La meto- dologia tiene conto di tutte le fasi connesse alla produzione - dall’estrazione delle materie prime al loro trasporto, alla trasformazione, distribuzione, utilizzo, ri-utilizzo, riciclag- gio ed eventuale smaltimento - con il cosiddetto approccio

“dalla culla alla tomba”.

Vengono prese in considerazione diverse categorie di impat- to, quali: le emissioni di gas serra, di composti acidificanti o eutrofizzanti, di sostanze che producono danni respiratori, di sostanze con effetti di ecotossicità sul suolo o sulla con- centrazione di ozono, di sostanze cancerogene, ma anche il consumo di risorse, come le energie non rinnovabili e i minerali, l’occupazione del suolo, ecc.

La Carbon footprint è una LCA limitata alle emissioni che hanno effetto sui cambiamenti climatici. Esprime, cioè, l’insieme complessivo delle emissioni di gas serra associato a un prodotto e derivanti dal suo intero ciclo di produzione, includendo talvolta anche la sua destinazione finale (Centro comune di ricerca - JRC, Commissione europea, 2007). La sua misura viene espressa come GWP (Global Warming Po- tential), traducendo l’effetto dei gas serra diversi dal biossi- do di carbonio (metano, protossido di azoto, esafluoruro di zolfo, polifluorocarburi) in unità equivalenti di CO2.

Fig. 1 - Le motivazioni della metodologia LCA (Life Cycle Assessment).

(8)

Le emissioni di gas serra del settore agricolo

Le emissioni di gas serra (GHG, greenhouse gases) del settore agricolo, a livello europeo (EU-27), nel 2009 sono ammon- tate al 10% delle emissioni globali e mostrano, nel periodo 1990-2009, un calo di oltre il 21%, quindi ben superiore a quello complessivo di tutti i settori, che è stato pari al 17%

(su quest’ultima diminuzione ha contribuito fortemente la crisi economica del 2009, se si considera che la riduzione 2000-2008 era stata solo del 6%). Per l’Italia la diminuzione del settore agricolo è stata del 15%, rispetto al target globale di riduzione del 6,5% che il nostro Paese si è dato nell’ambito del protocollo di Kyoto, a fronte di un contenimento dell’e- missione complessiva di tutti i settori che è stata del 5,4%.

A livello nazionale nel 2009 il contributo dell’agricoltu- ra alle emissioni di gas serra (espresse come CO2 equiva- lenti) è stato del 7% (è il secondo settore, anche se ben distanziato, dopo quello energetico, che pesa per l’83%);

tuttavia considerando i due gas serra rilevanti per il setto- re, cioè il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O), le emissioni ammontano rispettivamente al 41 e al 69% sul peso globale di ciascuno di questi gas.

Capire il problema per mitigare gli effetti

Molti interventi, frutto di progressi tecnologici e dell’

implementazione di normative ambientali, sono già stati realizzati nelle aziende agro-zootecniche, consentendo la diminuzione dell’impatto ambientale del comparto attra- verso la riduzione d’uso dell’energia e dell’acqua, lo svi- luppo di programmi alimentari più efficienti, l’introdu- zione di migliori tecniche di gestione aziendale. Tuttavia ampio spazio di miglioramento è ancora possibile ed anzi auspicabile.

Il Crpa è da sempre impegnato sulla tematica della soste- nibilità ambientale delle produzioni zootecniche, con par- ticolare attenzione al concetto di filiera; inoltre in diversi progetti finanziati dalla Regione Emilia-Romagna ha po- sto l’attenzione sulle possibili misure di mitigazione degli impatti e delle pressioni ambientali nelle diverse fasi pro- duttive.

Per rafforzare un approccio complessivo al problema, nella consapevolezza che gli interventi per uno sviluppo sosteni- bile possono essere davvero efficaci solo se si considerano tutte le fasi di una filiera produttiva come correlate e di- pendenti, tenendo quindi conto dei possibili effetti indot- ti a monte e a valle, il Crpa ha recentemente utilizzato la metodologia per il calcolo della LCA e della Carbon foot- print per la conduzione di studi di sostenibilità ambientale relativi sia a produzioni zootecniche, sia agronomiche, i cui risultati verranno sintetizzati nell’ultimo articolo di questo supplemento.

Con questa metodologia non possono sfuggire all’analisi situazioni in cui, come evidenziato precedentemente, la riduzione dell’impatto ambientale in una certa fase di un determinato ciclo produttivo può tradursi in una crescita dell’impatto in una delle fasi successive; inoltre, diventa possibile identificare i processi o le fasi produttive più criti- che, individuando gli interventi di mitigazione più efficaci.

Un obiettivo non secondario dei progetti che il Crpa sta conducendo è anche quello di costruire una raccolta di dati nazionali utilizzabili per studi LCA. Infatti, anche se a livel- lo internazionale ed europeo esistono già consolidati data- base per il settore agricolo, sia per la produzione di alimenti che per l’uso del suolo, è importante che nelle analisi effet- tuate a livello nazionale con riferimento a specifiche realtà produttive, in particolare quando si considerano prodotti tipici, tali archivi possano essere arricchiti con basi di dati nazionali o regionali. È questa una caratteristica del metodo LCA, che consente di costruire e affinare la conoscenza dei processi in un’ottica di continuo aggiornamento.

Fig. 2 - Le fasi della metodologia LCA.

