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STORIA DELL ARCIERIA ISLAMICA (Parte I)

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STORIA DELL’ARCIERIA ISLAMICA (Parte I)

da “Arcosophia”, 2(2005)

1. Dalle origini alla prima Crociata: l’apporto delle di- verse popolazioni.

Con la definizione di arcieria islamica, si vuole qui indicare la vasta raccolta di fatti e di tradizioni scritte ed orali che fecero par- te del mondo islamizzato, dall’Egira fino alla caduta dell’impero ottomano. In quest’ampio scenario geo-storico unificato dall’Islam e dalla lingua araba, si può delineare una prima netta distinzione tra due aree geografiche all’interno delle quali diverso peso e ruolo ebbe la tradizione arcieristica. Da una parte l’area a- raba propriamente detta, con le popolazioni beduine della peniso- la omonima, l’Egitto, il Maghreb e la Palestina; dall’altra, le regio- ni orientali dell’espansione islamica: Siria, Iraq, Persia ecc. in- fluenzate dalla presenza turca.

Certamente, le tribù arabe che sotto la guida del Profeta ini- ziarono la conquista dell’Oriente, non erano dotate d’archi com- positi, né facevano un largo uso dell’arco in battaglia. I cavalieri beduini praticavano un tipo di equitazione detta al-karr wa-l-fan (“carica e fuga”), con lancia e spada ma non erano avvezzi al tiro con l’arco da cavallo. Tuttavia, il confronto-scontro con i popoli vicini, tutti abili arcieri – dai Bizantini ai Persiani ai popoli delle steppe euroasiatiche — contribuì notevolmente all’adeguamento alle loro tecniche e all’assimilazione delle abilità di quest’ultimi nella cultura militare araba.

Lo stesso Maometto probabilmente si rese conto della necessi- tà che i suoi uomini fossero in grado di opporre agli avversari

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un’adeguata risposta su tale terreno, e i suoi sforzi furono presto tesi ad incoraggiare la pratica dell’arciera tra di loro. Di qui deriva la ricca tradizione religiosa tesa alla propagazione dell’arcieria qua- le elemento essenziale del jihad (la guerra santa).

Secondo la tradizione, l’arco fu donato da Allah ad Adamo at- traverso l’intercessione dell’arcangelo Gabriele affinché questi po- tesse difendere il suo raccolto dai corvi. Da Adamo fu trasmesso ad Abramo e da lui a tutta la discendenza umana. Già da tale leg- genda si evince l’importanza quasi sacrale attribuita dagli Arabi e dagli altri popoli islamici all’arco1. In tutto il mondo islamico, in- fatti, il tiro con l’arco divenne parte integrante della Sunna, vale a dire il corretto stile di vita del buon musulmano, dettato dal Co- rano e dalle altre tradizioni scritte. Esso, grazie alla sua validità nel jihad contro gli infedeli, era considerato come una fahrd kyfayah, vale a dire un’incombenza religiosa ricadente sull’insieme della comunità dei credenti2. Nelle tradizioni scritte abbondano gli epi- sodi leggendario-religiosi legati alla figura del Profeta e dei suoi Compagni. Lo stesso Maometto, infatti, tirava d’arco e possedeva sei archi. Ognuno di essi aveva un nome: “il Giallo”, “il Bianco”

ecc.; tra tutti, il più famoso era “l’Invisibile” (così detto a causa del suo rilascio silenzioso), che fu utilizzato nella guerra contro i nemici politeisti3. Ma la testimonianza più importante dal punto di vista religioso è certamente rappresentata dai detti del Profeta

1 J.D.LATHAM W.F.PATERSON, Saracen Archery. An English version and exposi- tion of a Mameluke work on archery (ca. A.D. 1368), Londra 1970, p. 3. Si tratta della traduzione di un testo arabo del XIV secolo di AL-ASRAFI AL-BAKLAMISI AL-YUNANI TAYBOGHA, Mss. Paris 2833, Br.Mus.1464., Gotha 1341,2 dal tito- lo Gunyat al-tullab fi ma’rifat al ramy bi al-nussab (Regole essenziali dell’arcieria per i principianti).

2 Ibidem.

3 J. HEIN, Bogenhandwerk und Bogensport bei den Osmanen, in “Der Islam”, XIV(1925), pp. 298-360, XV(1926), pp. 1-78, 234-294; XIV, p. 325. Il testo di Hein è la traduzione del trattato ottomano di MUSTAFA KANI, Telhis resail er- rumat (Compendio dei trattati di arcieria), Istanbul 1847, parzialmente tradotto an- che da G.KLOPSTEG, Turkish archery and Composite bow, Londra 1934.

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(ahadith) sul tiro con l’arco. Gli ahadith sono delle raccolte di detti e sentenze attribuite a Maometto. Essi hanno valore di legge mo- rale dei Musulmani, e sono secondi, per importanza, solo al Co- rano. Quaranta di essi sono dedicati all’arcieri, e vi si esortano i fedeli a praticare l’arcieria e ad essere in costante allenamento, pa- ragonando in alcuni casi la pratica di tale disciplina a quella della preghiera4.

L’influsso sull’arcieria araba dei popoli del Medio Oriente co- minciò a farsi sentire con l’ascesa della dinastia abasside ed il conseguente spostamento della capitale a Bagdad (763), quando le etnie irachene ed iraniche assursero ad un ruolo di primaria im- portanza all’interno delle gerarchie civili e militari del Califfato a- rabo. Soprattutto furono gli abitanti della regione del Khorasan (Iran) che diedero un primo stimolo allo sviluppo dell’arcieria ne- gli eserciti arabi; non a caso, nei testi d’arcieria arabi spesso si fa riferimento a semi-leggendari maestri d’arco provenienti dalle re- gioni del Khorasan5.

Tuttavia, come gli arcieri persiani, essi erano essenzialmente impiegati in battaglia come arcieri appiedati; i loro archi, seppure del tipo composito, non erano molto potenti. Il loro maggior vantaggio era che potevano scoccare molto rapidamente. Costi- tuiti da uomini perfettamente addestrati a tale scopo, le loro forze erano in grado di creare un efficace tiro di sbarramento contro il nemico. Nel VI scolo, lo storico bizantino Procopio di Cesarea, aveva già sottolineato il contrasto tra gli arcieri bizantini — equi-

4 Gli ahadith (sing. hadith) riguardanti l’arcieria erano 40. Oltre che nelle raccolte specifiche, sono elencati in Ivi, pp. 319-324; furono già raccolti nell’X sec. in un trattato dal titolo “Meriti dell’arcieria sulla via di Allah”; si veda l’edizione FAZLUR RAHMAN BAQI, Kitabu Fada’il ir-Ramyi fi Sabili’llah, in “Islamic Cultu- re”, 3(1960), pp. 195-207.

5 Si veda l’introduzione di LATHAM-PATERSON, Saracen…, cit., pp. xxiii-xxiv; e più specificamente J.D.LATHAM, The archers of the Middle East: the Turco-Iranian background, in “Iran. Journal of the British Institute of Persian Studies”, 7(1970), pp. 97-103.

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paggiati con archi compositi potenti capaci di infliggere gravi danni al nemico – e gli arcieri persiani, che definiva i più veloci mai esistiti, ma scarsamente efficaci dal punto di vista della letalità , a causa della leggerezza dei loro archi6.

Da quel momento, quindi, nella cultura dell’arco araba entra- rono a far parte due grandi tradizioni militari: quella persiana, ca- ratterizzata dall’uso massiccio di arcieri appiedati e quella dei ca- valieri delle steppe, con i suoi arcieri montati, in particolare i Tur- chi — Selgiuchidi prima ed Ottomani poi — ma anche altri po- poli caucasici (Circassi,Turcomanni, Cipkazi etc.)7. Come si vedrà, fu soprattutto quest’ultima ad influenzare decisamente i futuri svi- luppi dell’arcieria bellica araba.

