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MODELLI INTERNAZIONALI DI GESTIONE DELLA CULTURA SULLE PAGINE DI “seleARTE”

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CAPITOLO III L’ITALIA A CONFRONTO CON IL MONDO

MODELLI INTERNAZIONALI DI GESTIONE DELLA CULTURA SULLE PAGINE DI “seleARTE”

Grazie alla sua capillare distribuzione, “seleARTE” si offre come strumento eccezionale per suggerire e diffondere nuovi modelli di cultura e gestione della cultura.

Carlo Ludovico Ragghianti si affaccia spesso sulle pagine della rivista per suggerire confronti fra la situazione italiana e quella di altri paesi. Numerosi aspetti della politica culturale diventano oggetto della sua attenzione: il rapporto tra arte e Stato, l’ingerenza della Chiesa nelle questioni creative, lo studio della storia dell’arte nelle scuole, l’università e la sua organizzazione, la gestione museale e la dedizione didattica e divulgativa delle istituzioni. Nel trattare questi argomenti, Ragghianti non si limita ad analizzare i problemi italiani, ma porta avanti confronti con la situazione di paesi europei ed extraeuropei, che propone come modelli da seguire (o da evitare) relativamente alle specifiche questioni. Sia in articoli approfonditi ed ampi sia nelle rubriche, appaiono notizie che raccontano con taglio comparativo le iniziative di scuole, musei e governi esteri. Pur non condividendo le basi estetiche predominanti tra gli studiosi di alcune aree geografiche, Ragghianti esprime la sua stima verso alcune iniziative concrete da essi promosse. Estremamente significativa per chiarire la posizione di Ragghianti verso le idee estetiche diffuse nel mondo anglosassone, in Francia ed in Germania è la lettera che invia a James Thrall Soby il 21 maggio 1950:

“Non è facile avere rapporti stretti con critici stranieri, perchè essi seguono una cultura

(in generale, nei suoi fondamenti) che a molti di noi, dico a quelli che hanno seguito

l’esperienza dello storicismo moderno, appare ferma a concetti e valori e problemi che

ci sono famigliari, ma storicamente piuttosto che attualmente. Nel mondo attuale c’è

una grande discontinuità di esperienze culturali; e, se in ogni periodo storico si è

avverata la compresenza di piani di cultura differenti, di diversa cronologia e di diverso

stadio ideale, tuttavia non si può dire che la nostra epoca somigli a quella

dell’Enciclopedia o a quella del Romanticismo, soprattutto dal punto di vista dell’unità

internazionale di cultura.

(2)

Sommariamente, a noi appare che i Paesi di cultura come la Francia, da un lato, e dall’altra la Germania ed i paesi anglosassoni, siano per molti problemi fermi al positivismo (naturalistico o metafisico) elaborato sullo scorcio del secolo XIX.

Soprattutto per l’esperienza estetica, dove la popolarità delle concezioni positivistiche è stata determinta non soltanto dai Woelfflin, dai Berenson e dai loro innumeri estensori, ma anche dai movimenti culturali come il cubismo, il futurismo, ed altri (astrattismo).

E molto di questo, cucinato nella mitografia dell’ école di Paris, a scopo non solo e non del tutto culturale, ma pratico.

In America, Dewey, che noi riteniamo il solo pensatore originale, e di sicura grandezza, (che per molti aspetti, malgrado la differente partenza di cultura e di orientamento di interessi, coincide con la cultura europea più sviluppata, cioè quella crociana), proprio in mancanza di movente, di problema, di comprensione, di vocazione o di esperienza che si dica, ha risolto le esigenze relative prevalentemente in una forma funzionale, quella dell’educazione; in certo senso ha di nuovo platonicamente assoggettato l’attività estetica, rendendola strumento o simbolo di attività propriamente teoretiche.

Tutto questo ti dico per spiegare col minimo possibile di equivoci ciò che mi piace e ciò da cui dissento nella sua critica (ndr: di Soby a De Chirico). Mi piace la autopsia.

L’analisi precisa e introspettiva, la ricerca di particolarizzare il fenomeno, di intenderlo nella sua peculiarità. Mi piace anche la proprietà e la vastità di conoscenze storiche effettive e dirette della cultura artistica moderna e contemporanea. Ma – come comprendo dalle premesse – mi sembra che ella rimanga in parte nel solco della cultura positivistica, che è quanto dire formalistica, e credo che la revisione degli schemi di tale cultura, condotta rigorosamente, potrebbe avvicinare notevolmente i nostri punti di vista”

218

.

Nonostante la fermezza delle posizioni metodologiche, Ragghianti rimane aperto riguardo ad esempi stranieri di efficienza organizzativa. La proposizione di modelli internazionali riguarda infatti preferibilmente gli aspetti gestionali ed istituzionali, anche se importanti ragioni teoriche stanno alla base delle soluzioni pratiche indicate dal critico.

L’interesse per la storia dell’arte in Ragghianti è accompagnato da un serio impegno politico ed etico, che lo spinge ad individuare i punti deboli del sistema culturale

218 JTS, III.B.2.c.i. MoMA Archives, NY.

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italiano e a cercare attivamente delle soluzioni per modificare lo status quo. In questa prospettiva, l’analisi delle strategie utilizzate altrove per risolvere problemi analoghi diventa uno strumento fondamentale per attingere ad un bagaglio di soluzioni già testate.

Ragghianti affronta gli argomenti di carattere pratico presentando sempre un atteggiamento propositivo e fiducioso nella possibilità di cambiare la realtà. Tramite

“seleARTE”, mira a creare un movimento d’opinione intorno ad alcuni temi fondamentali del dopoguerra. E, quando ne ha la possibilità, non si limita a scrivere, ma si impegna ad agire. Mettendo in luce quell’aspetto pragmatico e quel rigore etico che forse gli storici dell’arte della nostra generazione dovrebbero prendere a modello.

1. LA CHIESA, LO STATO E LA POLITICA DELL’ARTE: UN APPROCCIO COMPARATIVO

La guerra fredda paralizza il panorama mondiale in un delicato gioco di equilibri e gli schieramenti politici sono sostenuti da decise posizioni ideologiche, nel periodo di pubblicazione di “seleARTE”. I governi non sono semplicemente attuatori di idee diverse sulla gestione dello Stato, ma sono l’emanazione di partiti che rispecchiano differenti principi, stili di vita, modelli morali. La battaglia politica si gioca anche nella vita quotidiana dei cittadini, al cinema, alla radio, nelle case del popolo, la domenica in chiesa. È in questo contesto che si verificano i frequenti tentativi, da parte della Chiesa e dello Stato, di pronunciarsi su questioni che difficilmente possono essere considerate di loro competenza, come quella dell’espressione artistica. Riconoscendo il forte potenziale comunicativo dell’immagine, Vaticano, partiti e governi di segno opposto mirano a servirsi dell’arte con fini propagandistici e sferrano colpi contro i linguaggi astratti, per il mero motivo che appare improbabile veicolare contenuti specifici in assenza di rappresentazione e narrazione. Ragghianti, che sostiene sul piano estetico l’unicità dell’espressione individuale, non può che schierarsi contro i tentativi di strumentalizzazione dell’artista.

Già nel secondo fascicolo di “seleARTE” sono riportati in parallelo due documenti

prodotti dall’Accademia russa e dal Vaticano. Pur essendo ideologicamente

(4)

contrapposte, le due istituzioni mostrano atteggiamenti analoghi, indicando gli standard da seguire nella produzione artistica, non solo per quanto riguarda i soggetti, ma anche per quanto concerne gli aspetti formali:

“Dai Rendiconti stenografici delle sedute dell’Accademia di Belle Arti dell’URSS a Mosca togliamo alcune tipiche e testuali affermazioni. […]

La tavolozza dell’artista sovietico deve essere così: il centro dev’essere riservato per la tinta più vicina al colorito naturale della carne umana, ma di media intensità, e i bordi intorno a questa massa devono essere riservati ai colori complementari preparati per gli effetti di chiaroscuro e per le sfumature più chiare e più scure.

Nelle scuole d’arte, si faranno per gli allievi conferenze su questi soggetti: l’immagine di Stalin nella pittura e nelle arti grafiche, l’immagine di Stalin nella scultura, il lavoro dei giovani artisti sull’immagine di Stalin, etc.

