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Non fate della casa del Padre mio un mercato!

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Academic year: 2022

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Anche per chi parteciperà alla messa, il foglietto è l’occasione per leggere e meditare le letture prima della celebrazione o per continuare la preghiera personale a casa dopo la messa, nel corso della settimana.

Non fate della casa del Padre mio un mercato!

III Domenica di Quaresima - Preghiera a casa

Possiamo pregare mettendo nell’angolo della nostra preghiera una Bibbia o un Vangelo, qualche sasso o pianta grassa, segno del deserto quaresimale, e una candela accesa, segno della luce della

trasfigurazione che ci accompagna in questi quaranta giorni. Questa domenica mettiamo anche una ciotola d’acqua, ricordo del nostro Battesimo e dell’amore di Dio che entra nel tempio della nostra vita per vincere il male che ci abita.

L’acqua ci servirà per il momento celebrativo.

Quando tutto è pronto, uno della famiglia inizia la preghiera col segno di croce.

G. Siamo riuniti insieme nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Tutti: Amen.

G. Dopo averci condotti prima nel deserto e poi sul monte, oggi il vangelo ci spinge nel tempio di Gerusalemme, che, come ricorda Gesù, non era più casa del Padre ma luogo di mercato. Anche noi, a volte, facciamo non solo delle nostre chiese, ma anche del tempio della nostra vita, un luogo in cui Dio e la sua Parola non trovano spazio. Chiediamo al Signore che la quaresima sia un tempo in cui Dio possa prendere dimora nei nostri templi e nei nostri cuori.

Breve silenzio

G. Padre buono, tu ci doni il tempo della Quaresima per ascoltare e accogliere la tua Parola:

donaci la sapienza della croce, perché in Cristo tuo Figlio, diventiamo tempio vivo del tuo amore.

Benedetto nei secoli dei secoli.

Tutti: Amen.

Sono riportate tutte le letture della messa domenicale. Nel caso in cui siano presenti alla preghiera dei bambini, potete scegliere se leggerle tutte o solo quelle che ritenete più opportune.

Dal libro dell’Èsodo (20,1-17)

In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro;

ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te.

Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

Parola di Dio

Rendiamo grazie a Dio

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Dal salmo 18

Rit: Signore, tu hai parole di vita eterna.

La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima;

la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice. Rit.

I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore;

il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi. Rit.

Il timore del Signore è puro, rimane per sempre;

i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti. Rit.

Più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante. Rit.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (1,22-25)

Fratelli, sorelle, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti, ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini

Parola di Dio Rendiamo grazie a Dio Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito; chiunque crede in lui ha la vita eterna.

Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!

Dal Vangelo secondo Giovanni (2,13-25)

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

Parola del Signore

Lode a Te, o Cristo

Riflessione

(chi guida la preghiera può commentare il vangelo con sue parole oppure può leggere la riflessione che segue)

Talvolta per cambiare mentalità occorre un autentico terremoto che faccia saltare in aria i nostri pregiudizi, le nostre cattive abitudini, le convinzioni che si sono consolidate nel tempo. Abbiamo bisogno – ogni tanto – che qualcuno “scaravolti i tavoli” e ci costringa interrogarci sul perché di certe nostre scelte o certe nostre abitudini. Sulle prime rimarremo sconvolti e anche un po’ arrabbiati, ma forse scopriremo ben presto che quel gesto provocatorio è stato importante e prezioso: un gesto d’affetto verso di noi.

Quella azione tra i mercanti del Tempio di Gerusalemme fu un autentico terremoto, tant’è che tutti gli evangelisti lo ricordano e l’eco di quel gesto accelerò la fine di Gesù. Noi forse non comprendiamo la gravità di quel gesto: il Tempio rappresentava il simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, la memoria visiva della sua promessa. A Dio si sacrificavano gli animali per dargli culto, per manifestare – cioè – la

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propria riconoscenza e il desiderio di tenere viva questa alleanza. Pertanto, i venditori di animali e cambiavalute erano necessari per il sacrificio. I pellegrini che giungevano da lontano non potevano portarsi gli animali da casa (animali che dovevano essere “puri”, cioè senza menomazioni di alcun tipo); coloro, poi, che provenivano da paesi stranieri avevano necessità di cambiare la propria moneta con quella coniata dal Tempio. Questo sistema “commerciale” era pertanto necessario, anche se ben presto era diventato occasione di corruzione, arricchimento spropositato dei sacerdoti che – alla fine – guadagnavano grazie a Tempio.

