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CAPITOLO II

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Academic year: 2021

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I N T R O D U Z I O N E

La Provincia è sempre stata, a differenza del Comune, un ente pubblico poco avvertito dalla cittadinanza. Mentre il cittadino comune è quasi costretto a rivolgersi agli uffici comunali per ottenere il rilascio di alcuni documenti indispensabili per lo svolgimento dell’attività quotidiana ed il compimento di determinati atti, anche frequenti, così non è per quanto riguarda gli uffici provinciali dove non è proprio indispensabile recarsi.

A parte questa particolarità, la Provincia, quale ente autonomo, è

sempre stata presente nel nostro ordinamento giuridico, anche se la sua esistenza è sempre stata contrassegnata da un’ambiguità istituzionale

derivante dalla sua creazione originaria come strumento del sistema amministrativo accentrato, tipico del modello napoleonico. Delle Provincie è stato più volte sottolineato il carattere “artificiale”, in quanto, a differenza dei Comuni, storicamente legati a preesistenti comunità naturali, esse

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vennero istituite dalla legislazione sabauda per facilitare lo svolgimento delle funzioni governative nelle circoscrizioni locali.

Dall’anno 2011 la Provincia è caduta nel mirino della classe politica

che sostiene la maggioranza di governo, allo scopo di ridurne almeno gli organi politici al fine di conseguire risparmi sui costi della politica e di conseguenza un alleggerimento del deficit pubblico. Come si vedrà questa operazione, dai risvolti spesso demagogici, ha avuto un significato più simbolico che di effettività reale.

Recentemente è stata emanata la legge 7 aprile 2014, n. 56,

“Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”. Questo testo normativo ha dato un assetto all’istituzione

“Provincia” sia in termini di organi rappresentativi che di funzioni, anche se in maniera provvisoria, in attesa dell’approvazione della riforma

costituzionale che dovrebbe sancire la soppressione dell’ente a livello costituzionale. Questa situazione di transitorietà, preceduta da una un storia piuttosto movimentata dell’ente Provincia, almeno nell’ultimo trentennio, ha

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determinato la realizzazione del presente lavoro che ha come scopo quello di ripercorrere, anche se per grandi linee, le diverse tappe che hanno

contraddistinto la vita di questa istituzione, ponendo una maggiore attenzione alla fase successiva all’entrata in vigore della suddetta legge, caratterizzata dall’intervento legislativo delle Regioni che hanno

disciplinato, in maniera differente fra di loro, il riordino delle funzioni non fondamentali, fino a quel momento esercitate dalle Province, con conseguente attribuzione delle stesse a sé medesime od ad altri enti.

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C A P I T O L O I

L’EVOLUZIONE STORICA DELLA PROVINCIA

1. L’ORIGINE STORICA DELLA PROVINCIA

Il termine “provincia”, se si vuole andare indietro nel tempo, risale all’Impero romano. Le province erano territori conquistati (“pro – victae”)

amministrati da un magistrato (propretore, proconsole) inviato da Roma. La

Provincia, in tale contesto, aveva la natura giuridica di una ripartizione del territorio dell’Impero nella quale gli abitanti non godevano degli stessi diritti di chi aveva la cittadinanza romana 1.

Con la fine dell’Impero romano l’ordinamento territoriale provinciale si modifica notevolmente. Le invasioni barbariche portano alla nascita di

nuove divisioni territoriali (ducati, contee, marchesati) che caratterizzano l’epoca feudale. In tale contesto i singoli feudi non sono sottoposti ad una

1 G. PALOMBELLI La storia istituzionale delle province italiane, da Studi elaborati in occasione del centenario dell’UPI, ottobre 2008.

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diretta autorità statale superiore, ma si propongono essi stessi come signorie, con una forte autonomia rispetto al sovrano comune (Sacro romano Impero o Chiesa).

