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GESTIONE AZIENDALE 1

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Academic year: 2022

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GESTIONE AZIENDALE 1

Prof. Nathan Levialdi

REVIEW

Livio Colleluori A.A. 2021/2022

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Scritture di rettifiche e assestamento

Le scritture di rettifica e di assestamento sono scritture che si fanno al termine dell’esercizio sociale (solitamente il 31/12) per imputare all’esercizio costi o ricavi figurati, ossia quei costi o ricavi che non hanno una

corrispondenza finanziaria ma che sono necessari al fine di rispettare il principio della competenza economica.

Tra queste scritture rientrano:

● Ammortamenti;

● Accantonamenti;

● Svalutazioni;

● Ratei e Risconti;

L’accantonamento è l’ammortamento sono sostanzialmente l’uno l’opposto dell’altro; nel primo si anticipa un’uscita prevista in futuro per non farla gravare totalmente sull’esercizio in cui effettivamente si verifica, mentre nel secondo caso si equidistribuzione e si “spalma” il costo di un asset a tutti i periodi in cui questo verrà sfruttato. Quindi entrambi rispettano il Principio della Competenza Economica.

Ammortamenti (3x):

Rientrano tra le scritture di rettifica e assestamento e quindi si fanno in sede di chiusura dell’esercizio sociale, il 31/12. L’ammortamento è un procedimento contabile che ha lo scopo di ripartire su più anni il costo di beni aventi utilità pluriennale. In altre parole, consente di spalmare il costo di tali beni su più esercizi, nel rispetto del Principio di Competenza Economica.

Quindi alla fine di ogni esercizio sociale, il 31/12, si valuta quali sono stati gli investimenti (fattori a fecondità ripetuta o beni strumentali) nel corso dell’anno e quali sono quelli in essere e si determinano le quote di ammortamento da imputare in qualità di costo figurato in capo all’esercizio, spalmando il costo sostenuto per aver acquisito il fattore, che è un investimento, su più esercizi. Si determina quindi alla fine dell’anno la quota di costo (figurato) da imputare all’esercizio.

Procedura di ammortamento:

La procedura di ammortamento può essere fuori conto o in conto.

● Nell’ammortamento IN CONTO si sottrae la quota di ammortamento direttamente dal valore attuale dell’asset, inserendole direttamente nella sezione avere del conto dell’asset, dove:

Valore attuale asset (VALORE RESIDUO CONTABILE) = Valore asset - valore asset già ammortizzato.

Quindi il valore dell’asset iscritto a bilancio comparirà già al netto delle quote di ammortamento.

ESEMPIO - Operativamente sarà:

1. Acquisto Impianto → Impianti @ Banca | 1000 | 1000 |, periodo di ammortamento di 10 anni a rate costanti.

2. La procedura di ammortamento fa si che sia:

Amm. Impianti @ Impianti | 100 | 100 | Quindi si avrà nel DARE del conto Ammortamento Impianti la quota di ammortamento e nell’AVERE del conto Impianti la relativa quota di ammortamento (100).

3. Alla fine del 1° anno avrò per il conto Impianti un saldo di 900 ⇒ VALORE RESIDUO (non si usa quindi il Fondo Amm. Impianti).

Nell’ammortamento FUORI CONTO invece la quota di ammortamento è inserita in un Fondo Ammortamento ed il valore attuale (Valore Residuo Contabile) dell’asset iscritto a bilancio è calcolato come differenza tra il valore storico (di acquisto) dell’asset e la consistenza del fondo.

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Accantonamenti (3x):

Rientrano tra le scritture di rettifica e assestamento e quindi si fanno in sede di chiusura dell’esercizio sociale, il 31/12.

L'accantonamento è una operazione amministrativa per destinare una quota del reddito di esercizio alla costituzione di un fondo finalizzato alla copertura di una particolare spesa futura o rischio futuro. È un'azione di anticipazione di costi che si manifesteranno o potrebbero manifestarsi in un esercizio futuro, imputando ad ogni esercizio l'onere economico di sostenere una quota degli stessi mediante l'accantonamento economico in uno specifico fondo del bilancio.

Per il Principio della Prudenza e per il Principio della Competenza Economica l’azienda, prevedendo una probabile uscita o perdita futura, può decidere di allocare, o accantonare appunto, una quantità di reddito d’esercizio ad un fondo. L’accantonamento ha una natura economica ed è un costo figurato, quindi non ha una contropartita numeraria perché di fatto non c’è movimento di denaro.

Nel momento in cui poi si manifesterà effettivamente l’uscita o perdita prevista, l’azienda potrà utilizzare la consistenza del fondo creato per coprirla evitando così che questa uscita gravi esclusivamente sull’esercizio in cui si manifesta.

Esempi di accantonamenti sono, ad esempio, quelli al Fondo T.F.R. o al Fondo Rischi su Crediti.

(Logicamente gli accantonamenti si potrebbero fare per mille motivi, si potrebbe avere anche un

“accantonamento a fondo rischi” generico, l’importante è tener conto del perché l’accantonamento è stato fatto).

Trattamento di Fine Rapporto (TFR):

Abbiamo visto che il costo del personale è dato in parte dagli stipendi e dai contributi previdenziali a carico dell’azienda e poi, per il personale dipendente, c’è anche un Trattamento di Fine Rapporto (TFR) o Liquidazione che viene corrisposto al termine del periodo lavorativo.

Questa liquidazione ammonta a circa 1 mensilità di stipendio per ogni anno lavorato, rivalutata poi secondo una serie di coefficienti.

Se l’azienda non ha aderito ad un fondo di categoria, dovrà essere l’azienda stessa, alla fine del rapporto lavorativo, a corrispondere il TFR. Essendo potenzialmente una somma anche molto importante (es. dopo 30 anni di lavoro), non è ragionevole che gravi solo sull’esercizio sociale in cui termina il rapporto lavorativo. Va quindi fatto gravare su tutti gli esercizi in cui il dipendente ha lavorato, tramite l’uso di un accantonamento ad un Fondo TFR.

Perdita su Crediti con Fondo Rischi ed Oneri (o Fondo Svalutazione Crediti) (3x) con esempio:

Supponiamo che l’azienda abbia una quantità significativa di crediti e che questi crediti siano parcellizate in tante porzioni molto piccole. Allora essendo la società consapevole che con una certa regolarità statistica una percentuale (per quanto piccola) di queste somme non saranno riscosse (nonostante l’azienda proverà tutte le procedure a sua disposizione per incassarle), avrà un

atteggiamento prudenziale e farà un accantonamento al Fondo Svalutazione Crediti o Fondo Rischi e Oneri o Rischi su Crediti.

Nel momento in cui, avendo esaurito tutte le opzioni per la riscossione del credito, non ci sono più azioni da eseguire per incassare le somme (e bisogna dimostrare che è stato fatto tutto il possibile), allora la società deve cancellare i crediti, effettuando una svalutazione, e per coprire questa Perdita su Crediti userà proprio il Fondo appositamente creato. Dunque, dal momento che quel costo era già stato fatto gravare tramite gli accantonamenti, non avrà alcun impatto. ( → molto importante anche per dimostrare la responsabilità e la prudenza del management nella gestione operativa).

Quindi i crediti non solubili hanno 2 fasi:

1. Sospetto che il debitore non sia in grado di pagare → faccio l’accantonamento al fondo;

2. Registro la perdita → svaluto il credito coprendo la perdita con il fondo;

Nel caso in cui invece la perdita alla fine non si verifica, il fondo si annulla inserendolo nel CE come

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Svalutazioni e Asset svalutabili (2x) con esempio:

Quando un fattore a fecondità ripetuta, o in generale un asset, iscritto a bilancio alla fine dell’esercizio viene valutato per un valore inferiore a quello che aveva inizialmente, bisogna fare una svalutazione: ossia bisogna abbatterne il valore, in tutto o in parte, imputando l’intero importo all’esercizio corrente.

Esempio:

Supponiamo che l’azienda abbia acquisito un fattore di produzione a fecondità ripetuta, come il diritto di sfruttamento di un brevetto. L’evoluzione del mercato fa in modo che quel valore debba essere svalutato perchè non vale più quell’importo. A quel punto l’azienda svaluta. Tutto il costo residuo in termini di bene da ammortizzare viene integralmente imputato all’anno in cui viene fatta la svalutazione. Questo accade anche nei casi in cui l’azienda abbia subito dei danni legati ad un evento atmosferico, fisico. Tutti i beni che non hanno più un valore devono essere svalutati.

Queste svalutazioni possono alterare in maniera anche molto significativa il valore complessivo dell’azienda.

Ratei e risconti (3) + analisi di un esempio

Le società operano per esercizi sociali che solitamente coincidono con l’anno solare. In realtà però l’azienda è un susseguirsi continuo di eventi e di flussi e rapporti che non si fermano mai, quindi in realtà è una forzatura logica quella di guardare solo un intervallo alla volta perchè ci saranno sempre rapporti a cavallo tra più esercizi. → I ratei ed i risconti sono quindi scritture di rettifica e assestamento necessari per raccordare un esercizio sociale con un altro.