219

[…]

Il Cardinale Pizzardo, segretario della Suprema Congregazione del Sant’Uffizio, ha diramato una Istruzione sull’Arte Sacra, pubblicata dall’ “Osservatore Romano” del 20 luglio. Il testo richiama ordinanze di Pio X, i canoni ecclesiastici in materia e alcuni giudizi e condanne di Pio XI e di Pio XII. La chiesa cattolica, come tale, ha pieno diritto di formulare prescrizioni relative alle opere di architettura, pittura o scultura che siano oggetto di culto. L’arte, per la chiesa, non è che uno strumento per “ispirare la fede e la pietà”, e deve perciò conformarsi a tale ufficio, che nell’ambito della chiesa le è assegnato”

220

.

Secondo “seleARTE”, lo scritto del Cardinale Pizzardo lascia intuire una posizione polemica nei confronti di “alcune tendenze manifestatesi nel mondo cattolico”. Il papa infatti “condanna le deviazioni e le contaminazioni dell’arte sacra, ed afferma che “è priva di qualsiasi consistenza l’obiezione di coloro i quali sostengono che l’arte sacra deve adattarsi alle necessità e alle condizioni dei tempi nuovi”

221

. Del resto, “è apparso sull’organo del Vaticano (23 luglio) un commento autorizzato dall’Istruzione, redatto

219 Arte e propaganda, in “seleARTE”, 2, 1952, pp. 35-36

220 Arte sacra, in “seleARTE”, 2, 1952, p. 36

221 Ibidem

(5)

da mons. Celso Costantini. Questi definisce senz’altro ‘barbarica’ l’arte contemporanea, stigmatizza le ‘aberrazioni’ come la Cappella di Matisse a Vence (Nizza), le velleità cattoliche dell’ ‘ebreo Chagall’, i ‘truculenti crocefissi’ di Rouault, e conclude col dire: “Non date le cose sante ai cani”

222

.

Se in Italia queste linee guida vengono seguite piuttosto ligiamente, in paesi meno condizionati dalla presenza, fisica e non, dello Stato della Chiesa, sono percepibili segni di apertura. È in particolare l’esempio francese del movimento dell’Art sacré ad essere sostenuto da Ragghianti. Il pungolo dell’arte

223

, raccolta di saggi ragghiantiani pubblicata nel 1956 ma contenente una serie di contributi compilati in anni precedenti, comprende un testo sull’argomento, scritto nel 1953

224

. Qui l’autore presenta il libro L’art sacré moderne di padre Pichard,

225

tra i fondatori della rivista Art sacré e collaboratore del giornale gesuita La Croix, che nel ripercorrere la storia dell’arte commissionata dalle istituzioni ecclesiastiche dal 1880 al 1952 evidenzia la differenza tra opere devote e le opere d’arte vere e proprie, di tema sacro, realizzate con linguaggi indipendenti. Secondo Pichard, l’arte vivente nel periodo recente “è stata sostituita dalla ripetizione di modelli, dall’imitazione, dall’eclettismo espositivo”

226

. E Ragghianti commenta:

“La questione come tale non interessa la critica, è ovvio; riguarda soltanto i credenti. E ciò da due punti di vista: primo, che la chiesa cattolica è committente e acquirente, e poiché o finché ha una dottrina rigorosamente prescrittiva che riguarda l’arte, ne esige l’osservanza dai fedeli con pieno diritto; secondo, che i credenti cattolici, quando anche pittori scultori architetti, se credenti sono obbligati ad obbedire ai comandi dell’autorità ecclesiastica in tutto ciò che concerne la fede e le opere, e quindi anche nell’esercizio delle varie arti, con dovere stretto, se essi accettano confessione e soggezione. Che poi, praticando anche in questo caso la dottrina ben nota della tesi e dell’ipotesi, si conceda

222 Ibidem

223 C.L. RAGGHIANTI, Il pungolo dell’arte, Venezia, 1956

224 C.L. RAGGHIANTI, Art sacré, in Il pungolo dell’arte, cit., pp. 48-55

225 J. PICHARD, L’art sacré moderne, Paris- Grenoble, 1953. Il libro è recensito anche su “seleARTE”

(10, 1954, p. 42)

226 C.L. RAGGHIANTI, Art sacré, cit., p. 49

(6)

in Francia, in Belgio e in Germania quanto non si concede in Italia o in Spagna, questa è altra questione, non dottrinale, ma di politica ecclesiastica”

227

.

“seleARTE” torna più volte sul dibattito relativo alle competenze della Chiesa in campo artistico

228

, la cosiddetta querelle de l’art sacré. Nel 1954, dedica un approfondimento a questo tema nella sezione Biblioteca, partendo dalla recensione del volume di Pio Regamey, Art sacré au XIXe siècle?

229

. Regamey, il cui fine è esplicitamente quello di rinnovare l’atteggiamento della Chiesa cattolica verso l’arte moderna, sostiene che l’arte sacra debba rispondere alle esigenze del suo tempo per riuscire a comunicare ai fedeli; per questo i canoni ottocenteschi fissati dalla Chiesa attuale non risultano efficaci. L’artista non può che parlare del suo individuale rapporto con il divino, non è possibile fissare delle regole a cui farlo sottostare. L’artista crea, non fabbrica.

“seleARTE” nota che questo libro, esemplare per il tentativo di mediazione tra i dettami ecclesiastici e la cultura artistica contemporanea, non è tradotto in Italiano, “ma ciò deriva dallo scadente livello di cultura e di spiritualità in cui si trovano il clero e i credenti italiani, mentre la paganità popolare è indifferente”

230

.

Per ribadire la sua posizione sull’arte sacra, Ragghianti affida il messaggio anche a scritti di altri autori, che pubblica come approfondimenti solo apparentemente slegati dalla vicenda di attualità. Quando nel volume 4 di “seleARTE” appare il testo Arte e religione di Aldous Huxley,

231

incentrato sul tema della committenza ecclesiastica nella Roma Barocca, è chiaro che il direttore della rivista è interessato soprattutto, al di là del problema storico specifico, a trasmettere la teoria di fondo di Huxley: l’arte e la religione (o meglio i soggetti religiosi) compiono strade separate e gli artisti lavorano soprattutto sulle scelte estetiche.

227 C.L. RAGGHIANTI, Art sacré, cit., p. 51

228 cfr. Biblioteca, L. BARTOLI, L’arte nella casa di Dio, in “seleARTE”, 6, 1953, pp. 41 e segg.;

Biblioteca, CELSO COSTANTINI, L’istruzione del S. Offizio sull’arte sacra, in “seleARTE”, 7, 1953, pp. 41 e segg.; Biblioteca, Arte sacra, in “seleARTE”, 10, 1954, pp. 41-42; Arte e cattolici, in

“seleARTE”, 5, 1953, p. 24.

229 PIE R. REGAMEY, Art sacré au XIXe siècle?, Parigi, 1952

230 Arte sacra, in “seleARTE”, 10, 1954, p. 41

231 A. HUXLEY, Arte e religione, in “seleARTE”, 4, 1953, pp. 5-8

(7)

Così come la Chiesa, anche lo Stato non dovrebbe, secondo Ragghianti, arrogarsi il diritto di dettare linee guida sulla produzione artistica. Provocatoriamente, “seleARTE”

sostiene che le competenze critiche e storico artistiche dovrebbero essere rispettate al pari di altre capacità tecniche: se è comunemente accettato che settori come la sanità o i sistemi antincendio siano affidati a personale specializzato, perchè non l’arte? La comprensione dell’arte necessità preparazione, studio ed esercizio e non è cosa

“innata”. Pertanto, la gestione del patrimonio e delle attività artistiche andrebbero affidate a coloro che hanno gli strumenti per occuparsene con cognizione

232

.

Il giudizio non può venire affidato ad amministratori e a burocrati non specializzati: la confusione tra i valori artistici ed i valori politici rischia di determinare una forma di strumentalizzazione e di isterilimento del lavoro creativo. L’ingerenza dello Stato nelle questioni d’arte si riscontra saltuariamente anche in paesi democratici come l’Italia, gli Stati Uniti e l’Austria. Nel fascicolo 9 di “seleARTE” Ragghianti pubblica, per veicolare proprio questo messaggio, L’artista e il politicismo, un articolo precedentemente apparso su “Art News” e firmato da Ben Shahn, noto pittore americano.

