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Le mutue sanitarie nell’organizzazione della domandaper l’integrazione sociosanitaria al servizio pubblico

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SANIT – FORUM INTERNAZIONALE DELLA SALUTE - ROMA, 12 GIUGNO 2012

Le mutue sanitarie nell’organizzazione della domanda per l’integrazione sociosanitaria al servizio pubblico

Placido Putzolu, presidente Fimiv

1. PREMESSA/IL RUOLO DELLA MUTUALITÀ

Il Progetto Salute Legacoop si propone di promuovere e favorire lo sviluppo di un modello mutualistico-cooperativo in cui ciascun soggetto coinvolto possa assumere e svolgere un ruolo coerente con la propria missione. Alle mutue è assegnato il compito di mettere in atto strategie di coinvolgimento della comunità, che consentano di allargare la base associativa e di conseguire un rapporto contributi/erogazioni sostenibile per affrontare le nuove sfide della copertura della spesa sanitaria crescente.

Cos’è la mutualità volontaria

La mutualità è un patto di reciproco aiuto tra individui interessati al soddisfacimento di bisogni comuni e vincolati da obblighi reciproci.

Come prevede la legge di riferimento (n. 3818 del 1886), le società di mutuo soccorso debbono svolgere principalmente attività di sussidio ai bisogni assistenziali sociali e/o sanitari dei soci e dei loro familiari a seguito di malattia, inabilità al lavoro o decesso.

Negli ultimi anni le società di mutuo soccorso che svolgono attività sanitaria-socioassisten- ziale (mutue sanitarie) sono cresciute per numero di associati, per servizi innovativi offerti, per contributi raccolti, fornendo tutele e sussidi e mettendo a disposizione degli associati una rete di strutture sanitarie e sociali qualificate convenzionate a tariffe agevolate, alla quale possono accedere i soci ed i loro familiari.

Come la mutualità delle società di mutuo soccorso è integrativa?

Il concetto di integrazione ha assunto nel nostro tempo un significato ampio e diversificato per ambiti di riferimento.

L’integrazione al SSN che la mutualità offre si misura con la capacità di compensare i costi di compartecipazione alla spesa sanitaria (ticket) che il servizio pubblico pone a carico dei cittadini oppure gli oneri per l’accesso alla libera professione intramuraria e a prestazioni e servizi esclusi dai LEA.

Rispetto alle politiche territoriali l’integrazione sociosanitaria è un processo di avvicinamento e supporto reciproco tra servizi sociali e sanitari finalizzato ad una maggiore efficacia dell’assistenza verso il malato, soprattutto a livello domiciliare. In questo ambito il supporto economico offerto dalla mutualità ai soci, può favorire il processo di integrazione proficua dei servizi assistenziali a

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domicilio (quali quelli offerti dalla cooperazione sociale) e garantire una protezione efficace nella postacuzie (dimissioni precoci).

E’ quindi importante modulare l’accezione del termine “integrazione” rispetto agli interlocutori in modo da comprenderne più direttamente necessità e soluzioni.

2. IL WELFARE DEL FUTURO

Il sistema di welfare italiano è destinato a subire una mutazione genetica, dai contorni in gran parte ancora indefiniti. Di sicuro, però, la componente pubblica dovrà contrarsi di pari passo con la riduzione della disponibilità di risorse pubbliche per prestazioni sociali.

Pur tenendo conto delle diverse realtà regionali, è un fatto che l’accesso alle tutele sanitarie e sociosanitarie nel nostro paese è generalmente a rischio perché i bisogni crescono e il soggetto pubblico fa sempre più fatica a sostenere, nella continuità, il ruolo di pagatore delle assistenze erogate.

Sul finanziamento della spesa sanitaria, è noto che, parallelamente alla spesa pubblica (RIF DATI RELAZIONE GEMELLI), è presente in Italia una spesa privata (pari a oltre 30 miliardi di euro) che si caratterizza per essere più alta rispetto a tutti i Paesi dell’area Euro sostenuta per la maggior parte di tasca propria dai cittadini (82%), mentre il 13,9% è veicolato dai fondi integrativi sanitari (settore

in forte crescita) e solo il 3,7% dalle assicurazioni.