Ratei e risconti sono voci contabili che, a seconda dei casi, integrano oppure rettificano costi o ricavi la cui competenza si trova “a cavallo” di due annualità. Si registrano al termine dell’esercizio, fanno parte delle scritture di assestamento e contribuiscono alla corretta applicazione del Principio della Competenza Economica.

Il conto risconti è un conto di reddito acceso per rettificare un costo (o un ricavo) che pur avendo la manifestazione numeraria nel corso dell’esercizio è di competenza di più esercizi.

Il conto ratei è un conto numerario acceso per imputare a carico dell’esercizio un costo (o un ricavo) che pur non avendo la manifestazione numeraria è di competenza anche di esso (proprio per questo è numerario, supplisce all’assenza della dim. numeraria!). → esempio canone affitto posticipato.

RATEI → Pagamento o Incasso posticipato → frazioni che non ci sono ma devo imputare all’esercizio;

RISCONTI → Pagamento o Incasso anticipato → devo scontare delle quote (ce ne sono in eccesso);

In particolare i RATEI PASSIVI ed i RISCONTI ATTIVI si usano per rettificare una voce di COSTO mentre i RATEI ATTIVI ed i RISCONTI PASSIVI si usano per rettificare voci di costo.

Esempio:

Supponiamo che l’azienda prenda in affitto un immobile dal 1/11 pagando un canone annuale anticipato pari a 12’000€. ⇒ Fitti Passivi @ Banca | 12’000 | 12’000 |

Ma la competenza economica a carico dell’esercizio corrente è solo 2/12 del totale del canone, ossia 2’000€. È quindi necessario stornare in termini di competenza economica la quota di costo di

competenza dell’esercizio successivo, ossia una quota pari a 10’000€. Per fare questo storno si usa un RISCONTO ATTIVO (attivo perché è una quota di costo):

Risconti attivi finali @ fitti passivi | 10’000 | 10’000 | S.P. (attivo) @ Risconti attivi finali | 10’000 | 10’000 | E all’1/01 dell’esercizio successivo si riapriranno i risconti collocandoli immediatamente tra i costi di competenza dell’esercizio.

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Rivalutazioni e svalutazioni:

Nell’ipotesi in cui un asset in bilancio, dopo una perizia di valutazione, risulti avere un valore maggiore di quello storico nel bilancio, bisogna attuare una RIVALUTAZIONE:

Non si può semplicemente aumentare il valore dell’asset perchè così facendo si altererebbe l’utile, bisogna perciò creare un fondo detto Fondo di Rivalutazione Monetaria in cui si inserisce l’importo della rivalutazione. Questo fondo andrà poi nel PN e di fatto farà aumentare il valore dell’azienda.

⇒ avrà quindi un impatto positivo sugli indici!

Inoltre la quota di rivalutazione dovrà essere ammortizzata, quindi parte di questa rivalutazione, e quindi del fondo, saranno imputati all’eventuale Fondo ammortamento.

Esempio:

Supponiamo di avere un fabbricato che ha un valore storico di 2’000€ ed un Fondo Ammortamento per 500. Supponiamo poi che vi sia una rivalutazione del 10% → quindi VS = 2’200€ e quindi una rata aggiuntiva di 50€.

Le scritture saranno:

Fabbricati @ Fondo di Rivalutazione Monetaria | 200 | 200 | Fondo di Riv. Monetaria @ Fondo Amm. Fabbricati | 50 | 50 | Fondo di Riv. Monetaria @ Saldi Attivi di Riv. Monetaria | 150 | 150 |

Saldi Attivi di Riv. Mon. @ S.P. (PN) | 150 | 150 |

Nel caso contrari in cui invece si verificasse l’accertamento di una perdita di valore di un asset bisognerebbe operare una SVALUTAZIONE:

In questo caso semplicemente si opera una scrittura di svalutazione del tipo:

Svalutazione su Asset @ Asset | Importo | Importo |

E l’importo della svalutazione verrà poi inserito nel CE come COSTO.

Rimanenze:

Le rimanenze finali di PF, alla fine dell’esercizio, vengono imputate come un presunto RICAVO. Questo perché, di fatto, sono un investimento ancora in essere di cui non si è ancora manifestata la dinamica economica.

Andranno quindi inseriti nell’ATTIVO dello SP.

Le rimanenze vanno comunque valutate con molta attenzione, per capire anche il perché sono presenti: se è fisiologico o se effettivamente l’azienda non vende e/o è inefficiente. Se dopo un periodo di tempo

abbastanza lungo (anni) vi sono ancora gli stessi prodotti invenduti, l’azienda dovrà accettare la perdita e svalutarli.

L’assenza di Rimanenze finali è un’ipotesi molto forte, tant’è che non si verifica quasi mai. Quindi si inseriscono nello SP con la scrittura Prodotti Finiti c/ Rimanenze Finali.

Nell’esercizio successivo si avrà un conto Rimanenze Iniziali che si imputerà poi come COSTO onde evitare di imputare due volte lo stesso ricavo.

In realtà nel CE ci sarà un conto denominato “Variazioni Rimanenze Finali P.F.”, il cui costo definisce che imputare la variazione come costo (se variazione negativa) o come ricavo (se variazione positiva).

Sopravvenienze:

Quando c’è un ricavo o una perdita dovuta ad un evento che non ha causa, o che è imprevisto, si usano dei conti detti SOPRAVVENIENZE (Attive o Passive a seconda del caso) .

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Conto Titoli (utile sperato vs utile acquisito):

Può capitare spesso che l’azienda investa la liquidità inutilizzata in titoli per avere un rendimento, per quanto minimo. Il conto Titoli contiene tutti i titoli che non sono partecipazioni (quindi tutti gli investimenti finanziari che non sono società), ed è un conto economico reddituale.

Solitamente si investe in Titoli a Reddito fisso, che possono essere quotati in 2 modi:

1. A Corso Secco → il valore del titolo non è comprensivo degli interessi relativi alla cedola in corso di maturazione ⇒ in questo caso quindi nella compra vendità dovrò sempre far riferimento, oltre al conto titoli, al conto “Interessi su Titoli”;

2. Corso Tel Quel → Valore del titolo comprensivo degli interessi relativi alla cedola in corso di maturazione.

In ogni caso il conto titoli è fatto funzionare a COSTI, RICAVI E RIMANENZE:

● In DARE le rimanenze iniziali di titoli ed il costo di acquisto;

● In AVERE il ricavo di vendita e le rimanenze finali;

● L’utile o la perdita sui titoli viene rilevato complessivamente in sede di chiusura di bilancio.

L’utile complessivo derivante dai titoli in portafoglio si può dividere in 2 componenti:

UTILE EFFETTIVO: derivante dalla compravendita, è la differenza effettiva tra il prezzo di acquisto ed il prezzo di vendita dei titoli. ⇒ viene inserito nel CE come plusvalenza/minusvalenza su titoli.

UTILE SPERATO: utile derivante da valutazioni di titoli in portafoglio superiori rispetto ai prezzi di acquisto originariamente pagati per averli acquistati. Deriva quindi dalla futura plusvalenza sul rimborso, ma nessuno garantisce che questa sarà effettivamente mantenuta al momento in cui i titoli saranno venduti. SOLO nel momento in cui i titoli saranno venduti ed effettivamente si verifica una plusvalenza questa sarà riconosciuta come UTILE EFFETTIVO ed inserita nel CE. Fino ad allora la differenza tra il prezzo pagato ed il valore attuale dei titoli viene inserita nel Fondo Oscillazione Titoli.

UTILE SPERATO = Valore titoli in portafoglio al 31/12 - Costo dei Titoli

Fondo oscillazione titoli (2x):

Il fondo oscillazione titoli è un fondo che contiene la componente di utile sperato dei titoli in portafoglio fino a quando questi non verranno effettivamente venduti e verrà di fatto realizzata una plusvalenza.

Costruzioni in economia (3x) (o Costruzioni in corso):

Qualunque bene di investimento (bene strumentale) realizzato attraverso risorse interne si chiama procedura di Costruzione in Economia, non perchè fatto in ristrettezza economica ma perchè AUTOPRODOTTO sfruttando risorse interne all’azienda.

Operativamente il conto Costruzioni in Economia è simile al concetto delle rimanenze finali. Questo comporta che tra i costi complessivi che l'azienda sostiene, una parte è destinata a realizzare prodotti che vengono venduti, l’altra per realizzare qualcosa che non viene venduto ma che diventa un asset.

Alla fine di un esercizio tutti i costi relativi alla costruzione di un asset (es un edificio per la nuova sede della società) vanno capitalizzati, ovvero vanno spostati i costi dal CE allo SP. Questo perché in realtà quel costo non è un costo ma un investimento → si storna il costo dal CE, imputandolo artificiosamente come un RICAVO, e lo si inserisce all’interno dell’ATTIVO dello SP (“Costruzioni in economia”).