A partire dalla metà del IX sec. il califfo abbasside al-Mutasim, reclutò grandi masse di arcieri a cavallo turche, con le quali mosse contro l’Armenia e l’Anatolia bizantina, che andarono ad integrar- si con le truppe arabe. Nel corso delle campagne del califfo in A- sia Minore, un episodio riferito da tutti i cronisti bizantini dà l’idea dell’importanza dell’uso dell’arco da parte delle truppe tur- che al servizio di al-Mutasim. Nella battaglia di Anzen (838) l’esercito imperiale era in rotta, lo stesso imperatore Teofane fu circondato con la sua guardia dagli arcieri turchi, ma riuscì a sal- varsi in quanto una fitta pioggia allentò le corde e gli stessi archi compositi dei Turchi8.

6 PROCOPIUS OF CAESAREA, History of the Wars, 7 voll., ed. H.B.DEWING, Loeb Library of the Greek and Roman Classics, Cambridge 1914-128, vol. I , The Persian war, xiii 32-33, p.169.

7 Per una trattazione storica dell’uso dell’arco nelle operazioni militari degli e- serciti musulmani, oltre ai trattati specifici, si veda: H.KENNEDY, The Armies of Caliphs. Military and Society in the Early Islamic States, London and New York 2001, che tratta in particolare dei primi secoli della espansione e del consoli- damento dell’Islam; A.HYLAND, The medieval warhorse from Byzantium to the Cru- sades, Phoenix 1997, che dedica un capitolo agli arcieri a cavallo musulmani.

8 Cederenus-Sylitzes, Historiarum compendium, II,134; Kaegi, The contribution..., p.

100.

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Contemporaneamente l’imperatore bizantino Leone VI, nei suoi Taktika9, distingueva tra i due popoli, Turchi e Saraceni, e discettava sul diverso modo di affrontarli militarmente. Una pri- ma differenziazione appare subito evidente: la tattica militare ara- ba era caratterizzata dall’impiego di grandi masse d’arcieri appie- dati definiti da Leone come Etiopi (il termine si riferisce, non solo alla regione africana, bensì all’intera penisola arabica), che com- battevano appiedati davanti alla cavalleria leggera beduina. Leone li descrive come privi di armatura e facilmente scompaginabili dal tiro delle frecce imperiali. Secondo lui entrambi i popoli

«...affidavano la speranza delle loro vittorie alle frecce»10;

ma dei Turchi diceva :

«... sono armati con spade, lance, archi ed elmi. In battaglia usa- no contemporaneamente due armi: sulla spalla portano la lancia, e in mano tengono l’arco, e secondo le circostanze usano l’uno o l’altro; nel caso, sono inseguiti, preferiscono certamente l’arco11... si impegnavano molto nella pratica della caccia con l’arco a caval- lo…12»;

mentre dei Saraceni:

«... la loro fanteria è composta da moltitudini di arcieri etiopi, privi di armature pesanti, schieranti davanti alla cavalleria come fan- teria leggera13». «...Essi sono nudi, e possono essere facilmente feriti e messi in fuga14».

9 LEONE VI, Taktika, in J.P.MIGNE, Patrologiae Cursus Completus, Series Graeca (Paris, 1857-1866), 107.

10 Ivi, XVIII, 22.

11 Ivi, XVIII, 49.

12 Ivi, XVIII, 51.

13 Ivi, XVIII, 114.

14 Ivi, XVIII, 153.

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La differenza tra i guerrieri delle due etnie appare anche e- vidente dal punto di vista delle fonti arabe. Infatti, lo storico arabo al-Jahiz (776-869), descrivendo il modo di combattere dei Turchi, scrisse:

«se mille dei loro cavalieri ingaggiano battaglia scaricando una singola salva di frecce, possono abbattere mille cavalli arabi.

Nessun esercito può resistere a un tale tipo di assalto. I Kharigi- ti15 e i Beduini non hanno la stessa abilità nel tirare con l’arco da cavallo. Ma un Turco può tirare ad animali, uccelli, cerchi, uo- mini , selvaggina ferma, manichini o uccelli in volo, e ciò al ga- loppo lanciato, davanti o indietro, a destra e a sinistra, in alto e in basso, scoccando dieci frecce prima che un Kharigita possa incoccarne una.16»

I Bizantini, dunque, sperimentarono sulla propria pelle l’efficacia della tattica turca e numeroso sono i riferimenti dei cronisti Bizantini sull’incapacità degli eserciti imperiali nel tenere testa alle orde di arcieri a cavallo. Tale inferiorità tattica si manife- stò in particolare, nella battaglia di Manzikert nel 1071 nella qua- le cadde prigioniero lo stesso imperatore Romano, quando gli ar- cieri a cavallo selgiuchidi sbaragliarono l’esercito bizantino, garan- tendosi il possesso definitivo di gran parte dell’Anatolia17.

Nel corso della prima crociata (1096) la differenza tra la tatti-

15 Feroci guerrieri arabi membri di una setta islamica che si differenziava sia dai Sunniti che dagli Sciiti, protagonisti di lotte intestine con altri Musulmani. Cf.

KENNEDY, The armies…, cit. pp.

16 ‘AMR B.BAHR AL-JAHIZ, Manaqib al-Turk, in G. VAN VLOTEN, Tria opuscula auctore Abu Othman Amr ibn Bahr al-Djahiz Basrensi, Leiden 1903, pp. 1-56, p. 28.

17NICEFORO BRIENNIO,Commentarii, ed. A. Meineke, Bonn 1836, pp. 40-43;

W.KAEGI, The Contribution of Archery to the Turkish Conquest of Anatolia, in

“Speculum”, 39 (1964), pp. 96-108.

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ca araba e quella turca diventa ancora più evidente18. Nonostante il successo per certi versi inaspettato ottenuto dai cavalieri occi- dentali nel corso della loro traversata dei territori controllati dai Selgiuchidi, e la successiva presa di Gerusalemme, apparve subito evidente, agli occhi degli stessi protagonisti di parte cristiana, la diversità del nemico che si trovavano di fronte. Infatti, sul fronte egiziano-palestinese la resistenza musulmana all’invasione franca fu sostenuta in gran parte dall’Egitto fatimita e dalle sue truppe composte da arcieri appiedati sudanesi e da cavalleria leggera be- duina, che dovettero soccombere, nonostante la loro superiorità numerica, più volte alle cariche della cavalleria pesante crociata.

Le truppe egiziane di al-Mustali che fronteggiarono i crociati ad Ascalona (1099) erano armate allo stesso modo dei Saraceni de- scritti da Leone VI. Non avevano arcieri montati: gli arcieri suda- nesi erano seminudi e la cavalleria leggera beduina era armata con sole spade, senza lance. Lo stesso accade a Ramlah (1102), dove i 7.000 fanti egiziani erano per la maggior parte arcieri.

La tattica e lo schieramento degli arcieri saraceni appiedati è bene descritta in una cronaca araba, seppur del secolo seguente (XIII sec.):

«E’ necessario collocare i fanti di fronte ai cavalieri…e da- vanti ad ogni fante è necessario collocare uno scudo o una pro- tezione per loro…davanti ad ogni gruppo di due fanti bisogna collocare un arciere…il quale tiri se c’è possibilità di colpire…Il ruolo di questi arcieri è di respingere gli squadroni lanciati con- tro di noi, in quanto il tiro delle frecce funge da deterrente per i loro attacchi, e li respingerà fino ai loro paesi…»19

18 KAEGI, The contribution…, pp. 105-106.

19 AL-TARSUSI, Tabsirat arbab al-abab, ed. a c. di C.CAHEN, Un traite d’armurerie compose pour Saladin, in “Bulletin d’Etudes Orientales”, 19 (1947-48) 103-163, p.

146.

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Diversa la situazione sul fronte siro-anatolico, dove la leadership della lotta anti-cristiana fu assunta dai Turchi. I primi incontri tra gli eserciti occidentali della prima Crociata ed i Tur- chi, testimoniano lo sgomento dei cavalieri franco-normanni di fronte a truppe costituiti interamente di arcieri a cavallo e all’impressione suscitata dal “volume di fuoco” delle loro frecce, descritto di volta in volta come grandine, pioggia, nubi ecc.20

Per restare agli avvenimenti relativi alla sola prima crociata, ba- sti qui ricordare la testimonianza di Fulcherio di Chartres, che manifestato lo stupore dei crociati di fronte alla tattica turca

«…poiché a tutti noi tale modo di combattere era sconosciu- to…»,

passa a descriverne l’effetto

«Tali erano i nembi di frecce che piovevano da parte dei Turchi, che nessuna parte del corpo dei Cristiani era protetta dai colpi e dalle ferite».