(9)

F

ino ad alcuni anni fa le prove colturali erano prin- cipalmente finalizzate a evidenziare la produttività delle varie specie e le implicazioni agronomiche della loro coltivazione. Ora il fronte di ricerca si è neces- sariamente allargato agli aspetti ambientali. Così il Crpa, in collaborazione con l’Azienda sperimentale “M. Marani”

di Ravenna, ha realizzato una serie di prove per verificare, oltre agli aspetti produttivi, anche la sostenibilità di alcune colture all’interno delle rotazioni aziendali.

La scelta di base iniziale è stata quella di non lavorare in modo puntiforme per singola coltura, ma di inserire le col- ture stesse all’interno di rotazioni che potessero risultare sostenibili dal punto di vista agronomico e ambientale nel medio-lungo periodo, valutando sia la produttività, sia la qualità delle produzioni in funzione delle diverse destina- zioni d’uso.

Oltre alle prove sperimentali in senso stretto, il lavoro di acquisizione dati è stato esteso anche a situazioni di pieno campo, cioè in aziende reali che praticavano le medesime rotazioni con livelli diversi di intensità colturale. Questo lavoro ha permesso di ampliare la casistica, acquisendo nu- merosi dati tecnici (relativi alle modalità di coltivazione e all’impiego di mezzi tecnici) utilizzati poi per le valutazioni di carattere ambientale, che costituiscono uno dei risultati più importanti scaturiti dalle ricerche e di cui si riferisce nell’ultimo articolo di questo supplemento.

Le prove sperimentali su sette colture

L’attività di ricerca è stata condotta in modo puntuale nelle province di Ferrara e Ravenna nel periodo 2008-2011 e nel solo 2011 anche in quelle di Forlì-Cesena, Bologna e Mode- na. Nell’arco del quadriennio sono state realizzate 20 prove di campo su sette diverse colture da destinare prevalente-

MARCO LIGABUE - Crpa Spa, Reggio Emilia

FABRIZIO RUOZZI - Fondazione Crpa Studi e Ricerche, Reggio Emilia

LAMBERTO DAL RE, ANGELO INNOCENTI - Azienda Sperimentale “M. Marani”, Ravenna

avvicendamenti colturali

e tecniche a basso input

Parcella sperimentale di pisello proteico.

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mente ad uso mangimistico ed energetico: pisello proteico, colza, triticale, frumento, girasole, soia e sorgo (quest’ultima coltura sia ad uso energetico, che da granella).

Particolare enfasi è stata data al pisello proteico, al triticale e al sorgo, per le seguenti ragioni:

• il pisello si è dimostrato nelle precedenti esperienze molto interessante per quantità e qualità della proteina prodotta e determinante nel mantenere la fertilità del terreno in as- senza del prato. Tuttavia per questa specie rimane ancora una certa incostanza nelle rese produttive; problematica a cui la sperimentazione varietale e il miglioramento gene- tico stanno cercando di ovviare;

• il triticale, che fornisce produzioni di biomassa molto in- teressanti, è coltura per definizione “sostenibile”, poiché ricopre il suolo nel periodo invernale, limitando quindi la percolazione dei nitrati, e perché, per la stessa ragione, non richiede apporti irrigui;

• il sorgo si pone come valida alternativa al mais per la pro- duzione di biomassa, oltre a produrre granella con le va- rietà indicate a tale scopo, in quanto meno esigente dal punto di vista degli apporti irrigui.

Sia le prove sperimentali che le indagini aziendali hanno fatto riferimento ai due avvicendamenti quadriennali sche- matizzati nella tabella 1.

Le rotazioni studiate, non molto dissimili tra loro, preve- dono la presenza di colture vernine, di secondi raccolti esti- vi, di leguminose e di graminacee in grado di utilizzare la

fertilità residua delle prime. Si tratta di uno schema coltu- rale non nuovo in assoluto, che ricalca l’agronomia “tradi- zionale”, che fa dell’alternarsi di colture con caratteristiche diverse il suo elemento di forza, nel quale tuttavia l’aspetto della “sostenibilità”, già di per sé evidente, è stato valorizzato applicando, ove possibile, tecniche a basso impatto come la semina su sodo, la minima lavorazione, la fertilizzazione azotata e utilizzando i reflui aziendali, provenienti dall’al- levamento o dalla digestione anaerobica. La presenza di specie poco o affatto idro-esigenti costituisce un ulteriore elemento di sostenibilità.

Alcuni risultati di sintesi

Per quanto riguarda il pisello proteico le prove condotte hanno confermato la buona risposta produttiva della specie nell’areale ravennate, già evidenziata in precedenti proget- ti. Pur variabile negli anni, la produzione non è mai scesa, nella media di campo, sotto le 4 t/ha di granella al 9% di umidità, per arrivare nel 2010 a 7 t/ha; buona la risposta an- che in semina primaverile (2 delle 6 prove), con produzioni prossime a 5 t/ha.

Il colza, interessante per la produzione dell’olio e per i sot- toprodotti utilizzabili in mangimistica (farina di estrazione) così come per la produzione di biogas (panello), è stato va- lutato in tre prove relativamente all’aspetto varietale e alla densità di investimento. Nel complesso questa specie ha for-

TAB. 1 - AVVICENDAMENTI COLTURALI UTILIZZATI NELLE PROVE DEL qUADRIENNIO 2008-2011.