233

Shahn scrive nel 1953 in pieno clima maccartista e, in questo contesto di caccia alle streghe comuniste, compone un testo di particolare rilevanza, nel quale descrive la tesa situazione statunitense: l’arte astratta e moderna viene con frequenza accusata di veicolare idee comuniste ed in nome di un principio, peraltro difficilmente dimostrabile, subisce una sorta di boicottaggio. Shahn osserva come, paradossalmente, la scelta astrattista sia rifiutata e censurata parimenti dal governo sovietico. La volontà di giudicare fatti culturali e artistici da parte di organi politici ovviamente è considerata estremamente grave, soprattutto perché mina l’immagine degli USA come stato democratico e libero, immagine che il governo tiene a trasmettere all’ Europa.

232 C.L. RAGGHIANTI, Demagogia e democrazia, in “seleARTE”, 22, 1956, p. 59. “La democrazia, infatti, non c’entra affatto: perchè essa non si identifica con la prevalenza del numero, ma si fonda sulla articolazione delle competenze tecniche quanto sulla divisione dei poteri. La democrazia è un principio, non una modalità elettorale. […] Naturalmente, ognuno troverebbe assurdo, chiaramente antisociale e caotico ricorrere al voto popolare o parlamentare in temi tecnici quali la sanità pubblica o l’adozione di sistemi antincendio (anche se costituenti un carico per i cittadini, e perciò impopolari); altrettanto naturalmente non trova assurdo che la selezione artistica, il giudizio, e ogni atto pubblico che esiga questa attività, siano demandati, anziché a dei competenti capaci di garantire per la collettività il valore reale del giudizio (si capisce, nei limiti delle umane possibilità), al ‘popolo’ indiscriminatamente, nella supposizione assolutamente gratuita che questo si intenda di arte, mentre si ammette che non s’intende di medicina, di fisica o di tecnologia”.

233 B. SHAHN, L’artista e il politicismo, in “seleARTE”, 9, 1953, pp. 25- 29

(8)

Commentando Shahn, Ragghianti coglie l’occasione per citare Lettera aperta, un proprio intervento pubblicato sul fascicolo 4 di “seleARTE” : qui il critico attacca alcuni senatori italiani che scrivono al Ministro della Pubblica Istruzione e al Presidente del Consiglio per ottenere spiegazioni sui criteri che hanno spinto ad acquistare per lo Stato alla Biennale di Venezia del 1952 “i grotteschi oggetti che non possono, in nessun modo, essere considerati espressioni d’arte e che ripugnano ad ogni senso estetico e che sono aborriti e derisi dal sano ed equilibrato gusto estetico del popolo italiano”

234

. Ragghianti ritiene che i politici dovrebbero semplicemente fare il loro mestiere; dato che sono incompetenti di arte non sono in grado di esprimere giudizi sulle opere. Con le medesime argomentazioni, nella rubrica Acquaforte del fascicolo 22, lo storico dell’arte redarguisce Karl Strobl, direttore di “Kunst in Volk”, che polemizza contro il ministro Schwalber ed i funzionari dell’amministrazione delle arti, poiché investono i fondi pubblici sugli artisti ‘extrem modern’, che non rappresentano il popolo austriaco.

Esistono alcuni Stati, come la Germania nazista o la Spagna e l’ URSS contemporanea, in cui simili atteggiamenti censori e moralisti prevalgono, creando i presupposti per una coartazione dell’attività artistica.

La costrittiva politica della Russia costituisce uno dei bersagli che Ragghianti prende di mira più frequentemente. Il saggio del 1954 dal titolo Totalitarismo politico e cultura, inserito ne Il pungolo dell’arte, è concentrato esclusivamente sull’Unione Sovietica:

“L’imposizione (ottenuta con mezzi totalitari) di queste o simili “tesi” come verità che non è lecito discutere o sottoporre ad analisi critica, logica o storica, ma è solo possibile glossare con ogni industria e compunzione, ed anche con ogni sorvegliata cautela, conferisce un carattere schiettamente avvocatesco anche agli scritti di persone di reale ingegno”

235

.

Nel terzo fascicolo di “seleARTE” , viene tracciato un aggressivo panorama dell’Arte nella Russia d’oggi

236

, in cui è denunciata la difficoltà di raccogliere informazioni sul clima artistico sovietico a causa della chiusura verso l’esterno di questo paese. Più che

234 C.L. RAGGHIANTI, Lettera aperta, in “seleARTE”, 4, 1953, p. 42

235 C. L. RAGGHIANTI, Totalitarismo politico e cultura, in Il pungolo dell’arte, cit., pp. 350-355

236 C. L. RAGGHIANTI, L’ arte nella Russia d’oggi, in “seleARTE”, 3, 1952, pp. 3-8

(9)

illustrare la situazione di fatto, l’autore si dilunga sul tema delle barriere ideologiche che sono imposte dall’alto agli artisti russi e che impongono, come abbiamo visto, non solo dei contenuti ma anche uno stile: il realismo socialista, che non presenta caratteri originali ma prosegue sulla scia dell’arte borghese dell’Ottocento. Il rifiuto dell’idea dell’arte come espressione individuale blocca le potenzialità di crescita artistica della Russia e costringe gli artisti originali ad espatriare.

La situazione non appare differente negli Stati Satellite: nel numero 5 viene trascritto, con il titolo Arte di Stato in Romania,

237

un documento rumeno connesso all’Esposizione di stato del 1952, in cui si parla del realismo sociale come arte vera, l’unica in grado di far esprimere l’artista liberamente e compiutamente:

“Ciò che caratterizza lo sviluppo attuale delle arti plastiche è che i successi ottenuti nella via del realismo socialista sono il frutto di una lotta perseverante contro le manifestazioni formaliste, che frenano il libero slancio dell’arte, soffocano la potenza creatrice e il talento dell’artista”. […]

La sessione dell’ Unione degli artisti del maggio 1952 ha chiaramente messo in luce la necessità di combattere il formalismo per dare alla nostra arte la possibilità di svilupparsi pienamente.

La prima caratteristica delle opere dell’Esposizione di Stato è la varietà e la ricchezza dei temi e dei problemi affrontati dagli artisti. Bisogna sottolineare che i nostri artisti sono riusciti a rendere in modo mirabile le figure dei grandi educatori dell’umanità intera, Lenin e Stalin. Ciò testimonia il talento, la potenza di concezione, la maestria dei nostri artisti”.

L’autore dell’articolo di “seleARTE” invita sarcasticamente a paragonare al testo auto- incensante le immagini delle opere esposte, retoriche esaltazioni icastiche di Stalin e Lenin o racconti di vita dei contadini romeni che incontrano lo splendore della Russia.

Il contrasto tra le parole del documento e la qualità dei lavori è secondo lui talmente evidente da non necessitare di alcun commento.

Anche negli Stati Sovietici, comunque, soprattutto dopo la morte di Stalin (1953), emergono delle voci in opposizione con la linea impositiva del governo. Nel fascicolo

237 Arte di Stato in Romania, in “seleARTE”, 5, 1953, pp. 22-24

(10)

15 un lungo testo racconta della Rivendicazione di libertà della cultura in Russia

238

. Le riflessioni qui proposte partono dalla lettura di due articoli, uno di Edward Crankshaw sull’Observer, l’altro di Philippe Savant sull’Esprit: entrambi si chiedono È la fine dello zdanovismo?. Ragghianti osserva che recentemente sta accadendo in Russia quanto succedeva da noi alla fine del Fascismo, “specie nei Littorali della cultura, dove le formule più conformiste venivano però riempite abilmente di contenuti e significati affatto nuovi o contrari”. Nell’articolo sono citate come fonti numerose pubblicazioni sovietiche, dalla “Gazzetta Letteraria” alla “Pravda”, che prendono posizione contro la censura in teatro, cinema, arte. Le linee guida imposte dall’alto costringono le opere d’arte a subire costanti correzioni, facendole perdere la capacità di esprimere la visione individuale dell’artista. “La nostra letteratura ha bisogno di costruttori e non di bardi professionali”. L’elemento essenziale alla qualità di un’opera è infatti la sincerità dell’autore.