Ancora, un altro cronista, Guglielmo di Tiro raccontando suc- cessivamente gli avvenimenti dell’avanzata crociata nelle terre dei Selgiuchidi, dirà:

«Attaccando il nostro esercito, le schiere turche scagliarono una tale moltitudine di frecce che come grandine ingombrarono tutto l’aere e tra le nostre fila a stento si trovava qualcuno esente

20 Tra le fonti occidentali che descrivono lo sgomento dei cavalieri crociati di fronte agli arcieri montati turchi, si veda: ALBERTO D’AIX, Historia Hierosolymi- tana, in Recueil des historiens des Croisades. Historiens Occidentaux, 4, Paris 1866, pp.

359, 369, 400 ; Sulle operazioni militari della prima crociata si veda: J.FRAN- CE, Victory in the East. A Military History of the First Crusade, Cambridge 1994, in particolare pp. 145-148 sugli arcieri a cavallo selgiuchidi; sulla guerra in tutto il periodo delle crociate: R.C. SMAIL, Crusading Warfare Cambridge, 1956; C.

MARSHALL, Warfare in the Latin East, 1192-1291, Cambridge 1994.

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da ferite; e appena la prima nube di frecce era arrivata, a causa della sequenza di tiro molto rapida, ne arrivava un’altra, e se qualcuno era scampato alla prima, non rimaneva illeso alla se- conda».21

La tattica di combattimento degli arcieri montati turchi era ca- ratterizzata innanzitutto dall’uso di corti archi compositi che po- tevano essere adeguadatamente maneggiati da cavallo. I loro ca- valli erano di taglia piccola e molto veloci; la combinazione tra ve- locità di movimento e efficacia degli archi faceva sì che essi po- tessero manovrare con veloci e ripetute cariche che tendevano ad avvolgere sui fianchi gli schieramenti nemici. Lanciata la carica e giunti a tiro di freccia scoccavano le loro voleés per poi rapida- mente ritirarsi, ripetevano questa manovra più volte con l’intento di far rompere i ranghi alle truppe cristiane. Quando le successive ondate di arcieri erano riuscite a fiaccare notevolmente la resi- stenza nemica, allora appendevano l’arco al braccio sinistro, sotto il piccolo scudo rotondo, e attaccavano frontalmente con mazze ferrate e spade.22

La storica bizantina Anna Comnena così descrive i combatten- ti turchi nel periodo della prima crociata:

«…l’ordine di battaglia dei Turchi non corrisponde a quello degli altri popoli, … essi non sono schierati scudo contro scudo, casco contro casco, guerriero contro guerriero...In fatto d’armi, essi non si servono affatto di lance come i cosiddetti Celti (Franchi n.d.t.) ma essi accerchiano completamente il nemico scagliando su di lui frecce, e difendendosi a distanza. Quando

21 FULCHERIUS CARNOTENSIS, Historia iherosolymitana , in Recueil…, cit., v. III, p.

335 e 478. GUGLIELMO DI TIRO, Historia rerum in partibus transmarinis gestarum, in Recueil…, cit., v. I, III, xiv, p. 131.

22 «I Turchi videro che i nostri e i loro cavalli erano mal ridotti, allora appesero i loro archi al braccio sinistro sotto gli scudi e li attaccarono crudelmente con mazze e spade», Histoire d’Eracles, in RHC, v. II, p. 606.

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un Turco insegue, si impone all’avversario tirando con l’arco, e quando è inseguito, trionfa con le sue frecce; egli tira una frec- cia, che va a colpire a volo sia il cavallo sia il cavaliere, e quando questa è scagliata da una mano vigorosa, attraversa il corpo da parte a parte: essi sono infatti degli arcieri eccellenti».23

L’abilità dei cavalieri turchi poteva essere considerata sicura- mente quasi alla stregua di una dote connaturata a tutti i popoli nomadi delle steppe euro-asiatiche. Essi sin da piccoli venivano addestrati al padroneggiamento delle arti equestri e al tiro con l’arco. Tuttavia, tali abilità rimanevano prerogative inserite in un contesto militare ancora primitivo, privo di adeguata disciplina e organizzazione. Fattori questi, che assieme all’armamento pesan- te, non difettavano alle armate cristiane. Grazie, quindi, alla supe- riorità dell’armamento e della tattica i cavalieri della prima crocia- ta riuscirono ad avere la meglio sulle orde selgiuchide. Ma questo vantaggio durerà poco; quando le caratteristiche del modo di combattere turco saranno inquadrate in più efficienti ed evoluti sistemi politico-militari, quali quello creato da Saladino o dai Ma- melucchi d’Egitto, i destini degli stati latini creati all’indomani del successo della prima crociata, saranno per sempre segnati.

Un ultimo dato da rilevare, a proposito della diversità nell’uso militare dell’arcieria tra le diverse etnie facenti parte del mondo musulmano, è quello relativo a due altre realtà appartenenti al grande mondo di al-Islam, la Spagna e la Sicilia. Qui, dove non giunse direttamente l’influenza turca e mamelucca, l’arcieria non ebbe la stessa evoluzione dell’area Medio orientale. Tra gli Arabi di Spagna, infatti, nei secoli del basso Medio Evo si diffuse sem- pre più l’uso della balestra a discapito dell’arco e mai attecchì l’uso degli arcieri montati. In Sicilia, invece, i rapporti tra la popo-

23 ANNA COMNENA, Alexiade, a c. di B.LEIB [Les Belles Lettres], I-III, Paris 1967, XV, iii, 7.

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lazione islamica dell’isola con i fratelli di Oltremare erano stati in- terrotti dalla conquista Normanna alla metà circa dell’XI secolo.

Qui i Saraceni italiani, che spesso furono assunti come truppe ausiliarie di arcieri appiedati da Normanni, Svevi ed Angioini, du- rante circa tre secoli rimasero legati al vecchio modo arabo di concepire l’arcieria da guerra. E nonostante, come dimostrato dal- le fonti, essi continuassero a fare largo uso dell’arco, in contrap- posizione agli eserciti italiani che privilegiavano la balestra, pare che fossero comunemente arcieri appiedati, che usavano montare a cavallo solo per gli spostamenti24.

24 Sugli arcieri saraceni in Italia meridionale si veda: G.AMATUCCIO, Arcieri e balestrieri nella storia del Mezzogiorno medievale, in “Rassegna Storica Salernitana”, 24(1996), pp. 55-96 ; idem, Saracen Archers in Southern Italy, in “Journal of Society of Archers Antiquaries”, 48(1998), pp. 76-80 ; idem, Mirabiliter pugnave- runt. L’esercito del Regno di Sicilia al tempo di Federico II, Napoli 2003, pp. 17-27.

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STORIA DELL’ARCIERIA ISLAMICA (Parte II)

da “Arcosophia”, 3(2006)

Mamelucchi e Ottomani

Crociate

Con l’ascesa della dinastia di Saladino, l’apporto degli arcieri di etnia turca e iranica fu determinante nelle vittorie che gli eserciti musulmani riportarono sui Crociati, tra le quali memorabile resta quella dei Corni di Hattin (1187), che portò alla caduta di Geru- salemme; ma da quel momento fu soprattutto l’affermarsi dei Mamelucchi — schiavi e mercenari d’origine turco-circassa, as- surti al rango di casta militare che conquistò il potere nel 13 sec.

— a dare un nuovo impulso alla crescita del tiro con l’arco. Essi introdussero nei ranghi degli eserciti arabi l’esperienza nel maneg- gio dell’arco composito da cavallo, che rappresentava la massima arma strategica dell’espansione turca e delle sconfitte crociate.