AVVICENDAMENTO 1

1° anno nov - giu pisello proteico (diserbo, tecnica ordinaria) 2° anno ott - giu frumento (diserbo in post-emergenza, semina su sodo)

3° anno ott-mag triticale

giu-sett soia o girasole (solo diserbo meccanico, minima lavorazione)

4° anno ott-mag triticale

mag-sett sorgo (minima lavorazione)

AVVICENDAMENTO 2

1° anno nov - giu pisello proteico (diserbo, tecnica ordinaria)

2° anno ott - giu frumento (diserbo in post-emergenza, semina su sodo)

3° anno sett-lug colza (diserbo, tecnica ordinaria)

4° anno ott-mag triticale

mag-sett sorgo (minima lavorazione)

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nito risultati un poco al di sotto delle attese, con una media di 2 t/ha di granella nel 2009 e circa 3 nel 2008 e nel 2010.

Il livello diversificato di investimento utilizzato nelle semine 2010 (da 35 a 110 semi per m2) non pare aver influito in alcun modo sul risultato produttivo.

Altra coltura vernina inserita nelle valutazioni agrono- miche con un certo dettaglio è stata il triticale, specie ormai di uso comune per la conversione energetica. In una prima prova seminata nel 2009 sono state valutate alcune varietà e alcuni miscugli: la produzione media si è attestata a 12,8 t/ha di sostanza secca, con punte di 14,5 per la cultivar Agrano; la produzione più modesta (10 t) è stata registrata per una consociazione comprendente, oltre al triticale, altri cereali vernini quali l’orzo e il fru- mento. Nell’anno successivo si è ritenuto utile verificare la produttività, sia in termini di biomassa, che di biogas, effettuando sfalci scalari, dalla fase di botticella a quella di maturazione cerosa della granella: il risultato evidenzia come la produzione di biomassa sia crescente dalla fase più precoce a quella più tardiva, passando, nella media delle tre prove condotte, da 4 a 12 t/ha di sostanza secca, e come la produzione di biomassa influenzi direttamente quella di biogas.

Tra le colture estive il gira- sole, sia nelle varietà tradi- zionali, che in quelle ad alto contenuto di acido oleico, ha evidenziato una buona produttività, pari a 4,8 t/ha di acheni al 9% di umidi- tà, con un massimo di 6,2 e una resa minima di 3,6;

la resa in olio è stata media- mente pari al 31% e la quota rimanente, composta dal panello, ha evidenziato un buon contenuto in olio re- siduo (10% circa) e proteina (22%).

Infine, il sorgo conferma di potersi ritagliare un ruo- lo importante, in partico- lare nei comprensori dove la disponibilità di acqua è un fattore limitante, con

produzioni di biomassa secca prossima o superiore alle 20 t/

ha, sia nelle forme monosfalcio, che in quelle a più sfalci, più tipicamente foraggere. Anche le tipologie da granella a taglia intermedia oltre alla granella hanno prodotto una quantità significativa di foglie e stocchi che, se non interrati, possono essere utilmente destinati alla conversione energetica.

Rese produttive quasi sempre soddisfacenti

Dall’insieme dei dati rilevati nei 61 casi aziendali monito- rati emerge che in più della metà (36) sono state utilizzate tecniche a basso input: minima lavorazione o semina su sodo, assenza di apporti fertilizzanti o uso di fertilizzante di sintesi in abbinamento ai reflui aziendali o uso esclusivo di questi ultimi, in alternativa o in combinazione tra loro.

Un secondo aspetto interessante, che emerge anche dalle prove sperimentali, è che l’applicazione di queste tecniche non ha comportato nella maggior parte dei casi alcuna pe- nalizzazione delle rese. Ciò costituisce un fattore determi- nante per il conseguimento di un buon risultato dal punto di vista sia economico, sia dell’impatto ambientale.

Colza in fioritura.

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L

a farina di estrazione di soia rappresenta la fonte pro- teica di origine vegetale maggiormente impiegata in suinicoltura e anche se in Emilia-Romagna la sua pro- duzione non è mai veramente decollata, gli allevatori la indicano come la materia prima di riferimento. La par- te zootecnica dei progetti illustrati in questo supplemento consiste nella valutazione dell’impiego anche di altre farine proteiche oltre alla soia, meno collaudate nell’allevamento del suino pesante, ma di grande interesse dal punto di vista agro-ambientale e inserite nelle rotazioni colturali studiate e presentate in questo supplemento.

Tra queste produzioni sono state considerate la granella di pisello proteico e le farine di estrazione di girasole e di col-

za. Nelle prove è stata utilizzata la canola, varietà di colza creata in Canada alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso e a basso contenuto di acido erucico, altrimenti presente nell’olio di colza sino al 45% e tossico per l’uomo.

Oggi il contenuto di acido erucico nell’olio di canola è mol- to basso, tra lo 0,5 e l’1%, comunque sotto la soglia del 2%

fissata come limite massimo dall’Usda, il Dipartimento all’A- gricoltura degli Stati Uniti; anche altri fattori anti-nutrizionali (glucosinolati) sono molto ridotti. Il fatto che l’olio di canola si sia imposto nell’industria alimentare dagli anni ‘90 in poi ha reso disponibile sul mercato importanti quantità di farina di estrazione, la cui destinazione è principalmente zootecnica.