La forte autonomia permane anche nel periodo comunale in cui sono le “città” che attraggono nella loro sfera di influenza politica ed economica il territorio circostante. Questo stretto rapporto tra la città ed il contado rappresenta uno dei tratti peculiari dell’attuale articolazione territoriale delle Province italiane che, generalmente, si organizzano intorno ad una città capoluogo, che costituisce il punto di riferimento degli interessi che gravitano nel territorio provinciale. Con la lenta ricomparsa dell’autorità statale (intorno alle signorie ed ai principati), le Province riappaiono come divisioni amministrative territoriali, fenomeno che si consolida con la nascita dei moderni stati nazionali.

Prima di continuare il discorso sull’origine storica della Provincia, preme evidenziare una diversità storica fra la Provincia ed il Comune, intesi come enti autonomi. In Italia i Comuni sono sorti nell’XI secolo, in pieno Medioevo. Hanno avuto il loro maggiore fulgore nel XII secolo. Hanno poi conosciuto un periodo di decadenza a partire dal XIII secolo con l’avvento delle signorie. Sono comunque giunti fino all’età moderna e contemporanea

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ed attualmente svolgono una funzione di primaria importanza nella vita politica nazionale.

La Provincia, quale ente autarchico ed autonomo al pari del Comune, nasce molto più tardi e cioè all’inizio dell’età contemporanea. E’ infatti con il periodo napoleonico che la Provincia vede il suo sorgere come ente

autonomo in senso moderno 2.

L’istituzione della Provincia, nella sua concezione contemporanea, si può fare risalire alle riforme introdotte dalla Rivoluzione francese e da Napoleone Bonaparte, in particolare alla creazione dei dipartimenti, concepiti, sia come circoscrizioni di decentramento dell’amministrazione statale, sia come enti autarchici con scopi propri. La reggenza è affidata al Prefetto, che riveste sia il ruolo di rappresentante del governo centrale, che quello di capo dell’Amministrazione provinciale.

In Italia il momento storico, il passaggio determinante dal quale prendere le mosse, è quello dell’unificazione della Nazione, quando il nuovo stato unitario ha dato un nuovo assetto all’organizzazione amministrativa del territorio.

2 L.GAMBI , F. MERLONI (a cura di), Amministrazioni pubbliche e territorio in Italia, II Mulino, Bologna, 1995

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L’assetto territoriale politico dell’Italia unificata deriva in gran parte dall’ordinamento dello stato sabaudo la cui legislazione fu estesa al resto della Nazione al momento dell’unificazione. In base allo statuto albertino del 1948 “ le istituzioni comunali e provinciali e la circoscrizione dei Comuni e delle Province sono regolate dalla legge”. Nella scelta del legislatore del tempo, la deputazione provinciale è presieduta dal Prefetto (organo del governo) ed ha forti poteri di controllo sugli enti ed i livelli amministrativi inferiori(comuni, mandamenti, circondari).

Nel Regno di Sardegna, in origine, la Provincia non esisteva come corpo morale, era solo una ripartizione territoriale del potere statale. Intorno al 1840 nasce la Provincia come ente autonomo perché vi è l’esigenza di organi composti da notabili locali che possano contemperare la forza delle autorità statali nel territorio per controllare meglio l’autonomia dei municipi.

Nel disegno di Cavour si cerca un compromesso tra il modello statale accentrato di origine francese ed il modello autonomico di origine asburgica, attraverso un decentramento del potere statale in cui l’autonomia locale e l’autonomia funzionale (camere di commercio, opere pie, ecc.) non sono

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altro che un aspetto della libertà di azione degli individui sul modello inglese3 .

Nel successivo processo di unificazione si sono confrontate visioni diverse dell’ordinamento territoriale. Da una parte vi erano i “neoguelfi”

(Gioberti) che difendevano le autonomie per evitare la prevalenza dello Stato sulla Chiesa. Dall’altra c’erano i federalisti (Cattaneo) in cui l’esigenza di unificare il Paese si incrociava con una forte volontà di evitare le derive verso lo stato assoluto: il federalismo era strettamente legato ad un’idea di libertà degli individui e delle comunità territoriali storicamente esistenti.