Il duello tra la cavalleria pesante e gli arcieri a cavallo turchi, si protrasse con alterne vicende per circa due secoli, fino alla caduta di Acri (1291) e alla definitiva cacciata dei cristiani dalla Terrasan- ta. Nel tracciare un bilancio complessivo della sconfitta finale crociata si possono individuare due cause fondamentali di carat- tere strettamente militare (tralasciando naturalmente, in questa sede, gli altri fattori di carattere economico, politico ecc.): la scar- sa conoscenza del territorio e la cieca fiducia nella potenza della cavalleria corazzata, che portava a sottovalutare l’efficacia degli arcieri musulmani.

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Già durante la Iª Crociata, infatti, i cavalieri occidentali erano particolarmente fiduciosi delle loro cotte di maglia e dei lunghi scudi. La capacità di resistere alla penetrazione dei dardi avversari aumentò a partire dal XIII sec., con l’adozione di piastre di ferro a protezione delle spalle e del petto, fino ad arrivare al completo corazzamento del cavaliere.

Certo è difficile definire con esattezza l’effettivo potere d’arresto che le frecce musulmane avevano sull’equipaggiamento difensivo dei crociati: diversi fattori contribuivano a far sì che l’impatto fosse più o meno letale. A parte la potenza degli archi e la distanza di tiro, incideva molto l’angolo d’impatto della freccia, che a 90 gradi era micidiale; ma se invece era obliquo, la freccia facilmente scivolava sul metallo deviando, o impattando con una forza minore che produceva pochi danni.

Le fonti crociate parlano di cavalieri che continuavano a com- battere con molte frecce conficcate nell’usbergo, e ciò fa proten- dere per l’ipotesi della scarsa efficacia delle frecce turche, ma non sappiamo di che tipo di frecce si trattasse. E’ probabile che tali frecce fossero le husban, cioè piccole frecce lanciate con particolari congegni, che raggiungevano distanze lunghissime, ma che, evi- dentemente, avevano un potere d’arresto molto minore1.

Appare certo, in ogni caso, che tali frecce anche se non riusci- vano a penetrare gli usberghi dei cavalieri, producevano gravi danni alle loro cavalcature; ed il cavaliere franco-normanno, ap- piedato, impedito dalla sua pesante armatura, dagli speroni e tutto il resto, nel momento in cui perdeva il proprio cavallo, rimaneva alla mercé del suo avversario2.

1 Per I “riduttori d’allungo” usati dai popoli orientali, si veda GIOVANNI AMA- TUCCIO, Lo strano arciere della Porta dei Leoni, in “Arcosophia”, 1(2005)

2 Per la storia militare delle crociate, tra gli altri, si veda: R.C.SMAIL, Crusading Warfare (1097-1193), Cambridge 1956; CHRISTOPHER MARSHALL, Warfare in the Latin East. 1192-1293, Cambridge 1994.

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Il problema dell’abilità dei Musulmani nel tiro con l’arco fu di- scusso ed analizzato attentamente fra i cristiani ancora dopo la fine dei Regni Latini d’Oriente. Nei trattati scritti tra il XIII e XIV secolo, nei quali si proponevano piani di recupero della Terra Santa, spesso è discusso il modo di come fronteggiare le armi principali dei musulmani: arcieri e cavalleria leggera. Raimondo Lullo nel 1309 suggeriva che gli eserciti cristiani dovevano con- trapporre agli archi saraceni molti balestrieri cristiani. Lo stesso consiglio veniva da Enrico II di Cipro; ma le migliori indicazioni circa questo argomento si ritrovano nel Liber recuperationis Terrae Sanctae del francescano Fidenzio da Padova, composto nel 1291.

Costui era bene informato circa le tecniche di guerra musulmane in quanto reduce dalla Terra Santa dove era stato a contatto stret- to con i musulmani. Egli descrive la loro tattica come basata sul tiro con l’arco e cavalleria leggera, con uomini e cavalli non pro- tetti da armature. Secondo il suo racconto, i loro combattenti a- vevano solamente un farsetto di cuoio come armatura, che lascia- va le loro braccia scoperte al fine di avere i movimenti liberi per tirare con l’arco. In conclusione egli consigliava che le forze di spedizione cristiane fossero dotate di un gran numero di arcieri e balestrieri per tenere lontano dalla cavalleria cristiana gli arcieri a cavallo musulmani, e — cosa inconsueta per gli eserciti Medievali occidentali — suggeriva che tutto i soldati cristiani, cavalieri compresi, dovevano imparare il tiro con l’arco così da lottare alla pari con i Musulmani3.

3RAIMONDO LULLO, Liber de acquisitione Terrae Sanctae, ed. a c. di E. Longpré, Criterion 3, 1927;FIDENZIO DA PADOVA, Liber recuperationis Terrae Sanctae, a c.

di G. Golubrovich, in Biblioteca bio-biblografica della Terra Santa e dell’Oriente francesca- no, vol. II, Firenze 1913, pp. 9-60, cap. XXV.

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Mamelucchi

Ma andiamo ora ad osservare più da vicino i protagonisti della vittoria militare musulmana sui regni crociati: i Mamelucchi. Col termine Mamelucco si indicava uno schiavo reclutato da parte de- gli Arabi in giovane età soprattutto nelle zone del Caucaso da ove venivano condotti al Cairo. Qui i giovani schiavi venivano accolti in vere e proprie scuole militari dove, dapprima ricevevano un’istruzione basata sulla conoscenza della lingua araba e del Co- rano, poi venivano sottoposti ad un intenso addestramento mili- tare che si articolava nell’apprendimento dell’uso delle principali armi nonché dell’equitazione. In questo addestramento l’arcieria aveva una parte predominante e molto probabilmente ad essa si dovette la nascita del singolare sistema schiavistico, unico nella storia universale, che portava i suoi componenti dalla condizione di schiavi a quella di regnanti. Infatti, grazie alle abilità acquisite, soprattutto al tiro con l’arco da cavallo, questo corpo di schiavi soldati finì in breve tempo per diventare il principale strumento di guerra dei sultani egiziani; via via acquistarono sempre più im- portanza all’interno degli stati arabi fino a divenirne i padroni4.

Al Cairo nacque uno stato mamelucco, che durò circa due se- coli e mezzo (1250-1517) e fu proprio grazie al suo apporto, che

4 Molto vasta è la letteratura sui Mamelucchi. Tra i maggiori studiosi che se ne sono occupati va segnalato David Ayalon, che ha scritto numerosi saggi sull’argomento, dei quali mi limito a ricordare: DAVID AYALON, Studies on the Mamluks of Egypt (1250-1217) , London 1977. Tra la saggistica più recente:

DAVID NICOLLE, The Mamluks. 1250-1517, London 1993, che tratta specifica- mente gli aspetti militari. Una miscellanea anch’essa recente è: The Mamluks in the Egyptian Politic and Society, a c. di T. Philipp e U. Haarmann , Cambridge 1998; all’interno della quale troviamo un contributo specifico sull’arcieria di ULRICH HAARMANN, The late triumph of the Persian bow: critical voices on the Mam- luk monopoly on weaponry, pp. 174-187. Sull’arcieria mamelucca esiste un vasto ed articolato studio purtroppo inedito e disponibile solo come tesi di dottorato:

SHIHAB AL-SARRAF, L’archerie mamluke (643-924/ 1250-1217), Université de Paris Sorbonne, 1989.

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l’Islam riuscì a respingere la duplice minaccia rappresentata dai regni crociati stabilitisi sul litorale palestinese e dall’avanzata mongola da oriente. Soprattutto in questo secondo caso, gli eser- citi arabi non erano in grado di fronteggiare i loro nemici prove- nienti da Oriente che erano esperti nel combattimento con l’arco da cavallo. Le élites militari arabe rimasero sempre legate al pro- prio tradizionale metodo di combattere basato sul cavallo e sulla lancia, e probabilmente questa fu una delle cause che portò al predominio dei Mamelucchi sulle compagini statali arabe.