Quello che è peggio è che questo sistema, a lungo andare, ingenerava una idea malsana e distorta di Dio.

Dio rischiava di essere immaginato come Qualcuno al quale “sacrificare” qualcosa in cambio della sua benevolenza. La religione di Israele scadeva così in “mercato”: io ti do qualcosa (anche fosse un animale) e tu – Dio – mi colmi di benedizioni e di attenzione.

Gesù si oppone a questa mentalità perché distorce l’immagine di Dio ed è pericolosa per l’uomo. Distorce l’immagine di Dio perché non è più il Dio della gratuità e dell’amore, ma dello “scambio” e del “privilegio”.

E l’uomo si convince che per piacere a Dio sia sufficiente garantire qualcosa da sacrificargli per placarlo e averlo dalla propria parte.

Forse anche noi, in fondo, portiamo dentro questa mentalità. Pensiamo sia sufficiente compiere alcune azioni buone, alcuni gesti “religiosi” per pensare di essere “a posto con Dio”.

Così come nelle relazioni umane: viviamo nella logica dello scambio e del commercio così come lo viviamo con Dio? Al contrario, la gratuità libera e amante di Dio verso ogni uomo ed ogni donna ci deve spingere a vivere con la stessa apertura e gratuità verso gli altri.

Tuttavia, sappiamo che certe convinzioni sono così radicate in noi che occorre un autentico scaravoltamento per poterle ripensare. A volte certi terremoti nella vita e nella vita di fede sono salutari e – come ha fatto Gesù – sono segno di bontà verso di noi perché intendono scuoterci da una situazione di rigidità, di raffreddamento del cuore che possono essere pericolosi per la nostra vita. La buona notizia è che, in questo

“scaravoltamento” non siamo lasciati soli. Il vangelo ci dice che è Gesù stesso a “metterci la faccia”, perché è pronto a donare la sua vita per una relazione autentico con il Padre: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (ma egli parlava del tempio del suo corpo). Gesù dona tutto se stesso per dimostrare che noi siamo graditi e amati da Dio nella libertà.

Anche noi abbiamo la responsabilità con i geti, le scelte e le parole, di annunciare un Dio della gratuità e liberare le persone da immagini sbagliate e nocive di Dio; tuttavia, possiamo farlo in modo credibile se siamo disposti a “giocarci in prima persona”. Non è sufficiente accusare le storture della religione, ma occorre farsi accanto e mostrare nella relazione fraterna e autentica il vero volto del Padre.

Silenzio

Richiesta di perdono Fratelli e sorelle,

presentiamo con fiducia il nostro peccato a Dio, Padre misericordioso e compassionevole, lento all'ira, grande nell'amore e nella fedeltà.

Signore Gesù, tu non vuoi che facciamo della casa del Padre tuo un mercato, tu ci chiami ad onorarti non solo con le labbra,

ma soprattutto con le nostre scelte nei templi delle nostre coscienze e della nostra vita.

Quando facciamo della nostra fede una recita, abbi misericordia di noi. Kyrie, eleison.

Kyrie, Kyrie, eleison!

Cristo Signore, in questi giorni papa Francesco è pellegrino di pace in Iraq, sulle orme di Abramo, in cerca di fraternità.

Quando la fede diventa motivo di divisione e di scontro

tra cristiani, ebrei e musulmani, abbi misericordia di noi. Christe, eleison.

Christe, Christe, eleison!