Una volta che la costruzione è terminata ed il bene entra in funzione si trasferiscono tutti i costi sostenuti

(presenti nel conto Costruzioni in economia) nel conto dell’asset, quindi inizia il processo di ammortizzazione del bene.

Nel caso di realizzazioni in economia è possibile iniziare il processo di ammortamento solo ed unicamente a partire dal momento in cui l’impianto entra in funzione. Finchè non entra in funzione, benché terminato di realizzare, non può essere ammortizzato, in quanto verrebbe meno il prerequisito legato alla competenza economica.

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Bilancio di Esercizio:

Regolato dall’Art. 2423 del c.c.

Il bilancio costituisce la sintesi dell’operato aziendale nel dato esercizio sociale e si compone di 5 elementi:

Stato Patrimoniale (SP) - Balance Sheet;

Conto Economico (CE) o Conto Profitti e Perdite (PP) - Income Statement;

Rendiconto Finanziario - Cash Flow statement (obbligatorio dal 2016 per società medio-grandi);

Nota Integrativa - Footnotes (non obbligatorio per società di piccole dimensioni);

● Relazione sull’amministrazione dell’impresa (obbligatorio per società molto grandi);

I primi due documenti sono documenti tecnici; gli ultimi 3 sono documenti testuali che spiegano la gestione e sono solitamente opzionali, le norme che li regolano sono contenuti negli Art. 2423 e seguenti del Codice Civile.

Nei principi contabili internazionali (IAS/IFRS) c’è un ulteriore documento detto PROSPETTO DELLE VARIAZIONI DI PATRIMONIO NETTO, che invece in quelli italiani è presente nella nota integrativa insieme ad una spiegazione generale di tutto il bilancio, i suoi conti ed i principi contabili applicati.

La nota integrativa è sempre un documento tecnico in cui vengono specificate le attività svolte durante la relazione del bilancio (es: criteri e principi utilizzati per operare gli ammortamenti, svalutazioni etc).

La relazione sulla gestione dell'impresa è un documento che da un’immagine più di tipo strategico

relativamente alle prospettive, rispetto a ciò che l’azienda ha fatto nell’anno ed a ciò che ragionevolmente potrebbe fare in futuro.

Lo SP e il CE restituiranno lo stesso utile/perdita di esercizio perchè essenzialmente misurano la stessa dinamica ma da due punti di vista differenti: il CE misura quanto valore è stato creato o distrutto nel corso dell’esercizio sulla base di ciò che è accaduto in termini di costi e ricavi (flussi), mentre lo SP fa questa valutazione

confrontando fonti e impieghi.

STATO PATRIMONIALE:

Lo SP è un documento tecnico all’interno del quale si va ad effettuare una sintesi (saldo) di tutti i seguenti conti:

1. Tutti i conti numerari, nell’attivo quelli che hanno la sezione DARE prevalente rispetto a quella AVERE ( Var. Numerarie Attive) e nel PASSIVO quelli opposti;

2. Tutti quei conti economici accesi a fecondità ripetuta (ossia investimenti, assets), che andranno nell’ATTIVO dello SP (ovviamente il loro saldo);

3. Tutti i conti economici di capitale, ossia conti accesi al Patrimonio Netto ed alle sue parti ideali (CS, Riserva Legale, altre riserve); Nel PN va il saldo di tutti i conti economici di capitale.

Quindi lo SP si può leggere anche come un prospetto di fonti e impieghi; nell’ATTIVO ci sono tutti gli investimenti, i crediti etc, ovvero gli impieghi mentre nel PASSIVO + NETTO ci sono tutte le fonti (Capitale Proprio + Capitale di Credito), sia quelle interne (PATRIMONIO NETTO o mezzi propri) sia quelle di terzi (PASSIVO).

Nel momento in cui nello SP, nello specifico nel PN, viene inserito l’UTILE/PERDITA di esercizio, risulterà vera l’equazione: ATTIVO = PASSIVO + PATRIMONIO NETTO (detta EQUAZIONE DI BILANCIO).

Infatti lo SP dice qual è la consistenza patrimoniale in un dato istante, ovvero se per effetto della gestione l’insieme degli impieghi supera, in termini di valore reale complessivo, l’insieme delle fonti

→ ovvero se c’è un utile di esercizio, che quando viene inserito nel PN fa eguagliare l'equazione.

UTILE/PERDITA = ATTIVO - (PASSIVO + NETTO).

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ATTIVO dello SP:

Le attività nello SP sono classificate sulla base della loro liquidità (convertibilità in denaro):

○ ATTIVITA’ NON CORRENTI, o Immobilizzazioni, sono quelle attività che non sono

convertibili in denaro nel corso di 1 esercizio sociale (solitamente investimenti materiali, immateriali, finanziari);

○ ATTIVITA’ CORRENTI o Attivo Circolante, sono quelle attività che sono convertibili in denaro nel corso di 1 esercizio sociale (Rimanenze finali, crediti, liquidità).

PASSIVO dello SP:

Le passività sono classificate sulla loro provenienza:

PATRIMONIO NETTO: fonti proprie elencate per distribuibilità, a partire dal CS.

PASSIVO:

● PASSIVITA’ NON CORRENTI: sono quelle passività che non si trasformeranno in esborsi di denaro nel corso di 1 esercizio sociale (es: debiti vs banca a più di 12 mesi);

● PASSIVITA’ CORRENTI: sono quelle passività che sono si trasformeranno in esborsi di denaro nel corso di 1 esercizio sociale (es: debiti vs fornitori, debiti tributari, etc);

CONTO ECONOMICO:

Nel CE si inserisce la dinamica dei conti economico-reddituali a fecondità semplice → COSTI E RICAVI;

Si inseriscono nel MACRO-CONTO “CONTO ECONOMICO” tutti i saldi dei “mico-conti” relativi alla dinamica economico-reddituale.

Il saldo del CE misura la variazione di valore avvenuta nell’anno ed è identicamente equivalente alla differenza tra ATTIVO e PASSIVO + NETTO.

Il CE si può realizzare/visualizzare A SEZIONI CONTRAPPOSTE (Dare e Avere) o IN FORMA SCALARE.

● CE a Sezioni Contrapposte:

Si compone come un conto a T, in cui si inseriscono in DARE i COSTI (+ rett. ricavi), ovvero i saldi di tutti i conti economico reddituale con Componenti Negative di Reddito, ed in AVERE i RICAVI (+ rett. costo), ovvero i saldi di tutti i conti economico-reddituale con Componenti Positive di Reddito.

Essendo tutti conti economici a fecondità semplice, il SALDO di questo conto rappresenterà l’UTILE o la PERDITA di esercizio, a seconda se prevale la sezione del DARE o dell’AVERE.

● CE in Forma Scalare:

Le riclassifiche consentono di passare nella presentazione delle informazioni da sezioni contrapposte a forma scalare e di calcolare una serie di margini a seconda dell’area aziendale che viene coinvolta.

In questo caso si parte dai Ricavi totali e si sottraggono, per categorie, i costi. Così facendo si ottengono dei margini utili per calcolare poi degli indicatori che servono per valutare la gestione.

In particolare il CE avrà diverse “sezioni”:

A) Valore della Produzione;

B) Costi della Produzione C) Proventi e oneri finanziari

D) Rettifiche di valore delle attività finanziarie E) Proventi e oneri straordinari

--- Risultato prima delle imposte

Imposte sul reddito UTILE/PERDITA di esercizio.

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Classifica CE a Costo del Venduto (1x):

I ricavi di vendita sono il fatturato della società, a cui andiamo a sottrarre in termini di costi tutti i termini introdotti dal segno +. I termini introdotti dal - hanno impatto positivo, quindi si sommano ai ricavi.

Il risultato lordo è stato ottenuto eliminando i ricavi di vendita e tutti quei costi strettamente attinenti all’attività produttiva. In questa fase si valuta quindi il Sistema di Trasformazione degli Input: che capacità ha l’azienda di imprimere/creare valore?

Dal risultato lordo andiamo a sottrarre una serie di costi riferibili ad attività non strettamente core, ma qualcosa di più ampio, attività che supportano quella di produzione e ciò permette quindi di analizzare l’impatto di ciascuna area dell’impresa.

Dal risultato lordo si ottiene quindi quello operativo caratteristico, a cui si sommano poi i proventi diversi di investimento dell’azienda ottenendo così il risultato operativo globale.

Dal risultato operativo globale andiamo a sottrarre gli oneri ed i proventi finanziari, ottenendo il risultato ordinario (ovvero al netto della dinamica finanziaria).

A questo risultato si sottraggono poi i componenti straordinari ottenendo il risultato prima delle imposte.

Sottraendo gli oneri tributari (le imposte sul reddito) si ottiene il RISULTATO NETTO.