Infine, c’erano i sostenitori dello stato unitario, sia monarchici che repubblicani, i cui rappresentanti erano Cavour, Farini, Minghetti, Rattazzi, Mazzini e Garibaldi, i quali non volevano il federalismo, ma solo il decentramento 4. Come è noto la storia ha decretato il prevalere della visione dello “Stato unitario”. Questo ha facilitato la scelta dell’ordinamento territoriale provinciale, come quello che consentiva meglio di omologare le suddivisioni territoriali precedenti al modello di Stato di origine francese ereditato dalla monarchia sabauda.

3 A.PETRACCHI, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano:storia della legislazione piemontese sugli enti locali dalla fine dell’antico regime al chiudersi dell’età cavouriana, 1770-1861, Neri Pozza , Venezia, 1962.

4 C. MALANDRINO, S. QUIRICO (a cura di) , Garibaldi,Rattazzi e l’unità d’italia, Claudiana, Torino, 2011.

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L’unificazione amministrativa del Paese tra il 1851 e il 1870 è avvenuta attraverso il decentramento nella Provincia dell’assetto dei poteri pubblici dello Stato (prefetti, intendenti, camere di commercio, opere pie) ereditando le suddivisioni territoriali in gran parte esistenti negli stati preunitari, grazie allo studio compiuto da illustri studiosi di geografia e statistica che hanno contribuito a dare una lettura unitaria all’ordinamento territoriale della penisola.

La monarchia sabauda cerca di ricostruire circoscrizioni omogenee a livello provinciale che tengano conto in gran parte delle mappe che storicamente nei diversi stati si erano costruite nel tempo, come era stato fatto per il Regno sabaudo che nel 1836 aveva riorganizzato le oltre 40 province esistenti in 6 nuove divisioni che diverranno le Province sabaude dello Stato unitario.

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2.LA PROVINCIA DOPO L’UNIFICAZIONE

Con la nascita del Regno d’Italia, proclamata il 17 marzo 1861 da Vittorio Emanuele II, primo re dell’Italia contemporanea, il territorio della Nazione è suddiviso in 58 amministrazioni provinciali 5.

Nel contesto del primo stato unitario, la Provincia si caratterizza come ente intermedio tra il Comune e lo Stato centrale, ma soprattutto come sede di decentramento dell’amministrazione centrale, dove la figura del Prefetto, rappresentante del Governo in sede locale, controlla la molteplicità delle istituzioni ereditate dagli stati preunitari 6.

La Provincia è pertanto una creazione del legislatore statale per configurare un anello intermedio fra lo Stato ed il Comune, che riunisce un insieme di Comuni minori intorno alla città più importante (il capoluogo) in modo che dalla periferia della circoscrizione si possa comunque arrivare nel capoluogo e ritornare a casa in una giornata (a cavallo) per sbrigare le faccende che presuppongono il necessario intervento dell’autorità statale.

E’ evidente che le Province del primo regno d’Italia non sono le

“province naturali” degli stati precedenti, ma rispondono piuttosto

5 Cfr. il Sistema informatico storico delle amministrazioni pubbliche al sito http:/sistat.istat.it/sistat/.

6 G. MELIS, Storia dell’amministrazione italiana (1861 – 1993), Il Mulino, Bologna, 1996.

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all’esigenza di accentramento e di uniformità nell’amministrazione che la monarchia sabauda eredita dal modello francese, dando centralità ai Prefetti nel rapporto fra potere centrale e potere locale 7.