L’out of pocket è indirizzato soprattutto alle spese per farmaci, visite specialistiche e cure domiciliari di lunga durata.

La spesa per l’assistenza, invece, comprende una serie di voci eterogenee ed i finanziamenti derivano da più istituzioni: lo Stato, le Regioni, i Comuni, l’Europa attraverso fondi dedicati, le Fondazioni attraverso le donazioni: un sistema complesso di rivoli finanziari con le più diversificate forme di accesso da parte dei cittadini. Sono comprese in questo settore, che vale circa 30-32- miliardi di euro, prestazioni economiche erogate a cittadini in possesso di determinati requisiti di legge (reddituali, età, sanitari,) indipendentemente dal fatto che gli aventi diritto abbiano versato contributi previdenziali e assistenziali:assegni sociali, assegni di invalidità, pensioni di inabilità, indennità di frequenza, pensioni per ciechi totali e parziali, pensione per sordi, indennità di comunicazione, assegni per nuclei familiari disagiati.

Su questa spesa si abbatteranno i provvedimenti recenti di stabilizzazione finanziaria, mentre dalla riforma dell’assistenza (assegni di invalidità, pensioni di reversibilità) dovranno ottenersi, entro il 2014, risparmi per 20 miliardi di euro, pena il taglio di tutte le agevolazioni fiscali vigenti.

Il tema è di strategica importanza in un Paese, l’Italia, dove nel 2011, la popolazione di soggetti di età eguale o superiore a 65 anni è di 12.301.537 persone, pari al 20.3% del totale della

popolazione di 61.016.804 abitanti ed i trend demografici evidenziano per il prossimo futuro un aumento della popolazione anziana fino ad oltre il 30% della popolazione totale con un incremento di quella ultrasettantacinquenne (+25%, pari a più di 1.400.000 persone soprattutto donne nei prossimi 10 anni).

I soggetti anziani non autosufficienti gravi nel nostro paese sono oltre 1 milione, al quale

aggiungere almeno 400.000 soggetti più giovani, al di sotto comunque del 65esimo anno di età, ed il loro numero è destinato ad aumentare nei prossimi anni, anche prevedendo il più “roseo” degli scenari.

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3. FONDI SANITARI INTEGRATIVI

In questo contesto, nel nostro Paese, come accennato, si inseriscono i fondi sanitari integrativi (casse, fondi di categoria e società di mutuo soccorso) definit quali “Organizzazioni

prevalentemente private, variamente nominate, che raccolgono, su base volontaria, risparmio dei singoli cittadini o di gruppi di cittadini o risparmio di tipo contrattuale, al fine di fornire prestazioni che integrano quelle assicurate dal Servizio sanitario nazionale, secondo modalità non orientate al profitto”. (Mastrobuono I, Guzzanti E., Cicchetti A., Mazzeo M.C. II finanziamento delle attività e delle prestazioni sanitarie. Il ruolo delle forme integrative di assistenza. Roma:Il Pensiero Scientifico Editore, 1999).

Ormai in tutti i contratti di lavoro sono previste forme integrative di assistenza per i dipendenti.

All’anagrafe dei fondi istituita nel 2010 presso il Ministero della salute, nel 2011 si sono iscritti 293 fondi, di cui 254 con attestato per accedere alle agevolazioni fiscali previste dalla normativa. Il numero degli iscritti è stato dichiarato solo dal 69% dei fondi (201 in tutto) per un totale di 3.367.000 persone su un totale stimato di 5 milioni di aderenti.

In quasi tutti i casi le prestazioni erogate dai fondi sono le stesse del Servizio sanitario nazionale, si tratta cioè di fondi sosttutvi che in percentuali diverse erogano prestazioni non comprese nei livelli essenziali di assistenza.