Esempio di plusvalenza: l’azienda vende un impianto. Questo non rientra nella sua attività core. Se lo vende ad un prezzo superiore rispetto al valore contabile, questo determina una plusvalenza straordinaria.

Il RISULTATO NETTO coincide con l’utile netto che avevamo già calcolato con il CE a sezioni contrapposte. La differenza sostanziale è che l’UTILE NETTO era calcolato inserendo i dati senza un ordine, mentre il RISULTATO NETTO è calcolato in maniera sistematica inserendo i dati con ordine e consentendo di trovare tutti i margini visti, dando quindi molte informazioni aggiuntive sulla gestione dell’azienda.

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Classifica CE a valore aggiunto (1x):

L’altra riclassificazione del conto economico è quella a valore aggiunto.

Partiamo sempre dai ricavi di vendita:

Altri ricavi e proventi non sono quelli strettamente caratteristici.

Il valore aggiunto è esattamente la quantità di valore che l’azienda aggiunge agli input che trasforma. Abbiamo tolto dai ricavi quei costi strettamente produttivi legati agli input di processo e ai costi energetici necessari per il processo di trasformazione.

In questa riclassifica non ci sono gli ammortamenti ed i costi figurati. Inoltre manca anche la voce del costo del lavoro.

Dopo il valore aggiunto lordo andiamo a togliere il costo del lavoro e otteniamo un margine molto importante, il Margine Operativo Lordo (MOL), valore aggiunto al netto del costo del lavoro.

Togliendo gli ammortamenti e accantonamenti dal MOL otteniamo il Risultato Operativo Globale.

Dal risultato operativo globale andiamo a sottrarre gli oneri ed i proventi finanziari, ottenendo il risultato ordinario (ovvero al netto della dinamica

finanziaria).

A questo risultato si sottraggono poi i componenti straordinari ottenendo il risultato prima delle imposte.

Il MOL è importantissimo perché fornisce la possibilità di capire un’azienda che valore è in grado di produrre al netto del costo del lavoro. In molte valutazioni si utilizza un multiplo del MOL per dire quanto vale un’azienda. È usato alla stregua di un’unità di misura dell’azienda.

Il MOL è identificativo della capacità di generare ricchezza di un’azienda.

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Rendiconto Finanziario e la sua struttura (2x):

Il rendiconto finanziario mostra l’andamento dei flussi di denaro nell’esercizio sociale di analisi. Nasce

dall’esigenza di dare evidenza esplicita dei flussi finanziari, non della creazione di valore, ma dei flussi di denaro collegati ad una società.

Per trasparenza le società, soprattutto se quotate, sono tenute alla redazione del rendiconto finanziario. Dal 2016 anche le società italiane con i principi nazionali sono obbligate già dalle medie imprese.

I flussi finanziari sono divisi per fonte e sono:

● Flussi dell’attività operativa;

● Flussi dell’attività di investimento;

● Flussi dell’attività di finanziamento;

La somma algebrica dei tre fornisce il flusso di cassa totale che sommato alla giacenza iniziale (somma delle liquidità immediate, normalmente banca + cassa), darà quella finale.

Quindi la struttura del rendiconto finanziario sarà:

A) Flussi di cassa dell’Attività Operativa (o Gestione Operativa);

B) Flussi di cassa dell’Attività di Investimento;

C) Flussi di cassa dell’Attività di Finanziamento;

D) Flusso Netto di Cassa (o Flusso di Cassa Totale) = A + B + C;

E) Disponibilità Liquide Iniziali;

F) Disponibilità Liquide Finali = E + D;

Nel caso dei Flussi dell’Attività Operativa questi si possono trovare secondo due metodi: Il METODO DIRETTO ed il METODO INDIRETTO.

● METODO DIRETTO:

Il metodo più ovvio ma meno usato è quello del metodo diretto.

Per metodo diretto si intende che si prendono i flussi entranti e quelli uscenti e si sommano algebricamente.

Ricavi Monetari (RM) significa incassi e Costi Monetari (CM) sono pagamenti.

Il metodo diretto significa fare un’analisi puntuale sui RM e CM, ossia di tutti gli incassi e di tutti i

pagamenti di tutti i clienti, fornitori e dipendenti. Si tratta di qualcosa di piuttosto complesso, per questo motivo normalmente si procede per via indiretta

● METODO INDIRETTO:

Il metodo indiretto funziona per rettifica del Risultato Operativo. Ovvero si parte dall’utile lordo e si procede per rettifiche successive di tutte quelle voci che hanno natura non finanziaria, quindi ammortamenti, accantonamenti, fino ad ottenere il saldo del metodo diretto.

Il metodo più usato in assoluto è il metodo indiretto anche se non è quello raccomandato. Questo perché il metodo indiretto è il più semplice da ragionare, perché si parte dal conto economico e si altera fino ad ottenere il rendiconto finanziario per la sezione operativa.

Il metodo indiretto è inoltre usato per la valutazione di investimenti e aziende (“Discounted Cash Flow Analysis”).

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Lo schema del Metodo Indiretto per la Valutazione della Gestione Operativa:

A) Flussi di cassa dell’Attività Operativa (o Gestione Operativa):

Risultato prima delle imposte (utile lordo) + Ammortamenti

+ Accantonamenti + +/- Rettifiche di attività + +/- interessi non operativi

- Variazione capitale circolante operativo (Crediti vs Clienti + Rim. Fin - Debiti vs Fornitori)

Nella sezione operativa si opera quasi sempre con metodo indiretto.

Per le sezioni investimenti e finanziamenti si opera quasi sempre con metodo diretto. Per gli investimenti si fa la somma algebrica di tutti gli investimenti come negativi e disinvestimenti come positivi, perché gli investimenti sono uscite mentre i disinvestimenti sono entrate di cassa. Per i finanziamenti si segue sempre il metodo diretto, quindi si prendono tutti i finanziamenti che si hanno o si sono rimborsati e si mettono nella relativa sezione. I dividendi sono negativi in quanto uscite di cassa, l’aumento di capitale positivo perché è un'entrata di cassa.

Quindi per redigere il rendiconto finanziario:

Si parte dal risultato lordo, si somma tutta la parte di costi figurati perchè non sono flussi di cassa. Dopo di chè si arriva ad un numero che si chiama equità. Gli interessi passivi si sommano. Gli interessi passivi non sono “cose”

operative, ma dipendenti da investimenti e finanziamenti. Non devono stare nella sezione operativa quindi, dove deve stare tutto ciò che ha natura non finanziaria. Si sottraggono eventuali interessi attivi, cioè se io ho prestato del denaro a qualcuno, salvo il caso che io non sia un operatore finanziario.

Si sta procedendo per rettifica, quindi tutto quello che era meno diventerà più e viceversa.

La variazione capitale circolante operativo rappresenta che se aumentano i crediti, dei miei ricavi dell’anno ho incassato meno. Se aumento il magazzino significa che ho venduto meno merce e pagato più i fornitori. Se calano i debiti verso i fornitori, significa che ho pagato più fornitori rispetto ai costi che ho avuto, ovvero ho pagato anche quelli dell’anno prima.

Nella sezione B si trattano le voci del conto banca sparpagliate.

Con dividendi incassati si intende non quando pago i dividendi ma quando sono il ricevente.

Non dipendono dalla struttura del capitale perché riguardano l’attivo.

Le imposte sul reddito sono quelle corrisposte, quindi quelle effettivamente pagate.

Anche queste voci si prendono dal conto banca e non da quello economico. I valori vanno cercati nel conto banca, in particolare nell’avere le voci con segno negativo e nel dare positivo.

La sezione C dipende dalla struttura del capitale, dipende dall’esposizione che ho, difatti ci sono gli interessi, i dividendi, i prestiti e gli interessi dei prestiti.

(14)

Indici e Indicatori di Prestazione (5x):

I margini che si trovano in fase di redazione del Conto Economico possono essere utilizzati per calcolare degli indicatori utili a valutare le prestazioni dell’azienda da 3 punti di vista:

● Redditività → quanto rende il capitale investito?

● Liquidità → Come l’azienda riesce a sostenere l’attività?

● Solidità patrimoniale → In che modo l’azienda è equilibrata dal punto di vista del rapporto tra capitale proprio e di credito?

INDICI DI REDDITIVITA’:

Return On Investment (ROI):

𝑅𝑂𝐼 =

𝑅𝑜𝑐𝐾𝑜

Dove:

Roc = Risultato Operativo Caratteristico (prima dell’attività finanziaria).

Ko = Capitale investito medio nell’area operativa (costi strettamente legati all’attività prod. caratteristica) = attivo dello SP al netto degli ammortamenti.

Questo indicatore non descrive il rendimento che i singoli soci potranno avere ma descrive quanto rende l’azienda a prescindere da come è finanziata l’attività produttiva.