E’con la legge comunale e provinciale del 23 ottobre 1859, n. 3702, ancora del Regno di Sardegna, confluita nella legge del 1865 n. 2248 del neonato stato del Regno d’Italia, che si dà un nuovo assetto all’ordinamento provinciale. Dall’impostazione di tale legislazione emerge chiaramente che quello provinciale risulta di gran lunga il livello territoriale preferito dal potere politico centrale, in quanto più omogeneo dal punto di vista del territorio e degli interessi che ad esso fanno capo. L’obiettivo di tale legislazione era anche quello di legittimare l’ordinamento provinciale sabaudo (di origine francese) per fornire una struttura amministrativa uniforme a tutto il paese, facendo divenire la Provincia una grande associazione di Comuni destinata a provvedere alla tutela dei diritti di ciascuno di essi ed alla gestione degli interessi morali e materiali che hanno collettivamente fra loro.

Con la riforma dell’ordinamento provinciale, attuata dalla richiamata legislazione, rimane la storica ambivalenza del termine “provincia” come

7 G. PALOMBELLI , L’evoluzione delle circoscrizioni provinciali dall’unità d’Italia ad oggi, edizione UPI 2008.

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circoscrizione amministrativa dello Stato (sede dei più importanti organi periferici:prefetti, intendenti di finanza, ecc.) e come ente pubblico territoriale (che ha il compito di curare gli interessi di un territorio che comprende più Comuni e di una popolazione più numerosa di quella di un singolo comune). Questo duplice aspetto della Provincia è all’origine della tensione tra il “potere locale” ed il “potere centrale” ed è alla fonte delle tante spinte che porteranno in futuro, sia le diverse comunità locali, sia lo Stato, a richiedere o decidere l’istituzione di nuove Province.

Con la suddetta legge, detta anche comunemente “legge Rattazzi” la Provincia è una ripartizione del territorio del Regno finalizzata al decentramento burocratico di alcune funzioni statali. In ogni Provincia è prevista la presenza di un organo di nomina governativa 8 (che assumerà il nome di Prefetto dal 1861) il quale rappresenta il potere esecutivo (governo) in tutto il territorio della Provincia ed al quale sono attribuite alcune funzioni esecutivo-burocratiche, fra le quali spicca la presidenza del Consiglio del Governo, organo giurisdizionale.

Oltre che istituto di decentramento amministrativo del potere centrale, la Provincia costituisce un “ente morale” con attribuzione di funzioni proprie

8 A. PETRACCHI, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Venezia 1962 , II, pag. 153.

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e dotata di propri organi: il Consiglio provinciale e la Deputazione provinciale. Il primo, eletto dal corpo elettorale residente nel territorio della Provincia su base censitaria; la seconda, eletta dall’organo assembleare nel proprio seno. La Deputazione provinciale è però convocata e presieduta dal Prefetto e cioè da un organo non democraticamente eletto.

Con il trascorrere del tempo, le Province si consolidano come il livello territoriale intorno al quale si articola l’organizzazione sociale, politica, economica del paese e nasce l’esigenza di valorizzarle come corpi morali autonomi e non soltanto come sedi di decentramento statale 9. Il governo provinciale diviene allora il luogo di snodo tra il potere locale e il potere statale anche dal punto di vista rappresentativo. Infatti circa un terzo dei parlamentari è consigliere provinciale e la Provincia ha un sistema di rinnovo parziale che garantisce la continuità politico-amministrativa. Non è infatti un caso che i partiti politici, le associazioni sindacali e imprenditoriali, le diocesi, i vari gruppi di interesse si diano

9 Non vi è solo il caso in cui la creazione di una Provincia sia stata collegata al fatto che vi si ravvisava l’esistenza di un gruppo unitario locale…Tuttavia , per una di quelle vicende ultronee della storia , è pur vero che le Province , create per interessi del governo centrale , hanno finito di assumere una propria fisionomia, anche come gruppi territoriali e sociali. M. S. GIANNINI, Il riassetto dei poteri locali in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1971, pp. 454- 455.

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un’organizzazione strutturata nel territorio quasi sempre a livello provinciale10.