Anche se rimangono di nicchia, questi aneliti di indipendenza culturale non vanno sottovalutati. Rimane però il fatto che le posizioni contrarie al Realismo sociale non sono generalizzabili e bisogna tenere in considerazione che in Russia sono riscontrabili idee più avanzate che nei Paesi Satellite o nei Partiti Comunisti occidentali, i quali rimangono legati alla visione zdanovista.

Un ulteriore problema che “seleARTE” affronta nel trattare dei paesi sovietici è quello del destino delle opere cosiddette formaliste conservate nelle collezioni pubbliche. La cattiva informazione a riguardo crea dubbi tra gli intellettuali europei. Sul numero 8 di

“seleARTE” viene pubblicata una lettera di un ‘Gruppo di amici di Torino’

239

che solleva il problema delle collezioni d’arte occidentale in Russia, che evidentemente i mittenti credono distrutte. La redazione della rivista coglie l’occasione per ripercorrere un’interessante storia del collezionismo pubblico russo fino al marzo 1930, usando come fonte la corrispondenza di Boris Ternovietz da Mosca pubblicata su “Formes”.

Secondo “seleARTE” , il patrimonio sarebbe di straordinario rilievo ed è improbabile che sia stato distrutto. Forse è stato venduto ai musei occidentali, come è avvenuto in

238 C.L. RAGGHIANTI, Rivendicazione di libertà della cultura in Russia, in “seleARTE”, 15, 1954, pp.

10-16

239 Corrispondenza, Gruppo di amici, Torino, in “seleARTE”, 8, 1953, p. 3

(11)

momenti di crisi economica ad alcune opere d’arte antica dell’Ermitage. Solo il Nazismo ha raggiunto la barbarie di distruggere le opere d’arte definita ‘degenerata’.

Tornando su questo argomento, nel fascicolo 14 compare tra le Notizie dal Mondo una nota di Licia Collobi sull’Arte moderna in Russia,

240

che riferisce come S. Schildt abbia cercato di rintracciare notissimi dipinti francesi dell’Ottocento in Russia ed abbia scoperto che, “per motivi di spazio” piuttosto discutibili, il Pushkin e l’Ermitage tengono in deposito numerose opere fondamentali.

Il modello negativo della Russia, e di altri Paesi sottoposti a regime dittatoriale, costituisce un modo per Ragghianti per affrontare il tema complesso del ruolo dello Stato nella gestione della cultura. In una Cronaca del 1954 su “Critica d’arte”, che Ragghianti titola L’artista e lo Stato, il direttore polemizza contro una pubblicazione dell’UNESCO, che nella sua “opera di rinnovamento del mondo […] – a spese di noi gabbati – ha prodotto il non comune sforzo di fantasia di fare una seconda edizione dell’ entretien del 1935 (l’art et la realité, l’art et l’état)”,

241

un documento che è giudicato futile e che ripete molti temi che occorrevano diciannove anni prima, in clima politico fascista. Il compito di “parlare a nome non dello stato etico e totalitario perchè defunto (ma quanto?), bensì, più opinatamente, a nome degli artisti e degli scrittori, e insomma della cultura italiana, è stato dato a Giuseppe Ungaretti”

242

, che Ragghianti critica aspramente, evidentemente per il suo allineamento al regime durante il Fascismo. Nello specifico, lo storico dell’arte critica la posizione del poeta, secondo il quale lo Stato avrebbe il dovere di stipendiare gli artisti per garantirne la libertà di creazione. La posizione di Ragghianti in materia è piuttosto lontana ed è da lui espressa prendendo in prestito testi di altri autori, di levatura internazionale, che appaiono su

“seleARTE” .

“Lo Stato non deve disinteressarsi all’arte, ma non deve nemmeno comandarla, perchè così facendo la distrugge”

243

. Questa frase di Ricardo Gullon riassume bene quanto Ragghianti sostiene. Un articolo dell’autore portoricano appare nel 1955 su “La Torre”, rivista edita dall’Università di Porto Rico che come abbiamo visto effettua uno scambio

240 L. COLLOBI, Arte moderna in Russia, in “seleARTE”, 14, 1954, pp. 75-78

241 C.L. RAGGHIANTI, L’artista e lo Stato, in “La Critica d’arte”, 1, 1954, p. 99

242 Ibidem

243 R. GULLON, Arte e Stato, in “seleARTE”, 25, 1956, p. 9

(12)

con “seleARTE”, e Ragghianti non esita a riproporlo sulla propria rivista

244

. Gullon porta esempi internazionali che potrebbero essere felicemente seguiti dai governi, per occuparsi del mondo artistico senza ingabbiare la creatività. Negli Stati Uniti, gli artisti sono accolti nelle università, per lo più private (ma favorite dalla politica degli sgravi fiscali). Questo permette loro di guadagnare uno stipendio, senza dover ricevere un sussidio diretto e sentire il peso del controllo dello Stato. In Italia ed in Francia, invece, esistono leggi che garantiscono agli interventi di artisti contemporanei una percentuale del budget destinato all’edificazione di nuovi complessi architettonici. Questo metodo indiretto fa sì che la scelta sugli artisti da coinvolgere non spetti ai burocrati e agli amministratori, ma a “persone di gusto indipendente e provato”. Nel caso in cui i creativi non incontrino la comprensione del pubblico, comunque, Gullon indica una via alternativa: il secondo lavoro.

In effetti Ragghianti non dichiara mai esplicitamente di abbracciare quest’ultima teoria.

Però torna volentieri sul problema delle modalità di sostegno dell’attività artistica da parte dello Stato. Nel fascicolo 22 di “seleARTE” , appare un suo articolo sull’argomento

245

, che riporta i risultati di un attento studio di Jeanne Laurent, ex vicedirettrice del ministero dell’Educazione Nazionale in Francia, dal titolo La République et les Beaux Arts (Parigi, 1955). Il volume risulta concentrato soprattutto sui problemi dello spettacolo, ma offre dati interessanti anche per l’ambito delle arti visive. La situazione francese nel campo della gestione statale del sistema dell’arte è per molti versi paragonabile a quella italiana e per alcuni aspetti a quella di molti altri Stati.

“Perciò un rendiconto critico del suo lavoro di indagine, delle sue diagnosi e dei suoi suggerimenti fornirà eccellenti riprove ed argomenti anche per coloro che in altri Paesi si interessano al servizio pubblico della cultura artistica, gestito in nome e per conto della collettività, e col suo denaro, da amministrazioni centrali e periferiche, da

244 Idem, pp. 6-9. Ragghianti effettuava uno scambio con la General Library della University of Puerto Rico, che inviava il periodico La Torre in cambio di “seleARTE” . Cfr. Archivio Fondazione Ragghianti, Perez de Rosa a Ragghianti, 17 agosto 1966, faldone “seleARTE” 1966, n. 102.

245 C.L. RAGGHIANTI, L’arte e lo Stato, in “seleARTE”, 22, 1956, pp. 34-38

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parlamenti e da governi aventi delega di potere pubblico. In particolare, per talune analogie specifiche, il libro della Laurent interessa l’Italia”

246

.

Ragghianti si rivolge esplicitamente a chi detiene il potere politico e decisionale sulla materia, affinché si informi sul panorama internazionale, per seguire i buoni esempi ed evitare i modelli cattivi.

Secondo la Laurent, le risorse destinate alla cultura in Francia sono poche e lo Stato gestisce maldestramente i fondi, concentrandoli sulla conservazione e destinando somme insufficienti all’arte moderna e all’urbanistica. Oltretutto, quando questo avviene, il finanziamento dell’arte contemporanea è indirizzato ad artisti non necessariamente validi. Secondo l’autrice, la situazione italiana sarebbe “più simpatica”, “sia per avere riaperto per l’interesse del turismo oltre 150 musei in pochi anni dopo la guerra, sia per lo slancio della ricostruzione edilizia”. Ragghianti controbatte che si tratta solo di due esempi positivi in un panorama generale mediocre.