I prodotti derivati dalla colza, però, sono a tutt’oggi vie- tati nell’alimentazione degli animali inseriti nelle filiere delle produzioni Dop: in modo esplicito sono proi- biti dal disciplinare alimen- tare delle vacche il cui latte è destinato a Parmigiano- Reggiano, mentre non sono contemplati tra le materie alimentari ammesse per i suini iscritti al circuito tu- telato dei prosciutti Dop.

Certamente, almeno per i suini, le indicazioni sull’a- limentazione sono un poco datate e riferite ai prodotti presenti sul mercato negli anni ‘90. La qualità della proteina di colza e pisello proteico è molto interes- sante per il suino per l’alto valore biologico.

ANDREA ROSSI, EUGENIO CORRADINI, MARIA TERESA PACCHIOLI - Crpa Spa, Reggio Emilia ILLER CAMPANI - Gruppo Martini, Gatteo (FC)

Suinicoltura e agroenergie:

l’integrazione è possibile

Samaritani-Meridiana Immagini

Un allevamento di suini.

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Le prove di alimentazione sul suino pesante

Alcune prove di alimentazione per il suino pesante sono state realizzate in condizioni di allevamento standard e hanno previsto la sostituzione di una quota della farina di soia con le altre proteiche di origine vegetale, comunque nell’ambito di diete isoenergetiche e isoproteiche. Inoltre, sempre per favorire l’impiego delle colture comprese nel- le rotazioni agronomiche delle prove trattate nell’articolo precedente, una parte del mais delle formulazioni è stato sostituito con sorgo bianco. Una prova preliminare è stata eseguita su un gruppo di 352 suini F1 di scrofa PIC x verro Goland C21, suddivisi in due tesi sperimentali e accasati in nove box per ciascuna tesi. I due sottogruppi di capi sono stati alimentati a secco con la medesima razione di

base mais-sorgo-soia, di cui una con l’impiego di farina di estrazione di canola al 33% di proteina grezza, in parziale sostituzione della soia (5% della sostanza secca della razio- ne). L’analisi dei risultati ha evidenziato differenze signifi- cative tra i due diversi tipi di dieta per il peso finale degli animali e l’indice di conversione alimentare, migliori nella tesi con colza.

La presenza di canola f.e. nella dieta non ha comportato peggioramenti della qualità della carne e del grasso e, so- prattutto, le tracce di fattori antinutrizionali rilevati nel mangime sono state sempre al di sotto dei limiti di atten- zione, pari rispettivamente a 1-1,5 micromoli/g e al 5% del grasso aggiunto ad un prodotto destinato all’alimentazione umana.

Sulla base degli spunti della prima prova, si è poi allargato

Wikimedia

Un campo di girasole.

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lo studio all’impiego di granella di pisello proteico (16%

della sostanza secca della razione), farina di estrazione di girasole (10% della sostanza secca della razione) e farina di estrazione di canola in percentuale di inclusione mag- giore rispetto alla prima verifica sperimentale (11% della sostanza secca della razione). Anche in questo secondo caso il mangime contenente colza è risultato entro i limiti di legge per la presenza di fattori antinutrizionali (vedi tabella

1). Il ciclo di allevamento ha impiegato 426 suini F1 di scrofa PIC x verro Torso (HBI), suddivisi equamen- te in tre tesi sperimentali e accasati in 4 box per tesi.

Tutti i dati produttivi rac- colti nel corso della seconda prova di allevamento non hanno evidenziato diffe- renze significative all’analisi statistica tra i gruppi, né per accrescimento giornaliero, né per consumo di alimen- to e indice di conversione alimentare nelle fasi di ma- gronaggio, accrescimento e ingrasso, anche se nei suini alimentati con colza gli ac- crescimenti sono stati più bassi.

In particolare tutti gli animali si sono caratterizzati per buoni incrementi in peso (mediamente nel periodo di pro- va 740-770 grammi al giorno) e ottimi indici di conversio- ne del mangime (3,35-3,60), che in 6 mesi hanno portato i capi ad un peso vivo medio di oltre 170 kg.

Alla macellazione i suini hanno fornito carcasse di buona qualità, per omogeneità delle singole partite in termini di peso morto e tenore in carne magra. La qualità del gras-

Fig. 1 - Profili sensoriali di carni ottenute con dieta a base di girasole, colza e pisello proteico.

TAB. 1 - INCLUSIONE DI CEREALI E PROTEICHE NELLE FORMULE DEI MANGIMI E APPORTI DI PROTEINA GREZZA E LISINA.

MATERIE PRIME DIETA GIRASOLE (%) DIETA COLZA (%) DIETA PISELLO (%)

% SuLLA SoSTAnzA SECCA

45-70 kg p. vivo

70-115 kg p. vivo

115-170 kg p. vivo

45-70 kg p. vivo

70-115 kg p. vivo

115-170 kg p. vivo

45-70 kg p. vivo

70-115 kg p. vivo

115-170 kg p. vivo

Sorgo bianco 25 21,81 45 21,78 16,76 30,4 7,41 4,95 48,69

Mais 50 50 37,98 50 50 48,53 50 50 16,19

Girasole f.e. 36% PG 10 10 10 - - - - - -

Soia f.e. 47.3% PG 10,14 8,44 2,62 9,7 8,05 3,27 11,96 9,45 4,06

Colza f.e. 33% PG - - - 11 11 11 - - -

Pisello proteico - - - - - - 16 16 16

Crusca - 5 - 2,77 9,35 2,68 10 15 10,45

Proteina grezza 17,57 14,79 12,52 17,44 14,75 12,65 17,99 14,8 13

Lisina 1,07 0,9 0,70 1,1 0,93 0,73 1,11 0,93 0,73

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so di copertura delle cosce è stata valutata con i pa- rametri riferiti alla produ- zione dei prosciutti Dop:

la composizione di acidi grassi (acido linoleico infe- riore al 15%) e il numero di iodio (inferiore a 70) ri- entrano appieno nei limiti previsti dal disciplinare di produzione del Prosciutto di Parma per tutti i gruppi sperimentali. Relativamen- te alla qualità della carne, i suini alimentati con una quota di farina di estrazio- ne di canola hanno mostra- to alla misura strumentale una colorazione più rossa del muscolo semimembra- noso della coscia.

