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Studio di bolometri per il lontano infrarosso

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Academic year: 2021

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A.A. 2008

Università degli Studi Roma Tre

Scuola Dottorale in Scienze Matematiche e Fisiche - Sezione di Fisica XXI ciclo

STUDIO DI BOLOMETRI PER IL LONTANO INFRAROSSO

Coordinatore

prof. Guido Altarelli

Relatore interno prof. G. Dall’Oglio Relatore esterno dott. R. Leoni Sara Cibella (Firma)

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INDICE

Capitolo 1 Introduzione ... 9

1.1 Risultati della tesi e obiettivi ...12

1.2 Motivazioni e applicazioni ...12 1.3 Metodi di rivelazione ...13 1.4 Rivelatori Termici ...14 1.4.1 Termopile... 16 1.4.2 Cella di Golay ... 17 1.4.3 Rivelatori pirolettrici ... 19 1.4.4 Bolometri ... 22 1.4.4.1 Bolometri compositi ... 23

1.4.4.2 Bolometri compositi con assorbitore di Si3N4 (bolometri spiderweb) ... 25

1.4.4.3 Bolometri monolitici al silicio ... 26

1.4.4.4 Bolometri ad InSb ... 27

1.4.4.5 Bolometri superconduttori ... 28

1.4.4.5.1 TES ... 29

1.4.4.5.2 Micro bolometri con antenna accoppiata ... 30

Capitolo 2 Principi di funzionamento del bolometro superconduttore di tipo SHAB ... 33

2.1 Introduzione ...33

2.2 Il modello Hotspot ...34

2.3 Elettronica di lettura ...45

2.3.1 Polarizzazione dello SHAB ... 45

2.3.2 Elettronica di lettura: amplificatore a transimpedenza ... 46

2.3.3 Controreazione elettrotermica ... 49

2.3.4 Responsività del bolometro ... 52

2.3.5 Rumore dell’amplificatore di corrente a transimpedenza ... 54

2.4 Accoppiamento ottico ...55

Capitolo 3 Realizzazione dei dispositivi ... 58

3.1 Introduzione ...58

3.2 La litografia elettronica ...58

3.2.1 Procedura per l’utilizzo dell’EBPG 5 HR... 65

3.3 Tecniche di deposizione di film sottili mediante evaporazione ...67

3.4 Tecniche di deposizione di film sottili mediante processi di “sputtering” ...69

3.5 Tecniche di rimozione di materiale in Plasma reattivo ...73

3.5.1 RIE (reactive ion etching) ... 73

3.5.2 Etching profondo in plasma ... 74

3.6 Fabbricazione dei bolometri SHAB ...77

Capitolo 4 Misure di caratterizzazione elettrica ed ottica. ... 81

4.1 Introduzione ...81

4.2 Il sistema criogenico ...81

4.2.1 Il criostato ... 83

4.3 L’interferometro di Michelson ...86

(3)

4.5 Misure di caratterizzazione elettrica mediante amplificatore a transimpedenza ...89

4.6 Misure di caratterizzazione ottica ...90

4.6.1 Misure di caratterizzazione ottica dello SHAB mediante utilizzo di radiazione di corpo nero modulata ... 90

4.6.2 Misura della risposta spettrale dell’antenna... 93

4.7 Risultati sperimentali ...94

Capitolo 5 Bolometri spiderweb ... 109

5.1 Introduzione ...109

5.2 La teoria dello spiderweb ...109

5.2.1 Proprietà termodinamiche ... 113

5.2.2 Curve di carico del bolometro spiderweb ... 116

5.3 La fabbricazione ...121

5.4 Apparati criogenici per la caratterizzazione ...124

5.5 Caratterizzazione ...128

CONCLUSIONI ... 134

(4)

INDICE INDICEINDICE

INDICE DELLE FIGUREDELLE FIGUREDELLE FIGUREDELLE FIGURE

Figura 1: Rappresentazione schematica dello spettro elettromagnetico che illustra la "THz gap"

collocata tra l'infrarosso e le microonde ... 9

Figura 2: Attenuazione dell'atmosfera di onde Thz nell'intervallo 0.1-3THz e nove maggiori regioni di trasmissione ... 11

Figura 3: Diagramma semplificato dello schema di funzionamento di un rivelatore termico. ... 16

Figura 4: Rappresentazione circuitale di una termocoppia. ... 17

Figura 5: Cella di Golay. ... 19

Figura 6: Rivelatore piroelettrico. ... 20

Figura 7: Schema di bolometro composito ... 24

Figura 8: Schema di un bolometro monolitico al silicio. Dettaglio del sensore. ... 27

Figura 9: Grafico della Resistenza in funzione della temperatura per un superconduttore. ... 29

Figura 10: Array di bolometri TES spiderweb. ... 30

Figura 11: Modello hotspot per il ponte di Nb. ... 34

Figura 12: Schema grafico del bilanciamento di potenza necessario per sostenere la regione resistiva al centro del ponte. ... 36

Figura 13: Profilo della temperatura lungo il ponte di Nb dello SHAB in differenti punti di polarizzazione in tensione. ... 40

Figura 14: Schema grafico della modulazione del'hotspot al centro del ponte... 42

Figura 15: Caratteristica sperimentale corrente tensione del bolometro superconduttore. ... 43

Figura 16: Caratteristica I-V del bolometro. ... 45

Figura 17: Possibili polarizzazioni per lo SHAB. ... 46

Figura 18: Schema elettrico dell'amplificatore a trasimpedenza. ... 47

Figura 19: Circuito equivalente dello schema elettrico utilizzato per la caratterizzazione elettrica del bolometro ... 47

Figura 20: Guadagno di loop aperto dell'amplificatore operazionale in funzione della frequenza ... 48

Figura 21: Schema della controreazione negativa risultante dalla polarizzazione in tensione del nostro bolometro... 49

Figura 22: Schema a blocchi della polarizzazione in tensione ... 50

Figura 23: Schema di controreazione negativa ... 51

Figura 24: Calcolo del guadagno statico di loop dalla caratteristica tensione-corrente. ... 53

Figura 25: Tipica curva di responsività di uno SHAB nel caso di V0 ≈5mV. ... 54

Figura 26: Andamento della corrente di rumore In dell'operazionale scelto, in funzione dell’impedenza dinamica Z. ... 55

Figura 27: Antenna a spirale logaritmica. ... 56

Figura 28: Principio funzionamento di una lente iperemisferica ... 57

Figura 29: Fotografia del sistema per litografia elettronica EBPG 5HR della Vistec Microsystem in uso presso l'IFN. ... 59

Figura 30: Immagini SEM dei due differenti tipi di resist, positivo e negativo. ... 59

Figura 31: Immagine SEM della punta dell'emettitore Schottky montato sull'EBPG 5HR ... 61

Figura 32: Schema della colonna elettro-ottica dell'apparato litografico EBPG 5 HR ... 62

Figura 33: Strategia di scrittura dell'EBPG 5000 ... 64

Figura 34: Portacampioni da 3 pollici dell'EBPG 5HR ... 66

Figura 35: Impianto di evaporazione a cannone elettronico Balzers utilizzato per la deposizione dei metalli. ... 68

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Figura 37:Ad alte pressioni di Ar in camera il film appare con uno stress di tipo tensile a basse lo

stress è di tipo compressivo ... 71

Figura 38: Il metodo van der Pauw richiede la presenza di 4 contatti ohmici sul bordo del campione. ... 72

Figura 39: Reactive Ion Etching, RIE. ... 73

Figura 40: ICP-RIE... 74

Figura 41: La bobina viene collegata all'esterno della camera del sistema ICP-RIE ... 75

Figura 42: Struttura dei magneti permanenti all'interno della camera. ... 76

Figura 43: Schema della camera di plasma dell'ICP-RIE... 77

Figura 44: Schematizzazione in 6 fasi dell aprima parte del processo di fabbricazione dello SHAB. . 77

Figura 45: Schema grafico e sezione di uno SHAB ... 79

Figura 46: Immagine al microscopio ottico (sinistra) e al microscopio elettronico (destra) di uno SHAB. ... 80

Figura 47: Foto SEM di due differenti risultati di etching. ... 80

Figura 48: Foto Sem di due SHAB differenti. ... 80

Figura 49 - Schema del criostato utilizzato per la caratterizzazione ottica dello SHAB. ... 84

Figura 50 - Fotografia del criostato a finestra ottica da noi utilizzato. ... 86

Figura 51 - Particolare del piatto di rame ancorato a 4.2 K sul quale viene posizionato il bolometro e della spirale che permette il raffreddamento dello schermo intermedio ad una temperatura di circa 77K ... 86

Figura 52 - Schema di un interferometro di Michelson. ... 87

Figura 53: Schema di polarizzazione utilizzato per la caratterizzazione dello SHAB. Sono state utilizzate due resistenze R=1Ω ... 89