Moltiplicando e dividendo per il Valore della Produzione (V o Fatturato) si può scomporre come:

𝑅𝑂𝐼 =

𝑅𝑜𝑐𝑉

·

𝐾𝑜𝑉

= 𝑅𝑂𝑆 × 𝑅𝑂𝑇

Dove il ROS è il Return On Sales (ossia quanto rende il fatturato) ed il ROT è il Tasso di Rotazione è riferito al Capitale Investito nella gestione Operativa (ossia la capacità del capitale investito di "trasformarsi" in ricavi di vendita).

A parità di ROS un aumento di Tasso di rotazione avrà un impatto positivo sul ROI (se ad esempio l’azienda avesse dei margini bassi dovrebbe cercare di aumentare il tasso di rotazione).

Return On Assets (ROA):

𝑅𝑂𝐴 =

𝑅𝑜𝑐 + 𝑃𝑟𝑜𝑣𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖 + 𝑃𝑟𝑜𝑣𝑒𝑛𝑡𝑖 𝐹𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖

𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝐼𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑡𝑜 𝑀𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒

=

𝑅𝑖𝑠. 𝑂𝑝. 𝐺𝑙𝑜𝑏𝑎𝑙𝑒 + 𝑃𝑟𝑜𝑣𝑒𝑛𝑡𝑖 𝐹𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖 𝐴𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑆𝑃

Il ROA è utile nel caso in cui l’azienda ha un’attività caratteristica ben delineata e attività che non c’entrano con questa ma che impegnano una significativa quantità del capitale investito e producono risultati in maniera sistematica nel tempo, per cui è importante tenerne conto nella valutazione generale della performance aziendale. Il tasso è proprio riferito a tutti gli Assets, ovvero tutti gli investimenti nell’attivo dello SP.

Return On Equity (ROE):

Al socio (investitore) interessa tuttavia più quanto rende il Capitale Netto, poiché è questo che aumenta il valore per gli azionisti all’atto pratico. Questo rendimento è rappresentato dal ROE:

𝑅𝑂𝐸 =

𝑅𝑁𝑃𝑁

Dove:

● RN = Risultato Netto

● PN = Patrimonio Netto

(15)

Questo indicatore si può riscrivere anche come:

𝑅𝑂𝐸 =

𝑅𝑜𝑔𝐾

·

𝑃𝑁𝐾

·

𝑅𝑜𝑔𝑅𝑁

= 𝑅𝑂𝐼 ·

𝑃𝑁𝐾

·

𝑅𝑜𝑔𝑅𝑁

Dove:

● Rog = Risultato Operativo Globale

● K = Capitale Investito (Attivo SP)

Quindi sul ROE, riscritto in quest'ultima forma, si possono fare alcune considerazioni:

Ceteris paribus (a parità di altre cose), se cresce il ROI cresce anche il ROE; se cresce la remunerazione di tutto il capitale investito in azienda, cresce anche la

remunerazione del capitale proprio.

K/PN è un proxy del debito, cioè misura indirettamente il grado di indebitamento, nel senso che se questo rapporto aumenta significa che il PASSIVO cresce più del PN → non implica che cresce il ROE, non avrebbe molto senso!

Che cresca questo rapporto significa, ricordando l’equazione del bilancio attivo = passivo+netto, che se K cresce a parità di PN o comunque cresce più di PN significa che cresce il passivo più del netto, l’azienda è più indebitata, le fonti di terzi crescono più di quelle proprie per finanziare l’attivo.

⇒ l’impatto sarà positivo o negativo a seconda del terzo termine.

RN/Rog: Se cresce il secondo termine l’azienda si indebita di più e gli oneri finanziari incideranno su ciò che c’è tra il risultato operativo ed il reddito netto. Potranno quindi avere un'incidenza negativa sulla riduzione del reddito netto ma cresce anche l’attivo, innescando un aumento di costi ed auspicabilmente anche di Rog, che deve essere proporzionato al nuovo attivo. Aumentando Rog, non sono più in grado di dire se a seguito dell’aumento dell’indebitamento il terzo termine sia cresciuto o ridotto.

In linea di principio una crescita del secondo termine, a parità di condizione impatta positivamente sul ROE, ma sarà positivo o negativo a seconda del valore del terzo termine.

Osservando i tre termini è possibile a priori decidere se all’azienda convenga espandere il grado di indebitamento, guardando il ROI, in quanto misura quanto rende tutto il capitale investito, a prescindere di come è finanziato. Se l’azienda è in grado di far rendere tutto il capitale che investe, a prescindere da come lo finanzia ed il costo di denaro è inferiore al ROI, l’azienda guadagna il margine tra i due valori.

Quindi l’azienda può decidere se espandere o meno il grado di indebitamento confrontando il ROI con il costo del denaro.

ROI e costo del denaro che vanno considerati sono quelli prospettici, non storici, attraverso i quali si cerca di estrapolare quello che accadrà.

Questo perché il costo del denaro che verrà fatto pagare all’azienda dipende anche in misura particolarmente significativa dal livello di indebitamento che l’azienda ha già, perché quel tasso incorpora il rischio.

Al tempo stesso, anche il rendimento da considerare sarà quello prospettico. Trovandoci di fronte a dei dati di bilancio storici che presentano una certa regolarità, per esempio 12 anni di bilanci in cui i risultati degli utili sono interoperabili con una retta, il dato prospettico è

ragionevolmente ipotizzabile ed il costo del denaro addizionale sarà relativamente basso.

(16)

Considerazioni da fare sugli indici di redditività:

● Bassa tempestività (del resto si basano su dati storici);

● Basati su informazioni consuntive;

● Generalmente orientati al breve periodo;

● Penalizzazione degli interventi di maggiori dimensioni (possono esserci distorsioni);

(17)

INDICI DI LIQUIDITA’:

Questa tipologia di indici ha un duplice scopo:

1. Tenere sotto controllo l’equilibrio monetario nel medio/lungo periodo;

2. Tenere sotto controllo la solvibilità nel breve periodo;

Questi risultati si raggiungono attraverso il calcolo di una serie di margini e quozienti finanziari che consentono di fare una serie di considerazioni in merito alla capacità dell’impresa di sostenere attraverso la dinamica numeraria l’equilibrio monetario, finanziario nel medio-lungo periodo.

Ci sono 3 margini finanziari:

Margine di tesoreria: esprime la capacità dell’impresa, attraverso la sua tesoreria, di far fronte agli impegni a breve termine (entro i 12 mesi). Si calcola come:

Liquidità immediate (cassa e banca) +

Liquidità differite (Crediti a breve termine) - Passività correnti (Debiti a breve termine) = --- MARGINE DI TESORERIA

Questo margine, se positivo, indica la capacità dell’impresa di far fronte, attraverso la tesoreria già esistente, agli impegni entro i 12 mesi.

Margine di Struttura: Indica se l’azienda è indebitata o meno a seconda se è < 0 o > 0.

Si calcola come:

Mezzi propri (Patrimonio netto) -

Immobilizzazioni nette (Attivo - ammortamenti) = --- MARGINE DI STRUTTURA

Supponendo che questa differenza sia negativa, significherebbe che l’azienda è indebitata. I mezzi di terzi sono esattamente equivalenti alla differenza. l’azienda finanza almeno parte dei propri asset attraverso mezzi di terzi.

Capitale Circolante Netto: è l'ammontare di risorse che compongono e finanziano l'attività operativa di un'azienda ed è un indicatore utilizzato allo scopo di verificare l'equilibrio finanziario dell'impresa nel breve termine. Si calcola come:

Capitale Circolante Lordo (attività circolanti) - Passività correnti (debiti a breve termine) = --- CAPITALE CIRCOLANTE NETTO

(18)

Analisi dell’equilibrio monetario nel lungo periodo:

Ai fini dell’analisi dell’equilibrio monetario nel lungo periodo è rilevante calcolare la misura del CASH FLOW e del rapporto CASH-FLOW/DEBITI FINANZIARI.

→ è una misura della capacità di AUTOFINANZIAMENTO dell’impresa.

𝐶𝐴𝑆𝐻𝐹𝐿𝑂𝑊 𝐷𝐸𝐵𝐼𝑇𝐼 𝐹𝐼𝑁𝐴𝑁𝑍𝐼𝐴𝑅𝐼

CASH FLOW = Risultato Netto + Ammortamenti + Accantonamenti.

Il Cash flow o flusso di cassa è un valore totalmente economico-reddituale che misura la capacità di autofinanziamento dell’impresa, in quanto si prende l’utile netto e ci si

aggiungono i costi figurati. Non rappresenta un margine di cui l’azienda può effettivamente disporre, ma una entità economica che misura una capacità intrinseca dell’azienda di auto-finanziare l’attività di impresa.

INDICI DI SOLIDITA’ PATRIMONIALE:

Questi indici servono per fare una serie di considerazioni in merito alla struttura dell’impresa dal punto di vista del rapporto tra capitale proprio e capitale di credito.

Sono principalmente 3 indicatori:

Quoziente di Autonomia Finanziaria:

ossia è il rapporto tra Patrimonio Netto e Attivo dello SP.