Infine, a completamento delle prove, per tutti i trattamen- ti sperimentali è stata verificata la qualità della carne fresca al consumo: all’analisi del panel di esperti non sono emerse modificazioni nel profilo sensoriale per la tenerezza e la ma- sticabilità, mentre sono state rilevate differenze per i parame- tri visivi.

L’uso di farina di estrazione di girasole è associata ad un colo- re più intenso e questa stessa dieta, così come quella contene- te pisello proteico, presenta una maggiore marezzatura della carne. L’alimentazione contenente colza all’11%, invece, ha influenzato negativamente l’aroma della carne, determinan- do la comparsa di aromi estranei e poco graditi.

Una valutazione economica

La valutazione del costo di produzione dei suini allevati nel periodo in cui sono state svolte le prove sperimentali, in par- ticolare il costo alimentare, indica che eventuali differenze sono sostanzialmente ascrivibili al mercato delle proteiche, che è ancora del tutto internazionale. Per l’uso principal- mente zootecnico i prezzi seguono, inevitabilmente, quelli della soia. Considerando i reali prezzi delle materie protei- che utilizzate, i costi di produzione più bassi si sono ottenuti con l’impiego del girasole (1,48 € per kg di peso vivo).

In sintesi i risultati di queste prove indicano che, utiliz- zando quote di inclusione nella dieta corrette e rispettan- do gli apporti energetici, proteici e amminoacidici richie- sti dal suino nelle diverse fasi di allevamento, si possono ottenere ottimi risultati produttivi anche con fonti protei- che diverse dalla soia. Questo conferma la possibilità di realizzare filiere agricole ed energetiche corte sul territorio regionale, che si integrano con la produzione suinicola di qualità presente in Emilia-Romagna.

Rilevazione pH 45’ della coscia, a livello del muscolo semimembranoso.

Stagionatura di prosciutti.

(16)

Biogas: il potenziale

energetico di miscele

con triticale e colza

MARIANGELA SOLDANO, GIUSEPPE MOSCATELLI, CLAUDIO FABBRI - Crpa Spa, Reggio Emilia

Triticale in spigatura: parcelle sperimentali.

(17)

N

ella scelta delle colture da inserire negli avvicen- damenti aziendali e nella valutazione della loro convenienza sono due gli aspetti fondamentali da prendere in considerazione: il primo concerne la produttività della coltura in campo in termini di sostanza sec- ca, il secondo la conservabilità e qualità del prodotto ottenuto e la sua conversione nel processo produttivo cui è destinato.

Il progetto “Sostenibilità delle filiere agro-zootecniche e energetiche”, realizzato con il sostegno economico della Re- gione Emilia-Romagna, ha preso in considerazione diversi prodotti e sottoprodotti di colture cerealicole e da olio a di- versa destinazione d’uso, fra cui la produzione di biogas. A tale scopo sono state condotte prove con miscele di prodotti cerealicoli (triticale e colza), che sono state valutate sotto il profilo della conversione in biogas.

Come si valuta l’indice BMP

Nel caso in cui la produzione agricola sia destinata alla con- versione in biogas, la valutazione può essere condotta in la- boratorio utilizzando una tecnica analitica specificata che prevede di verificare il Potenziale Metanigeno Biochimico o BMP, acronimo dall’inglese Biochemical Methane Potential.

Questo parametro esprime la quantità massima di biogas/

metano potenzialmente ottenibile dalla degradazione di una biomassa ed è espresso in Nm3/kgSV, cioè metri cubi di bio- gas per chilogrammo di solidi volatili ovvero di sostanza or- ganica. Accanto al volume di biogas producibile l’analisi deve sempre riportare anche la percentuale di metano presente nel biogas, in quanto è questo il componente utile per la conver- sione energetica.

L’analisi del BMP con “metodo statico” viene condotta in laboratorio simulando in un ambiente controllato quanto avviene in un digestore anaerobico. La biomassa viene dap- prima analizzata e poi miscelata con un inoculo “affamato”, cioè un substrato organico predigerito e proveniente da un impianto che possibilmente stia già utilizzando la biomassa da valutare, e con una soluzione di sali (per tamponare la produ- zione di acidi e fornire i micronutrienti essenziali al corretto sviluppo del consorzio batterico).

La miscela viene riposta in un piccolo digestore, tipicamente una bottiglia da 1.000-1.500 millilitri, la cui forma dipende dalla tipologia di prodotto da analizzare, posizionata in un ambiente termostatato in cui viene mantenuta costante la temperatura di processo (foto a fianco). Accanto al digestore

utilizzato per la conduzione del test occorre prevedere un secondo test con il solo inoculo, in modo da poter sottrarre alla produzione di biogas della miscela l’effetto di produzio- ne residua dell’inoculo stesso.