Figura 54 - Setup per l'esperimento con il chopper ... 91

Figura 55 - Fotografia del set up utilizzato per le misure con il chopper. In figura sono visibili l'elettronica di controllo, il chopper e la riserva di azoto ... 92

Figura 56 - Blocco in rame utilizzato per alloggiare il campione sul criostato. ... 93

Figura 57 - Schema dell'antenna logaritmica a spirale: l=22µm, D=400µm ... 94

Figura 58 - Caratteristica I-V completa misurata di uno SHAB. ... 95

Figura 59 - Caratteristica I-V misurata spazzolando in tensione la zona del minimo per tre differenti SHAB. ... 96

Figura 60: Caratteristica I-V misurata di uno SHAB (sfere). ... 97

Figura 61: Caratteristica I-V misurata di uno SHAB lungo 16 um a differenti temperature del bagno. ... 98

Figura 62: Layout del chip di silicio da 8 mm con 5 SHAB ... 99

Figura 63 - Caratteristica I-V di uno SHAb (HS 13) collocato in posizione centrale, lungo 22µm, ed il suo fit (curva rossa) ... 100

Figura 64 - Caratteristica di uno SHAB (Hs 13) collocato in posizone laterale, lungo 22 µm, ed il suo fit (curva rossa)... 100

Figura 65 - Spettro del rumore in corrente nel dominio delle frequenze di un bolometro SHAB (HS13) collocato in posizione centrale nel chip. ... 101

Figura 66 - a) caratteristica I-V di un bolometro SHAB di ultima generazione. b) fotocorrente circolante nello SHAB in risposta a radiazione di corpo nero a 300K modulata con il chopper a 130 Hz per vari valori di Vb ... 102

Figura 67 - Fotocorrente in funzione della frequenza del chopper con finestra aperta e finestra chiusa... 103

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Figura 69 - Responsività ottica in funzione della tensione di polarizzazione (sfere), fotocorrente risultante dalla rivelazione della radiazione di corpo nero a 300 K (triangoli) alla frequenza di 130 Hz. NEP del bolometro (quadrati). Responsività elettrica calcolata dalle I-V di figura 63 (line continua) ... 105 Figura 70 - Confronto tra NEP misurato (sfere) e NEP teorico (linea continua) ... 106 Figura 71: Esempio di immagine passiva con micro bolometri superconduttori ad antenna accoppiata nell’intervallo 0.1 THz-1THz. ... 107 Figura 72 - Risposta spettrale dell'antenna a spirale logaritmica accoppiata allo SHAB per diverse tensioni di polarizzazione del bolometro ... 107 Figura 73:Immagine di spiderweb realizzato presso la camera pulita dell'università della California Santa Barbara, UCSB. ... 110 Figura 74: Fotografia di cristalli di Germanio NTD. ... 111 Figura 75: Andamento teorico della resistività in funzione della temperatura per 25 campioni di NTD-Ge ... 112 Figura 76: Tipiche curve di carico a differenti potenze di back ground (0-30 nW) di un bolometro raffreddato a 0.3K. ... 117 Figura 77: Circuito di polarizzazione in corrente per bolometro spiderweb ... 119 Figura 78: Curve di carico di un bolometro di vecchia generazione ... 121 Figura 79: Particolari al microscopio ottico dell'assorbitore dello spiderweb fabbricato. Visibile la rete di Si3N4 il cui passo è di 400µm ... 121 Figura 80: Micromanipolatore collocato nel dipartimento di fisica UCSB presso il laboratorio del prof. Philip Lubin. ... 123 Figura 81: Particolare dello spiderweb al microscopio ottico in cui è visibile il sensore NTD e la colla Epoxy ai suoi estremi ... 124 Figura 82: Geometria del refrigeratore monostadio ad immersione in elio liquido ... 127 Figura 83: Fotografie del refrigeratore in cui è visibile la criopompa, il condensatore e l'evaporatore.

... 128 Figura 84: Curve di carico di uno stesso spidewerb sottoposto a successivi cicli termici con differenti ancoraggi ... 129 Figura 85: Grafico della resistenza NTD in funzione di 1/T per uno stesso bolometro. ... 130 Figura 86: resistenza dell'NTD in funzione della temperatura per spiderweb ancorato con collante Ge varnish al suo supporto di ottone ... 131 Figura 87: Curve di carico di due differenti bolometri incollati con Epotek sul supporto di ottone 132 Figura 88: Curve di carico in configurazione di finestra aperta (cerchi) e chiusa (quadrati) ... 133

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RINGRAZIAMENTI

Questo lavoro di tesi è il risultato di una felice collaborazione durata tre anni tra due gruppi operanti nel panorama della fisica romana: il gruppo BT dell’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del CNR e il gruppo OASI del Dipartimento di Fisica di Roma TRE. Inizialmente sembrava che il lavoro nei due laboratori, sebbene il comune denominatore fossero gli ormai a me cari bolometri, seguisse due strade distinte e parallele: lo spider web da un lato, lo SHAB dall’altro. Lo spider web mi ha permesso di volare per la prima volta oltreoceano, di vivere la fisica in California, di lavorare in laboratori e camere pulite che seppur per dimensioni si discostano molto dalle realtà da me vissute quotidianamente qui in Italia, tuttavia mi hanno permesso di capire che la vita in “lab” non ha nazionalità, la fisica va davvero oltre tutti i limiti di lingua e cultura. E dunque in tal senso un ringraziamento va al prof. Giorgio Dall’Oglio che mi ha dato l’opportunità di vivere questa esperienza e a tutte le persone che ho avuto la fortuna di conoscere a Santa Barbara e con cui ho lavorato come: il professor Philip Lubin presente dal punto di vista scientifico e umano in situazioni che alla mia prima volta in America non sono state facilissime e Nate Stebor, dottorando secolare, ormai amico americano, “esperto mondiale” di spiderweb i cui consigli sono stati molto utili nello scrivere questa tesi e che spero finisca presto il suo Phd. Ma il lavoro dei tre anni ha visto anche molti km in macchina tra Roma TRE e l’IFN, istituto che nella mia vita è ormai sicuramente un punto di riferimento. E’ qui che ho visto nascere lo SHAB, primo bolometro da me realizzato che io abbia mai visto funzionare per davvero! E dunque in questo contesto non credo basterebbe un libro intero per i ringraziamenti. Primo tra tutti un grazie enorme va al dott. Roberto Leoni per me massimo esempio di serietà e professionalità, ricercatore che non smette mai di studiare, leggere, informarsi ed al quale in tal senso è difficile stare dietro. Sempre pronto ad ascoltare e a spiegare milioni di volte, sempre pronto a farti lavorare senza rischiare di farti perdere del tempo in questo momento prezioso (con i pro e i contro!!!) e nello stesso tempo attento alla vita di ciascuno di noi, in grado di darti sempre una e più motivazioni per andare avanti su una strada, come quella della ricerca in Italia,che purtroppo spesso e volentieri non è sempre la più facile da percorrere. Grazie davvero. Un grazie va poi al dott. Guido Torrioli, con cui per lo SHAB ho avuto la fortuna di lavorare: gran parte del lavoro di questa tesi abbraccia il mondo dell’elettronica che senza Guido sarebbe stato per me una realtà inaccessibile, davvero grazie per aver risposto alle tremila domande sempre con la battuta pronta, battuta alla quale ancora non credo, nonostante tutto questo tempo trascorso insieme,di aver imparato a rispondere! E poi un grazie al prof. Carelli che ha dato una mano in questo lavoro sia dal punto di vista sperimentale (in questi anni ho visto mille battaglie tra lui e lo sputtering del Nb che per mia fortuna lo hanno visto sempre vincitore) che dal punto di vista teorico. Un grazie va poi a tutto il gruppo BT: la dott. Castellano sempre presente, Fabio Chiarello e

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per ultimi ma fondamentali Francesco e Alessandro, mio grande compagno di stanza, con cui ho condiviso tutto questo periodo e che sono presenti in modo fondamentale e concreto tra le pagine di questa tesi. Un grazie va poi a Michele Ortolani, nuovo arrivato, che mi ha aperto le porte del mondo dell’ottica, al prof. Evangelisti presente dietro a tutto questo lavoro, ai miei compagni di dottorato in istituto, Alessandra e Marco, con cui ho condiviso le ansie degli ultimi momenti e a tutte le persone che qui ho dimenticato ma che hanno contribuito a questo lavoro in modo fondamentale.

La cosa bella di questa tesi è stata che alla fine le due strade inizialmente parallele si sono unite, lo SHAB da noi realizzato ha avuto necessità dell’esperienza criogenica del gruppo OASI ed è questo forse uno dei più bei risultati raggiunti: la collaborazione inizialmente solo formale si è concretizzata in risultati sperimentali e questo è stato possibile grazie al lavoro di ciascuno di noi. Un grazie infine va poi a tutti i miei amici, sempre presenti, tra cui Alessia e Adriano maghi di Word e per ultimi lascio le persone davvero a me più care: Fabio, che come al solito porta il peso maggiore della mia “tesi di dottorato” e che, sempre con il sorriso, mi ha ascoltato e sopportato nei momenti più no di questi tre anni e la mia famiglia che, nonostante i mesi anche duri vissuti ultimamente, mi ha sempre spinto a non tralasciare il lavoro ma comunque a puntare in alto.