La disciplina dei fondi integrativi è costellata da numerosi provvedimenti legislativi, spesso tra loro contraddittori ma è con la legge n 244 del 2007 ( Legge Finanziaria per il 2008 art.1, comma 197), ed il successivo decreto del 31 marzo 2008, frutto del lavoro della Commissione nominata allora dal ministro Turco, che si gettano le basi concrete per lo sviluppo dei fondi attraverso tre azioni fondamentali: l’estensione degli ambiti di intervento dei fondi alle prestazioni sociosanitarie, maggiormente gravate oggi dai tagli alla spesa soprattutto sociale, l’armonizzazione fiscale con la deduzione fino a 3.615,20 euro, la costituzione dell’Anagrafe dei fondi presso il Ministero della salute. Particolare rilievo, nell’ambito di intervento dei fondi, quello di garantire prestazioni sociosanitarie e di assistenza odontoiatrica nella misura non inferiore al 20 per cento

dell’ammontare complessivo delle risorse destinate a tutte tutte le prestazioni garantite ai propri assistiti.

Le società di mutuo soccorso sono riconosciute quali font isttutve e gestonali di fondi sanitari sia “chiusi” (di derivazione negoziale) sia aperti (territoriali), in quanto possono surrogare la mancata regolamentazione del fondi sanitari integrativi aperti, avvalendosi dei propri istituti normativi e di un vantaggio fiscale proprio (detraibilità).

Se non si interviene ad innescare meccanismi contributivi di tipo associativo solidaristico a compensazione del divario, il rischio più prossimo è una frattura sociale sull’equità dei livelli di tutela. È invece pratica costitutiva delle società di mutuo soccorso, qualora istituiscano un fondo sanitario o ne gestiscano uno, il mantenimento del rapporto associativo anche dopo l’uscita del lavoratore dallo stesso fondo per le più diverse ragioni e la sua presa in carico rientra nella sussidiarietà generale e circolare espressa dalle adesioni individuali.

Il vincolo imposto ai fondi sanitari ex art. 51 del Tuir, di inserire una quota minima di risorse destinate a prestazioni esclusivamente integrative al Ssn (socio-sanitarie e/o odontoiatriche) pari al 20% delle risorse complessivamente destinate a tutte le prestazioni, rappresenta un primo, parziale tentativo di orientare la sanità complementare negoziale verso l’integrazione al servizio pubblico.

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Un adeguamento necessario, ma ancora insufficiente a colmare le disparità: la significativa limitazione di intervento riservata ai fondi aperti integrativi del Ssn nel confronto con i fondi chiusi determina la percezione di un minor vantaggio che non ne aiuta lo sviluppo.

Appare importante, invece, sviluppare la connessione e l’integrazione dei fondi con le realtà isttuzionali del territorio (Regioni, Comuni, ASL ed altri enti territoriali ed i soggetti socialmente responsabili (cooperative) o che operano nel mondo del non profit), passando anche attraverso la costituzione di Osservatori Regionali per sperimentare modelli di sviluppo dei

fondi/mutue/assicurazioni, anche differenziati per regione o macro aree geografiche (Nord, Centro, Sud), che tengano conto della specificità delle singole realtà.

3. MUTUALITÀ QUESTIONE EUROPEA

Le società di mutuo soccorso e le mutue sanitarie riunite nella Fimiv hanno rafforzato e innovato la loro presenza, sulla base di valori e i principi di riferimento immutati nel tempo:

 Assenza assoluta di fini lucrativi;

 Non discriminazione delle persone assistite;

 Principio della porta aperta: tutti possono aderire ad una Mutua a prescindere dalle condizioni di salute;

 Rinuncia al recesso: le società di mutuo soccorso non possono mandare via nessuno dei propri soci anche se anziani o malati;

 Partecipazione democratica alla amministrazione della Società.