Ma è d’accordo sulla gravità della condizione francese: il regime fiscale non agevola donazioni ed acquisti di opere d’arte, non favorendo la formazione di collezioni pubbliche e private; la maggior parte del budget di Dipartimenti e Comuni si concentra sul teatro lirico, trascurando altri eventi culturali; infine l’esportazione di opere d’arte moderna e contemporanea è divenuto un fenomeno imponente. Per aumentare la partecipazione alla cultura e “con questa partecipazione condizionare l’aumento di forze creative e costruttive nella società”

247

, la Laurent “elenca alcune proposte concrete per una nuova e più rispondente politica delle arti in Francia, mediante un piano settennale che investa ogni settore del problema, dal bilancio alla riorganizzazione tecnica, dall’educazione popolare e scolastica alle collezioni e al patrimonio nazionale”

248

.

L’articolo di “seleARTE” dedicato al volume della Laurent mette sul piatto questioni fondamentali che riguardano la gestione della cultura artistica da parte dello Stato, come il sostegno agli artisti, peraltro affrontato anche da Gullon, e le agevolazioni fiscali per incentivare la pratica delle donazioni alle gallerie pubbliche.

246 Idem, p. 34

247 Idem, p. 37

248 Ibidem

(14)

Quando, nel numero 13, vengono riportati un memoriale della Federazione Nazionale degli artisti, diretto al Parlamento ed agli organi di governo, un intervento presso il Ministero della Pubblica Istruzione e un deliberato del Comitato direttivo nazionale della Federazione, Ragghianti coglie l’occasione per chiarire la sua posizione sul problema del finanziamento agli artisti, della Vita degli artisti

249

. Gli artisti italiani richiedono un maggiore intervento centralizzato dello Stato: domandano l’assegnazione di 80 milioni (invece di 15) alla Cassa Nazionale Assistenza e Previdenza degli Artisti;

chiedono un’applicazione più regolare della legge del 28 luglio 1949 nr. 717, cioè la famosa “legge del 2%”, “che prescrive l’obbligo per le Amministrazioni dello Stato e gli Enti pubblici di destinare tale quota del costo totale degli edifici costruiti ad opere d’arte, immobili o mobili” o di erogare la stessa cifra in denaro alle Gallerie pubbliche riservando la voce di bilancio agli acquisti; propongono l’istituzione di un Albo professionale e la riforma delle mostre nazionali, tramite la previsione di un calendario organizzato di premi e la riorganizzazione degli Enti autonomi di esposizione, in particolare della Quadriennale romana. Ragghianti non concorda sulle proposte avanzate.

“Non credo, sperimentalmente, all’utilità di organi ed enti nazionali accentratori e inevitabilmente burocratici, o dalla partenza o nell’esito. E ritengo che gli scopi indicati si potrebbero, con un minimo di buona volontà generale, raggiungere per via associativa, federativa e consorziale (sull’esempio del British Council, migliorabile)”

250

.

Sull’esempio del British Council. Ecco dunque che Ragghianti attinge ad un modello straniero, che secondo lui l’Italia dovrebbe seguire. E dovrebbe farlo in nome del più volte ribadito principio dell’inadeguatezza dei politici e degli amministratori nella valutazione dell’arte. Tanto è vero che il critico giudica la “legge del 2%” corporativa, a differenza di quanto sostiene la Laurent, e salva il provvedimento solo perchè prevede la possibilità di erogare la cifra in denaro alle Gallerie pubbliche, il personale competente delle quali può procedere alla scelta delle opere da acquistare. Ragghianti

249 C.L. RAGGHIANTI, Vita degli artisti, in “seleARTE”, 13, 1954, p. 54

250 Ibidem

(15)

sembra preferire, al modello assistenzialista della Federazione artisti, un modello che valorizzi maggiormente l’iniziativa privata.

Un altro problema che l’articolo della Laurent affronta è quello degli sgravi fiscali sulle donazioni ad enti di rilievo culturale (e di impegno sociale). Ragghianti tratta più volte su “seleARTE” di questo argomento, prendendo a modello soprattutto il sistema americano, ma non solo. La possibilità di scaricare dalla dichiarazione dei redditi le somme o il valore corrispondente delle opere donate a musei di pubblico interesse invita i grandi collezionisti e magnati statunitensi all’assegnazione di prestigiose raccolte o di notevoli somme alle istituzioni. Il Museo di Richmond, in Virginia, ad esempio, riceve nel 1953 da parte dei coniugi Williams tre milioni e mezzo di dollari, cifra che ha permesso e permetterà al museo di intraprendere numerose attività e di acquistare opere di alto interesse storico artistico. Così commenta il redattore di

“seleARTE” :

“Ancora una volta si riflettono sulla comunità americana i benefici effetti di una tassazione veramente sociale della ricchezza. L’iniziativa degli individui si orienta spontaneamente verso il servizio pubblico, pur non rinunciando ad esplicarsi e ad affermarsi come prova di umano valore. Ogni eccesso si auto-corregge e converge verso la socialità, divenendone fattore di progresso civile”

251

.

Come i coniugi Williams, anche James Thrall Soby effettua una donazione a beneficio di un grande museo, in questo caso il Museum of Modern Art di New York,

“aggiungendo un nuovo atto di liberalità e di partecipazione sociale a quelli che formano una specifica tradizione americana e sostituiscono in gran parte il bisogno di interventi pubblici”

252

.

La mancanza di una cultura della donazione ai musei da parte dei nostri collezionisti rende difficile talvolta colmare delle lacune, come nel caso delle raccolte pubbliche di opere ottocentesche. Di lavori di questo periodo è invece ricco il museo di Budapest, che grazie a continui acquisti e doni, effettuati dal 1907, possiede una collezione di Ottocento europeo “che ispira riflessioni melanconiche, ancora, sulla lacuna forse

251 Civiltà dell’imposta, in “seleARTE”, 4, 1953, p. 74

252 La collezione Soby nel Museum of Modern Art di New York, in “seleARTE”, 51, 1961, pp. 59-60

(16)

irreparabile che […] troviamo nelle gallerie italiane; lacuna che non c’è nemmeno il più lontano indizio si intenda riparare”

253

. Anche il Louvre ottiene dalla pratica della donazione risorse di fondamentale rilievo: “seleARTE” segnala ad esempio l’episodio relativo a Carlos de Beistegui, di origine basca, che alla fine di una “vita fortunosa”

assegna la sua collezione di 21 quadri dell’ottocento francese al Museo del Louvre; e l’articolo si conclude con un “come si vorrebbe legger qualche notizia analoga di donazioni fatte alle Gallerie Italiane!”

254

. Chiusa che suona ironica, considerando che la notizia immediatamente successiva riguarda proprio l’Italia:

“quasi ad avvalorare anche in Italia il costume delle donazioni artistiche alle pubbliche raccolte (ciò che fu fatto per tutti gli uomini ritorni agli uomini), il collezionista signor Stravropulos ha legato alla Città di Trieste la parte della sua collezione che ha potuto recuperare dall’Ungheria”

255

,

che comprende opere moderne e contemporanee, soprattutto sculture. Sembra che per una volta il buon esempio straniero sia seguito in Italia.

2. IL MUSEO COME CENTRO DI DIVULGAZIONE E L’ESPERIENZA DELL’ARTEMOBILE

Parafrasando Alexander Dorner e la sua teoria del museo vivente, in continua evoluzione per adattarsi alle trasformazioni della percezione visiva influenzata dalla scienza e dalla tecnologia, Ragghianti pone il problema del ruolo del museo nella società moderna

256

: una istituzione che dovrebbe accompagnare persone di ogni classe e formazione verso la comprensione delle proprie “energie creative”, attraverso la conoscenza del passato nelle sue relazioni con il presente

257

.

253 Museo di Budapest, in “seleARTE”, 9, 1953, pp. 40-41

254 Donazione Beistegui al Louvre, in “seleARTE”, 5, 1953, pp. 74-75

255 Donazione Stravropulos a Trieste, Idem, p. 75

256 Su questo argomento vedi anche M.T. ZANOBINI, Ragghianti dall’arte al museo, in Ragghianti critico e politico, a cura di R. BRUNO, Milano, 2004, pp. 192-198; R. VARESE, Ragghianti museografo/museologo, Idem, pp. 175-190

257 C.L. RAGGHIANTI, Museo vivente, in “seleARTE”, 39, 1959, pp. 21- 31. “La funzione del museo – del museo vivente – è quella di assisterci nella trasformazione che avviene nella nostra società,

(17)

Quello della funzione del museo nella società costituisce un tema frequentemente affrontato su “seleARTE” , prima della sua compiuta elaborazione teorica nel volume Arte, fare, vedere: dall’arte al museo, pubblicato nel 1974

258

.