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CAPITOLO 1 Introduzione

La radiazione elettromagnetica avvolge tutti noi e penetra nell’intero universo. La nostra vista si basa sull’interazione della radiazione con l’occhio umano, sensore estremamente complesso e sensibile. Per le caratteristiche specifiche della principale stella del nostro sistema solare, il sole, la maggior parte degli esseri viventi sono in grado di rivelare la radiazione elettromagnetica in uno stretto intervallo di lunghezze d’onda che è comunemente noto come luce visibile. A causa della sua temperatura il Sole emette principalmente in questo intervallo di frequenze e dunque l’evoluzione ha dotato tutti noi di sensori ottimizzati per il visibile che è il segnale più diffuso. Lo spettro elettromagnetico è però ben più ampio come mostrato in Figura 1 [2].

Figura 1: Rappresentazione schematica dello spettro elettromagnetico che illustra la "THz gap" collocata tra l'infrarosso e le microonde

Partendo da lunghezze d’onda grandi, le onde radio occupano lo spettro fino a lunghezze d’onda di 1 cm laddove inizia la regione delle microonde. Le microonde corrispondono a lunghezze d’onda dai 10 cm fino a 1 cm. Diminuendo ancora la lunghezza d’onda ad un millimetro ci troviamo in quella regione che comunemente viene individuata come regione del millimetrico e che sfocia nel submillimetrico fino a lunghezze di circa 100 um. E’ questa la regione di interesse per questo lavoro di tesi e su questa ci soffermeremo un pochino più avanti. La regione tra 100 um e 700 nm è la regione dell’infrarosso, per la quale l’evoluzione ci ha dotato della pelle quale sensore molto sensibile. Dopo il visibile e l’ultravioletto si trova la radiazione che è comunemente nota come raggi X radiazione ionizzante. Anche il sole è un forte emettitore di raggi X ma questi sono fortunatamente bloccati dall’atmosfera. La parte più energetica dello spettro elettromagnetico è dato dai raggi γ che interagiscono molto debolmente con la materia. In Tabella Tabella Tabella Tabella 1111 c’è un ‘analisi dello spettro elettromagnetico in termini di frequenza e lunghezza d’onda.

Tabella 1 - Analisi dello spettro elettromagnetico in termini di frequenza e lunghezza d'onda

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Onde radio <3GHz >10cm Micro onde 3GHz-300GHz 10cm-1mm Infrarosso 300GHz-428THz 1mm-700nm Luce visibile 428THz-749THz 700nm-400nm Ultravioletti 749THz-30PHz 400nm-10nm Raggi X 30PHz-300EHz 10nm-1pm

Raggi gamma >300EHz <1pm

Uno degli obiettivi di questa tesi è la fabbricazione e caratterizzazione di rivelatori sensibili a lunghezze d’onda THz per applicazioni nel campo del biomedicale e dell’astrofisica. Il primo utilizzo del termine terahertz si può far risalire ad un articolo di Fleming pubblicato nel 1974 [10] in cui viene usato per descrivere la risposta spettrale di un interferometro di Michelson. La parola “T-rays”[51] invece fu coniata agli inizi degli anni ’90 nei laboratori Bell e oggi il termine è adottato per descrivere una radiazione nel dominio delle frequenze che abbraccia tutta la “gap terahertz” collocandosi tra la regione del lontano infrarosso e quella delle onde millimetriche [7] [4] zona definita gap proprio per la scarsa presenza di rivelatori e sorgenti efficienti. ”Terahertz” è in realtà il nome dell’unità di misura che spazia in tre decadi ed include anche frequenze nell’intervallo del visibile è quindi preferibile leggere l’espressione “radiazione terahertz” come “radiazione centrata nella terahertz gap dello spettro elettromagnetico”. Non facile inoltre è definire quantitativamente la stessa gap terahertz, in letteratura [51] [3] [2] vengono comunemente utilizzate tre definizioni: 0.1-10 THz, 0.3-3 THz, 0.3-30 THz. La migliore definizione per la regione Teraherz è forse quella che parte da 0.1 THZ e finisce a 10 THz (3000um-30 um) eliminando quindi quella 0.3-30 THz che si sovrappone alla banda del medio infrarosso dove già esistono rivelatori e sorgenti e dunque ha poco senso parlare di gap e quella 0.3-3 THz che esclude una parte dello spettro nella quale invece si collocano interessanti applicazioni dei raggi T.

Uno dei maggiori ostacoli alla rivelazione della radiazione THz è la forte attenuazione dell’atmosfera [55] dominata dall’assorbimento del vapore d’acqua proprio nella regione THz come visibile in Figura 2.

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Figura 2: Attenuazione dell'atmosfera di onde Thz nell'intervallo 0.1-3THz e nove maggiori regioni di trasmissione

THz.A:0.1-0.55THz; B: 0.56-0.75 THz; C: 0.76-0.98 THz; D: 0.99-1.09 THz; E: 1.21-1.41 THz; F: 1.42-1.59 THz; G: 1.92-2.04 Thz; H:2.05-2.15 THz; I:2.47-2.62 THz. La temperatura a cui sono state realizzate le misure era di 23°C, e la relativa umidità era di 26%.

La tecnologia nel THz è ancora agli inizi e scarse sono le sorgenti in questa regione ma questo spazio ha da poco iniziato ad essere riempito da una grande varietà di nuovi dispositivi. Può essere utile in questo contesto farsi un’idea degli ordini di grandezza di cui stiamo parlando laddove si utilizzi la parola THz, sia in termini di energia in gioco che di temperatura di corpo nero associata alla lunghezza d’onda in considerazione.

Nella Tabella Tabella Tabella Tabella 2222 si confronta l’energia e la temperatura tra THz e visibile.

Tabella 2 - Confronto tra l'energia e la temperatura tra THz e visibile

Frequenza Lunghezza d’onda Energia Temperatura Numero d’onda 300 GHz 1mm 1.24 meV 2.9K 10cm-1

1 THz 300 µm 4.1meV 9.6K 33 cm-1

3THz 100µm 12.4 meV 29K 100cm-1

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Può essere utile ricordare che si può passare dal numero d’onda W =XY a ν(THz) mediante: W([\]) =(W · 300)10000

oppure

_(µ`) =[\] 300

1.1 Risultati della tesi e obiettivi

Il principale risultato raggiunto alla fine di questo lavoro di tesi è stato quello di realizzare un microbolometro superconduttore sensibile alla radiazione elettromagnetica THz. L’obiettivo nel prossimo futuro è di poterlo utilizzare come rivelatore in un sistema ottico per applicazioni medicali [59][60] in cui la sorgente sarà un laser a cascata quantica, QCL (Quantum Cascade Laser)[65]. Partendo dal lavoro del gruppo di Pekola [32] durante il lavoro di tesi è stato messo a punto il processo di fabbricazione di uno SHAB (Superconducting Hotspot Airbridge Bolometer) come descritto nel capitolo 3, ottimizzata la sua caratterizzazione elettrica a 4.2 K in elio liquido ed in vuoto ed effettuata una completa caratterizzazione ottica mediante l’utilizzo di un criostato a finestra ottica, misure che verranno illustrate nel capitolo 4. Per la caratterizzazione ottica del nostro bolometro in una prima fase abbiamo utilizzato in ingresso il segnale di corpo nero a 300 K modulato per mezzo di un chopper. Successivamente utilizzando uno spettrometro FT-IR (Fourier transform Infrared) è stato possibile effettuare un’analisi in frequenza dello spettro osservato, come verrà descritto nel capitolo 4. Altro lavoro svolto in questa tesi è lo studio e caratterizzazione di un bolometro tipo spiderweb con particolare interesse rivolto alla criogenia necessaria per poterlo provare come descritto nel capitolo 5.

1.2 Motivazioni e applicazioni

L’applicazione futura per gli SHAB è la realizzazione di una fotocamera al Terahertz per il biomedicale grazie all’estrema flessibilità di tali dispositivi ad integrarsi in configurazioni costituite da più rivelatori vicini. Numerosi sono i campi di interesse per un rivelatore al THz. La regione dello spettro elettromagnetico che si riconduce al terahertz può essere infatti a ragione considerata un’autentica zona di frontiera per quel che riguarda la fisica, la chimica, la biologia, la scienza dei materiali e la medicina [24]. La radiazione elettromagnetica THz, radiazione non ionizzante, è in

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grado di attraversare materiali opachi nel visibile e di fornire immagine con una risoluzione submillimetrica dunque importanti sono le possibili applicazioni nel campo medico.