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Martedì 9 marzo Ore 20:00 in cappellina

Preghiera

sul vangelo della domenica Giovedì 11 marzo

In cappellina

Ore 18:00 Preghiera sulla Passione Ore 18:30 Messa

Nell’imminenza della festa dell’8 marzo, ci ricordiamo di tutte le donne. Si stima che in tutto il mondo il 35 per cento delle donne sia vittima di violenza e che la retribuzione del lavoro femminile sia molto più bassa di quella maschile. Spesso le donne sono ai margini anche della vita della Chiesa.

Signore, tu hai donato all’uomo e alla donna la stessa dignità, per le nostre ingiustizie e discriminazioni, abbi misericordia di noi. Kyrie, eleison.

Kyrie, Kyrie, eleison!

Momento celebrativo

Papa Francesco ha commentato con queste parole il vangelo di questa domenica: “Ci domandiamo, e ognuno di noi si può domandare: il Signore si sente veramente a casa nella mia vita? Gli permettiamo di fare “pulizia” nel nostro cuore e di scacciare gli idoli, cioè quegli atteggiamenti di egoismo, gelosia, invidia, odio, quell’abitudine di chiacchierare dietro gli altri? Gli permetto di fare pulizia di tutti i comportamenti contro Dio, contro il prossimo e contro noi stessi? E non dobbiamo temere: Gesù farà pulizia con tenerezza, con misericordia, con amore. La misericordia è il suo modo di fare pulizia. Lasciamo che il Signore entri con la sua misericordia - non con la frusta, no, con la sua misericordia - a fare pulizia nei nostri cuori. La frusta di Gesù con noi è la sua misericordia. Apriamogli la porta perché faccia un po’ di pulizia”.

In silenzio ci chiediamo: Da che cosa desidero che Gesù liberi il mio cuore?

Ognuno prega dicendo: “Gesù libera il mio cuore da…” (es. dall’egoismo).

Conclusa la preghiera ciascuno fa il segno di croce con l’acqua contenuta nella ciotola, per fare memoria del nostro Battesimo e dell’amore di Dio per noi.

Padre nostro…

G. Il Signore ci accompagna nel nostro cammino e ci sostiene con il suo Spirito.

Amen.

L’articolo della settimana

In Quaresima san Benedetto consegnava ai suoi monaci un libro da leggere, perché considerava il cammino verso la Pasqua un tempo in cui era necessario anche pensare la fede. Nel tempo quaresimale desideriamo approfondire la lettura di alcuni passaggi della Lettera enciclica sulla fraternità e l'amicizia sociale “Fratelli tutti” di Papa Francesco

UN CUORE APERTO AL MONDO INTERO

Da “Fratelli tutti” - Capitolo quarto

L’affermazione che, come esseri umani, siamo tutti fratelli e sorelle, se non è solo un’astrazione ma prende carne e diventa concreta, ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte.

Il limite delle frontiere. Quando il prossimo è una persona migrante si aggiungono sfide complesse. Certo, l’ideale sarebbe evitare le migrazioni non necessarie e a tale scopo la strada è creare nei Paesi di origine la possibilità concreta di vivere e di crescere con dignità, così che si possano trovare lì le condizioni per il proprio sviluppo integrale. Ma, finché non ci sono seri progressi in questa direzione, è nostro dovere rispettare il diritto di ogni essere umano di trovare un luogo dove poter non solo soddisfare i suoi bisogni primari e quelli della sua famiglia, ma anche realizzarsi pienamente come persona. I nostri sforzi nei confronti delle persone migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Infatti, «non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni, per costruire città e Paesi che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperti alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana». Ciò implica alcune risposte indispensabili, soprattutto nei confronti di coloro che fuggono da gravi

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crisi umanitarie. Per esempio: incrementare e semplificare la concessione di visti; adottare programmi di patrocinio privato e comunitario; aprire corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili; offrire un alloggio adeguato e decoroso; garantire la sicurezza personale e l’accesso ai servizi essenziali; dare loro libertà di movimento e possibilità di lavorare; proteggere i minorenni e assicurare ad essi l’accesso regolare all’educazione; prevedere programmi di custodia temporanea o di accoglienza; garantire la libertà religiosa;

promuovere il loro inserimento sociale; favorire il ricongiungimento familiare e preparare le comunità locali ai processi di integrazione.