Il primo testo unico comprendente la legge comunale e provinciale, approvato dopo l’unificazione, è il R.D. 20 marzo 1865, n. 2248, “Legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia”, composto di cinque allegati, ed in cui con il primo (l’allegato “A”) si approva la legge comunale provinciale la quale praticamente ripropone le disposizioni del R.D. n. 3702 del 1859 del Regno di Sardegna (Legge Rattazzi).

Successivamente sono stati approvati tre testi unici delle leggi comunali e provinciali, e cioè il R.D. del 10 febbraio 1889, n.5921, il R.D.del 21 maggio 1908, n.269 e il R.D.del 4 febbraio 1915, n. 148 11, che hanno apportato alcune modifiche alla precedente legislazione in materia, comportando una certa evoluzione della Provincia come ente dotato di una limitata autonomia: si espande lentamente l’autonomia locale e si rompe lo stretto collegamento tra la provincia ed il Prefetto, poiché questo perde la presidenza della Deputazione provinciale (R.D. n. 5921 del 1889) , che viene assunta dal Presidente della Provincia, eletto con votazione del Consiglio

10 G. PALOMBELLI , L’evoluzione delle circoscrizioni provinciali dall’Unità d’Italia ad oggi, op. cit..

11 G.SAREDO, Commento alla nuova legge sull’amministrazione comunale e provinciale,UTET, Torino,1889.

A. AMORTH, Le province: Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Neri Pozza, Venezia, 1968.

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dell’ente stesso. Permane uno stretto legame tra i Comuni e le Province disciplinati da un ordinamento comune, che è evidente anche nella legge di municipalizzazione dei pubblici servizi del 1903, nella quale è previsto che i servizi municipalizzati possano essere gestiti anche dalle Province.

Maggiore importanza riveste il R.D. 4 febbraio 1915, n. 148, non tanto per le innovazioni che apportò al momento della sua emanazione, quanto perché alcune sue norme sono giunte fino a noi. Infatti all’indomani della caduta del fascismo le norme di tale testo unico, riguardanti gli organi dei Comuni e delle Province, furono richiamate in vigore, dopo la loro soppressione operata, relativamente agli organi provinciali, con la legge 27 dicembre 1928, n.2962.

3.LA PROVINCIA DURANTE IL PERIODO FASCISTA

A seguito dell’avvento del regime fascista avviene una rottura del primo stato unitario. Già nel 1923 sono istituite le Province della Spezia, di Trieste e dello Ionio. Nel 1924 vengono istituite le Province di Fiume, di Pola e di Zara, portando il numero delle Province a 76, successivamente perdute a causa delle note vicende storiche della seconda guerra mondiale. In conseguenza della scelta del regime di articolare le circoscrizioni territoriali

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dello Stato su due livelli (quello comunale e quello provinciale) con la soppressione delle circoscrizioni dei mandamenti e dei circondari, nel 1927 si aggiungono altre 17 Province, passandosi in questo modo dalle 68 Province del 1870 alle 92 Province del 1931.

Mussolini nel famoso discorso dell’Ascensione, tenuto il 26 maggio 1927, traccia, con una certa organicità, la sua concezione dello Stato e della politica ed indica la direttrici per portare a compimento l’unità del Paese, realizzare la nazionalizzazione delle masse e la difesa della razza, attraverso la lotta ai mali del passato regime. In questa strategia si colloca la politica di incremento demografico, base della potenza militare e della vitalità di un popolo, e l’esigenza di “meglio ripartire la popolazione” e stabilire un più proficuo rapporto tra i “piccoli centri provinciali, abbandonati a sé stessi” e le “grandi città” 12.

Durante il ventennio fascista, con la progressiva compressione delle libertà democratiche, anche il sistema di elezione degli organi degli enti locali fu completamente stravolto attraverso la concentrazione di tutti i poteri in un’unica figura 13. Per quanto riguarda le Province l’operazione fu

12 F.FABRIZI. Le Province: storia istituzionale dell’ente più discusso. Dalla riforma Crispi all’Assemblea costituente, in Federalismi.it Rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, n.13/2008.