𝑄𝐴𝐹 =

𝑃𝑁𝐾

○ Se QAF > 1 ⇒ PN > K ⇒ PN > ATTIVO!

○ Se QAF < 1 ⇒ PN < K ⇒ PN < ATTIVO!

Tale indicatore ci dice in che proporzione i capitali di rischio o mezzi propri (del passivo patrimoniale) hanno partecipato a finanziare gli investimenti e/o in che proporzione siamo indipendenti o dipendenti dai capitali di terzi.

Quoziente di Dipendenza Finanziaria:

ossia è il rapporto tra mezzi di terzi e Attivo dello SP.

𝑄𝐷𝐹 =

𝐷𝐾

○ Se QDF > 1 ⇒ PASSIVO > ATTIVO!

○ Se QDF < 1 ⇒ PASSIVO < ATTIVO!

Grado di Indebitamento (Leverage Ratio):

L'indice di indebitamento indica la proporzione di mezzi presi in prestito che l'azienda ha in relazione al suo patrimonio netto. Questo rapporto non include gli investimenti. Si concentra sulla struttura finanziaria dell'azienda. Può essere calcolato su base totale o netta, a lungo termine o a breve termine.

Quando il risultato è maggiore di uno, indica che i debiti superano il patrimonio netto, mentre se è minore di uno, indica il contrario. Al di sopra di questa cifra, il debito è considerato eccessivo e, a seconda del settore in cui l'azienda opera, può anche essere dannoso per la sua salute economica.

Questo grado di indebitamento è espresso al netto della liquidità dato che questa non è una risorsa impegnata. Se l’azienda non è indebitata l’indicatore viene negativo (oppure se ha molta liquidità e pochi debiti).

(in questo caso D sono i Debiti onerosi, ossia che producono costi).

𝐿𝑅 =

𝐷 − 𝐿𝑖𝑞𝑢𝑖𝑑𝑖𝑡à 𝑃𝑁

(19)

Leva finanziaria (2x) & dimostrazione:

Ipotizziamo:

D = Mezzi di terzi (onerosi)

OF = Oneri finanziari

r = OF/D è il Costo del Denaro.

S = RN/(Rog - OF), con Rog il Risultato Operativo Globale, rappresenta il peso della gestione straordinaria e fiscale;

HP: Assenza di proventi finanziari (senza perdita di generalità) Allora si può riscrivere il ROE come:

𝑅𝑂𝐸 =

𝑅𝑁𝑃𝑁

·

𝑅𝑜𝑔𝑔 − 𝑂𝐹𝑅𝑜𝑔𝑔 − 𝑂𝐹

=

𝑅𝑜𝑔𝑔 − 𝑂𝐹𝑃𝑁

·

𝑅𝑜𝑔𝑅𝑁

·

𝐾𝐾

=

𝐾*𝑅𝑜𝑔𝑔 − 𝑂𝐹*𝐾

𝑃𝑁*𝑘

·

𝑅𝑜𝑔 − 𝑂𝐹𝑅𝑁

E ricordando che K = PN + D (Attivo = Netto + Passivo) si ha che:

𝑅𝑂𝐸 =

𝑅𝑜𝑔*𝑃𝑁 + 𝐷*𝑅𝑜𝑔 − 𝑂𝐹*𝐾

𝑃𝑁*𝐾

·

𝑅𝑜𝑔𝑔 − 𝑂𝐹𝑅𝑁

=

𝑅𝑔−𝑂𝐹𝑅𝑁

(

𝑅𝑜𝑔𝐾

+

𝐷*𝑅𝑜𝑔𝑃𝑁*𝐾

𝑂𝐹𝑃𝑁

) ·

𝑅𝑜𝑔−𝑂𝐹𝑅𝑁

= =

𝑅𝑜𝑔𝐾

+

𝑃𝑁𝐷

(

𝑅𝑜𝑔𝐾

𝑂𝐹𝐷

) ·

𝑅𝑔−𝑂𝐹𝑅𝑁

= 𝑅𝑂𝐼 + ⎡

𝑃𝑁𝐷

( 𝑅𝑂𝐼 − 𝑟 )

⎣ ⎤

⎦ · 𝑆

QUINDI:

⇒ questa relazione è detta LEVA FINANZIARIA.

𝑅𝑂𝐸 = 𝑅𝑂𝐼 + ⎡

𝑃𝑁𝐷

( 𝑅𝑂𝐼 − 𝑟 )

⎣ ⎤

⎦ · 𝑆

Dove:

ROI → Redditività del capitale investito operativo;

D/PN → Grado di indebitamento (LEVERAGE RATIO, LR*); ( ← chiesto all’orale)

r → costo del denaro oneroso (di terzi);

S → peso della gestione straordinaria e fiscale;

Analizzando l’equazione della leva finanziaria si può capire facilmente che il ROE cresce:

● Al crescere del ROI;

Al crescere del Grado di Indebitamento (LR*) se e solo se il ROI è maggiore del Costo del Denaro di terzi (r); viceversa se ROI < r il grado di indebitamento andrà a ledere il ROE.

(20)

Valutazione di un’azienda usando gli INDICI:

Per valore di un’impresa si intende il prezzo che il mercato sarebbe disposto a pagare per comprare la società (persona giuridica) che esercita una determinata attività di impresa.

Il valore di un’impresa lo si può esprimere in funzione del tasso di remunerazione del capitale proprio, ovvero del valore che è in grado di generare per gli azionisti.

⇒ si può usare il ROE per la determinazione del valore patrimoniale di impresa.

Ipotizziamo di considerare l’azienda come un sistema in grado di generare una serie di flussi reddituali nel corso del tempo.

Si ipotizzano quindi due scenari:

1. Durata limitata nel tempo:

In questo caso il valore dell’azienda sarà ottenuto attualizzando i flussi di reddito prospettici:

Valore azienda

=

𝑡=1 𝑛

𝑅𝑡

(1+𝑖)𝑡

In cui:

● Rt è il Reddito normalizzato (“a regime”) ipotizzato nell’anno t;

● t è l’anno di riferimento;

● n è l’orizzonte temporale considerato;

i è il TASSO DI ATTUALIZZAZIONE.

Particolare importanza ha il Tasso di Attualizzazione, che contiene diverse informazioni:

1. Una componente base data dal rendimento di attività prive di rischio (rischio trascurabile, obv), come ad esempio titoli di stato;

2. Rischio relativo all’attività di impresa, ossia il rischio che il flusso di reddito futuro non si verifichi (si può desumere anche come costo-opportunità).

Per investire in questa impresa, a quale investimento si deve rinunciare a parità di rischio ? Se si hanno attività operanti nello stesso settore che offrono un certo rendimento si possono prendere come riferimento. Quel rendimento misura il costo opportunità del capitale in quanto si rinuncia a quel rendimento per investire in questa impresa.

In realtà esistono più metodologie che consentono di calcolare questo tasso di sconto in maniera più sistematica e che hanno alla base una serie di assunti.

In generale, più è elevata la rischiosità dell’impresa, più aumenta il tasso, più il fattore di sconto deprime i valori attualizzati.

2. Orizzonte temporale infinito:

Se l’orizzonte temporale fosse infinito avremmo una serie di flussi. Supponiamo che l’azienda possa stimare un flusso R costante nel corso degli anni a tempo indefinito.

Valore Azienda = 𝑅 , da cui si ottiene:

1+𝑖

+

𝑅

(1+𝑖)2

+ . . . +

𝑅

(1+𝑖)𝑛

Valore Azienda

=

(1+𝑖)𝑅

1 +

1+𝑖1

+ . . . +

1 in cui il contenuto della parentesi (1+𝑖)𝑛−1

⎡ ⎢

⎤ ⎥

quadra è una serie numerica nota, di somma definita. Sostituendo si ottiene:

Valore Azienda = 𝑅

(1+𝑖)

· ⎡

1+𝑖𝑖

⎣ ⎤

⎦ =

𝑅𝑖

i è il tasso di sconto che incorpora il rendimento delle attività prive di rischio + un premio per il rischio della specifica attività d’impresa ⇒ si può usare il ROE!

(21)

Sostituendo il ROE nell’equazione ottengo:

Valore Azienda = 𝑅 ⇒ ossia il valore dell’azienda coincide con il PN!

𝑅𝑂𝐸

=

𝑅𝑅

𝑃𝑁

= 𝑃𝑁

In realtà non si userà mai questo metodo per calcolare il valore di un’azienda; questa riflessione serve solamente a far capire che la relazione che intercorre tra Valore e Tasso di rendimento (ROE).

Valutazione di un’azienda usando i MULTIPLI:

Il multiplo più usato è il Price Earnings Ratio (P/E), ovvero il rapporto Prezzo/Utili per azione. Questo parametro ci dice il prezzo di mercato per ogni unità di utile che, di conseguenza, crescerà quanto più gli investitori saranno disposti a pagari per ogni unità di utile. Il calcolo di un corretto rapporto P/E deve rispettare due regole principali:

○ Vanno sempre considerati gli utili attesi in base alle ultime risultanze contabili;

○ Vanno calcolati al netto di componenti straordinarie, finanziarie e fiscali;

Nel caso di utili costanti, il rapporto rappresenta il numero di anni necessari all’investitore per recuperare il capitale investito.