Il processo si innesca rapidamente, grazie alla presenza del- la flora microbica presente nell’inoculo, e la produzione di biogas inizia sin dai primi giorni del test. La curva di pro- duzione cumulativa di biogas presenta, normalmente, una prima parte di crescita intensa, per poi ridurre la velocità in una seconda fase, sino a tendere nell’ultima parte ad un asintoto orizzontale, che rappresenta il valore massimo di produzione.

Dispositivo progettato dal CRPA LAB - Sezione Ambiente ed Energia, per la determinazione del BMP con test statico: armadio termostatato e reattori della digestione anaerobica.

(18)

Le rese in metano delle matrici in prova

Dai risultati si evince che le matrici testate sono di notevole interesse per essere destinate alla digestione anaerobica, in quanto sono ricche di sostanza organica altamente degra- dabile. I valori di potenziale biochimico metanigeno otte- nuti sono elevati (vedi tabella 1): il risultato migliore si è ottenuto per il miscuglio triticale (cv Trimour) + pisello proteico (cv Isard), con un valore pari a 146,2 Nm3 di CH4/t di prodotto tal quale, probabilmente dovuto alla quota proteica presente. Il contenuto di azoto totale risulta

infatti superiore rispetto alle altre due tesi con solo triticale ed è stato pari all’1,8% della sostanza secca, ovvero l’11,3%

di contenuto proteico. Le due tesi di triticale, cv Agrano e Trimmer, hanno ottenuto rese in metano simili, pari rispet- tivamente a 113,2 e 119,9 Nm3 di CH4/t tq.

Per valutare la potenzialità produttiva di un cereale insilato viene comunemente calcolato un parametro denominato

“Silomais equivalente - SMeq” che esprime la quantità di insilato di mais standard (SMst) necessaria per produrre lo stesso volume di metano (per silomais standard si intende un prodotto con un contenuto di sostanza secca pari al 33%, 4% di ceneri e BMP pari 110,9 m3 CH4/t tq). Nel

Operazioni di insilamento di biomassa.

(19)

caso specifico, e per tutte le tesi considerate, tale parametro è risultato pari mediamente a 1,1 t/t SMst, ovvero tutte le tesi risultano come potenziale energetico leggermente supe- riori al silomais standard di riferimento: ciò è dovuto sia alla buona resa in metano, sia al maggiore contenuto di sostanza secca nel prodotto.

Per quanto riguarda invece il colza, è stata valutata la con- versione di biogas del relativo panello ottenuto dopo spremi- tura meccanica (vedi tabella 2). Sono stati valutati i panelli provenienti dai semi di due cultivar (Excalibur e Vectra): il potenziale biochimico metanigeno ottenuto con Excalibur è risultato pari a 324,9 Nm3 di CH4/t di prodotto tal quale,

mentre quello ottenuto con Vectra è stato di 338,4 Nm3 di CH4/t di prodotto tal quale. Anche in questo caso il con- fronto con il silomais ha portato ai seguenti valori indice:

2,93 t/t SMst per la cultivar Excalibur e 3,05 t/t SMst per la cultivar Vectra.

Considerando le produzioni per ettaro delle colture va- lutate, ne deriva che con i miscugli di triticale potrebbe- ro essere prodotti mediamente 3.600 m3CH4/ha, pari a circa il 58% di quanto potenzialmente producibile con la coltivazione di mais da insilato (6.000-6.500 m3CH4/ ha), mentre per il panello di colza la produzione è di 640 m3CH4/ha.

TAB. 1 - PRODUZIONE E qUALITà DEL BIOGAS OTTENIBILE CON INSILATI DI TRITICALE E MISCUGLI.

TESI

SoSTAnzA SECCA (ST)

SoSTAnzA

oRGAnICA (SV) AzoTo ToTALE PoTEnzIALE In

METAno SMeq(*)

[% tal quale] [% ST] [% ST]

[nm3CH4/t

tal quale] [t/t SMst]

Triticale - Agrano 36,6 93,8 1,4 113,2 1

dev.St. 1,7 0,2 0 12,9 0,1

cV 4,75% 0,20% 3,34% 11,42% 11,58%

Triticale Trimour+pisello Isard 39,8 93,9 1,8 146,2 1,3

dev.St. 0,4 0,2 0,1 2,9 0

cV 1,01% 0,18% 7,57% 1,98% 1,91%

Triticale-Trimmer 40,9 94 1,4 119,9 1,1

dev.St. 0,2 0,5 0 9,4 0,1

cV 0,39% 0,57% 2,53% 7,85% 8,07%

(*) quantità di silomais equivalente (SMeq), considerando un insilato di mais standard (SMst): 33% di solidi totali (ST), 4% di ceneri e BMP pari a 350 m3CH4/tSV, ovvero 110,9 m3 CH4/t tq.

TAB. 2 - PRODUZIONE E qUALITà DEL BIOGAS OTTENIBILE CON PANELLO DI COLZA.