Per attrezzarsi adeguatamente al nuovo scenario di riferimento, le principali mutue sanitarie hanno sviluppato una politca di sistema che hanno generato azioni fortemente innovative:

- innanzitutto, adeguando le tutele in campo sociosanitario e socio assistenziale ai nuovi bisogni dell’utenza;

- quindi sviluppando una collaborazione attiva con gli erogatori di servizi sociosanitari, con particolare attenzione alla cooperazione sociale;

- sono stati stipulati accordi con centri e strutture sanitarie diffuse in tutto il territorio nazionale, creando una rete convenzionata in grado di corrispondere servizi competitivi a tariffe preferenziali;

- aggregare funzioni e servizi, anche attraverso strutture consortili. In Italia, attraverso il Consorzio nazionale Mu.Sa composto dalle principali mutue sanitarie aderenti a Fimiv/Legacoop e, in ambito europeo, con la costituzione di una Società Cooperativa Europea (Fondo Salute SCE), anch’essa aderente a Legacoop, frutto della partnership tra la Società nazionale di mutuo soccorso Cesare Pozzo ed il gruppo mutualistico francese Harmonie Mutuelles.

Nei paesi europei, in cui la riflessione sugli spazi di responsabilità per la tutela della salute ha favorito forme individuali e collettive per la copertura dei costi di partecipazione ai diversi sistemi, soprattutto nel campo delle cure di lunga durata, la mutualità è molto diffusa e consistente.

Il recente rapporto della Commissione Affari Economici e Sociali, del Parlamento Europeo, discusso nel 2011 per sollecitare la Commissione UE a riaprire il dossier sullo Statuto della mutua europea,

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indica che le Mutual Benefit insieme alle Mutual Insurance europee offrono coperture sociali e sanitarie a 230 milioni di cittadini europei, rappresentano 180 miliardi di quote associative, con cui direttamente o indirettamente forniscono ai propri soci e ai loro familiari servizi, prestazioni, copertura delle diverse forme di copayments, mentre le sole Benefit Mutual Societies (società di mutuo soccorso) presenti sul territorio europeo offrano servizi sanitari e sociali a oltre 160 milioni di cittadini, assorbendo circa 350 mila occupati.

La forma mutualistica è riconosciuta nella maggior parte degli Stati membri anche se le legislazioni nazionali che orientano l’operato delle Mutue Sanitarie presentano numerose differenziazioni.

4. SUSSIDIARIETÀ E DIRITTI

La crisi del welfare si manifesta in molti modi, ma non deve far dimenticare che nel sistema pubblico c'è ancora molto da salvare. Siamo quindi per la difesa e lo sviluppo del sistema pubblico e contro le ipotesi che ne prevedono un sostanziale ridimensionamento e una progressiva privatizzazione, aprendo spazi crescenti a ipotesi di cosiddetto privato-sociale o, peggio, o di affermazione del principio assicurativo al posto del diritto universale.

La sostenibilità dei diritti trova nei corpi sociali intermedi, che praticano il mutuo aiuto, che mettono cioè al centro la persona con i suoi bisogni e le sue responsabilità, una opportunità di compensazione e strumenti più efficaci per contenere la compressione di quelle sicurezze a cui lo stato sociale ha abituato le persone per decenni.

La riscoperta degli elementi che stanno alle origini del movimento mutualistico (come pure della cooperazione) può essere determinante per una risposta non regressiva e di mercato alla crisi dei sistemi pubblici di welfare. In particolare, il principio di solidarietà, su cui si fondano le nostre radici, può essere un solido fondamento sul quale costruire una controtendenza alla deriva in corso verso la marginalità e la crescita di diseguaglianze e divisione sociale.

E’ possibile oggi pensare di costituire una mutua sanitaria integrativa territoriale come un fondo collettivo di comunità nel quale far convergere i contributi derivati sia dalla contrattazione aziendale sia dal risparmio dei singoli cittadini: sarebbe così possibile valutare l’effettiva incidenza delle risorse private complessivamente investite in prestazioni integrative al servizio pubblico, determinarne le ricadute sul territorio ed assumere gli eventuali correttivi nei tempi e nei modi più opportuni.