Le memorabili vittorie delle armate mamelucche contro le or- de mongole nella seconda metà del XIII secolo, dimostrarono la formidabile potenza dei loro arcieri, che prevalsero proprio su co- loro che avevano fatto dell’arciere a cavallo la propria fonte di vit- toria in tutta l’Asia. La battaglia di Ain-Jalut (1260) fu uno scontro tra titani dell’arco: da una parte i cavalieri mongoli, che avevano innata la tradizione dell’arcieria montata, uomini che vivevano sul proprio cavallo e praticavano il tiro con l’arco sin da bambini;

dall’altra combattenti allevati ed addestrati sin dalla tenera età in maniera organizzata e programmata nelle apposite scuole militari dove, attraverso un duro ed intenso addestramento, apprendeva- no quell’arte del tiro da cavallo che per i mongoli era un fatto quasi naturale5.

La tattica degli arcieri montati mamelucchi era in parte diversa da quella dei Mongoli o degli altri popoli delle steppe asiatiche, Turchi compresi, alla quale si è fatto cenno nella prima parte. Essi combattevano con grande ordine e disciplina dovuti all’intesa pra- tica di addestramento ricevuta. Si schieravano generalmente su tre linee, che caricavano separatamente proteggendosi a vicenda. I- noltre, usavano anche smontare da cavallo e, riparandosi dietro l’animale, scoccare le proprie frecce.

5 Il lavoro più completo e recente sull’argomento dello scontro tra Mameluc- chi e Mongoli nel Medio Oriente è costitutito da: REUVEN AMITAI PRESS, Mongols and Mamluks. The Mamluk-Īlkhānid war, 1260-1281, Cambridge 1995.

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I sultani mamelucchi che si succedettero sul trono del Cairo svilupparono sempre più le attività legate all’addestramento al tiro con l’arco, che — oltre ad essere insegnato regolarmente nelle ca- serme mamelucche, attraverso rigidi protocolli di allenamento e sotto la guida di appositi istruttori – si diffuse anche in tutta la so- cietà, attraverso l’istituzione di scuole civili, dove semplici cittadi- ni potevano praticare il tiro e cimentarsi anche con i soldati ma- melucchi. Infatti, le competizioni che si tenevano in tali luoghi davano ulteriore slancio all’addestramento militare e, vice versa, i soldati erano stimolati a vincere le gare civili.

Un elemento molto importante all’interno delle vicende dell’arcieria mamelucca è costituito da una vasta produzione lette- raria di trattati dedicati all’arcieria, facenti parte di una più vasta letteratura detta di furūsiyya (termine traducibile molto approssi- mativamente con il nostro “cavalleria”, riferito agli aspetti tecnici ed etici della materia militare del tempo). Questi testi avevano, at- traverso l’uso dell’arabo, reso accessibile la vasta tradizione arcie- ristica medio-orientale (in particolare persiana) proprio agli arcieri mamelucchi, che come ricordato, erano soggetti alfabetizzati, in grado quindi di poter leggere e studiare i trattati. Non solo, quin- di, i Mamelucchi praticavano intensamente il tiro con l’arco, ma cosa assolutamente impensabile per i loro omologhi occidentali del tempo, erano in grado di studiare ed apprendere grazie alla lettura di quei veri e propri manuali, ricchi di indicazioni sia sulla costruzione sia sull’uso dell’arco composito6.

6 Solo alcuni di questi trattati sono stati tradotti in lingue occidentali e pubbli- cati, tra questi: J.D.LATHAM W.F.PATERSON, Saracen Archery. An English ver- sion and exposition of a Mameluke work on archery (ca. A.D. 1368), Londra 1970, p.

3. Si tratta della traduzione di un testo arabo del XIV secolo di AL-ASRAFI AL- BAKLAMISI AL-YUNANI TAYBOGHA, Mss. Paris 2833, Br.Mus.1464., Gotha 1341,2 dal titolo Gunyat al-tullab fi ma’rifat al ramy bi al-nussab (Regole essenziali dell’arcieria per i principianti); ANTOIN BOUDOT-LAMOTTE, Contribution à l’étude de l’archerie musulmane, principalement d’après le manuscrit d’Oxford Bodléienne Huntington no 264, Damasco 1968 - si tratta del capitolo sull’arcieria estratto dal trattato di furūsiyya di MARDI IBN ‘ALI AL-TARSUSI, Tabsirat arbab al-albab... (“Spiegazione

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Il periodo di massimo splendore dell’arciera mamelucca fu raggiunto sotto il sultanato di Bayrbas (1260-1277), detto al- Bunduqari (il balestriere), l’eroe mamelucco che aveva guidato la vittoria di Ain Jalut e la riconquista dei regni crociati. Egli stesso praticava ogni giorno il tiro dal pomeriggio fino al tramonto, prendendo parte personalmente anche a competizioni e ordinava ai suoi soldati di costruirsi da soli le frecce in modo da approfon- dire meglio la conoscenza del funzionamento del sistema arco- freccia.

Al contrario, durante il regno del sultano al-Nasir Muhammad Qalawun (1293-1341), l’arcieria conobbe un periodo di declino.

Egli, e suo figlio dopo di lui, perseguitarono l’élite mamelucca e conseguentemente tutto ciò che era legato al tiro con l’arco, te- mendo l’opposizione di questa al proprio regno. Egli promulgò misure atte a sopprimere la pratica e le competizioni di tiro sia tra i soldati sia tra i civili, arrivando ad ordinare la distruzione dei la- boratori dove si costruivano le frecce per le gare. Le fortune dell’arcieria furono però ristabilite dalla dinastia circasso- mamelucca che regnò in Egitto dal 1328 fino agli inizi del XVI secolo. Gli arcieri montati mamelucchi rimasero il nerbo dell’esercito del sultanato fino allo scontro finale con gli Ottoma- ni. Nel 1516, le forze mamelucche del sultano Kansahw al- Ghawri furono sconfitte dai Turchi ottomani, che usavano già le armi da fuoco, nella grande battaglia di Mardj Dabik.

per lo spirito sul modo di disporsi durante il combattimento...”), del 1200 c.a., quindi precedente di poco al periodo mamelucco.- ; NABIH A.FARIS e ROBERT

P.ELMER, Arab archery. An Arabic manuscript of about A.D. 1500, A book on the excellence of the bow and arrow” and the description thereof, Princeton 1945, trattato del XVI secolo di un autore anonimo marocchino dal titolo Kitab fi bayan fadl al- qaws w-al-sahm wa-awsafihima. Munyatu’l-ghuzat; A 14th Century Mamluk-Kiptchak Military Treatise, tradotto da Kurtulus Öztopçu.(Sources of Oriental Languages and Literatures 13, 1989)

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Ottomani

Con l’avvento dell’impero ottomano, l’arcieria assurse al rango d’arte bellica, religiosa e ricreativa favorita e sostenuta dai sultani7. A differenza di quanto avveniva in Occidente — dove l’arco fu rimpiazzato, prima parzialmente dalla balestra e poi, definitiva- mente, dalle armi da fuoco — negli eserciti turchi, ancora per al- cuni secoli dopo l’avvento della polvere da sparo, esso fu affian- cato ai moschetti.

Nel 1330 venne fondato il corpo dei Giannizzeri (Jeni dscheri = nuove truppe), che era composto prevalentemente da arcieri ap- piedati. I Giannizzeri erano giovani dei popoli cristiani conqui- stati, che venivano addestrati alla disciplina militare e in particola- re all’uso dell’arco; equipaggiati con scimitarra e arco, combatte- vano come fanteria in appoggio alla cavalleria8. Da quel momen- to, probabilmente, la tattica turca cambiò definitivamente: non più arcieri montati, ma grandi masse di ben addestrate e discipli- nate fanterie, la cui arma fondamentale restava l’arco. Tale cam- biamento spiega, probabilmente la particolare predilezione da parte dei Turchi ottomani per il tiro a distanza. L’arco turco, nel periodo ottomano, infatti, era spesso usato con un semplice at- trezzo (siper) che permetteva di scagliare frecce più corte e quindi più veloci. Esso era un’evoluzione di attrezzi similari usati da molti popoli orientali nonché dai Bizantini. Probabilmente lo svi-

7 Il testo fondamentale per la conoscenza dell’arcieria ottomana è rappresenta- to da MUSTAFA KANI, Telhis resail er-rumat (“Compendio dei trattati d’arcieria”), Istanbul 1847. Il libro è stato parzialmente tradotto in tedesco da JOACHIM

HEIN, Bogenhandwerk und Bogensport bei den Osmanen nach dem “Auszug der Abhand- lungen der Bogenscutzen, in “Der Islam”, 14(1925), pp. 289-360, 15(1926), pp. 1- 78 e 234-239 e in inglese da PAUL E. KLOPSTEG, Turkish Archery and Composite Bow, New York 1934 (rist. Manchester 1987). Si veda, inoltre: ÜNCAL YÜCEL, Archery in the Period of Sultan Mahmud II, (Trad. a c. di Edward McEwen), in

“Journal of Society of Archer-Antiquaries”, vol. 40 1997, pp.68-71.