Al posto dell’utile sarebbe opportuno considerare il Margine Operativo Lordo (MOL), così da effettuare un confronto più coerente ed efficace con altre società e considerare se il settore di riferimento, il trend in atto e l’andamento del ciclo economico possano in qualche modo influire sull’utile futuro.

Altro multiplo da tenere in considerazione è il Rapporto P/BV, ovvero il Price/BookValue. Questo multiplo consente di confrontare la valutazione patrimoniale fatta dal mercato (prezzo) con quella espressa dal bilancio della società (PN).

Generalmente, un valore < 1 costituisce un segnale di sottovalutazione del titolo, in quanto significa che la capitalizzazione di borsa è inferiore anche al solo ammontare del PN, senza contare eventuali prospettive reddituali.

Tuttavia, questo dato offre maggior attendibilità se confrontato con l’indicatore di redditività ROE.

Entrambi gli indici hanno al denominatore il PN e, si dimostra, esiste una correlazione fra i due. Ciò significa che, nel lungo periodo, converrà acquistare titoli che abbiano un P/BV basso ed un ROE alto rispetto alla media del settore, in quanto tale titolo potrebbe essere sottovalutato.

(22)

Aumento di capitale (4x):

L’aumento di capitale è un’operazione straordinaria con cui si aumenta il patrimonio della società, quindi si raccolgono nuovi capitali, emettendo nuove azioni.

Esistono 2 modi per l’aumento di capitale:

1. AUMENTO GRATUITO:

Nel caso dell’aumento gratuito si imputano riserve di utili a capitale sociale.

In realtà non c’è un aumento di valore in sé, ma semplicemente si consolida ed aumenta il

coinvolgimento dei soci aumentando la quota investita nella società. Quindi non aumenta il valore della società ma si stabilizza il patrimonio.

Le azioni di nuova emissione dovranno avere le stesse caratteristiche di quelle in circolazione, e dovranno essere assegnate gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle da essi già possedute.

E' stabilito, inoltre, che l’aumento di capitale può attuarsi anche mediante aumento del valore nominale delle azioni in circolazione.

Spesso questa pratica è preferita da alcuni investitori alla più classica alternativa della distribuzione degli utili, soprattutto gli investitori interessati al capital gain ed a quelli che preferiscono che la società cresca tramite fonti interne.

*NB: con questo tipo di aumento di capitale non cambiano i rapporti di forza tra i soci, perché l’aumento pro-quota è uguale.

Un esempio di scrittura è: Riserva utili @ Capitale sociale | xxx | xxx |.

Si tratta di un’operazione straordinaria ma che non ha alcun impatto sull’operatività della società. Le operazioni straordinarie possono essere facilmente bocciate dai soci senza dover dare motivazioni, non c’è modo di forzare un socio se non per l’approvazione del bilancio.

2. AUMENTO A PAGAMENTO:

Nel caso dell’aumento a pagamento l’azienda emette nuove azioni per poi venderle ai soci, che siano nuovi o vecchi. Quindi si tratta anche di un modo per far entrare dei nuovi soci: i soci sono denaro.

Per esempio si vuole fare un grosso investimento e non si ha denaro per farlo. Per qualche motivo non conviene chiederlo in prestito pertanto si chiede ai soci. L’operazione va avanti anche se l’accordo non è unanime.

⇒ con questo tipo di operazione, aumentando il CS, aumenta di fatto l’investimento da parte dei soci, quindi aumenta il denominatore di ROE e ROI (chiaramente finchè l’azienda non impiega le nuove risorse) ⇒ bisogna interpretare i nuovi indici valutando la dinamica (potrebbe esserci un ritardo temporale tra l’aumento del denom. e l’aumento del num.).

NB: Nel caso in cui non fosse corrisposta una quota azionaria si avrebbe un prestatore investitore, cioè il socio che presta denaro alla sua stessa società che è l’ultimo ad essere liquidato prima di tutti gli altri creditori. I crediti verso soci sono postergati, cioè devono essere pagati dopo tutti gli altri. Questo prestito è una specie di aumento di capitale, un parente prossimo di un aumento di capitale atipico.

Se si vuole comprare un’azione di nuova sottoscrizione, questa vale in linea di massima quanto

l’organizzazione che si sta pagando. Bisogna però determinare il Prezzo di Emissione delle nuove azioni.

Il Valore Nominale è il minimo prezzo, sotto al quale l’azienda starebbe danneggiando il CS.

Il Book Value è il lower bound “realistico”, valore minimo sotto al quale è sconveniente vendere.

Il Prezzo di Borsa o prezzo di mercato è il prezzo massimo, di solito, al quale si può puntare.

Il Prezzo di Emissione sarà quindi nel mezzo tra quei due valori, sicuramente sopra al VN e sicuramente sotto al Pm per rendere l’acquisto appetibile (se fosse uguale al Pm che convenienza ci sarebbe?).

(23)

NB: nel momento in cui c’è qualcuno disposto a pagare il prezzo richiesto per le azioni, qualunque esso sia, il prezzo sarà FAIR.

Normalmente, dato che il Prezzo di Emissione una volta deciso è fissato, sarà fissato sempre sotto al Prezzo di Mercato (che si cercherà di prevedere per il momento dell’aumento di capitale). Ma dato che non possono esistere sul mercato 2 beni sullo stesso mercato, allo stesso istante, con costi diversi, il Pmercato scenderà, di fatto danneggiando i soci preesistenti!

⇒ per evitare questo si introduce il DIRITTO DI OPZIONE.

L’azienda, soprattutto in voce dei vecchi soci, è interessata ovviamente ad emettere il numero minore di azioni raccogliendo allo stesso tempo più capitali possibili.

Quindi l’azienda emetterà delle azioni e incasserà una somma. Parte di questa somma andrà nel CS, in relazione al Valore Nominale delle azioni, mentre l’eventuale SOVRAPPREZZO pagato sulle nuove azioni non va nel CS ma rappresenta un investimento in “conto capitale”. Il sovrapprezzo si configura come riserva non distribuibile (Riserva Sovrapprezzo Azioni o Riserva da Conferimento) e rappresenta il maggior valore pagato dai soci per le nuove quote.

La riserva non è distribuibile (almeno finché la Riserva Legale non raggiunge il 20% del nuovo CS, ma comunque che senso avrebbe distribuirla poi?) però può essere utilizzata per coprire eventuali perdite e, ovviamente, per effettuare nuovi investimenti e far crescere il business dell’azienda.

Contabilmente, ad esempio emettendo 2 azioni con VN = 1€ e Pem = 50€, sarà:

Banca @ diversi | 100 | |

@ Capitale Sociale | | 2 |

@ Riserva Sovr. Azioni | | 98 |

Risulta ovvio quindi che questa è un’operazione che AUMENTA IL VALORE della società e che, potenzialmente, cambierà i rapporti di forza tra i soci tra i soci.

Aumento di capitale con apporto di asset:

L’aumento di capitale con apporto di asset è una forma speciale di aumento di capitale a pagamento, in cui uno o più soci entrano a far parte dell’azienda, ricevendo quindi delle azioni di nuova emissione, non versando del denaro ma appunto apportando un asset utile alla società, di valore pari all’aumento di capitale. Questo asset può essere tangibile o intangibile ed in ogni caso prima di procedere all’aumento di capitale ne va valutato accuratamente il valore tramite una perizia di terzi, dato che sarà poi un asset ascritto a bilancio. Il valore dell’asset deve quindi essere oggetto di valutazione detta Impairment Test (che va andrà poi fatta ogni 6 mesi per monitorare il valore ed eventualmente attuare le procedure adeguate in caso di scostamenti) → bisogna dare delle garanzie circa il valore, poichè bisogna essere sicuri che il valore per cui si è aumentato il CS è adeguato.

(24)

Diritto d’opzione (2x) & Come calcolo il valore del diritto:

Diritto spettante agli azionisti che prevede la prelazione (ossia un trattamento prioritario e preferenziale) per la sottoscrizione di nuove azioni in occasione di operazioni di aumento del capitale sociale.

Il diritto di opzione assicura all'azionista la possibilità di mantenere inalterata la propria quota di partecipazione all'interno della società. Esso è, infatti, offerto in quantità proporzionale al numero di azioni possedute dal socio precedentemente all'operazione di aumento del capitale.

Qualora l'azionista non intenda esercitare tale diritto potrà cederlo sul mercato contro il pagamento del prezzo determinato dalla domanda e dall'offerta che si formerà nel mercato dei diritti di opzione.

Il Diritto di Opzione è regolato dall’Art. 2441 del Codice Civile.