13 L.LAPERUTA, A.VERRILLI e S.MINIERI Compendio di diritto degli enti localI, collana Moduli, Maggioli Santarcangelo di Romagna (RN) 2013.

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attuata con l’approvazione della legge ultima citata che previde al vertice dell’amministrazione provinciale la figura del Preside, funzionario di nomina governativa, scelto dal Ministro dell’Interno, che restava in carica 4 anni ed era revocabile in ogni momento. Ad esso erano state attribuite tutte le funzioni precedentemente affidate alla Deputazione provinciale ed al suo Presidente. Il Preside era affiancato da un organismo collegiale, il Rettorato, formato da un numero di componenti, variabile da 4 a 8, anch’essi di nomina governativa, al quale erano attribuite le competenze del disciolto Consiglio provinciale.

Tutte queste modifiche saranno successivamente raccolte in un nuovo testo unico approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, di cui alcune norme hanno disciplinato l’ordinamento degli enti locali anche dopo la caduta del fascismo fino all’approvazione della legge di riforma n.142/1990, che comunque ne ha mantenuto in vita poche norme, definitivamente abrogate dal T.U. 267/2000.

Con la caduta del fascismo (25 luglio 1943) non si provvide immediatamente alla ricostituzione degli organi elettivi degli enti locali, in quanto si era in tempo di guerra e l’Italia si trovò ben presto ad essere divisa in due parti con un conflitto civile in atto. Fu dettata comunque una disciplina provvisoria con il R.D.L. 4 aprile 1944, n.115, con il quale furono

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riproposti i precedenti organi e cioè, per la Provincia, la Deputazione ed il Presidente, ma si demandava al Prefetto il compito di procedere alla loro nomina. Per le Province occorrerà attendere l’emanazione della legge 8 marzo 1951, n.122 per la reintroduzione dell’elettività degli organi. Con quest’ultimo provvedimento, inoltre, la Deputazione assunse l’attuale denominazione di Giunta provinciale.

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CAPITOLO II

LA PROVINCIA NEI PRIMI ANNI DELLA REPUBBLICA

1. IL DIBATTITO IN ASSEMBLEA COSTITUENTE

Con il primo gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione repubblicana che sancisce alcuni importanti principi relativamente all’assetto istituzionale italiano e con specifico riferimento ai rapporti tra lo Stato italiano e gli enti territoriali.

La disposizione fondamentale per inquadrare il rapporto Stato- autonomie è sicuramente l’articolo 5 Cost., il quale testualmente recita: ”La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali;

attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.

Con la citata norma si attua un vero e proprio ribaltamento di valori rispetto al periodo della dittatura fascista, ma anche rispetto al periodo precedente. Il principio autonomista diviene uno dei principi fondamentali

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dell’ordinamento italiano, come parte integrante, dunque, della caratterizzazione costituzionale della Repubblica italiana 14. Tale principio è da considerarsi come norma programmatica che impegna tutti gli organi e gli apparati dello Stato ad ispirarsi ad esso nella loro attività, ma soprattutto impegna il legislatore a tenere sempre nella giusta considerazione i principi del decentramento e della autonomia nel momento in cui dà vita a nuove norme legislative. Talchè si potrebbe tacciare di incostituzionalità un atto legislativo che non rispettasse tali principi.

A questo punto del presente lavoro appare interessante esaminare, anche se succintamente, il dibattito che si svolse in sede di Assemblea costituente su alcuni articoli significativi che definiscono il ruolo e soprattutto la qualificazione giuridica degli enti territoriali, fra i quali, la Provincia fu oggetto di un dibattito piuttosto serrato che arrivò, in alcuni interventi, a metterne in discussione la stessa sopravvivenza o un suo ridimensionamento come ente autonomo, per divenire semplicemente ente autarchico 15. Il modello che ne risultò fu quello di derivazione francese con

14 L. VANDELLI, Il sistema delle autonomie locali, quinta edizione, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 22.