TESI

SoSTAnzA SECCA (ST)

SoSTAnzA

oRGAnICA (SV) AzoTo ToTALE PoTEnzIALE In

METAno SMeq(*)

[% tal quale] [% ST] [% ST]

[nm3CH4/t

tal quale] [t/t SMst]

Excalibur 88,01 94,1 5,85 324,9 2,93

dev.st 0,45 0,08 0,12 7,5 0,07

cV 0,51% 0,09% 2,05% 2,30% 2,20%

Vectra 87,86 94,1 5,72 338,4 3,05

dev.st 0,47 0,09 0,11 23,9 0,22

cV 0,53% 0,10% 1,92% 7,06% 7,04%

(*) quantità di silomais equivalente (SMeq), considerando un insilato di mais standard (SMst): 33% di solidi totali (ST), 4% di ceneri e BMP pari a 350 m3CH4/tSV, ovvero 110,9 m3 CH4/t tq.

(20)

L

e attività sperimentali presentate in questo supple- mento sono state completate dalla valutazione della sostenibilità ambientale dei processi produttivi, rife- riti soprattutto alle materie prime per l’alimentazione dei suini e alle colture energetiche da utilizzare come “car- burante” per gli impianti di digestione anaerobica.

Per la valutazione degli impatti ambientali è stata appli- cata la metodologia Life Cycle Assessment (LCA - Analisi del ciclo di vita). Tale metodo prende in considerazione in primo luogo le emissioni e il consumo di risorse nella fase produttiva, ma prevede anche la quantificazione dei carichi energetici ed ambientali e dei potenziali impatti associati

ad un determinato prodotto/processo nel suo intero ciclo, dall’acquisizione delle materie prime al fine vita (“dalla culla alla tomba”). Tra le categorie di pressione ambientale previste dalla LCA, in questa indagine è stato considerato il cambiamento climatico, ossia si è valutata quella che vie- ne comunemente definita l’impronta del carbonio (Carbon footprint).

In termini pratici il lavoro si è tradotto nella stima del- le emissioni di gas ad effetto serra delle filiere oggetto di studio. Per ciascuna fase della filiera sono state valutate le emissioni di CO2 equivalente, che è per convenzione l’unità di misura che permette di quantificare in modo univoco

La “Carbon footprint”

DELLE COLTURE IN PROVA

STEFANO PIGNEDOLI, LAURA VALLI – Crpa Spa, Reggio Emilia Coltivazione di sorgo.

Wikimedia

(21)

l’impatto di tutti i gas detti “climalteranti” o a effetto ser- ra” (GHG), che di fatto sono responsabili del riscaldamento globale della terra. In questo fenomeno, infatti, non è coin- volta solo la CO2, ma anche altri gas come il metano (CH4) il cui effetto di riscaldamento globale GWP (Global War- ming Potential) è equiparabile a 25 volte quello della CO2, o il protossido di azoto (N2O), il cui effetto è addirittura 298 volte quello della CO2.

Un metodo per calcolare le emissioni di gas serra

Per il calcolo dell’impronta del carbonio è stato utilizzato il programma SimaPro 7.3.2. ll metodo di valutazione scelto è stato: IPPC 2007 GWP 100a. I dati tecnici utilizzati hanno riguardato: le rese produttive, i mezzi tecnici impiegati (fertiliz- zanti, prodotti fitosanitari, sementi, ecc.), i consumi energetici, le attrezzature impiegate e i tempi di lavoro relativamente alle diverse operazioni colturali (preparazione del terreno, semina, distribuzione fertilizzanti e prodotti fitosanitari, raccolta, ecc.).

L’unità funzionale, ossia l’unità di riferimento rispetto alla quale sono stati calcolati gli impatti ambientali, è il chilogram- mo di sostanza secca di prodotto utile: granella o pianta intera a seconda della destinazione produttiva.

I confini del sistema includono tutte le fasi di produzione:

coltivazione, raccolta, trasporti dal campo al centro di stoc- caggio. Non sono state considerate le eventuali lavorazioni successive alla produzione della pianta intera (per le colture da foraggio/produzione energetica) o della granella (per le colture da granella).

Ogni caso esaminato presenta sue peculiarità: per semplifi- care, si è deciso di presentare solo alcuni dei valori medi de- sunti dalle prove ritenute più significative, tenendo presente che tali dati sono suscettibili anche di notevoli cambiamen- ti in presenza di diverse condizioni ambientali e di lavoro.

Nella tabella 1 a pag. 22 sono riassunti i risultati medi di impronta di carbonio espressi in kg CO2-eq/t s.s. e le rese produttive in t s.s./ha dei casi più significativi.

Sulle colture indicate nella tabella le banche dati mondia- li hanno già pubblicato una serie di dati relativi ai fatto- ri emissivi; con questo lavoro si è cercato di produrre dati originali a livello nazionale, introducendo per molte delle colture indagate tecniche agronomiche a basso impatto, fi- nalizzate a contenere sia i costi di produzione, sia le emissio- ni in atmosfera.

Il quadro dei valori riscontrati

I risultati ottenuti confermano che le tecniche che prevedono la minima lavorazione, la limitazione dell’uso di fertilizzanti chimici e dei trattamenti con prodotti erbicidi o antiparassitari riducono in modo significativo gli impatti ambientali dovuti alle emissioni di gas serra. Ad esempio, il valore relativamente basso riscontrato nel frumento, 230 kg CO2-eq/t s.s., è do- vuto, oltre che alle buone rese, anche al fatto che, nella metà dei casi, è stata effettuata la semina su terreno sodo, mentre nell’altra metà l’aratura è stata sostituita da lavorazioni al- ternative.