Numerosi sono i fenomeni osservabili alle frequenze THz ed è forse utile citarne alcuni di evidente interesse: gli elettroni negli alti livelli atomici eccitati di Rydberg orbitano alle frequenze THz, piccole molecole ruotano alle frequenze THz, collisioni tra molecole di un gas a temperatura ambiente durano 10-12 sec. Modi collettivi biologicamente importanti di proteine vibrano alle frequenze THz. Liquidi polari come l’acqua assorbono il THz, gap di energia di materiali superconduttori sono state ritrovate alle frequenze THz, la materia stessa al di sopra dei 10 K emette a frequenze terahertz. La regione del THz è inoltre molto interessante anche dal punto di vista astrofisico: la stessa radiazione di fondo cosmico presenta uno spettro di emissione a frequenze THz con un picco a lunghezza d’onda λ≈1 mm (0.3 THz). Per quanto la situazione di rivelatori terahertz sia migliore del panorama delle sorgenti, grossi miglioramenti ancora in questo senso vanno fatti nell’ottica di ottenere un insieme integrato di rivelatori terahertz sensibili e veloci ma non limitati dal rumore termico di background ed è proprio in questo panorama che si colloca questo lavoro di tesi.

1.3 Metodi di rivelazione

La rivelazione della radiazione elettromagnetica si basa sui principi base dell’interazione della radiazione elettromagnetica con la materia. Un rivelatore è un dispositivo che risponde alla radiazione incidente.

I metodi di rivelazione si possono dividere principalmente in due: rivelazione coerente e rivelazione incoerente o diretta [17][20][23]. Nel primo caso si conservano informazioni sull’ampiezza e la fase del segnale rivelato mentre nel secondo si hanno esclusivamente informazioni sull’ampiezza del segnale da rilevare.

Esistono due categorie di rivelatori coerenti: i radioricevitori usati a basse frequenze (<1 GHz, radioonde) ed i ricevitori ad eterodina usati a frequenze più alte (microonde); a frequenze dove esistono amplificatori a basso rumore (< 200 GHz) il segnale è amplificato prima di essere rivelato, a più alte frequenze esiste invece il metodo chiamato appunto eterodina in cui la radiazione incidente è accoppiata con un segnale di oscillatore locale e il risultante segnale, a frequenza intermedia IF, è amplificato preservando l’informazione sulla fase dei fotoni. Il componente più importante dunque di un ricevitore ad eterodina è il miscelatore o “mixer” che ha il compito di sovrapporre il segnale incidente con quello proveniente dall’oscillatore locale. Questo tipo di rivelatori viene usato principalmente nel submillimetrico e radio ma anche nell’infrarosso. Si può

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notare che un sistema di rivelazione coerente può incorporare come mixer un dispositivo che può funzionare anche da rivelatore incoerente. I rivelatori incoerenti invece sono sensibili solamente alla potenza assorbita e possiamo dividerli in rivelatori fotonici o quantici e rivelatori termici. I rivelatori fotonici rispondono direttamente al singolo quanto di energia.

Un fotone genera un’eccitazione mediante effetto fotoelettrico e il segnale risultante sarà un cambiamento nelle proprietà chimiche o una modulazione nella corrente circolante del dispositivo. Nei rivelatori quantici la distribuzione non termica degli elettroni eccitati è rivelata prima che rilassino: esempi di rivelatori quantici sono i fotomoltiplicatori, i fotoconduttori, i fotodiodi, le CCD (Charge Coupled Device) e l’SSPD( Superconducting Single Photon Detector).

Questi dispositivi possono essere usati efficacemente nei raggi gamma, raggi X, ultravioletto, visibile e infrarosso. A grandi lunghezze d’onda e dunque nel lontano infrarosso si ha il limite superiore di utilizzo imposto dall’energia richiesta per creare l’eccitazione primaria.

L’altra classe di rivelatori diretti sono i rivelatori termici: in questi il principio di funzionamento è basato sull’assorbimento e termalizzazione dei fotoni. Nei rivelatori termici l’eccitazione generata dai fotoni rilassa ad uno stato di equilibrio a temperatura più alta prima che venga rilevata. Generalmente il cambiamento di temperatura modula una proprietà elettrica del dispositivo come la resistenza elettrica. Un’importante caratteristica dei rivelatori termici è che questi sono dispositivi a larga banda poiché l’energia dell’eccitazione primaria, il fonone acustico, è veramente piccola rispetto al fotone assorbito. I rivelatori termici sono usati in tutto lo spettro da raggi gamma alle microonde e sono l’oggetto di questo lavoro di tesi.

Fare confronti tra le singole tecniche di rivelazione è difficile poiché impossibile è stabilire un parametro caratteristico per i differenti metodi. L’applicazione determina la miglior scelta: per esempio se si vuol fare spettroscopia ad alta risoluzione nel millimetrico non è la scelta di un rivelatore incoerente la scelta vincente. Al contrario laddove si voglia un’analisi spettrale a larga banda i rivelatori incoerenti sono di gran lunga miglior rispetto a quelli coerenti.

1.4 Rivelatori Termici

I rivelatori termici misurano energia [16][17][29]. Ogni rivelatore termico è costituito da un assorbitore con una capacità termica C che converte la radiazione elettromagnetica incidente in calore e che è in collegamento con una riserva di calore alla temperatura To mediante una conduttanza termica G.

(15)

L’energia assorbita si traduce in un aumento della temperatura dato da ΔT=E/C con E energia in ingresso. Un diagramma del principio di funzionamento di un rivelatore termico è mostrato in Figura 3.

I rivelatori termici si differenziano nel metodo usato per leggere la variazione di temperatura nell’assorbitore, nel modo dunque in cui la potenza incidente viene trasformata in un segnale rilevabile.

I principali tipi di rivelatori termici sono discussi di seguito mentre alcune delle loro caratteristiche tecnologiche sono mostrate nella Tabella Tabella Tabella Tabella 5555 a fine capitolo. In questa tabella saranno presenti alcuni valori dei parametri che caratterizzano le prestazioni di un rivelatore tra cui :

Risposta spettrale Risposta spettrale Risposta spettrale

Risposta spettrale: Intervallo di frequenze in cui il rivelatore può essere utilizzato. Un rivelatore con ampia efficienza spettrale può essere usato in un gran numero di situazioni sperimentali differenti a lunghezze d’onda diverse che vengono selezionate usando opportuni filtri interposti tra la sorgente ed il rivelatore.

Responsività Responsività Responsività

Responsività: Costante di proporzionalità tra potenza in ingresso e segnale in uscita al rivelatore. Tempo di risposta

Tempo di risposta Tempo di risposta

Tempo di risposta: il minimo intervallo entro il quale il rivelatore può seguire le variazioni di potenza in ingresso (τ=C/G, costante di tempo).

NEP NEP NEP

NEP (Noise Equivalent Power)(Noise Equivalent Power)(Noise Equivalent Power): parametro che descrive il rumore definito come la potenza in W che (Noise Equivalent Power) in 1 secondo di integrazione produce un segnale pari alla deviazione standard del rumore del rivelatore, è quindi il minimo segnale rivelabile. Ad esempio se un bolometro ha un rumore in corrente di 10 pA/√Hz e la sua responsività in corrente è 1000 A/W il NEP sarà di 10 fW/√Hz. Il minimo NEP è quello fononico ed è

fghijkl= m4no[pq

con kB costante di Boltzmann [17] NETD

NETD NETD

NETD (Noise Equivalent Temperature Difference):(Noise Equivalent Temperature Difference):(Noise Equivalent Temperature Difference):(Noise Equivalent Temperature Difference): tale figura di merito è collegata al NEP tramite la :

rstu: rsv

wxy∆{m|}~€

Con NEP noise equivalent power del nostro rivelatore, η efficienza di accoppiamento con la radiazione incidente, Δν banda passante e τint tempo di integrazione.

(1.4) (1.3)

(16)

Figura 3: Diagramma semplificato dello schema di funzionamento di un rivelatore termico.