Nel corso di tutte le annate della rivista, Ragghianti presenta spesso esempi di musei internazionali che propongono un’offerta culturale ampia e sfaccettata.

Nel fascicolo 7 esce un ampio approfondimento dedicato al Museo di San Paolo in Brasile, firmato dal direttore Pier Maria Bardi, i cui rapporti con Ragghianti abbiamo già analizzato nel capitolo II.

259

L’autore spiega le peculiarità della sua galleria rispetto alle istituzioni europee, rigide e conservative come sacrari: quello di San Paolo è un

“centro di cultura artistica, variato e semplificato, attraverso le esposizioni, i concerti, le conferenze, i corsi, le proiezioni, le escursioni, la presentazione festiva delle opere che arrivano alla pinacoteca, piccola ma tuttavia d’una importanza tale da essere invitata per una mostra a Parigi e a Venezia”

260

. Il pubblico, giovani e donne incluse, partecipa assiduamente alle attività del museo, attratto dalla vitalità delle sue proposte. Infatti,

“rinunciando, diremo così, a popolarizzarsi l’arte finirà per divenire discorso per persone che parlano un linguaggio speciale e incomprensibile ai più”

261

. Come estremo esempio dell’interscambio tra museo e pubblico, “seleARTE” presenta, nel fascicolo 10, il caso del Museum of Modern Art di New York, che attua persino un servizio di noleggio delle opere delle sue collezioni

262

. “Con la praticità spregiudicata che distingue gli americani, è stato escogitato tre anni fa […] un modo di far circolare la

aiutandoci a capire le energie creative del nostro tempo, e sottolineando, nell’arte del passato, le sue relazioni col presente; deve darci, in quanto è storia della esperienza del pensiero e delle emozioni umane, i mezzi per conservare unite e coerenti le esperienze di oggi, dei movimenti e dei mutamenti cui siamo costretti ad assistere”.

258 C.L. RAGGHIANTI, Arte fare vedere, Firenze, 1974. L’idea fondamentale del volume, che già in parte emerge nell’articolo di “seleARTE” sopra citato dal titolo Museo vivente, è sintetizzata in queste parole: “Il museo ideale è per me una struttura non inamovibile, non predeterminata, ma flessibile, elastica, articolabile nelle quattro dimensioni (superfici in altezza, superfici in larghezza, spazi di profondità, tempi di percorso visivo), una struttura o se si vuole un’antistruttura nella quale, oltre naturalmente agli spazi di passaggio e agli spazi di sosta e di servizio, ogni opera d’arte abbia il suo proprio ambiente, nel senso già chiarito di ambiente esterno, cioè sia collocata per lo spettatore nelle stesse e medesime condizioni di visibilità stabilite per essa dall’autore (comprendendo ovviamente anche i casi di opere originariamente associate in un’unica destinazione o facenti parte di uno stesso complesso)”. In, Arte fare vedere, cit., p. 175

259 P.M. BARDI, Un museo in Brasile, in “seleARTE”, 7, 1953, pp. 63-66

260 Idem, p. 63

261 Idem, p. 66

262 Noleggio di quadri, in “seleARTE”, 10, 1954, p. 71

(18)

cultura artistica e avvicinarla al pubblico, modo inteso anche a stabilizzare in collezioni pubbliche e private opere d’arte concesse in temporaneo prestito”. Una selezione del patrimonio viene messa a disposizione degli utenti (privati o enti) che possono prendere in prestito le opere per un determinato periodo, dietro pagamento di un prezzo variabile a seconda del valore del quadro. Il 20% dei pezzi, in seguito al periodo di prestito, viene addirittura venduto. “Ciò tuttavia presuppone un costume di correttezza assoluta nei rapporti fra imprenditore e cliente, senza la quale l’interessante esperimento sarebbe inattuabile. Lo sarebbe in Italia?”. La domanda appare retorica. Eppure, anche senza spingersi ad applicare le rischiose politiche del MoMA, vale la pena investire in progetti mirati alla diffusione della cultura.

Sicuramente quello della divulgazione della storia dell’arte costituisce un tema carissimo a Ragghianti. Commentando il fatto che nell’Enciclopedia Treccani

“seleARTE” viene citata come rivista divulgativa, il suo direttore tende a precisare: “il superare la scarsa comunicazione tra cultura e pubblico, tra arte e pubblico, avrebbe comportato effetti positivi non soltanto per la pubblica cultura, e il suo livello intellettuale, ma anche per le proiezioni sociali che le situazioni di cultura hanno nelle opere, negli istituti, nel costume, nei provvedimenti politici”

263

.

Non a caso “seleARTE” ospita frequentemente articoli su musei esteri attenti agli aspetti didattici e aperti verso i propri visitatori.

Nelle Pagine critiche, nel fascicolo 3, appare un testo esemplare di Le Corbusier.

Parlando del proprio progetto architettonico per il museo di Ahmedabad, in India, l’autore afferma: “se il terreno è bene scelto, l’esterno (cioè il suolo che è intorno) diviene sfruttabile per anfiteatri, scene volanti, cinema di studio e di rappresentazione, conferenze, biblioteche, clubs, ecc. L’insieme consente di mettere la popolazione ‘a contatto’, come dicono i militari, cioè in allenamento all’azione (esprimersi, formulare, inventare, amare)”. Poi, cita il programma del Consiglio municipale di Ahmedabad: “In questa città non abbiamo soltanto bisogno di conservare oggetti di valore, ma di un locale che serva alla formazione culturale della città”

264

.

263 C.L.RAGGHIANTI, Divulgazione, in “seleARTE”, 54, 1961, p. 45

264 Museo e vita, in “seleARTE”, 3, 1952, pp. 23-24. La pagina critica è tratta dalla relazione pubblica letta da Le Corbusier all’VIII Congresso CIAM a Londra, nel 1951

(19)

Ragghianti ritiene che uno dei principali ruoli del museo e delle sue collezioni sia quello di mostrare le opere come prodotto del processo creativo dell’artista, per comunicare al pubblico il senso più profondo dell’arte. L’incontro della popolazione, della fetta più ampia possibile della popolazione, con l’arte è un valore non solo spirituale, ma anche sociale. Per il critico, infatti, la conoscenza dell’arte rappresenta un elemento fondamentale della formazione interiore dell’individuo e della sua umanità, contribuendo a renderlo rispettoso dell’altro. La funzione educativa pertanto costituisce uno dei cardini della missione del museo.

Proprio sulle pagine di “seleARTE”, il critico dà notizia di un progetto museale pensato con preciso scopo divulgativo.

“È trovata della direzione del Museum of Fine Arts di Richmond in Virginia (U.S.A.):

si chiama “Artmobil”, consiste in una saletta di discreto spazio e di ottima visibilità, realizzata dal direttore R.W. Gaynes, che si vede nella figura mentre vende i biglietti.

L’ “Artmobil” si sposta con facilità, è rigorosamente protetto contro ogni rischio, dal furto all’incendio, e può portare una mostra di circa 20-25 opere dovunque, restando per il tempo opportuno anche nei più piccoli centri. Il primo esperimento, veramente di alto interesse per la diffusione della cultura (qualcosa di analogo servirebbe molto bene, anche da noi, per la conoscenza dell’arte contemporanea), riguardava una mostra della pittura olandese dei secoli XVI e XVII, con opere del museo e di privati collezionisti: Bosch, Bruegel, Cuyp, Dou, van Ostade, Terborch, ecc.”

265

.