8 Per l’organizzazione militare dei Giannizzeri si veda : NAHAUM WEISSMANN, Les Janissaires. Étude de l’organisation militaire des Ottomans. Paris, Orient, 1964.

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luppo di tale pratica fu dovuto al bisogno di avere un’arma che, nelle mani dei Giannizzeri, fosse capace di dispiegare un grande

“tiro di sbarramento”, che poteva colpire il nemico a lunghe di- stanze9.

L’uso delle armi da fuoco da parte dei Giannizzeri ottomani cominciò sul finire del XV secolo, dopo la battaglia del Kossovo del 1448, quando i Turchi si trovarono di fronte i moschetti delle truppe di Giovanni Uniade. La conquista di Costantinopoli (1452) segna l’inizio del lento declino dell’arco come arma, rimpiazzato dai primi moschetti. Ma tale processo fu molto lento ed ancora per due secoli le due armi si trovarono fianco a fianco negli eser- citi ottomani, e nelle miniature ottomane del XVI e XVII secolo, si può infatti spesso vedere rappresentati moschettieri e arcieri combattere fianco a fianco. Ancora durante il regno di Solimano I (1520-1566) i Giannizzeri continuavano a preferire l’arco ai lenti e pericolosi moschetti, e nel XIV secolo l’arco rimaneva l’arma fondamentale della fanteria turca. La cosa è dimostrata dalla stori- ca sconfitta subita a Lepanto nel 1571. Questa, secondo alcuni studiosi, segnò una fondamentale battuta d’arresto per l’espansione turca, non tanto per la distruzione dell’intera flotta ottomana, bensì per la perdita di migliaia di esperti arcieri che co- stituivano il nerbo delle forze combattenti (le perdite Turchi am- montarono a circa 30.000 uomini); forza difficilmente ricostituibi- le nell’arco di una generazione, poiché il maneggio dell’arco com- posito richiedeva una vita intera di preparazione per essere pa- droneggiato10.

D’altro canto, proprio nel momento in cui il moschetto faceva la sua apparizione tra i Giannizzeri, il sultano Mohamed II, con-

9 Cf. AMATUCCIO, Lo strano arciere…, op. cit.

10 JOHN GUILMARTIN, Gunpowder and Galleys. Changing Warfare and Medi- terranean Warfare at Sea in the Sixteenth Century, London 1974, p. 207; JOHN

KEEGAN, A History of Warfare, New York 1993, p. 337.

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quistatore di Costantinopoli, poneva le basi per un solido svilup- po dell’arcieria come sport. Egli fece costruire presso la sua resi- denza nella nuova capitale dell’Impero un’apposita grande piazza adibita all’allenamento e alle gare (ok meidan). Altri 34 ok meidan furono costruiti in tutto l’impero ottomano, tra i più importanti:

Edirne, Bursa, Belgrado, Sofia, Bagdad, Damasco e alla stessa Mecca.

Da quel momento, molti sultani succedutisi sul trono della sa- cra porta incentivarono tale attività e furono essi stessi grandi ar- cieri: Bayediz I (1389-1403) aveva la propria “stele-record” nell’ok meidan; Bayediz II fu un grande protettore dell’arcieria e un gran- de arciere egli stesso; lo stesso dicasi di Solimano il Magnifico (1520-1566). Vieppiù l’arco andava perdendo terreno nell’esercito, tanto più acquistava prestigio come pratica sportiva, e anche i sultani di età moderna erano appassionati del tiro con l’arco: Abdulhamid I (1774-1789); Selim III (1789-1807), che sta- bilì un record di gittata; fino ad arrivare al sultano Muhamad II (1808-1839), che commissionò a Mustafa Kani la stesura dell’ultimo grande trattato dell’arcieria musulmana11.

Questo momento di passaggio è d’estremo interesse, in quanto segna il momento di transizione dalla disciplina puramente milita- re ad una di carattere ludico ed agonistico. Tale processo, appare qui come un continuum non interrotto, cosa che si riscontra, inve- ce, in Occidente, dove l’evoluzione del tiro con l’arco registra dei momenti di vera e propria eclissi. Qui, infatti, a partire dal XVII sec. — nonostante gli sforzi di molti che si sforzarono di dimo- strare la superiorità dell’arco nei confronti del moschetto — esso appare completamente soppiantato sul piano militare dalle armi da fuoco, e praticato solo da qualche bizzarro gentiluomo britan- nico come sport. Si dovrà attendere il XX secolo per ritrovare una rinascita della disciplina in forma sportiva.

11 KANI, Telhis…, op.cit.

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Gli arcieri ottomani era molto famosi per la loro abilità nel tiro ed esistono molti resoconti in proposito scritti da viaggiatori o ambasciatori occidentali che ebbero contatti con il mondo turco.

Ecco, ad esempio come un nobile fiammingo, ambasciatore ad Istanbul di Ferdinando d’Austria nella prima metà del XVI sec., descriveva la sorprendente abilità dei Turchi dell’epoca:

«…I Turchi sono molto esperti nel tiro con l’arco; essi si allenano a tale esercizio dai sette-otto anni fino ai dodici-venti anni. Questo costante esercizio rafforza i muscoli delle loro braccia, e gli conferisce una tale abilità che essi sono in grado di colpir il più piccolo bersaglio con le loro frecce. I loro archi so- no molto più forti dei nostri… Un Turco ben allenato può fa- cilmente tendere la corda del più forte di essi al suo orecchio. Se una moneta viene collocata tra la corda e l’arco, in prossimità della punta, nessuno se non un adepto è in grado di tendere la corda quel tanto che basta a liberare la moneta. Sono talmente sicuri in battaglia che possono colpire un uomo in un occhio o in qualsiasi altra parte del corpo decidano. Alla distanza stabilita per l’allenamento, potrete vederli tirare con tale sicurezza che essi circondano il bianco del bersaglio (spot n.d.t), che general- mente è più piccolo di un tallero, con cinque o sei frecce, così che ogni freccia tocca il margine del bianco, senza però romper- lo…»12

Il racconto dell’ambasciatore prosegue con la descrizione delle gare di tiro a distanza che si svolgevano in molte parti di Istan- bul. Altri resoconti di viaggiatori europei testimoni dei record sta- biliti dagli arcieri turchi sono elencati da Klopsteg13, ma di questo ci occuperemo quando tratteremo delle competizioni di tiro nel mondo islamico. Concludiamo solo ricordando che la pratica del tiro di gittata continuò fino alla rivoluzione dei “Giovani turchi”

12 OGIER GHISLAIN DE BUSBECQ, Lettres du baron de Busbec, trad. In francese a c. di M. de Foy, Paris 1748, pp.105-106.

13 KLOPSTEG, Turkish Archery…, op. cit.

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del 1918 che portò al potere Ataturk, quando, nel quadro del va- sto processo di modernizzazione da questi avviato, anche il tiro con l’arco fu ritenuto un retaggio del passato imperiale da cancel- lare, e le corporazioni degli arcieri furono sciolte e i campi da tiro chiusi.

