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Il Ministro della Difesa

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Il Ministro della Difesa

COMUNICAZIONE DEL MINISTRO DELLA DIFESA, ON.LE PROF.

ANTONIO MARTINO, SULL’EVOLUZIONE DELLA SITUAZIONE IN IRAQ.

Roma, 18 maggio 2004

Signor Presidente, Onorevoli Senatori e Deputati,

il gravissimo lutto che ci ha colpito, con la perdita del giovane Caporale Matteo VANZAN, vittima generosa della violenza cieca, ed il ferimento di 15 militari, ci fanno sentire un senso di profonda partecipazione e vicinanza ai nostri uomini che assolvono la missione loro affidata con grande professionalità ed abnegazione.

A nome del Governo voglio far sentire la nostra più commossa partecipazione ai familiari della vittima ed alle Forze armate, cui va tutta la nostra solidarietà per l’opera che i militari italiani svolgono quotidianamente anche in difficili momenti come l’attuale.

Prima di passare all’esposizione dei fatti, così come sono stati ricostruiti sulla base delle informazioni fornitemi dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, che esercita il Comando Operativo del Contingente Nazionale Interforze nell’operazione “Antica Babilonia” in Iraq, ritengo sia utile ricordare sinteticamente la situazione complessiva nella regione di DHI QAR, che rappresenta l’area di responsabilità operativa nazionale nel quadro della forza multinazionale.

Il deterioramento della situazione, con ripetuti episodi di violenza e terrorismo, risulta il frutto della cooperazione e della complicità tra ex esponenti del deposto regime di SADDAM, miliziani di varia estrazione, combattenti arabi collegati ad AL QAEDA, estremisti fondamentalisti emergenti o provenienti da altri Paesi. Sono questi i responsabili di episodi circoscritti, non condivisi dalla massa della popolazione, ma comunque gravissimi.

Non si può, dunque, parlare di rivolte generalizzate, bensì di gruppi armati minoritari che ricorrono sistematicamente alla violenza per imporsi col metodo del fatto compiuto e dell’intimidazione, a meno di due mesi dal passaggio dei poteri agli iracheni.

Lo scopo, molto chiaro, è di favorire il diffondersi tra la popolazione locale di

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una sfiducia generalizzata nei riguardi dell’azione della Coalizione per isolarne quanto più possibile le forze.

D’altra parte, agli occhi degli estremisti, il fatto che i rapporti tra i nostri militari e la popolazione siano buoni deve sembrare un intollerabile esempio da sradicare al più presto. Ed allora inviano, da fuori AN-NASSIRIYAH, miliziani con l’ordine di seminare disordine e violenza.

Al centro della vicenda c’è il leader radicale sciita MOQTADA AL-SADR.

Figlio dell’Ayatollah MOHAMMAD SADEK AL-SADR, assassinato nel 1999 dal regime di SADDAM HUSSEIN, MOQTADA, 32 anni, è il leader del movimento JIMAAT

AL-SADR-THANI, un gruppo con base nella città santa sciita di NAJAF. La componente militare di questo è rappresentata dal MAHDI ARMY che, da un lato conduce azioni anche contro fazioni sciite rivali e, dall’altro, cerca un avvicinamento con esponenti del clero sunnita della capitale .

Così, MOQTADA AL-SADR non si rivolta solo contro gli americani e le forze della coalizione. Egli contrasta anche il Consiglio provvisorio di governo e gli altri leader sciiti, sia religiosi, come l’Ayatollah AL SISTANI, massima autorità religiosa degli sciiti iracheni, e ABDUL AZIZ AL HAKIM, leader del Supremo Consiglio per la Rivoluzione Islamica in Iraq (SCIRI), sia laici come AHMED CHALABI, che hanno invece lanciato un appello “alla pace e alla moderazione” ed accettato il programma per tappe definito dall’inviato dell’ONU LAKHDAR BRAHIMI.

In realtà, il gruppo di AL-SADR contesta soprattutto la leadership moderata sciita perché mira a prenderne il posto e si oppone a che le scadenze previste per la transizione dei poteri al Governo Iracheno vengano rispettate.

A AN-NASSIRIYAH il leader dell’AL-SADR OFFICE è lo sceicco AUS AL KHAFAJI, in grado di controllare alcune fazioni armate della città.