15 La contestazione della provincia è un dato ricorrente nella storia italiana; e non mancò neppure in seno all’Assemblea costituente. Dove, in effetti, in un dibattito fortemente concentrato sulla configurazione e sui poteri del nuovo livello regionale – mentre veniva data per acquisita la consolidata presenza dei comuni – la provincia rimase a lungo assente, per essere recuperata nella fase finale dei lavorori. L.

VANDELLI in “Città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni” Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RN), 2014

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l’esaltazione del potere municipale e la costituzionalizzazione, anche se fino all’ultimo contrastata, delle Province come enti autonomi e circoscrizioni amministrative statali. Nel corso del dibattito costituente, non mancarono momenti di attenzione ad altri modelli, quale quello del self-government britannico, sostenuto, in particolare, da Massimo Severo Giannini, all’epoca autorevole capo di gabinetto del ministro per la costituente, Pietro Nenni 16. Principalmente, dai lavori dell’Assemblea costituente emersero due modelli istituzionali riferibili alle Province: da una parte si auspicava l’eliminazione delle Province intese come “enti autarchici territoriali” in favore della possibile costituzione di consorzi tra Comuni; dall’altra parte si prospettava la configurazione di un ente pubblico di area vasta, costituente un’articolazione territoriale dello Stato e volto principalmente ad esercitare una funzione di controllo governativo uniformante sull’amministrazione comunale. Pur prevalendo formalmente l’indirizzo che mirava a considerare la Provincia come ente autonomo, non mancarono incertezze e ripensamenti, imputabili alla volontà di non equiparare integralmente le Province agli altri enti autonomi della Repubblica ed in particolare ai Comuni 17.

16 M. PERA, Massimo Severo Giannini: il genio dello studioso, la generosità del politica, Senato della Repubblica, Roma, 24 gennaio 2002.

17M.C. ROMANO, Enti locali. Provincia e Città metropolitana, in Diritto on line/Treccani, il portale del sapere, 2014.

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Gli articoli che saranno trattati sono gli articoli, nella loro versione originaria, n. 114 e n. 128.

Nel progetto di Costituzione discusso in Assemblea Costituente, l’art. 114 che fu poi approvato in aula con quel numero, era contraddistinto dal numero 107. Secondo la proposta presentata al “Comitato dei dieci” per lo studio preliminare della riforma regionale dal relatore, on. Ambrosini, nel suo primo progetto, esso recitava testualmente: “ Il territorio dello Stato si riparte in Regioni, Provincie e Comuni.”, con la variante “ Il territorio dello Stato si riparte in Regioni e Comuni.”, nel caso in cui la Commissione avesse deciso di sopprimere le Province come enti autarchici. La formula fu in seguito cambiata in quella del testo originario dell’art. 114. Come vollero successivamente chiarire alcuni deputati (Targetti, Jacini ed altri ), le parole iniziali “la Repubblica” significano “il territorio della Repubblica” , il quale si riparte in Regioni; quello delle Regioni in Province; quello delle Province in Comuni 18.

Nel progetto di Costituzione, presentato dalla Commissione dei 75 19 alla Presidenza dell’Assemblea Costituente il 31 gennaio 1947, l’art. 107,

18 V. FALZONE, F. PALERMO e F. COSENTINO La costituzione della repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori. C. Colombo, Roma, 1954,pag. 210.