Un fotone incidente causa un aumento de

termica C termicamente isolata. Il calore viene dissipato attraverso un link termico G connesso ad un bagno alla temperatura T

tempo τ0=C/G

1.4.1 Termopile

Le termopile sono rivelatori che lavorano a temperat

costituita da più termocoppie in serie. Una termocoppia è costituita da una coppia di conduttori elettrici di diverso materiale uniti tra loro in un punto. Il

sull’effetto Seebeck: un conduttore elettrico sottoposto ad un gradiente termico genera una differenza di potenziale. Il punto di collegamento tra i due conduttori elettrici è convenzionalmente chiamata giunto caldo o giunzione calda

misurare. L'altra estremità, costituita dalle estremità libere dei due conduttori, è convenzionalmente chiamata giunto freddo o

temperatura tra la zona del giunto caldo e la zona del giunto freddo, si può rilevare una differenza di potenziale elettrico tra le estremità libere della termocoppia in corrispondenza del giunto freddo. In Figura 4 è mostrata la rappresentazione circuitale di una

elettrico è funzione diretta della differenza di temperatura, secondo una legge non lineare

: Diagramma semplificato dello schema di funzionamento di un Un fotone incidente causa un aumento della temperatura nella capacità termica C termicamente isolata. Il calore viene dissipato attraverso un link termico G connesso ad un bagno alla temperatura T0 con una costante di

Le termopile sono rivelatori che lavorano a temperatura ambiente [16][19]

costituita da più termocoppie in serie. Una termocoppia è costituita da una coppia di conduttori elettrici di diverso materiale uniti tra loro in un punto. Il principio di funzionamento è basato sull’effetto Seebeck: un conduttore elettrico sottoposto ad un gradiente termico genera una differenza di potenziale. Il punto di collegamento tra i due conduttori elettrici è convenzionalmente unzione calda, ed è il punto nel quale viene applicata la temperatura da misurare. L'altra estremità, costituita dalle estremità libere dei due conduttori, è convenzionalmente chiamata giunto freddo o giunzione fredda. Quando esiste una differenza di ratura tra la zona del giunto caldo e la zona del giunto freddo, si può rilevare una differenza di potenziale elettrico tra le estremità libere della termocoppia in corrispondenza del giunto freddo. In esentazione circuitale di una termocoppia. Tale valore di potenziale elettrico è funzione diretta della differenza di temperatura, secondo una legge non lineare

: Diagramma semplificato dello schema di funzionamento di un lla temperatura nella capacità termica C termicamente isolata. Il calore viene dissipato attraverso un link con una costante di

[19]: una termopila è costituita da più termocoppie in serie. Una termocoppia è costituita da una coppia di conduttori principio di funzionamento è basato sull’effetto Seebeck: un conduttore elettrico sottoposto ad un gradiente termico genera una differenza di potenziale. Il punto di collegamento tra i due conduttori elettrici è convenzionalmente , ed è il punto nel quale viene applicata la temperatura da misurare. L'altra estremità, costituita dalle estremità libere dei due conduttori, è . Quando esiste una differenza di ratura tra la zona del giunto caldo e la zona del giunto freddo, si può rilevare una differenza di potenziale elettrico tra le estremità libere della termocoppia in corrispondenza del giunto freddo. In Tale valore di potenziale elettrico è funzione diretta della differenza di temperatura, secondo una legge non lineare :

(17)

I valori an variano in relazione ai materiali utilizzati. A possibile scegliere N compreso tra 5 e 9.

Figura 4: Rappresentazione circuitale di una termocoppia. A e B sono i due conduttori metallici. T

quali esiste una differenza di temperatura.

Una termopila formata da n termocoppie possiede ai suoi capi una differenza di potenziale superiore alla singola termocoppia

media. A λ< 50 µm termopile di dimensioni di qualche mm di 10-2 sec ed un NEP<10-9WHz

dimensioni maggiori che spesso si traduce in una maggiore costante termi

Utilizzando le moderne tecniche di deposizione in vuoto e fotolitografia si posso fabbricare termopile di piccole e differenti dimensioni costituite da film sottili. Il metodo è quello di evaporare due differenti metalli su un substrat

La scelta del substrato dipende dalle applicazioni. Se serve un dispositivo sensibile ma lento si può usare come substrato una sottile membrana di plastica ma nel caso di un rivelatore veloce è necessario un substrato isolante, come zaffiro o berillio, con una buona conduttanza termica per costituire la riserva di calore. I metalli usati sono i genere antimonio e bismuto che possono essere evaporati facilmente. Termopile costruite in ques

ma la responsività è piuttosto bassa ~5 x10

1.4.2 Cella di Golay

La cella di Golay (GOLAY 1947)

radiazione incidente entra, attraverso una finestra trasparente all’infrarosso, in una cella (1.5)

variano in relazione ai materiali utilizzati. A seconda della precisione desiderata, è possibile scegliere N compreso tra 5 e 9.

: Rappresentazione circuitale di una termocoppia.

A e B sono i due conduttori metallici. T1 e T2 sono le due giunzioni tra le

na differenza di temperatura.

termocoppie possiede ai suoi capi una differenza di potenziale

superiore alla singola termocoppia, la temperatura rilevata è in realtà quindi una temperatura < 50 µm termopile di dimensioni di qualche mm2 hanno un tempo di risposta dell’ordine WHz-1/2. A più grandi lunghezze d’onda è necessario un assorbitore con dimensioni maggiori che spesso si traduce in una maggiore costante termica e un peggior NEP. Utilizzando le moderne tecniche di deposizione in vuoto e fotolitografia si posso fabbricare termopile di piccole e differenti dimensioni costituite da film sottili. Il metodo è quello di evaporare due differenti metalli su un substrato in modo tale che si sovrappongano formando una giunzione. La scelta del substrato dipende dalle applicazioni. Se serve un dispositivo sensibile ma lento si può usare come substrato una sottile membrana di plastica ma nel caso di un rivelatore veloce è cessario un substrato isolante, come zaffiro o berillio, con una buona conduttanza termica per costituire la riserva di calore. I metalli usati sono i genere antimonio e bismuto che possono essere evaporati facilmente. Termopile costruite in questo modo hanno tempi di risposta inferiori ai 30 ns ma la responsività è piuttosto bassa ~5 x10-6V W-1.

) [6] è un rivelatore termico funzionante a temperatura ambiente. entra, attraverso una finestra trasparente all’infrarosso, in una cella

seconda della precisione desiderata, è

sono le due giunzioni tra le

termocoppie possiede ai suoi capi una differenza di potenziale n volte la temperatura rilevata è in realtà quindi una temperatura hanno un tempo di risposta dell’ordine . A più grandi lunghezze d’onda è necessario un assorbitore con ca e un peggior NEP. Utilizzando le moderne tecniche di deposizione in vuoto e fotolitografia si posso fabbricare termopile di piccole e differenti dimensioni costituite da film sottili. Il metodo è quello di evaporare o in modo tale che si sovrappongano formando una giunzione. La scelta del substrato dipende dalle applicazioni. Se serve un dispositivo sensibile ma lento si può usare come substrato una sottile membrana di plastica ma nel caso di un rivelatore veloce è cessario un substrato isolante, come zaffiro o berillio, con una buona conduttanza termica per costituire la riserva di calore. I metalli usati sono i genere antimonio e bismuto che possono essere nno tempi di risposta inferiori ai 30 ns

temperatura ambiente. La entra, attraverso una finestra trasparente all’infrarosso, in una cella

(18)

contenente un gas (di solito Xenon). Nella cella (vedi Figura 5) la radiazione è assorbita da un film metallico a bassa riflettività. Il calore sviluppato nel film viene trasferito al gas circostante, che si espande, aumenta la sua pressione e quindi deflette la parete posteriore della cella, costruita utilizzando una sottile membrana, speculare all’esterno. Tale membrana agisce come uno specchio deformabile che è inserito in un sistema ottico, esterno alla cella, comprendente una sorgente (un diodo LED), una griglia, lo specchio ed un rivelatore a fotodiodo (Figura 5). Quando non c’è un segnale in ingresso lo specchio si trova a riposo ed il sistema ottico è regolato in modo che l’ombra (immagine) della prima griglia si sovrapponga esattamente con gli spazi della seconda griglia: in questo modo la luce LED non arriva sul fotodiodo. Appena arriva la radiazione lo specchio si deforma e l’ombra della prima griglia non si sovrappone più agli spazi della seconda griglia: la luce comincia ad arrivare sul fotodiodo, in quantità proporzionale all’entità della deformazione dello specchio. Questa è a sua volta proporzionale alla variazione di pressione e quindi alla variazione di potenza incidente [23]. Si realizza quindi un rivelatore termico in cui l’elemento termometrico è la pressione di un gas (rivelatore pneumatico).

I principali svantaggi della cella di golay sono la sua lentezza, la sua microfonia e il suo rumore inoltre, a causa della complessità del principio di funzionamento, non banale è l’utilizzo dell’intero rivelatore. Il NEP è attribuibile al moto browniano del gas nella cella, ed è quindi il minimo ottenibile per un rivelatore termico ideale. Purtroppo è impossibile in pratica raffreddare la cella di Golay a temperature criogeniche causa liquefazione del gas e problemi di tenuta della membrana deformabile. Reperibile commercialmente la cella di Golay ha una risposta spettrale dal visibile al mm con dettagli dipendenti dalla finestra. Le dimensioni della cella di Golay sono tra i 4 e 20 mm2 [19], con un tempo di risposta intorno a τ~ 10 ms dipendente dal contenuto della cella ed un NEP~10-10W/Hz1/2 ed una responsività S~105-106 V W-1[16]. I valori di responsività, risposta spettrale dimensioni e NEP sono riportate nella Tabella Tabella Tabella Tabella 5555 riassuntiva alla fine del capitolo.

(19)

Figura 5: Cella di Golay.