L’attivismo manifestato dai seguaci di AL-SADR sembra delineare un loro tentativo di acquisire, innanzitutto, visibilità nella comunità sciita e più in generale nel Paese al fine di ricercare più spazio e più potere nel quadro delle future istituzioni politiche irachene.

Inoltre, AL-SADR cerca di radicalizzare lo scontro politico e religioso per accrescere la sua influenza ed il suo peso nella comunità sciita. In tale contesto, egli

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vuole scatenare una protesta generalizzata nei riguardi della Coalizione, ma anche, e forse soprattutto, in direzione della leadership religiosa dell’AyatollahAL SISTANI, responsabile di avere fin qui mantenuto una posizione “moderata” ed un dialogo con la Coalizione.

In realtà, AL-SADR ha scarso seguito tra la popolazione sciita e, proprio per questo, ricorre a mezzi violenti e terroristici di lotta per affermarsi in seno ad essa.

In questo quadro complessivo, negli ultimi tre giorni, la situazione prima caratterizzata da uno stillicidio di azioni isolate e di scarsa intensità, si è trasformata in una serie di azioni violente, ripetute e continuate da parte delle milizie del cosiddetto esercito del MAHDI contro le forze della coalizione.

La successione degli eventi mostra chiaramente come il quadro, già instabile dopo la relativa calma conseguente alla tregua concordata in seguito agli scontri di aprile, si sia aggravato.

L’inizio della nuova strategia si colloca al termine della preghiera di venerdì 14, nella Moschea di AN-NASSIRIYAH quando lo sceicco AL KAFAJJ ha esortato alla JIHAD, la “guerra santa” contro le forze della coalizione.

Le attività offensive, sviluppatesi sin da venerdì pomeriggio, hanno interessato inizialmente la sede del governatorato locale e le stazioni della polizia locale, per poi comprendere, nella serata-nottata dello stesso giorno, la sede della Coalition Provisional Authority (CPA) e la Base LIBECCIO, quest’ultima mantenuta dalla Italian Joint Task Force perché strategica per il controllo della città, in particolare dei ponti sull’Eufrate, e funzionale alla difesa della struttura della CPA.

Il 14 maggio, alle ore 15 circa, quaranta persone hanno occupato la sede del Dipartimento Anticrimine della Polizia locale situato nella vecchia Base LIBECCIO, impossessandosi di armi e munizioni e dopo poco tempo due plotoni di carabinieri inviati a difendere la sede sono stati fatti oggetto di intensa azione di fuoco.

Nella serata la sede della Coalition Provisional Authority è stata attaccata con il fuoco di lanciarazzi RPG e di armi automatiche da parte dei miliziani . La sede era difesa da un plotone del Reggimento “SAN MARCO”, da un plotone della Brigata ARIETE e da 32 filippini appartenenti ad un corpo di vigilanza civile. All’interno,

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oltre al Governatore locale e al personale dello staff, si trovavano anche tre giornalisti italiani.

A seguito del primo attacco il Comando del contingente ha inviato due plotoni di carabinieri paracadutisti e un plotone di rumeni per un’azione di forza contro le forze ostili.

Nel corso della notte gli scontri sono proseguiti ed è stata predisposta l’evacuazione del personale civile e dei giornalisti dalla sede della Coalition Provisional Authority, mentre i militari della Multinational Specialized Unit hanno consolidato il mantenimento della Base LIBECCIO, fatta continuamente segno di colpi di lanciarazzi RPG e di mortai.

Nella circostanza un carabiniere è stato leggermente ferito.

Per tutto il giorno 15 maggio sono continuate le azione di fuoco avversarie contro la Base LIBECCIO e la sede della Coalition Provisional Authority. In serata è stata portata a termine l’evacuazione dei giornalisti e dei membri della CPA, che hanno potuto raggiungere la Base “WHITE HORSE”.

Nella mattina del 16 maggio un convoglio composto da un plotone di carabinieri paracadutisti e da un plotone di bersaglieri si è nuovamente diretto presso la sede della Coalition Provisional Authority al fine di scortare la dottoressa CONTINI e permetterle di reinsediarsi nel proprio ufficio e per rifornire il personale rimasto a difesa della struttura.