Fare massa critica in questo ambito significherebbe per l’utenza acquisire capacità negoziale nei rapporti di convenzionamento con le strutture erogatrici, stabilire un sistema di bilanciamento delle risorse e delle prestazioni tra pubblico e privato a maggiore garanzia di sostenibilità e di evoluzione dei servizi.

E’ passato quasi un secolo, ma i soggetti coinvolti sono gli stessi: le società di mutuo soccorso e lo stato, la mutualità volontaria e il servizio pubblico universalistico. Allora le circostanze storiche, ambientali, ideologiche non hanno consentito di intraprendere un percorso condiviso. Oggi l’occasione si ripropone: servizio pubblico e integrazione mutualistica volontaria possono trovare lo spirito di una rinnovata collaborazione nel filo conduttore della sussidiarietà.

In conclusione (cfr. Stefano Zamagni, Prefazione di “Il ruolo delle mutue sanitarie integrative”, Il Mulino 2012)

È all’interno di un quadro del genere che, in anni recenti, si è imposta, nel dibattito pubblico, la questione della libertà di scelta da parte del consumatore di prestazioni sanitarie. Tanto che è a questa nozione che sempre più si fa riferimento per differenziare tra loro i diversi modelli sanitari.

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Ma chi è il soggetto cui riferire la libertà di scelta? Tre sono le posizioni che è possibile distinguere nel dibattito corrente.

Secondo una prima, favorita da chi si riconosce nella tesi dello stato sociale come «stato dei trasferimenti», il consumatore di servizi sanitari è un mero utente degli stessi e pertanto un soggetto la cui unica reale opzione di scelta è quella della protesta.

Una seconda posizione, di matrice liberal-individualista, è quella del consumatore come cliente: un soggetto che, essendo dotato di potere d’acquisto, esercita una vera e propria sovranità. Compresa la possibilità di impiego dell’opzione «uscita».

Infine, c’è la posizione, di derivazione dalla teoria dei diritti, che pensa al consumatore come cittadino, il quale non si limita a consumare i servizi che preferisce, ma «pretende» di concorrere a definire e talvolta a produrre, con i vari soggetti di offerta, i pacchetti di prestazioni.

Non è difficile cogliere le implicazioni delle tre posizioni. La prima condurrebbe ad una riproposizione, sia pure in versione aggiornata, del modello statalista di welfare sanitario. Mentre è veramente troppo poco declinare il concetto di libertà di scelta con riferimento alla figura del consumatore-cliente. Anche perché non sempre nel mercato sanitario – che è tipicamente un mercato locale – può esistere una pluralità di soggetti di offerta: ad esempio, chi vive fuori dai grossi centri urbani – e in Italia il 60% circa della popolazione si trova in tale condizione – non ha che l’ospedale locale nel proprio insieme di scelta!

È alla figura del consumatore-cittadino che le mutue sanitarie integrative reputano necessario applicare il principio della libertà di scelta. Concretamente, questo significa che l’organizzazione della sanità deve riconoscere ai soggetti – sia individuali sia collettivi – quella capacità, vale a dire quell’empowerment che consente loro di diventare partner attivi nel processo di programmazione sanitaria e nella adozione delle conseguenti scelte strategiche. A sua volta ciò presuppone che la società civile si organizzi in maniera acconcia se si vuole trovare il modo di convertire il bisogno di salute in una domanda di prestazioni sanitarie che sia rispettosa dell’autonomia personale. In buona sostanza, il passaggio culturale da favorire è quello dalla libertà come potere di autodeterminazione – secondo cui la libertà di scelta è valutata per ciò che essa ci consente di fare o di ottenere – a quello della libertà come potere di autorealizzazione, secondo cui la libertà ci interessa perché ci consente di affermare la nostra dignità. Quanto a dire che mentre la negazione della libertà come autodeterminazione ci sottrae utilità, la negazione della libertà come autorealizzazione ci toglie dignità il che è certamente più grave.

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