Nell'inserto è visibile la cella vera e propria, composta da una finestra trasparente nell'infrarosso (A), il film assorbente all'interno della cella di misura (B), la membrana a specchio deformabile (C), il suo supporto ( D), la finestra ottica posteriore (E), la cella di ballast (F) ed il capillare (G). Nell’immagine a destra è visibile il rivelatore completo di diodo foto emettitore, sistema ottico focalizzatore, griglia e rivelatore a fotodiodo per la misura della deformazione della membrana deformabile.

1.4.3 Rivelatori pirolettrici

Quando un cristallo piroelettrico subisce un cambiamento di temperatura, si genera una carica superficiale in una particolare direzione come risultato del cambiamento con la temperatura della sua polarizzazione spontanea [21] [19][11]. Questo effetto viene definito piroelettricità. I rivelatori piroelettrici sono rivelatori termici a temperatura ambiente che sfruttano l’effetto pirolettrico per la rivelazione di radiazione. Materiali piroelettrici sono quelli la cui polarizzazione elettrica spontanea dipende dalla temperatura. Ci sono 32 classi note di cristalli: 10 di queste esibiscono una polarizzazione spontanea dipendente dalla temperatura. In condizioni di equilibrio la dissimmetria elettrica è compensata dalla presenza di cariche libere. Se però la temperatura del materiale viene cambiata ad una velocità superiore di questa compensazione le cariche si possono ridistribuire ed può essere osservato un segnale elettrico. Questo limita generalmente la loro bassa frequenza di

(20)

operazione a circa 1 Hz. Molti piroelettrici sono anche ferroelettrici che significa che la direzione della loro polarizzazione può essere distrutta dall’applicazione di un idoneo campo elettrico e la polarizzazione si riduce a zero ad una data temperatura nota come temperatura di Curie. Sopra a tale temperatura il materiale è paraelettrico e non mostra più effetti di piroelettricità. Il gradiente della dipendenza della polarizzazione con la temperatura dP/dT è il coefficiente pirolettrico p. Il segnale in uscita è il cambiamento di polarizzazione. Per un convenzionale materiale piroelettrico Tc deve essere molto sopra la temperatura ambiente. I rivelatori piroelettrici possono essere schematizzati come un piccolo capacitore con due elettrodi conduttori montati perpendicolarmente alla direzione della polarizzazione spontanea come visibile in figura 6 con il suo circuito equivalente. Il rivelatore può essere rappresentato [21] da un capacitore C, un generatore di corrente Iph ed una conduttanza elettrica G come visibile in Figura 6 dove il rivelatore è connesso ad un amplificatore ad alta impedenza con capacità di ingresso Ca.

Figura 6: Rivelatore piroelettrico.

(a) schematica sezione, (b) elemento pirolettrico, (c) circuito elettrico equivalente.

Per orientare l’elemento sensibile il materiale è riscaldato e viene applicato un campo elettrico. Quando il rivelatore lavora, il cambio nella polarizzazione apparirà come una carica sul capacitore e ci sarà una corrente il cui valore dipende dalla variazione della temperatura e dal coefficiente pirolettrico p del materiale.

Il cambio di polarizzazione a causa della variazione in temperatura ΔT è descritto da h = …†[

(21)

La carica pirolettrica generata è

‡ = …ˆ∆[

Con A area del rivelatore. Quindi l’effetto di un cambiamento di temperatura in un materiale piroelettrico è di creare una corrente in un circuito esterno. Per far lavorare un rivelatore piroelettrico è necessario modulare la sorgente dell’energia (la corrente I dipende dalla frequenza della radiazione). Questo può essere raggiunto con un chopper o muovendo il rivelatore relativamente alla sorgente della radiatione.

Lo schema dei rivelatori pirolettrici quindi rivela cambiamenti di temperatura da cambiamenti della costante dielettrica e cambiamenti della polarizzazione spontanea. Il segnale è il cambio di polarizzazione. Ci sono tre grandi fonti di rumore in un piroelettrico:

Johnson noise nella resistenza di carico RL( vedi Figura 6) Johnson noise per le perdite nel dielettrico

Rumore dell’amplificatore

Fluttuazioni termiche nel piroelettrico stesso

In un rivelatore piroelettrico ottimizzato la fonte dominante di rumore è il rumore Johnson associato alle perdite nel dielettrico, seguito dal rumore dell’amplificatore.

Ci sono inoltre un gran numero di sorgenti di segnale non voluto associate con l’ambiente. Ad esempio le fluttuazioni di temperatura dell’ambiente possono dare un segnale spurio a basse frequenze oppure se la velocità di cambiamento di temperatura è troppo elevata l’amplificatore del rivelatore può andare in saturazione. Il più grande limite dei pirolettrici è che sono microfonici, un segnale elettrico in uscita può essere prodotto da vibrazioni meccaniche o da rumore acustico. Questo segnale microfonico può dominare sulle altre sorgenti di rumore se il rivelatore è collocato in un ambiente ad alta vibrazione. La ragione principale del loro essere microfonico è la natura piezoelettrica dei materiali piroelettrici che significa che un cambiamento nella polarizzazione è prodotta anche da uno stress meccanico tanto quanto un cambiamento di temperatura. Sono state studiate le proprietà di diversi materiali piroelettrici [19]. La scelta del miglior piroelettrico dipende da molti fattori che includono le dimensioni del rivelatore, la temperatura di lavoro e la frequenza di lavoro.

Un materiale ideale dovrebbe avere un grande coefficiente piroelettrico, una bassa costante dielettrica, basse perdite nel dielettrico e un basso calore specifico a volume costante. Sono stati studiati differenti materiali tra cui titanato di Bario, il solfato di triglicina (TGS) lo stronzio bario niobato (SBN) ed altri. Il più importante è il solfato di triglicina (TGS) il quale nonostante non

(22)

possieda il più alto valore di coefficiente piroelettrico a temperatura ambiente ,tuttavia è considerato quello che ha la maggior sensibilità. Non è facile comparare i vari materiali piroelettrici poiché l’area del rivelatore, la frequenze di lavoro e le condizioni ambientali alterano i parametri. Sono stati comparati rivelatori tra 100mm e 0.01 mm di area. Per elementi a grande area i materiali piroelettrici con una bassa costante dielettrica sembrano essere i migliori a tutte le frquenze fino ai 10 kHz. Se l’area si riduce ad 1 mm non è facile trovare un rivelatore che vada bene per tutte le frequenze tuttavia è meglio ricercare una bassa costante dielettrica. Lavorando con i dispositivi TGS con circa 3 mm2 di area, alla modulazione in frequenza di 10 Hz, alle lunghezze d’onda di meno di 20 um il rumore NEP risulta essere solo leggermente peggiore della cella di Golay che ha un NEP~5x10-10WHz-1/2 [16] ma la risposta in frequenza e l’affidabilità risultano di gran lungo superiori.

1.4.4 Bolometri

La parola bolometro deriva dal greco “βολη” che significa “raggio di sole”. Il termine è stato utilizzato per la prima volta da Langley nel 1881 [12] per denominare il rivelatore da lui utilizzato nello studio della radiazione infrarossa nello spettro solare.

Il bolometro di Langley utilizza una coppia di strisce di platino come rami di un ponte di Wheastone. Quando una striscia è esposta alla radiazione l’altra rimane al buio, il cambiamento della temperatura della striscia illuminata cambia la sua resistenza e sbilancia il ponte. Langley è stato in grado di misurare differenze di temperatura di 10µK nello spettro solare. Il bolometro che è stato sviluppato da Langley è dunque un rivelatore termico che implementa un termometro a resistenza elettrica per misurare la temperatura dell’assorbitore. La fortuna dei bolometri è dovuta al fatto che la dipendenza dalla temperatura della resistenza dei materiali può essere grande ed è stata ampiamente studiata. Di conseguenza è abbastanza facile selezionare materiali e ottimizzare il disegno dei bolometri per differenti applicazioni.

Gli elementi di un bolometro sono i seguenti [17]: un assorbitore di radiazione che ha una dimensione appropriata per ricevere il segnale da misurare, un grande assorbimento nell’intervallo di frequenze di interesse e una bassa capacità termica. Il substrato di supporto ha una bassa capacità termica ed una grande conduttanza verso il bagno termico cosicché rimane alla stessa temperatura durante le operazioni del bolometro. Il termometro è attaccato termicamente all’assorbitore o al substrato di supporto come nel caso di Figura 7. Questo ha una bassa capacità termica, un basso rumore ed una adeguata dipendenza dalla temperatura della sua resistenza elettrica. Il link termico che connette la parte termicamente attiva del bolometro con il bagno

(23)

termico ha una bassa capacità termica ed una giusta conduttanza termica per le applicazioni richieste. I bolometri combinano questi elementi in vario modo: nei bolometri monolitici un singolo elemento è utilizzato per diverse funzioni in quelli compositi queste funzioni sono assolte da diversi elementi che possono essere ottimizzati indipendentemente.