Prima di raggiungere la CPA il convoglio è stato bersagliato dal fuoco dei miliziani. I militari italiani dopo aver replicato con le armi in dotazione sono riusciti a raggiungere la sede.

Nella circostanza un ufficiale ed un appuntato dei carabinieri riportavano lievi ferite, rispettivamente ad una mano e ad una guancia.

Intorno alle ore 19 numerosi colpi di mortai pesanti sono stati esplosi contro la Base LIBECCIO e tre militari appartenenti al Reggimento Lagunari sono stati feriti ed immediatamente esfiltrati da un plotone motorizzato per essere trasportati all’ospedale militare di Tallil. Uno di essi, il Caporale Matteo VANZAN, è apparso da subito in gravissime condizioni e sottoposto a delicato intervento chirurgico che purtroppo è risultato vano. Il decesso è avvenuto alle ore 04.35 del 17, ora locale.

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Nella tarda serata la Base LIBECCIO è stata evacuata e durante il ripiegamento altri 4 carabinieri sono rimasti feriti in modo lieve.

Nella notte tra il 16 e il 17, con il sostegno degli alleati, ha avuto luogo un’azione mirata, di soppressione di sorgenti di fuoco, postazioni di mortai e riservette di munizioni dell’esercito del MAHDI, all’interno della città.

Nella giornata del 17 la città è tornata nuovamente sotto controllo delle nostre forze in quanto i miliziani hanno abbandonato i principali punti strategici compresi i ponti sull’Eufrate.

La situazione, nel momento in cui vi parlo, conferma che i miliziani autori degli attacchi dei giorni scorsi, già nella giornata di ieri, hanno abbandonato le posizioni. La stessa Base LIBECCIO è stata ripresa dal contingente.

Sono stati tre giorni impegnativi e difficili che hanno visto, oltre al decesso del Caporale VANZAN, anche il ferimento di altri 15 nostri militari, di cui 4 hanno fatto rientro in Italia. Al momento, fortunatamente, nessuno di questi è in gravi condizioni.

Signor Presidente, Onorevoli Senatori e Deputati,

la cornice di violenza e terrorismo che ha connotato le ultime giornate aumenta la nostra consapevolezza ed anche il nostro apprezzamento per quanto stanno facendo i nostri soldati.

Nel marzo dello scorso anno, il nostro Governo dichiarò in forma solenne ed inequivocabile, la non belligeranza dell’Italia, manifestata in Consiglio Supremo di Difesa e sancita dal Parlamento. Non belligeranza ed intervento solo dopo il conflitto.

Siamo quindi intervenuti in Iraq per portare la pace, non la guerra. Pace che è un valore di tutti gli italiani, non solo di coloro che la reclamano a senso unico. Di quella volontà di pacificazione, il Parlamento si è fatto interprete, il 15 aprile del 2003, in coerenza con la scelta delle Nazioni Unite manifestata con la Risoluzione n. 1483, di contribuire alla stabilità e sicurezza dell’Iraq e di assistere il popolo iracheno.

La successiva Risoluzione n. 1511 ha autorizzato una forza multinazionale, a

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comando unificato, a prendere tutte le misure necessarie per contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità necessaria al processo di ricostruzione dell’Iraq.

Il drammatico crescendo di scontri di questi giorni non modifica queste finalità e la natura complessiva della nostra presenza militare. Rafforza, semmai, il nostro impegno.

La nostra è una forza militare, inviata per garantire le condizioni di sicurezza e stabilità e naturalmente di rispetto di quella dignità umana che tanto ferocemente era stata calpestata da SADDAM HUSSEIN.

Nessun compito aggressivo, bellicoso, non rispettoso della persona umana;

bensì essenzialmente protettivo, per consentire sicurezza ed assistenza umanitaria e di ricostruzione.

Questa nostra missione è fortemente avversata da chi non vuole che si compia la normalizzazione del paese, che si svolgano libere elezioni democratiche, che l’Iraq diventi un paese politicamente stabile. Evidentemente, è in atto un disegno di destabilizzazione del paese, con un’offensiva senza quartiere contro chi sta portando loro la pace e la ricostruzione, gli aiuti e la sicurezza.