Per quanti sono arrivati già da tempo e sono inseriti nel tessuto sociale, è importante applicare il concetto di

“cittadinanza”, che «si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli».

Al di là delle diverse azioni indispensabili, gli Stati non possono sviluppare per conto proprio soluzioni adeguate «poiché le conseguenze delle scelte di ciascuno ricadono inevitabilmente sull’intera Comunità internazionale». Pertanto «le risposte potranno essere frutto solo di un lavoro comune», dando vita ad una legislazione (governance) globale per le migrazioni. In ogni modo occorre «stabilire progetti a medio e lungo termine che vadano oltre la risposta di emergenza. Essi dovrebbero da un lato aiutare effettivamente l’integrazione dei migranti nei Paesi di accoglienza e, nel contempo, favorire lo sviluppo dei Paesi di provenienza con politiche solidali, che però non sottomettano gli aiuti a strategie e pratiche ideologicamente estranee o contrarie alle culture dei popoli cui sono indirizzate».

I doni reciproci. L’arrivo di persone diverse, che provengono da un contesto vitale e culturale differente, si trasforma in un dono, perché «quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti». D’altra parte, quando si accoglie di cuore la persona diversa, le si permette di continuare ad essere sé stessa, mentre le si dà la possibilità di un nuovo sviluppo. Le varie culture, che hanno prodotto la loro ricchezza nel corso dei secoli, devono essere preservate perché il mondo non si impoverisca. E questo senza trascurare di stimolarle a lasciar emergere da sé stesse qualcosa di nuovo nell’incontro con altre realtà. Non va ignorato il rischio di finire vittime di una sclerosi culturale. Perciò «abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti. È necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui».

Il fecondo interscambio. L’aiuto reciproco tra Paesi in definitiva va a beneficio di tutti. Un Paese che progredisce sulla base del proprio originale substrato culturale è un tesoro per tutta l’umanità. Abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza che oggi o ci salviamo tutti o nessuno si salva. La povertà, il degrado, le sofferenze di una zona della terra sono un tacito terreno di coltura di problemi che alla fine toccheranno tutto il pianeta. Se ci preoccupa l’estinzione di alcune specie, dovrebbe assillarci il pensiero che dovunque ci sono persone e popoli che non sviluppano il loro potenziale e la loro bellezza a causa della povertà o di altri limiti strutturali. Perché questo finisce per impoverirci tutti.

Se ciò è stato sempre certo, oggi lo è più che mai a motivo della realtà di un mondo così interconnesso per la globalizzazione. Abbiamo bisogno che un ordinamento mondiale giuridico, politico ed economico

«incrementi e orienti la collaborazione internazionale verso lo sviluppo solidale di tutti i popoli»

Questo alla fine andrà a vantaggio di tutto il pianeta, perché «l’aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri» implica

«creazione di ricchezza per tutti». Dal punto di vista dello sviluppo integrale, questo presuppone che si conceda «anche alle Nazioni più povere una voce efficace nelle decisioni comuni» e che ci si adoperi per

«incentivare l’accesso al mercato internazionale dei Paesi segnati da povertà e sottosviluppo».

Il sapore locale. La soluzione non è un’apertura che rinuncia al proprio tesoro. Come non c’è dialogo con l’altro senza identità personale, così non c’è apertura tra popoli se non a partire dall’amore alla terra, al popolo, ai propri tratti culturali. Non mi incontro con l’altro se non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su quella base posso accogliere il dono dell’altro e offrirgli qualcosa di autentico. È

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possibile accogliere chi è diverso e riconoscere il suo apporto originale solo se sono saldamente attaccato al mio popolo e alla sua cultura.

L’orizzonte universale. Non è possibile essere locali in maniera sana senza una sincera e cordiale apertura

all’universale, senza lasciarsi interpellare da ciò che succede altrove, senza lasciarsi arricchire da altre culture e senza solidarizzare con i drammi degli altri popoli.