Si tratta di un’idea nata nel 1953, sotto la direzione di Leslie Cheek, e realizzata sotto la curatela di William Gaines. Il progetto diventa poi uno dei programmi principali del Virginia Fine Arts Museum fino al 1994. Nel catalogo della prima edizione, leggiamo:

Come il primo sistema di arti visive statale, il Virginia Museum ha affrontato per lungo tempo un problema: nonostante più di sessanta esposizioni museali itineranti abbiano viaggiato attraverso il Commonwealth, oggetti d’arte di valore delle collezioni del museo, o disponibili grazie ai prestiti di persone generose, non hanno potuto essere apprezzate in molte comunità della Virginia. Poche città hanno personale specializzato,

265 C.L. RAGGHIANTI, Museo mobile, in “seleARTE”, 10, 1954, p. 72.

(20)

aree espositive sicure ed adeguate infrastrutture. L’Artmobile è stata pensata per rimediare a questa situazione. Adesso rari oggetti, allestiti in un interno museale, possono essere trasportati da questa galleria a quattro ruote in ogni città dello Stato. L’aria condizionata crea un clima ideale sia per gli oggetti d’arte che per i visitatori”

266

.

Il problema principale dei curatori del museo americano sta nella necessità di rispondere al proprio ruolo istituzionale; inoltre, emerge la volontà, in un contesto sociale e geografico già molto abituato alla circolazione di immagini ‘di massa’, di contrastare l’idea che la riproduzione delle immagini possa sostituire l’incontro diretto con l’oggetto. Ragghianti, nel descrivere l’iniziativa, non appare interessato a questo ordine di problemi, che risultano più lontani dall’esperienza italiana, ma sottolinea immediatamente la necessità di un esperimento analogo anche in Italia per le sue implicazioni divulgative e specifica che sarebbe importante realizzarlo “per la conoscenza dell’arte contemporanea”.

L’articolo che dà notizia del progetto americano esce nel gennaio-febbraio del 1954. Il ricordo di esso rimane impresso a lungo nella memoria di Ragghianti, che nel 1960 pubblica su “seleARTE” un secondo pezzo dedicato ad un tentativo simile

267

.

Stavolta l’asse geografico si è spostato dalla Virginia all’Italia e, in particolare, alla Toscana

268

. Ragghianti rivendica subito la paternità del progetto e sottolinea come l’Istituto di Storia dell’Arte di Pisa sia responsabile dell’organizzazione. Sebbene venga

266 The Artmobile, in “The Little Masters”, catalogo mostra a cura di W. B. GAINES, Virginia, 1953, p.

1. La traduzione dall’Inglese è mia.

267 C.L. RAGGHIANTI, Artemobile, in “seleARTE”, 45, 1960, pp. 28-31. Il testo coincide esattamente con il comunicato stampa diffuso da ARTEMOBILE e risulta indicizzato nella Bibliografia generale di Carlo Ludovico Ragghianti: M.T. ZANOBINI, Carlo Ludovico Ragghianti. Bibliografia degli scritti 1928-1990, Firenze, 1990, p. 146

268 Idem, p. 28. “Nel mese corrente è stato costituito a Pisa un comitato di Provincie, di Comuni e di Enti turistici, che comprende le Provincie di Apuania (Massa e Carrara), Lucca, Pisa, Livorno e Grosseto, ed i maggiori Comuni del Litorale Toscano, tra i quali Carrara, Massa, Forte dei Marmi, Viareggio, Pisa, Livorno, Rosignano, Piombino ed altri.

L’associazione degli Enti locali e turistici si è costituita, come espressione ed in rappresentanza degli interessi culturali ed artistici della regione toscana costiera, allo scopo di patrocinare una iniziativa nuova, che non ha precedenti né uguali nel quadro delle manifestazioni artistiche nazionali ed internazionali.

L’iniziativa ha nome ARTEMOBILE, è stata ideata da Carlo Ludovico Ragghianti, e la sua realizzazione è stata affidata (fatto anche questo nuovo) all’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Pisa”.

(21)

omesso il richiamo all’ Artmobile

269

, nessuna dichiarazione esplicita può nascondere l’omogeneità delle due situazioni, che si avvicinano non solo nel nome, ma anche nell’idea di fondo, cioè quella di allestire una serie di mostre itineranti che possano raggiungere anche il pubblico che normalmente non frequenta musei ed esposizioni. Le motivazioni sociali e gestionali del museo mobile toscano vertono sul tentativo di avvicinare il pubblico alla ricerca artistica contemporanea:

“Il pubblico italiano non frequenta sufficientemente le mostre d’arte perchè, anche a prescindere dalla loro formula che in generale è già destinata prevalentemente ai competenti o agli iniziati, è costretto (data anche la nostra geografia) a prendere una serie di iniziative, a compiere viaggi ed a far spese, che non sono in proporzione con le sue capacità. Questo problema si può risolvere soltanto rimovendo tutti i possibili ostacoli e diaframmi che si interpongono tra l’esistenza dell’arte e il pubblico, tenendo anche conto delle ricerche più recenti della sociologia, che riguardano l’impiego del tempo libero dal lavoro. […]”

270

.

Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto. Il museo si sposta per seguire i movimenti dei cittadini, soprattutto nei periodi di vacanza. La collocazione del progetto pilota è decisa in considerazione di quanto detto sopra. Dopo l’inaugurazione durante il Giugno Pisano, l’artemobile si sposterà lungo il litorale tirrenico, attraverso “numerosissimi comuni e località dove alla già densa popolazione residenziale o gravitante si aggiungono, nei mesi estivi, centinaia e centinaia di migliaia di villeggianti e di turisti (la via Aurelia è una delle linee principali del traffico turistico in Italia)”

271

. In questa fase ancora progettuale, cioè nel momento in cui esce su

“seleARTE” l’articolo di presentazione dell’idea, l’ARTEMOBILE si distingue dall’Artmobil statunitense per la struttura architettonica degli ambienti espositivi.

269 Sebbene su “seleARTE” sia citata come Artmobil, in effetti tutte le fonti primarie sul progetto del Museo di Richmond parlano di Artmobile.

270 Ibidem

271 Ibidem

(22)

Artmobile, museo di Richmond, Virginia, USA

Mentre il progetto americano vede l’impiego di una sorta di container trasportabile, Ragghianti punta più in alto. Infatti commissiona ad Edoardo Detti, suo collaboratore fidato, il disegno di un complesso di elementi prefabbricati facilmente montabili nelle varie località, trasportabili comodamente su strada. Una volta assemblato, lo spazio espositivo risponderà a tutte le esigenze della più moderna museografia e potrà contenere fino a 350 opere

272

. Le tavole di Detti vengono pubblicate su “seleARTE” a corredo dell’articolo fin qui citato; gli originali sono custoditi presso la Fondazione Ragghianti, che conserva anche un Progetto per padiglione smontabile per esposizioni d’arte, non pubblicato, nel quale sono illustrati “alcuni esempi di composizione planimetrica possibili con la struttura modulare”

273

che permettono di adattare l’edificio prefabbricato agli spazi disponibili, cambiandone essenzialmente la pianta ed i percorsi.

“L’ARTEMOBILE non è soltanto una struttura funzionale prefabbricata in materiali prevalentemente metallici e plastici. Il disegno dell’edificio vuol essere esso stesso una dimostrazione delle possibilità estetiche che si possono ottenere usando materiali ed elementi costruttivi prefabbricati e modernissimi”

274

.

272 Idem, p. 30. “L’ARTEMOBILE è, quindi, anzitutto un vasto complesso di elementi in materiali prefabbricati leggeri e solidi, uniformati secondo un preciso modulo architettonico. Le redazione del progetto esecutivo è dovuta all’architetto Edoardo Detti di Firenze, e prevede un originale padiglione snodabile, montabile e smontabile con rapidità, calcolato in ogni particolare per tutte le esigenze della più moderna museografia, compreso l’allestimento adeguato ad ogni tipo di opere, l’illuminazione, la sicurezza, la tutela completa dagli agenti atmosferici. Il padiglione conterrà intorno a 350 opere d’arte”.