In particolare, si vogliono far apparire agli occhi della popolazione irachena gli italiani come truppe di occupazione, modificando addirittura la realtà dei fatti per addebitare a noi colpe che non abbiamo.

Un esempio tra tutti è dato dalla vicenda dell’ordigno esploso nel mercato di AN-NASSIRIYAH, del quale alcune emittenti arabe hanno riferito il falso, tentando di screditare il comportamento dei nostri uomini.

Rispetto alla dinamica degli eventi, sono state diffuse notizie costruite sul sentito dire o addirittura infondate, con la strumentalizzazione della comunicazione per porre in discussione la nostra presenza e il significato vero della nostra missione.

Sentiamo, invece, forte la necessità di fornire notizie certe proprio per rispettare il delicato compito che i nostri soldati svolgono rischiando la propria vita.

È, anche, doveroso ricordare l’importanza della capacità negoziale dimostrata

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dai nostri rappresentanti. Nonostante i miliziani stiano conducendo azioni di guerriglia urbana, sono sempre stati mantenuti costantemente contatti ed intessute trattative con i capi religiosi e capi tribù locali, per ricercare solidarietà e supporto alla presenza italiana, in particolare da parte della governatrice di AN-NASSIRIYAH

Barbara CONTINI e del Comandante della Joint Task Force – Iraq, Brigadier Generale Gianmarco CHIARINI, ai quali desidero qui esprimere particolare apprezzamento e gratitudine.

Signor Presidente, Onorevoli Senatori e Deputati,

i nostri militari sono fedeli ad un modello di comportamento, sempre molto attento e rispettoso delle esigenze delle popolazioni delle aree in cui ci troviamo ad operare.

Le regole d’ingaggio vengono richiamate come l’aspetto centrale del complesso quadro di riferimento per le operazioni.

Nel merito credo opportuno fornire alcune indicazioni utili a chiarire meglio le condizioni in cui i militari italiani sono chiamati ad operare in Iraq. L’impiego effettivo delle forze viene stabilito sulla base di direttive e dei conseguenti ordini operativi che comprendono le cosiddette regole d’ingaggio, la cui applicazione, nel tempo e in funzione del contesto operativo, risale alla discrezionalità tecnico- operativa della catena di comando militare che è responsabile dell’assolvimento della missione.

Ricordo che la missione assegnata al contingente italiano in Iraq prevede, fra l’altro, di concorrere, con gli altri paesi della coalizione, a garantire le condizioni di sicurezza necessarie a consentire l’afflusso e la distribuzione degli aiuti umanitari.

Rispetto ad essa, le regole di ingaggio devono, dunque, assicurare, nel modo più efficace, le condizioni per il suo assolvimento.

Inoltre, le regole di ingaggio devono assicurare la tutela e la sicurezza del nostro personale e che le forze italiane non possano essere soggette a disposizioni non conformi alle leggi nazionali, al diritto internazionale, alla legge sui conflitti armati ed al rispetto dei trattati internazionali sottoscritti dall’Italia.

In particolare, le regole di ingaggio autorizzano o limitano l’uso della forza

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che è esercitata a livello più basso possibile, in funzione delle circostanze, e dunque secondo criteri di necessità, ed in misura proporzionata alla situazione. Esse legittimano anche l’uso della forza in presenza di intenti manifestamente ostili che siano rilevabili dalla capacità e dalla prontezza ad arrecare danno alle forze nazionali ed amiche ovvero in presenza di elementi concreti che attestino l’intenzione di attaccare da parte di gruppi o individui avversari.

Per contro, qualcuno ritiene che le regole di ingaggio obblighino i nostri militari ad atteggiamenti eccessivamente arrendevoli, ponendoli quali bersagli inermi agli attacchi. Non è così.

In talune circostanze, l’adozione di una difesa passiva, tesa cioè principalmente a salvaguardare la vita e l’integrità degli uomini pur nella ferma volontà di assolvere il compito, costituisce una scelta deliberata e non già un comportamento di rinuncia.

In altre situazioni i nostri hanno agito con la necessaria fermezza e determinazione.

Se si valuta il rischio che le azioni possano provocare perdite umane o danni alla popolazione civile, la loro applicazione è mantenuta in una misura che non risulti eccessiva rispetto ai risultati concreti o diretti che si vogliono conseguire.