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STORIA DELL’ARCIERIA ISLAMICA (Parte III)

Da “Arcosophia”, 4(2006)

I TRATTATTI

Il Medioevo occidentale non conobbe una produzione lettera- ria legata all’arte bellica: per molti secoli l’unica opera in circola- zione fu il De re militari di Flavio Renato Vegezio, risalente al V sec.1, relativo quindi ad una situazione storica quale quella del taro impero romano; anche se tale testo fu spesso tradotto e riadatta- to alle tecniche belliche del tempo e utilizzato quale manuale per i combattenti medievali. Se ciò fu vero per la letteratura tattica, lo fu ancor di più per quella specifica sull’arcieria, che solo nel ‘500, con il Toxophilus di Ascham2, trovò un’adeguata espressione.

Al contrario, molto più vasta fu la produzione in lingua araba e turca sull’argomento. Gli Arabi produssero già dal X secolo trat- tati sull’arte della guerra, in gran parte tradotti dal persiano. Il primo trattato militare arabo conosciuto — anch’esso tradotto dal persiano — ricorda un testo d’arcieria del V sec., attribuito al se- mi-leggendario Barham-Gour. Costui, in realtà, era Barham V so- vrano sassanide vissuto nel V secolo, spesso citato dagli scrittori arabi, che lo ritenevano il fondatore dell’arte d’arcieria.

1 Il de re militari di RENATO FLAVIO VEGEZIO è disponibile, con traduzione ita- liana, in A. Angelini, “L’arte militare” di Flavio Renato Vegezio, Roma 1984.

2 ROGER ASCHAM, Toxophilus. La scuola di tiro, ed. it. a c. di S. Benini, Greenti- me, Bologna 1994.

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I Sassanidi erano stati i maggiori arcieri dell’antichità e avevano prodotto una ricca letteratura sull’argomento, ed a tale proposito va osservato che le conoscenze elaborate dagli arabi sull’arcieria erano sicuramente retaggio della secolare esperienza persiana.

Successivamente, con l’affermarsi della lingua e della cultura arabe in tutto il Medio Oriente, si ebbe un fiorire di trattati di ca- rattere militare. I libri sull’arcieria facevano parte di una più vasta letteratura costituita dai trattati di furusiyya ovvero la Cavalleria a- raba, comprendenti lavori sull’impiego delle varie armi e sull’ippiatria3. I trattati specifici d’arcieria, secondo i casi, o costi- tuivano una parte rilevante all’interno di quelli più generali di furu- siyya oppure erano redatti separatamente. La circolazione di questi trattati era spesso vincolata ad una sorta di segreto militare, mi- rante ad impedirne la fruizione da parte dei nemici della fede ed in particolare dei cristiani: e questo fu uno dei motivi della loro rarità e scarsa diffusione. Oltre che nei trattati militari l’arcieria costituiva argomento anche di una specifica letteratura venatoria all’interno della quale la rivestiva un ruolo di primo piano. Infine, essa era trattata ampiamente nelle opere degli ulema, la classe intel- lettuale islamica costituita da religiosi, giuristi, filosofi ecc. che spesso si occupava nei propri trattati dell’arcieria in quanto essa permeava la vita civile oltre che militare del mondo musulmano .

La copiosa produzione letteraria di matrice araba, si giustifica- va innanzi tutto con l’importanza che presso quei popoli aveva l’arco come arma da guerra. Tale utilità pratica, si traduceva, poi, quasi in un culto di quest’arma e delle attività ad essa collegate.

Un secondo fattore che ha portato alla proliferazione di tali tratta- ti, è stata certamente la spiccata tendenza in ambito arabo nel medioevo, alla sistematizzazione “scientifica” di molti campi del sapere umano.

3 Per un’analisi dei tratti di furusyya, cf. J.T. Reinaud, De l’art militaire chez les arabes au Moyen Age, in “Journal Asiatique”, IV-XII, 1848; pp.195 e ss.

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Nei trattati arabi, infatti, si rileva una tendenza all’analisi degli aspetti del tiro con l’arco legati all’anatomia del corpo umano che stupisce per la sua meticolosità e precisione. Forti della propria esperienza in campo medico-anatomico, i dotti dell’arcieria elabo- ravano complicate e precise teorie sulla dinamica dell’azione del tiro che niente hanno da invidiare alle moderne elaborazioni scientifiche su tale argomento. Altro importante fattore della dif- fusione di questa letteratura tecnica, fu sicuramente costituito dal fatto che i soldati-arcieri mamelucchi erano in grande maggioran- za dotati di un discreto livello di alfabetizzazione che li metteva in grado di poter leggere e studiare i manuali preparati allo scopo.

Cosa questa che non trova riscontro nell’occidente, dove l’arciere inglese dei secoli XIV-XV, ad esempio, era completamente anal- fabeta ; e Ascham, riteneva questo motivo causa della scarsa dif- fusione di scritti sull’argomento.

La produzione dei manoscritti copre un periodo che va dal XII al XIX secolo, con una continuità di contenuti che travalica lo scorrere dei secoli, essendo spesso le opere filiazione diretta delle precedenti. Il processo di trasmissione che avveniva attra- verso la semplice copiatura dei manoscritti o con compendi suc- cessivi, e ciò ha fatto si che la tradizione dei testi sia stata spesso viziata da gravi lacune, inesattezze, errori di trascrizione e di in- terpretazione che hanno dato luogo a numerosi equivoci ed in- comprensioni tra gli stessi autori della letteratura d’arcieria.

Sebbene allo stato attuale non esista una catalogazione esausti- va di tutti i trattati di arcieria del vicino e medio Oriente, è possi- bile dare un’idea della sterminata produzione al riguardo con al- cuni dati. La “Bibliography of Archery” di Lake e Wright sostiene che attualmente esistono 95 manoscritti di trattati di arcieria – tra arabi, persiani, turchi – , senza contare le varie copie dello stesso

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trattato4. Questa cifra quasi sicuramente non è esaustiva e altri te- stimoni attendo probabilmente di essere aggiunti. A questi trattati specifici , inoltre andrebbero aggiunti i capitoli riguardanti l’arcieria contenuti in testi più generali di carattere militare o ci- negetico.

Dalle bibliografie citate da J. Heine e da Boudot Lamotte, Rieu è possibile individuare circa una novantina di manoscritti arabi sull’argomento sparsi per le varie biblioteche europee ed orientali;

ecco qui di seguito alcuni titoli tratti dalle suddette bibliografie, che possono dare un’idea sul genere di opere5:

1. Anonimo, Oxford, Bodléienne Huntington 213.

2. Anonimo, Libro sull’arte del tiro con l’arco, MS., Oxford Bodléienne Huntington, 548

3. Anonimo, Il metodo di tirare due frecce, MS., Leiden 1416,8.

4. Anonimo, Magmu’a fi al-rimaya, Leiden lub/d. 759 5. Anonimo, al-Idah, Gotha 1333/34

6. Anonimo, Hal al-Ishkal fi-l rami bi-l-nibal, 913h, Paris B.N.

6259

7. Abul’Abbas b. Sibt ibn Hirz-Allah, Manuale sul tiro e la traiettoria dei missili, (1591), MMSS., Berlino 5542,6;

Lipsia,754.

8. Ahmad b. M. al-Haggi Ba’labakki, Senza titolo, 1397, Leiden 1416,7

4 FRED LAKE HAL WRIGHT, Bibliography of Archery, Manchester 1974, rist.

Derrydale Press Lyon,1994.

5 JOACHIM HEIN, Bogenhandwerk und Bogensport bei den Osmanen, in “Der Islam”, XIV(1925), pp. 298-360, - XV(1926) , pp. 1-78, 234-294. ANDRE BOUDOT

LAMOTTE, Contribution à l’étude de l’archerie musulmane, Damasco 1968. C.RIEU, Supplement to the catalogue of the Arabic manuscripts in the British Museum. London 1894.

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9. Ad-Darwis ‘Ali as-Sadhili al-HAnafi ad-Dimaski, La chiave del tesoro dell’ordine sull’origine del tiro e l’insegnamento ai giovani, (1718), MS., Berlino 5544.