Al fine di ridurre il rumore associato alle fluttuazioni di temperatura, il Johnson noise intrinseco nell’elemento resistivo del termometro, e alle emissioni del rivelatore si utilizzano bolometri criogenici per lavorare alla temperatura dell’ 4He liquido (4.2 K) o minore.

Rientrano in questa categoria i bolometri compositi, i bolometri monolitici e i bolometri all’InSb. Negli ultimi anni i bolometri sono stati scoperti ed utilizzati in fisica delle particelle [58]. Infatti, a patto che le particelle in esame possano perdere energia nell’assorbitore, il bolometro potrà rivelarle termalizzando l’energia persa per ionizzazione dalla particella e rivelando la corrispondente variazione di temperatura.

1.4.4.1 Bolometri compositi

I bolometri combinano dunque le due funzioni di assorbimento della radiazione e di termometria. Queste due funzioni non sono semplici da combinare specie per bolometri disegnati per funzionare nel sub millimetrico e millimetrico. Il coefficiente di assorbimento del Ge e de Si bulk con una opportuna resistività diminuisce a bassa frequenza quindi i bolometri pensati per lavorare a lunghezze d’onda λ~mm devono essere spessi uno o più millimetri [17] e la risultante capacità termica diviene un’importante limitazione.

Per superari questi limiti negli anni ’70 N.Coron [68] inventò un tipo di bolometro definito composito nel quale vengono separate le funzioni di misura della temperatura ed assorbimento della radiazione al fine di ridurre la capacità termica e dunque abbassare la costante di tempo τ. I bolometri compositi sono costituiti da 3 parti: un assorbitore, un substrato che determina la zona attiva e il sensore di temperatura come mostrato in Figura 7 [21]:

(24)

Figura 7: Schema di bolometro composito

L’assorbitore è realizzato con un sottile film il cui spessore e composizione deve essere studiato in modo tale che abbia un’alta emissività nella regione delle lunghezze d’onda di un centinaio di micron. Il sensore di temperatura è un semiconduttore (in Figura 7 germanio) incollato al substrato meccanicamente e termicamente mediante collanti epoxy. Quindi la combinazione del substrato e del film agisce da efficiente assorbitore caratterizzato da una grande area efficace (le dimensioni saranno confrontabili con la lunghezza d’onda da osservare) ed una bassa capacità termica per un sensore di temperatura che può essere anche molto piccolo

Un esempio di bolometro composito classico (Figura 7) è quello costituito da un film di Bi depositato su un substrato di zaffiro o diamante dimensioni tipiche (area 3 mm2, spessore 50 um). Lo zaffiro ha circa 1/60 della capacità termica del germanio e ha un assorbimento trascurabile fino a ~300 cm-1 che dunque implica che può essere fabbricato un grande assorbitore non avendo perdite nella risposta in frequenza. Il diamante è trasparente oltre 1000 cm-1 ed ha una capacità termica circa 1/600 di quella del germanio quindi utilizzando questo substrato si possono realizzare assorbitori con una ancora più grande area efficace. Tali substrati vengono utilizzati per bolometri a basso rumore con temperatura di lavoro T~1K. Il termometro è un cristallo semiconduttore, di solito un piccolo cubo di lato 500um di Ge e viene attaccato all’assorbitore con Epoxy o Indio. Le connessioni elettriche sul cristallo vengono realizzate con fili di 8um di diametro di grafite privi di una significativa conduttanza termica. Il tutto è sospeso per mezzo di fili di nylon di piccolo diametro (10 um). Il supporto meccanico è un ring metallico con pad per i contatti elettrici che permette una facile manipolazione del bolometro stesso [23]. Molti sono i materiali utilizzati per la realizzazione di bolometri compositi al fine di ottimizzarne le prestazioni per l’applicazione desiderata.

(25)

Nella Tabella Tabella Tabella Tabella 3333 indicherò le prestazioni elettriche di differenti bolometri compositi a basso rumore. I risultati sono tratti da diversi lavori [17] in cui i bolometri lavorano a temperature del bagno differenti:

Tabella 3 - Caratteristiche di 4 rivelatori compositi differenti operanti a differenti temperature del bagno T0,

A area assorbitore, SV responsività in tensione, NEP (Noise Equivalent Power), τ=C/G costante di tempo

termica del bolometro.

A B C D T0[K] 1.6 0.97 0.30 0.10 A [mm2] 40 16 4 4 SV [VW-1] … 1.3x107 8.7 x107 109 NEP [W/Hz1/2] 4.5x10-15 1.6x10-15 1x10-16 2.5x10-17 τ[ms] 40 20 11 10

Poiché operano a bassa temperatura il NEP è più basso del tipico NEP di rivelatori termici che lavorano a temperatura ambiente (che ricordo essere dell’ordine del 3-10 -10 W/ Hz1/2).

1.4.4.2 Bolometri compositi con assorbitore di Si3N4 (bolometri spiderweb)

Un altro modello di bolometro composito è quello che implementa un assorbitore costituito da un sottile film metallico evaporato su una membrana di silicio ed un sensore che è un cristallo di germanio trasmutato NTD (Neutron Trasmutation Doped) [43]. Tale geometria a membrana garantisce una notevole riduzione della conduttanza termica del bolometro e un basso NEP, una bassa capacità termica per unità di superficie, una più grande area di assorbimento e dunque un possibile accoppiamento con le più basse frequenze e, grazie alla ridotta massa sospesa, una notevole riduzione del rumore microfonico. Questi rivelatori a 300mK presentano valori di NEP intorno 2x10-17 W/Hz1/2 e sono stati usati efficacemente per misure astrofisiche su palloni e telescopi.

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1.4.4.3 Bolometri monolitici al silicio

Recentemente sono stati costruiti bolometri monolitici al silicio in cui il supporto, i contatti, i fili di sostegno del bolometro e di contatto termico, il termometro e l’assorbitore sono ricavati partendo da un substrato di silicio monocristallo utilizzando le tecniche di litografia ottica [23].

Per i contatti termici ed elettrici si usa silicio drogato degenere mediante impiantazione ionica con arsenico; sul supporto esterno si deposita Cr/Au per ottenere i contatti elettrici; sul quadrato centrale che fa da bolometro si impiantano fosforo e boro in modo da ottenere donori e accettori per il termometro; sull’altro lato del substrato si evapora il film di bismuto che fa da assorbitore (Figura 8). Il termometro dunque, la zona centrale del bolometro, risulta essere una struttura completamente sospesa in contatto con il bagno solo attraverso i contatti elettrici (i fili), come visibile in Figura 8. In questo modo si ottengono bolometri estremamente riproducibili, senza rumore di contatto e 1/f e con bassissima capacità termica (il cristallo di Si è spesso solo 5 µm). Nella Tabella Tabella Tabella Tabella 4444 successiva sono riportate le caratteristiche di un tipico bolometro monolitico di Si che lavora a 4.2 K [1].

Tabella 4 - Caratteristiche tipico rivelatore monolitico funzionante a 4.2 K. Con t spessore del rivelatore e w larghezza dei fili di Si drogato che connettono il bolometro al bagno

Numero bolometro 75C t[µm] 10 w [µm] 25 T0 [K] 4.2 NEP [W/Hz1/2] 6.0x10-14 τ[ms] 30 SV[V/W] 3.4x105

Per una data geometria il più basso NEP elettrico può essere raggiunto lavorando ad una più bassa temperatura del bagno complicando però di molto l’apparato criogenico. Il miglior rumore misurato su un bolometro monolitico al silicio è di 4x 10-16 W/Hz-1/2 per un dispositivo con una tempo di risposta di 20 ms operante alla temperatura di 0.35K.

Il vantaggio dei bolometri monolitici è quello di poter essere prodotti su grande scala grazie all’utilizzo di tecniche di microfabbricazione. Questo permette di ottenere bolometri con un

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ridottissimo volume, estremamente riproducibili e con il vantaggio di ridurre la capacità termica dunque la conduttanza e dunque il livello di rumore.

Figura 8: Schema di un bolometro monolitico al silicio. Dettaglio del sensore.

1.4.4.4 Bolometri ad InSb

L’assorbimento di radiazione da parte di portatori liberi in un semiconduttore causa un aumento della temperatura dei portatori stessi ed un cambiamento della loro mobilità. In un semiconduttore come l’antimonuro di indio InSb drogato n, raffreddato alla temperatura dell’elio liquido, questo effetto è molto evidente ed è alla base della principio di funzionamento dei bolometri InSb, rivelatori efficienti nell’intervallo del millimetrico e submilllimetrico. Vediamo dunque più in dettaglio il principio di funzionamento [13].