Quando si effettua un aumento di capitale a pagamento e si emettono quindi nuove azioni, ad un prezzo necessariamente più basso rispetto a quello di mercato, ma così facendo il socio che decide di non sottoscrivere subisce un duplice danno:

1. La propria quota di controllo diminuisce e quindi perde controllo;

2. Perde patrimonialmente dato che il prezzo delle azioni scende necessariamente.

Proprio per ovviare a questi due problemi esiste il diritto di opzione. E sempre per questi motivi il diritto di opzione non è un’entità statica ma può essere scisso dall’azione a cui si riferisce ed essere venduto separatamente.

Quindi nel caso in cui il socio non volesse esercitare il diritto può sempre rivenderlo sul mercato ad un terzo soggetto, coprendo di fatto la sua perdita patrimoniale.

⇒ così facendo l’aumento di capitale è un’operazione neutra per i soci (patrimonialmente). Chiaramente il socio che non sottoscrive l’aumento di capitale vedrà la propria quota di controllo diluita.

Il valore del diritto di opzione è calcolato a partire dal TERP (Theoretical Ex-Right Price), che sarebbe la media pesata del prezzo delle azioni pesato sulle azioni esistenti DOPO l’aumento di capitale:

TERP = (AzioniVecchie*PM+ AzioniNuove*PEMISSIONE)/(AzioniVecchie + AzioniNuove) Do = PM- TERP

Il valore del Diritto di Opzione è sempre legato al Prezzo di Mercato (e quindi se crolla PMil Do diventa negativo, rendendo di fatto l’aumento di capitale non conveniente a meno di situazioni di estrema emergenza).

Soppressione del Diritto di Opzione:

Il diritto di opzione esiste sempre, indipendentemente se la società è quotata sul mercato o meno.

Solo in alcuni particolari casi può essere soppresso:

Se si vuole far entrare uno specifico socio per motivi strategici (Es: un tizio magari invece di darmi denaro mi dà un impianto, fabbricato particolare o sua azienda. In borsa si devono dare soldi, negli altri casi non ci sono limitazioni). Ovviamente gli altri soci non devono poter acquistare le azioni destinate a questa specifica transazione;

Aumento di capitale per quotazione in borsa (Initial Public Offering - IPO), la cosiddetta offerta pubblica di sottoscrizione. Offro al mercato indistinto in un’operazione di ricollocamento in borsa le mie azioni. Se i soci me le sfilano prendendole come diritti di opzione, non riesco a collocarle in borsa l’importo scritto sul prospetto di collocamento. Nel caso di primo

collocamento, Initial Public Offering, quindi se faccio un aumento di capitale per quotarmi, i soci devono essere limitati nel loro diritto di opzione o non si creerebbe il mercato.

(25)

Il diritto di opzione in questi casi può essere limitato o escluso ma deve esserci un interesse preminente della società, anche detta esigenza, che deve essere messo a verbale dall’amministratore. In questo caso i soci subiscono un danno ma a vantaggio della società, quindi che verrà pareggiato da utili futuri.

Azioni “INOPTATE”:

Dato che il Do può essere negativo, può succedere che rimangano azioni emesse ma non vendute, dette appunto “inoptate”. Queste azioni, in qualche modo, devono essere distribuite. Solitamente vengono comunque date in prelazione ai soci, dopodiché se questi non sono interessati si fa un’asta entro i valori soglia. Se anche questo metodo fallisce le azioni inoptate si annullano, ma la società non riuscirà a raccogliere i capitali che desiderava e subirà quindi una perdita.

Prestito obbligazionario:

Un prestito obbligazionario è una forma di finanziamento alla quale ricorrono solitamente le società per azioni, le quali non si rivolgono però a una banca o a un istituto finanziario ma direttamente al mercato degli

investitori: la società emette delle obbligazioni che vengono acquistate dagli investitori, i quali in cambio ottengono dei vantaggi, ossia il diritto di ottenere il rimborso alla scadenza fissata e una quota di interessi.

Nel caso del prestito obbligazionario abbiamo una netta separazione tra gli investitori a capitale di rischio (soci dell’azienda), che si assumono il rischio impresa e gli investitori a capitale di credito che non si assumono il rischio di impresa ma hanno un rapporto contrattuale con la società, un rendimento definito a priori e la restituzione del capitale ad una certa scadenza. Abbiamo quindi una netta separazione in termini di coefficiente di propensione al rischio tra le due categorie di investitori.

(26)

Buy-Back:

Il buyback è il processo con cui l’azienda acquista azioni proprie dagli azionisti (che sono disponibili a venderle, ovviamente), di fatto restituendo capitale ai soci.

Regolato dall’Art. 2357 del c.c.

Questa operazione può essere fatta per diversi motivi:

● Stabilizzare il valore delle azioni:

Se l’azienda pensa che il valore delle sue azioni è sottovalutato sul mercato può decidere di riacquistarle e tenerle in portafoglio per poi magari rivenderle in futuro.

Infatti l’operazione di buyback:

1. Aumenta la quotazione dei titoli, in quanto ne sostiene la domanda sul mercato;

2. Aumenta il valore patrimoniale dei titoli rimasti, nel caso in cui le azioni vengano distrutte dopo il buyback;

● Restituire ai soci eccessi di liquidità:

Può succedere alle volte che l’azienda si rende conto di avere a disposizione troppi capitali, ossia avendo valutato gli investimenti possibili come non sufficientemente redditizi, decide di “sbarazzarsi” di capitali in eccesso e, di fatto, di investire in sè stessa. Per fare questo l’azienda sostanzialmente

restituisce capitale ai soci.

Quindi in questo caso l’azienda acquista le proprie azioni per poi distruggerle e quindi ridurre il capitale sociale.

● Aumento del controllo dei soci insider;

● Incremento degli Utili Per Azione (EPS);

● Acquisition Currency:

L’azienda, anziché distruggere le azioni di buyback, le usa come mezzo di scambio per l’acquisizione di divisioni o partecipazioni in altre aziende.

L’acquisto delle azioni, ossia il quantitativo totale di liquidità restituita, dipende dal Prezzo a cui le azioni sono acquistate.

C’è un valore di soglia per il prezzo, e questo è il Book Value (o Valore Patrimoniale = PN/Azioni):

● Se il PACQ< PBOOK⇒ Il Book Value per azione AUMENTA (quindi aumenta il PN);

● Se il PACQ> PBOOK⇒ Il Book Value per azione DIMINUISCE (diminuisce il PN);

In generale il prezzo di acquisto può essere anche molto maggiore o minore rispetto al Book Value.

L’operazione di buy back è comunque un’operazione delicata, essendo praticamente l’operazione inversa rispetto a quella della costituzione, e per questo è molto regolamentata:

● LIMITE QUANTITATIVO:

Si può acquistare non più del 10% del Capitale Sociale, e si può fare comunque solo usando utili e riserve disponibili (risorse in eccesso) risultanti dall’ultimo bilancio approvato (ovvero solamente quelle quantità che volendo si potrebbero distribuire agli azionisti).

Le azioni acquistabili sono solo quelle LIBERATE (versate al 100%) e l’acquisto deve essere autorizzato da un’assemblea che specifica:

○ Prezzo (minimo, massimo);

○ Durata dell’autorizzazione (max 18 mesi);

○ Numero di azioni acquistabili;

● Finché la società acquista e non distrugge le azioni il diritto di opzione e gli utili sono distribuiti

(27)

Il diritto di voto è soppresso, nonostante le azioni proprie sono conteggiate nel CS al fine di quorum necessario alle delibere assembleari.

Alla società è vietato accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie;

Per le S.P.A. le azioni proprie riacquistate vanno inserite non nell’ATTIVO ma vanno scontate nel PASSIVO → altrimenti metterebbe in attivo una partecipazione in se stessa, creando un loop e mettendo valori fittizi.

Quando si acquistano azioni proprie bisogna costituire una riserva chiamata “Riserva Azioni Proprie”

che è INDISPONIBILE → tale riserva può essere costituita attingendo dall’utile o stornando una riserva disponibile.

Impatto del buy back sul bilancio:

● Dal punto di vista economico l’impatto è NULLO → l’accantonamento a riserva non ha nessun impatto perché di fatto sposto una quantità da una riserva ad un’altra.

● Dal punto di vista patrimoniale si annulla con la riserva costituita (Azioni Proprie tra le immobilizzazioni finanziarie nell’attivo e Riserva Azioni proprie nel PN).

Diverso è il discorso se l’azienda, dopo aver acquistato azioni proprie, le DISTRUGGE, di fatto diminuendo il Capitale Sociale.

Azioni proprie @ Banca | 100 | 100 |

Diversi @ Azioni proprie | | 100 |

Capitale Sociale | x | |

Disagio su Acq. e distr. Azioni proprie |100-x | |

Dove il “disagio” è la differenza tra il prezzo di acquisto (buy back) ed il valore nominale e si può anche attutire/coprire con le riserve.

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