273 AFR, Progetto per padiglione smontabile per esposizioni d’arte, faldone Artemobile, filza 1, n. 8

274 Ibidem

(23)

Edoardo Detti, progetto per l’Artemobile, 1959

L’ambiente espositivo, cioè, costituisce parte integrante della mostra, che risulta incentrata sull’arte dell’ultimo anno. E con arte, ovviamente, Ragghianti intende un ventaglio amplissimo di ambiti creativi, dalla pittura alla fotografia, dalla scultura al design, dall’architettura alla grafica. I visitatori saranno accompagnati da spiegazioni esaurienti e saranno guidati da accurati apparati didascalici alla comprensione dei fenomeni artistici recenti. L’esposizione mira a:

“offrire al pubblico non una mostra indeterminata, ovvero una mostra parziale e limitata, ma una sintesi il più possibile significativa, esemplare ed oggettiva dei valori espressi dalle arti della visione in Italia nell’anno precedente, sintesi basata su una selezione operata col massimo impegno e con senso di responsabilità da un Comitato Esecutivo presieduto dal Ragghianti (…)

275

. Il Comitato esecutivo, inoltre, richiede ai maggiori critici italiani e stranieri una consulenza, che sarà resa pubblica, allo scopo di

275 Il comitato esecutivo è composto dai critici d’arte Giulio C. Argan, Sergio Bettini, Edoardo Detti, Cesare Gnudi, Eugenio Luporini, Giuseppe Marchiori, Valerio Mariani, Franco Russoli, Pier Carlo Santini, Ignazio Weiss. La presenza di Argan sembra significativa e positiva. Sui rapporti tra Argan e Ragghianti cfr.: C. GAMBA , Una parabola discendente: l'inizio dei rapporti tra C.L. Ragghianti e G.

C. Argan, in Ragghianti critico e politico, a cura di R. BRUNO, Milano, 2004, pp. 282-307.

(24)

confrontare il proprio lavoro ed anche di integrarlo e di ampliarlo, accogliendo indicazioni e proposte. Segretario generale della mostra è Pier Carlo Santini”.

Ragghianti prende spunto dall’esperimento del museo di Richmond, ma lo adatta alle esigenze della situazione culturale italiana, che ha bisogno di essere allenata alla lettura dei linguaggi più attuali. Il direttore di “seleARTE” già lo notava nel 1954, mentre scriveva la breve notizia relativa all’Artmobile statunitense. In un’intervista a Piero Pierotti per “La Voce Repubblicana”, Ragghianti dichiara:

“Sono stato mosso a questa realizzazione dal medesimo concetto con il quale, otto anni fa, fondai la rivista “seleARTE”: cercare di portare la esperienza dell’arte figurativa - dico un’esperienza seria, non una divulgazione o una falsificazione grossolana, o legata a pregiudizi volgari - a contatto col più ampio pubblico”

276

.

La versione nostrana sull’Artemobile si mostra originale anche nei criteri curatoriali, che prevedono la partecipazione di un largo numero di critici di posizioni diverse per valutare nel modo più obiettivo possibile gli apici della produzione artistica.

L’informazione da diffondere appare dunque vagliata dettagliatamente.

Il testo dell’articolo dell’Artemobile pubblicato su “seleARTE” nel 1960 viene spedito, nella forma di comunicato, ad un lungo elenco di quotidiani e di riviste, che include non solo pubblicazioni specializzate, ma anche programmi radiofonici e televisivi, rotocalchi estivi, leggeri, ‘da spiaggia’, come ad esempio “Marie Claire”, e riviste destinate ai viaggiatori stranieri, come “Vie Italienne”. La notizia è rivolta ad un pubblico di vari livelli e vuole attrarre anche coloro che si troveranno sul litorale toscano con intenti semplicemente vacanzieri e non culturali.

277

276 P. PIEROTTI, Andranno a trovare il pubblico i capolavori con “Artemobile”, in “La Voce Repubblicana”, 17-18 febbraio 1960

277 L’elenco della rassegna stampa include: “La Nazione, Firenze, Bilenchi; L’Ora, Palermo, Cianca;

Paese sera, Roma, Venturoli; Il Piccolo, Trieste, Weiss; Il Resto del Carlino, Bologna, Spadolini- Courier; La Stampa, Torino, Bernardi; L’Unità; La Voce Repubblicana (Intervista Pierotti); Paese, Federici; Gazzetta del Popolo, Carluccio; Il Giorno, Valsecchi; Il Tirreno; Giornale del Mattino, Articolo Novi o Masini; Contemporaneo; Epoca (Carriera, Rusoli (?); Europeo; Espresso; Illustrazione Italiana (Valsecchi); Rivista di Bergamo (Zucchelli); Selezione; Settimana Icom; Settimo Giorno; Tempo (Valsecchi); Visto (Monti); Le ore (Monti); Successo (Santi); Marie Claire (Santi); Comunità (Santini); Il Punto (Calef*) ?; Architettura cantiere; Casabella ; Casa turismo arredamento ; Fantasia; Rassegna internazionale dell’artigianato; L’Approdo ; Le Arti; La Biennale di Venezia; Taccuino delle arti;

(25)

Una serie di carte conservate alla Fondazione Ragghianti di Lucca permettono di comprendere nel dettaglio la genesi, lo sviluppo ed un primo arresto dell’Artemobile nel 1960

278

.

Il 31 gennaio di quell’anno gli attuatori del progetto si incontrano a Pisa, presso l’Istituto di Storia dell’Arte. Appare chiaro, dalla lettura del verbale, che non si tratta della prima riunione e che già molte cose sono state decise

279

. Tuttavia la discussione entra nei particolari delle scelte critiche, lasciando emergere le differenti posizioni dei critici partecipanti. Detti pone subito la questione della presentazione di opere di architettura, che per motivi di spazio non possono essere esposte nel loro risultato finale

280

. Secondo lui, andrebbero presentati i progetti completi ed alcuni pannelli fotografici con le immagini delle architetture realizzate. Si apre un dibattito nel quale intervengono, tra gli altri, Eugenio Luporini, che propone l’esposizione di piani regolatori e progetti di fabbriche ecclesiastiche, Giuseppe Marchiori, che chiede di organizzare lo spazio espositivo in sezioni dedicate ai singoli architetti, e Ragghianti, che sottolinea l’importanza di mostrare il processo che ha portato alla realizzazione finale, anche se questo comporterà un necessario taglio al numero delle architetture da includere

281

. La discussione si sposta poi sulle scelte critiche e allestitive da applicare

Diorama; Corriere fotografico; Ferrania; Fotografia; Italia; Questioni; RAI; Bollettino degli Alberghi;

Bollettino dell’associazione italiana aziende autonome di soggiorno, cura e turismo; Bollettino di informazioni ANAV; Giornale del Turismo; L’Italia; L’Italie; Italien; ltaly; Italy’s life; Leben in Italien;

Rassegna della stampa italiana ed estera; Terme e riviere; Il Touring; Turismo; Turismo, cine, sport;

Viaggi in Italia; Le Vie d’Italia; Vie Italienne; Vita italiana; La voce turistica”.

278 AFR, faldone Artemobile, filze 1-5.

279 AFR, Verbale della riunione del CE dell’Artemobile tenuta il 31 gennaio 1960 presso l’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Pisa,Faldone Artemobile, Filza 5, n. 1 a,b,c

280 “Il Professor Detti inizia la discussione sopra i metodi da seguire per quanto riguarda l’esposizione delle opere di Architettura, in rapporto soprattutto con le altre branche della mostra. Se è più opportuno esporre progetti completi con maggiore evidenza data alle parti più importanti, o intervenire con pannelli fotografici per poter così creare un rapporto diretto tra opera e visitatore. Per quanto riguarda il metodo di esposizione si pensa opportuno elaborare il materiale inviato agli architetti, per dare un carattere unitario all’esposizione.

Il Professor Detti chiede se siano da esporre solamente architetture già realizzate o solamente progetti e propone non solo una scelta di architetti, ma anche di tipi di opere, insistendo sopra il carattere didattico della mostra.

Sarebbe opportuno, nei padiglioni, indicare attraverso anche una esposizione di arredamento, uno spazio moderno legato ad una costruzione prefabbricata. Non si deve escludere l’eventuale montaggio di modulo che accenni uno spazio di casa prefabbricata nella stessa mostra, fatto quest’ultimo di indubbio interesse per i visitatori, e di non difficile realizzazione. (Non un esempio statico, ma il modulo della casa come sarà nella necessaria trasformazione dell’edilizia.)”

281 Elenco degli artisti proposti per l’Artemobile, Idem, fogli 2 a,b,c,d. “Il Prof. Luporini prospetta la necessità di esporre piani regolatori. La proposta viene accettata all’unanimità, ed il Prof. Detti propone

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