Diversamente si agisce quando l’obiettivo è ben definito come ostile e, per sua natura, ubicazione o impiego consente un’azione mirata alla sua distruzione, conquista o neutralizzazione.

Quando abbiamo abbandonato la Base LIBECCIO lo abbiamo fatto deliberatamente per evitare altre possibili perdite. Così come, per non provocare vittime civili innocenti, non abbiamo risposto al fuoco proveniente dall’Ospedale, sito nei pressi della sede della Coalition Provisional Authority.

È l’esempio di come, nel comportamento dei nostri uomini, prevalga sempre, insieme al rispetto degli ordini, l’equilibrio non disgiunto da fermezza, quando la minaccia si fa più violenta.

Questo è il significato dell’uso proporzionato della forza alla situazione che si deve fronteggiare, nel più ampio quadro della missione da svolgere. Un significato rispetto al quale i Comandanti, con la loro capacità di discernimento professionale, la loro esperienza, il loro senso di responsabilità, trovano il necessario e giusto

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riferimento comportamentale.

Rispetto a questo complesso procedurale non si prevede, ora, di cambiare la configurazione delle regole di ingaggio in vigore, a suo tempo stabilite per l’operazione in Iraq. Tale insieme di regole, infatti, nonostante il drammatico deterioramento della situazione in teatro, proprio per la loro flessibilità, risulta tuttora adeguato ai compiti assegnati. In particolare, le regole in vigore comprendono l’ampia gamma delle possibili situazioni di riferimento ipotizzabili per il teatro iracheno e, fra queste, quelle che si sono effettivamente manifestate nei giorni scorsi.

Signor Presidente, Onorevoli Senatori e Deputati,

gli scontri e i disordini che hanno caratterizzato negli ultimi giorni la situazione a AN-NASSIRIYAH e che hanno portato alla perdita di una vita umana ed al ferimento di alcuni nostri militari, provoca legittima indignazione e rafforza la consapevolezza dei rischi e delle difficoltà della missione.

Il disegno cui mirano queste forze sovversive è quello di portare al ritiro prematuro del nostro contingente. Esse sono disposte a qualsiasi tipo di violenza pur di riuscire ad insediare al potere un gruppo minoritario, non rappresentativo della società, prima che il Paese possa trovare una sua identità politica, grazie a libere consultazioni elettorali.

Questi attacchi sono oramai rivolti a tutti gli attori che operano per la pacificazione del paese: forze della coalizione, rappresentanti dell’ONU, esponenti della Croce Rossa e ora anche lo stesso Governo provvisorio di Baghdad.

Sappiamo, come dimostrano anche gli eventi drammatici di questi ultimi giorni, che le condizioni generali di sicurezza rimangono ancora critiche e che il rischio per le Forze del contingente è a livelli molto elevati.

Ma non è corretto prendere a pretesto questa realtà per affermare che la situazione in Iraq è peggiorata rispetto ai tempi di SADDAM HUSSEIN.

Sarebbe un errore altrettanto grave associare la volontà dell’intero popolo all’iniziativa di questi terroristi, strumentalizzati da chi si oppone al processo di transizione dei poteri al popolo iracheno.

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Sono i terroristi i nemici del popolo iracheno. E lo dimostrano con la violenza delle loro azioni di questi ultimi tre giorni.

In tale quadro, la presenza italiana sta a significare il pieno riconoscimento del progetto in atto, ora fortemente sostenuto dalle Nazioni Unite e della stessa unione europea che, ieri, ha espresso formalmente forte sostegno al processo finalizzato alla pacificazione e ricostruzione morale e politica dell’Iraq attraverso l’attuazione del piano BRAHIMI per il conferimento della sovranità agli iracheni dopo il 30 giugno.

La complessità e la delicatezza della transizione, unitamente ai rischi connessi alla missione, pertanto, non possono e non devono scoraggiarci né far venire meno il nostro sostegno al progetto politico che si va delineando in questi giorni per la composizione della crisi irachena e nel quale siamo fortemente impegnati, come dimostrano la missione all’ONU del Ministro degli Affari Esteri e le visite del Presidente del Consiglio a KOFI ANNAN ed al Presidente BUSH.

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