10. Yusuf b.M. al-Guhi al-Mawsili, Senza titolo, 1300 c.a., Rieu suppl., 818. London BL or.3135

11. Abu ‘Ali al-Haytimi, Guida per i fratelli circa le regole del tiro con l’arco e delle competizioni, MS., Uri,372

12. b. Abi Huzam, Kitab al-mazhun gami al-funun, Paris, B.N.

2824

13. Haggi b. Aqboga b. Abdallah, Senza titolo, 1462, Gotha 1337,2.

14. Abu Ahmed ‘Abd al-karim b. Ibrahim al Kazani al- Bulghari, Trattato sul tiro e gli archi, (copia del 1834) , MS., Berlino 5549

15. Abu Bekr al-Halabi al-Minkar, Scritto di Aleppo sul tiro con l’arco arabo, (1482), MS., Berlin 5540

16. ‘Ali al-Sagir, Manuale sull’arte del tiro con l’arco, (1441), MS., Uri, 377,1

17. Mustafa Curindji al-Farhati, Libro sui vantaggi dell’arco arabo, (1700 c.a.), MS., Gotha 1339.

18. Suleiman b. Halil b. Suleiman, Consigli al principiante sull’arte del tiro con le frecce, (1464), MS., Gotha 458

19. Djalal ed-din as-Sujuti, Come inculcare i principi del tiro con l’arco, (1500 c.a.) , MS., Berlino 5540

20. Zayn al-Din ‘Abd al-Qadir al-Fagihi, La via della gioia e della precisione nel tiro, in gara, a caccia, in guerra, (1600), MS.

Parigi B.N., 2834.

21. Abu al-Hasan ‘Ali b. Isma’il al-Mursi b. Sida, Kitab al- muhassas fi al-luga, (tomo VI dedicato all’arcieria), Cairo, IV,187

22. al-Hasan b. M.b. Aysun al-Hanafi al-Sindjari, Hidayat al- rami ila al-aqradh wa-l-marami, (1477), Istanbul Ahmad III 230

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23. Abu Bakr b.Yusuf b. Abi Ishak bakr b. M. b. Hasan al- Mutatabbib al-Shafi’i, Senza titolo, 1300-1400, Rieu suppl.819, London BL, or.3136

24. Nasir al-din M. b. Alì al-kazani al-Sughayyar, Rami al- Nushshab, (1444), Istanbul Ahmad III 2620.

25. Ustad Muhammad b.Ali al-Rami, Kitab Kasidat al-lamiyya..., BN 6640, 799.

26. Iusuf b. Muhammad al-Djukhi al-Mawsili, Senza titolo, Br.Libr. or.3135

27. Abu Bakr b.Yusuf b.Abi Ishak Bakr b...al-Shafi’i, Senza titolo, Br.Libr. or.3136, XV sec.

Di seguito, invece, riporto gli indici di alcuni di questi, attra- verso i quali sarà possibile rendersi conto, anche se in maniera, per l’appunto sommaria, della ricchezza di contenuti e della varie- tà degli aspetti della materia da essi trattati.

Mardi b. ‘Ali al-TARSURI, Tabsirat arbab al-albab... (Spiegazio- ne per lo spirito sul modo di disporsi durante il combattimen- to...), 1200 c.a.; Capitolo sull’arcieria. Il trattato è stato pubblica- to per intero da un orientalista francese, Claude Cahen, mentre i capitoli sull’arcieria sono stati tradotti dal suo allievo Boudot La- motte. 6 Composto da un dignitario della corte di Saladino come manuale tattico-strategico per la guerra santa contro gli infedeli, databile, quindi, al tempo della seconda Crociata. In esso è con- tenuto un intero capitolo dedicato all’arcieria, che rappresenta il primo trattato arabo sull’argomento conosciuto.

I - La superiorità dell’arco II - Origini dell’arco

6 CLAUDE CAHEN, Un traité d’armurie composè pour Saladin, in “Bulletttin d’Etudes Orientales”, XII, 1947; BOUDOT LAMOTTE, op. cit.

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III - Elogio dell’arco IV - Versi sull’arco

V - Diverse denominazioni dell’arco VI - Nove qualità richieste all’arciere VII - Le successive fasi del tiro

VIII- Le quindici tecniche fondamentali per il caricamento IX - Le sei tecniche secondarie

X - Altri casi concernenti tecniche particolari XI - Presa della freccia

X - Impugnatura XI - Incocco XII - Aggancio XIII- Trazione XIV - Mira XV - Rilascio XVI - Consigli

XVII- Come tirare su un cavaliere in movimento XVIII- Come tirare su un cavaliere fermo

XIX - Condotta da tenere quando un cavaliere carica con la spada

XX - Condotta da tenere quando un cavaliere carica con la lancia

XXI - Come tirare su un distaccamento di cavalleria XXII - La necessità di avere due archi

XXIII - Come tirare da sotto un muro

XXIV - Condotta da tenere in caso di attacco condotto dal nemico simultaneamente di fronte e lateralmente XXV - Come tirare quando si è armati di altre armi XXVI - Condotta da tenere in diverse circostanze XXVII - Dimensione e forza degli archi arabi, taratura.

XXVIII- Norme da rispettare

XXIX - Ultimi consigli relativi alle frecce da utilizzare in fun- zione della forza degli archi.

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Al-Asrafi al-Baklamisi al-Yunani TAYBOGHA, Mss. Paris 2833, Br.Mus.1464., Gotha 1341,2 con il titolo Gunyat al-tullab fi ma’rifat al ramy bi al-nussab (“Regole essenziali dell’arcieria per i principianti”) 1368 ca.

La traduzione inglese condotta da Latham e Paterson, rappre- senta l’opera più recente e più completa sull’arcieria araba, in quanto ricca di note, commenti e confronti con altri manoscritti arabi7.

I - Introduzione

II - I pilastri dell’arcieria III - Sull’arco

IV - Sulla corda V - Sulle frecce

VI - Sull’anello da pollice VII - Sui fondamenti dell’arcieria VIII- Sull’impugnatura

IX - Sull’incocco X - Sull’aggancio XI - Sulla trazione XII- Sulla mira XIII- Sul rilascio

XIV - Sul follow-through XV - Sul tiro da cavallo

XVI - Sul tiro della balestra da cavallo XVII- Sul caricamento dell’arco XVIII - Sulla posizione

XIX - Sul tiro di gittata XX - La lista dei 32 punti

7 J.D.LATHAM R.N.PATERSON, Saracen Archery, Holland Press, London 1970.

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XXI - Sugli infortuni a cui è esposto l’arciere

XXII - Sugli adeguamenti richiesti dalle differenti corporature XXIII - I sistemi dei grandi maestri dell’arcieria

XXIV - Sul bisogno dell’arciere di riconoscere i propri errori e correggere l’uso delle braccia

XXV - Miscellanea di tecniche ed espedienti XXVI - Sul tiro con i guida-frecce

XXVII- Sulla procedura, condotta, e principi da osservare da parte del novizio

XXVIII- Sulle doti e qualità di un maestro di tiro con l’arco ANONIMO MAROCCHINO, Un libro sull’eccellenza dell’arco e delle frecce e loro descrizione, anno 1500 c.a. , Ms. Garret Coll., Prin- ceton University Library8.

I - In nome di Dio il misericordioso , il compassionevole II - L’utilità degli arcieri nella guerra santa

III - L’eccellenza dell’arco arabo, il suo uso, adozione...

IV - I differenti tipi di arco e i più desiderevoli tra essi

V - La nomenclatura degli archi arabi e delle loro differenti parti

VI - I maestri arcieri

VII - I principi del tiro e le differenti scuole in proposito VIII - Cose che l’arciere dovrebbe conoscere

IX - Come determinare la forza di un arco, il suo peso, e il limite della forza dell’arciere

X - Il testare l’arco prima del caricamento XI - Il caricamento e scaricamento

XII - La curvatura dell’arco dopo il caricamento XIII - Lo scaricamento

XIV - La presa della freccia

8 N.AFARIS R.P.ELMER, Arab Archery, Princeton 1945.

Riferimenti

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