Senza il rapporto e il confronto con chi è diverso, è difficile avere una conoscenza chiara e completa di sé stessi e della propria terra, poiché le altre culture non sono nemici da cui bisogna difendersi, ma sono riflessi differenti della ricchezza inesauribile della vita umana. Guardando sé stessi dal punto di vista dell’altro, di chi è diverso, ciascuno può riconoscere meglio le peculiarità della propria persona e della propria cultura: le ricchezze, le possibilità e i limiti. L’esperienza che si realizza in un luogo si deve sviluppare “in contrasto” e

“in sintonia” con le esperienze di altri che vivono in contesti culturali differenti.

In realtà, una sana apertura non si pone mai in contrasto con l’identità. Infatti, arricchendosi con elementi di diversa provenienza, una cultura viva non ne realizza una copia o una mera ripetizione, bensì integra le novità secondo modalità proprie. Questo provoca la nascita di una nuova sintesi che alla fine va a beneficio di tutti, poiché la cultura in cui tali apporti prendono origine risulta poi a sua volta alimentata. Perciò ho esortato i popoli originari a custodire le loro radici e le loro culture ancestrali, ma ho voluto precisare che non era «mia intenzione proporre un indigenismo completamente chiuso, astorico, statico, che si sottragga a qualsiasi forma di meticciato», dal momento che «la propria identità culturale si approfondisce e si arricchisce nel dialogo con realtà differenti e il modo autentico di conservarla non è un isolamento che impoverisce». Il mondo cresce e si riempie di nuova bellezza grazie a successive sintesi che si producono tra culture aperte, fuori da ogni imposizione culturale.

Questo approccio, in definitiva, richiede di accettare con gioia che nessun popolo, nessuna cultura o persona può ottenere tutto da sé. Gli altri sono costitutivamente necessari per la costruzione di una vita piena. La consapevolezza del limite o della parzialità, lungi dall’essere una minaccia, diventa la chiave secondo la quale sognare ed elaborare un progetto comune. Perché «l’uomo è l’essere-limite che non ha limite».

Davanti ad un quadro…

Roger Van der Weyden realizza nel 1450 questo dipinto dal titolo I sette sacramenti.

La celebrazione dei sette sacramenti si svolge all’interno di una chiesa gotica, nelle navate laterali. Ciò che colpisce maggiormente, è che al centro dell’opera e della chiesa sia collocata una grande crocifissione, che occupa la navata centrale e che cattura l’occhio di chi osserva il dipinto. Il messaggio è molto chiaro: la chiesa (facendo riferimento al vangelo di questa domenica, potremmo dire “il tempio”) non è luogo di mercato, ma luogo in cui è possibile riunirci e sperimentare l’amore sovrabbondante di Dio che ci è stato rivelato in Gesù, sulla croce:

un amore fino alla fine.

Van der Weyden, nella sua opera, suggerisce un parallelo diretto fra il tempio della chiesa e il tempio del corpo di Cristo. È

proprio da questo corpo donato per amore che nasce la chiesa e scaturiscono i sacramenti, che non sono altro che segno dell’amore di Dio per ogni uomo: un Dio che ci chiama figli amati nel Battesimo, un Dio che ci nutre con il pane e il calice dell’eterna alleanza (Eucaristia), che ci perdona (Riconciliazione), che conferma il suo amore per noi (Confermazione), che benedice sia il nostro donarci totalmente a lui (Ordine), sia l’amore tra l’uomo e la donna (Matrimonio); un Dio che anche nella malattia non ci lascia soli e ci consola (Unzione degli infermi). I sacramenti sono segno gratuito dell’amore gratuito e sovrabbondante di Dio.

Come ha ricordato papa Francesco (21 novembre 2014): “Fa male vedere entrando in qualche chiesa, che ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi: battesimo, tanto; benedizione, tanto; intenzioni di messa, tanto... Fa male quando quelli che sono nel tempio — siano sacerdoti, laici, segretari che hanno da gestire il tempio — divengono affaristi: il popolo si scandalizza. La redenzione è gratuita. Gesù, infatti, viene a portarci la gratuità totale dell’amore di Dio e prende la frusta per purificarci e per purificare i nostri templi”.

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