È stato inoltre rilevato che l’utilizzo di effluenti zootecnici, nello specifico di digestato, proveniente da un impianto di bio- gas, in alternativa alla concimazione chimica, può determina- re un abbassamento degli impatti. Ad esempio, in una prova su mais dove la concimazione prevedeva 500 kg/ha di urea e 100 kg/ha di perfosfato, le emissioni sono state quantifi- cate in 166 kg CO2-eq/t s.s.; in un altro caso, fertilizzando il mais mediante interramento di 70 m3/ha di digestato e spandendo solo 50 kg/ha di urea, il valore delle emissioni è stato di 113 kg CO2-eq/t s.s. (grafico sotto).

La minore emissione deriva sia dal ridotto impiego di fer- tilizzanti di sintesi e, di conseguenza, delle emissioni legate alla loro produzione, sia dalle modalità di applicazione con rapido interramento. Il beneficio ambientale dell’interra- mento degli effluenti non è legato unicamente alla riduzione

Impronta del carbonio (kg CO2-eq/t s.s.) per le diverse fasi di produzione di mais da biomassa nel caso di utilizzo di fertilizzante di sintesi e di digestato.

(22)

delle emissioni di GHG, quanto soprattutto alla riduzione delle emissioni di ammoniaca, che a loro volta hanno un effetto indiretto sulle emissioni di N2O.

Riguardo ai prodotti che concorrevano alla formulazione delle razioni per le prove dei suini all’ingrasso, non si sono ri- scontrate differenze significative di impatti ambientali relativi alle emissioni di GHG tra le diverse razioni che contenevano percentuali di colza, girasole, pisello e soia. Maggiori impat- ti si sarebbero verificati se avessimo sostituito pisello, colza, girasole e soia locale con soia importata. Infatti i valori delle emissioni calcolati per questi prodotti locali risultano signi- ficativamente più bassi di quelli della soia di provenienza

estera. Se infatti prendiamo come riferimento i valori risul- tanti dalla banca dati Ecoinvent, troviamo ad esempio per la soia brasiliana valori di 1.700 kg CO2-eq /t s.s.

Il valore elevato della soia prodotta in Brasile è, in parti- colare, dovuto all’importante deforestazione che ha subito il territorio per aumentare le aree coltivabili. Tecniche di coltivazione spinte, deforestazioni, elevate distanze di tra- sporto favoriscono la soia prodotta in loco dal punto di vi- sta del rispetto dell’ambiente, anche a fronte di una minor produttività e competitività sul fronte economico. Bisogna comunque sempre tener presente che il confronto con altre esperienze deve essere considerato con una certa cautela, a causa delle differenti condizioni operative, delle differenti rese e delle diverse modalità di conduzione agronomica.

Meno input tecnici,

meno impatto sull’ambiente

Il lavoro svolto, pur nella sua limitatezza spaziale e tempora- le, ha confermato che il basso livello di input tecnici, siano essi legati alle lavorazioni, alla distribuzione di prodotti erbicidi o antiparassitari o alle fertilizzazioni, è un fattore determinante per contenere le emissioni. Questa considerazione è sempre vera se si valutano le emissioni basando la stima sull’unità di superficie; in altre parole limitare gli input di mezzi tecnici ed energetici equivale a ridurre in modo proporzionale le emissioni di gas climalteranti dalle superfici coltivate.

Se invece si considerano le emissioni per unità di prodotto, cioè nel nostro caso per chilogrammo di granella o biomas- sa, oltre al livello degli input energetici e di mezzi tecnici entra in gioco, nel determinare le emissioni, anche il livello produttivo: semplificando si può affermare che, a parità di input tecnici, produzioni elevate permettono di ottenere signi- ficative riduzioni delle quantità di emissioni, poiché queste ul- time vengono distribuite su volumi maggiori di prodotto.

A livello più generale, dai risultati ottenuti si può evincere un buon livello di sostenibilità degli avvicendamenti speri- mentati, così pure delle razioni utilizzate nell’allevamento suino; razioni che contenevano alcune delle materie pri- me di provenienza nazionale considerate nel monitoraggio aziendale. Tale sostenibilità viene poi rafforzata dall’utilizzo di produzioni locali in sostituzione della soia proveniente d’Oltreoceano; in questo caso alla differenza degli impatti derivanti dalla coltivazione, si aggiungono anche gli effetti negativi dovuti al trasporto e alla deforestazione.

TAB. 1 - EMISSIONI DI CO2 EqUIVALENTE E RESE PRODUTTIVE DI ALCUNE COLTIVAZIONI (VALORI MEDI).

COLTURA PRoDoTTo

EMISSIonI kg Co2-eq/t s.s

RESA t s.s/ha

Colza solo granella 410 2,7

Frumento solo granella 230 6,0

Girasole solo granella 450 3,1

Pisello solo granella 340 3,9

Soia solo granella 270 3,6

Mais pianta intera 140 19,8

Sorgo pianta intera 160 12,8

Triticale pianta intera 190 8,5

Sistema di distribuzione del biodigestato a basso impatto ambientale.

(23)
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Supplemento ad “agricoltura” n. 5 - maggio 2012 direttore reSponSabile: Franco Stefani reg. trib. di bologna n. 4269 del 30 - 3 - 1973 progetto grafico e impaginazione: Satiz, moncalieri (to)

Stampa: ilte spa, moncalieri (to)

Agricoltura, zootecnia, bioenergie

La sostenibilità

delle filiere produttive

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