Sotto l’azione di un debole campo elettrico i portatori liberi in un semiconduttore sono in equilibrio termico con il reticolo. L’energia guadagnata dal campo viene persa nelle collisioni con i fononi del reticolo. Una volta che il campo elettrico aumenta, l’energia delle cariche libere va oltre il valore che hanno all’equilibrio il che produce deviazioni dalla legge di Ohm. La mobilità ora diventa una funzione del campo elettrico applicato. Se la densità dei portatori è sufficientemente alta, le collisioni interne tra i portatori portano ad un equilibrio interno nel gas (dei portatori) caratterizzato da una distribuzione di energia con una temperatura caratteristica superiore a quella del reticolo. Questo aumento di energia (dei portatori) può anche essere influenzato dall’assorbimento della radiazione incidente e il corrispondente cambiamento della mobilità è una

As implanted area B and P implanted

region

Au- Cr contact pad

Implanted thermometer 15 mm As implanted area B and P implanted region

Au- Cr contact pad

Implanted thermometer As implanted area B and P implanted

region

Au- Cr contact pad

Implanted thermometer

(28)

misura della potenza incidente. Questi principi sono alla base del funzionamento dei bolometri ad InSb che lavorano a 4.2K nei quali gli elettroni svolgono sia il ruolo di assorbitore che di termometro.

Per aumentare la responsività di bolometri di questo tipo devono essere soddisfatte alcune condizioni:

L’assorbimento della radiazione per portatore libero deve essere la più grande possibile La mobilità deve dipendere fortemente dall’energia dei portatori

La conduzione termica tra i portatori liberi e il reticolo deve essere piccola L’InSb è il semiconduttore che più di altri soddisfa tali caratteristiche.

Il tempo di risposta di un rivelatore come questo è determinato dal meccanismo di rilassamento di energia degli elettroni che è breve τr=10-7 sec.

I bolometri ad InSb lavorano in una regione spettrale compresa tra 1cm-300µm che può essere estesa fino a lunghezze d’onda < di 200µm sfruttando la risonanza di ciclotrone con tempo di risposta di circa 3x 10-7 sec. Tali rivelatori mostrano buone prestazioni anche e a 4.2 K ma difficile è la fabbricazione di array.

1.4.4.5 Bolometri superconduttori

Il crollo improvviso della resistenza di un superconduttore alla sua temperatura critica offre un meccanismo per la rivelazione di radiazione nell’infrarosso ed è alla base del principio di funzionamento dei bolometri superconduttori [22] [14]. Più in generale possiamo dire che l’assorbimento di radiazione nell’infrarosso aumenta la temperatura di un metallo e dunque il corrispondente aumento di resistenza genera una tensione ai capi del bolometro proporzionale alla corrente circolante attraverso di esso. Alla soglia, nella regione di transizione normale-superconduttore, vicino alla temperatura critica, la resistenza del superconduttore mostra una forte pendenza per cui un piccolo cambiamento nella temperatura genera un grandissimo cambiamento della resistenza dR/dT come mostrato in Figura 9[21].

(29)

Figura 9: Grafico della Resistenza in funzione della temperatura per un superconduttore.

La curva tratteggiata mostra l'andamento della variazione di resistenza con la variazione della temperatura dR/dT nella zona della transizione.

Esistono molti tipi di bolometro superconduttori limiterò la discussione ai TES (Transition Edge Sensor) la cui temperatura di lavoro è inferiore ad 1K, ed ai bolometri accoppiati all’antenna operanti a T>1K.

1.4.4.5.1 TES

Un bolometro TES (Transition Edge Sensor) [15] consiste in un elemento assorbitore accoppiato termicamente con un sottile film superconduttore, caratterizzato da una temperatura di transizione Tc che costituisce il termometro del bolometro, accoppiato debolmente con un bagno termico alla temperatura T0~Tc. Il TES lavora con una polarizzazione in tensione che permette di raggiungere un punto di equilibrio all’interno della transizione stessa. I rivelatori che utilizzano i TES sfruttano il TES come termometro e la corrente attraverso di esso viene letta mediante uno SQUID (superconducting quantum interference device) che agisce come un amplificatore di corrente a basso rumore. Una grande varietà di TES è stata sviluppata per le più svariate applicazioni. Valori di NEP~ 10-17W/Hz1/2 sono stati raggiunti raffreddando il sistema alla temperatura di 0.25 K con un refrigeratore ad 3He o ancora per esperimenti spaziali si sono raggiunti NEP di 10-18 W/Hz1/2 raffreddando il sistema alla temperatura di 0.1 K con un refrigeratore a diluizione. Bolometri TES di ultima generazione per lunghezze d’onda nel millimetrico e submilimetrico sono definiti bolometro

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leg leg leg

leg----isolatedisolatedisolatedisolated o bolometro TES spiderweb TES spiderweb TES spiderweb TES spiderweb [15], sono costituti da un elemento assorbitore di 1 µm di spessore realizzato con una membrana di LSN (low stress silicon nitride) metallizzata con sensore collocato al centro. Il sensore è un “sandwich” ad effetto di prossimità di Al e Ti con TC∼ 400mK. Con questi rivelatori sono stati misurati NEP=2.3x10-17W⋅Hz-1/2 e τ= 24 ms. Sono stati realizzati array costituiti da 55, 1280 bolometri TES spiderweb per applicazioni astrofisiche come mostrato in Figura 10.

Figura 10: Array di bolometri TES spiderweb.

(a) Array di 55 bolometri TES spiderweb, (b) particolare dei TES, (c) 6 spicchi come quello in figura (a) sono uniti per dare vita ad un array di 330 elementi. Telescopio APEX, U.C. Berkeley.

1.4.4.5.2 Micro bolometri con antenna accoppiata

I microbolometri superconduttori con antenna possono estendere il limite dei bolometri dal range dell’infrarosso a quello del millimetrico [29] [17].

Il principale beneficio di questo tipo di bolometri è che l’elemento termicamente attivo può essere reso molto più piccolo della lunghezza d’onda della radiazione incidente. Questa proprietà risulta di fondamantale importanza nel momento in cui le lunghezze d’onda di interesse si collocano nel millimetrico poiché le dimensioni richieste del bolometro risulterebbero troppo grandi data l’area

(a)

(b)

(c)

(a)

(b)

(c)

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dell’elemento assorbitore. L’aumento delle dimensioni dell’assorbitore implica un aumento della capacità termica e di conseguenza una grande costante di tempo poiché il valore della conduttanza termica G è stabilito dalla sensibilità richiesta nell’applicazione. Nei bolometri accoppiati con un antenna, un sottile film superconduttore è connesso agli estremi dell’antenna che può assumere diverse forme a seconda dell’intervallo di frequenze da rivelare. Tali bolometri risultano essere molto veloci a causa della estremamente ridotta capacità termica. Rientra in questa categoria di rivelatori le cui proprietà verranno discusse più ampiamente nel capitolo successivo il bolometro studiato in questa tesi di dottorato, lo SHAB (Superconducting Hot spot Air-bridge Bolometer). Di seguito riportiamo la Tabella Tabella 5555Tabella Tabella riassuntiva delle caratteristiche principali di alcuni dei rivelatori termici discussi in questo capitolo operanti a temperatura di lavoro T>1k, temperature interessanti per applicazioni dove non sia richiesta una sensibilità troppo spinta come quella necessaria per applicazioni astrofisiche ma interessanti per applicazioni “Terahertz” in ambito medicale e “security”.

Tabella 5 - Caratteristiche tecnologiche di differenti tipi di rivelatori termici a T>1K.

Tipo di bolometro Risposta spettrale Responsività [VW-1] Tempo di risposta τ NEP [W/Hz1/2] Dimensioni [mm2] Termopile (temperatura ambiente) Dipendente da assorbitore generalmente λ<50µm ~10-1 fino a >102 Dipendente dal disegno <10-2 fino a > 10 s 10-9 1 Cella di Golay (temperatura ambiente) Visibile a mm dipendente da finestra 105-106 (commerciale) 15 ms 2x10-10 7 e 20 (commerciale) Piroelettrici (temperatura ambiente) Visibile a mm dipendente da finestra 100-1000 (dipendente da area e frequenza di lavoro) Con adeguato circuito e perdita di responsività <1µs 5x10-10 1-20 ma possono arrivare fino a diverse cenitnaia Bolometri monolitici al Si (4.2K) Sub millimetrico e millimetrico 3x105 30 ms 6.0x10-14 250

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Bolometri InSb (4.2K) 1cm-300µm 5.5x103 <10-6s 4.6x10-13 25 Bolometri compositi (< 1 -2 valore riferito a un bolometro 1.6K ) Sub millimetrico e millimetrico 103fino a 106 40 ms 1.6x10-15 40 SHAB (4.2K) 0.6-1.4 THz Dipendente dall’antenna 103 A/W <10-6s 4.0x10-14 20

Figura

Figura  8:  Schema  di  un  bolometro  monolitico  al  silicio.  Dettaglio  del  sensore
Figura  9:  Grafico  della  Resistenza  in  funzione  della  temperatura  per  un  superconduttore
Tabella 5 - Caratteristiche tecnologiche di differenti tipi di rivelatori termici a T&gt;1K
Figura  12:  Schema  grafico  del  bilanciamento  di  potenza  necessario  per  sostenere la regione resistiva al centro del ponte
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