19 P. BARILE. Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova, 1972, p.85.

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che come si è già detto, è normalmente indicato come l’antecedente dell’articolo in esame, era ripartito in due commi. Di questi, il primo è stato mantenuto con l’importante modifica dell’inserimento delle Provincie fra Regioni e Comuni, mentre il secondo comma è andato a costituire l’art. 129 Cost., o meglio il primo comma di questo articolo, il cui secondo comma è risultato da un’innovazione, rispetto al progetto, dettata in materia di circondari infraprovinciali 20. Il disposto dell’articolo n. 114 non ha attinenza con il tema del decentramento di uffici e funzioni dei due enti maggiori, cioè dello Stato e della Regione. La divisione in circoscrizioni provinciali e comunali della Repubblica è rilevante anche a tale fine, ma di essa si occupa, sotto tale profilo l’art. 129, ove Comuni e Province sono indicati come circoscrizioni di decentramento statale e regionale. Nell’art.

114 Cost. Comuni e Province assumerebbero una diversa valenza e cioè avrebbero il compito di svolgere delle attività relative ad un decentramento di funzioni e non un decentramento burocratico, essendo quest’ultimo già previsto dall’art. 129. Si tratterebbe dunque di un decentramento per enti territoriali che si attuerebbe con l’attribuzione di funzioni pubbliche ad enti con una competenza territoriale delimitata. Ancora, però, a questo punto del testo costituzionale non si è ancora data una qualificazione giuridica di tali

20G. BRANCA, A. PIZZORUSSO, Commentario alla Costituzione, Zanichelli Bologna, titolo V art. 114, pag 1

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enti. Per conoscerla occorre fare riferimento all’art. 128 che testualmente recita: “ Le Provincie ed i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni.” La norma formula, dunque, un enunciato in cui viene fissato per la prima volta un principio basilare per gli enti locali territoriali e cioè quello dell’autonomia che può assumere diversi aspetti: autonomia di indirizzo politico, autonomia normativa, autonomia nella scelta dei mezzi materiali e giuridici per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Tale autonomia comunque non è priva di limiti in quanto essa può essere esercitata sulla base dei principi fissati dal legislatore ordinario con leggi generali, che ne determinano le funzioni e, secondo una modestissima un’interpretazione di chi scrive, non avrebbe potuto essere altrimenti, in quanto, se le leggi avessero dovuto essere particolari e puntuali, l’autonomia non avrebbe potuto manifestarsi. Se cioè tali leggi, ad esempio, avessero indicato minuziosamente i modi e le forme di svolgimento delle funzioni stesse, privando gli enti assegnatari di tale scelta.

Il dibattito sugli enti locali in Assemblea costituente si concentrò in particolare sul tema della Provincia, affrontando, da un lato il problema della estensione, ad un ente intermedio di livello provinciale, della salvaguardia della garanzia costituzionale, e, dall’altro lato, la questione del raccordo fra

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questa scelta e le decisioni che si andavano assumendo in materia di Regioni.

Quanto al primo punto furono presentati numerosi emendamenti tutti volti ad ottenere l’inclusione delle Provincie tra Regioni e Comuni. In particolare, iniziative in tal senso furono prese dagli onorevoli Jacini, Chieffi, Caroleo, Russo Perez, Veroni, Codignola, Bruni, Romano, Canevari, Canepa ed altri 21.

Vi fu quindi una larga e diffusa reazione contro la decisione della Commissione dei 75 di relegare le Province alla funzione scarsamente qualificante di “circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale” come cercava di fare il 2° comma dell’art.107 del progetto.

Furono presentate numerose proposte. Alcune tendenti a dare già in apertura del titolo V una qualificazione giuridica agli enti territoriali. Altre riaprivano il tema delle Regioni prospettandone l’istituzione da parte di un gruppo di Provincie. Altre ancora tendevano ad esaltare il ruolo essenziale dei Comuni come enti più vicini al cittadino. Tutte queste proposte avevano in comune l’aspirazione di conferire una veste costituzionale all’istituto della Provincia.

Infatti l’on. Ruini esprimendo il suo parere e quello della Commissione

21 La costituzione della repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, pag.. 2400 e segg.

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sulle proposte di modifica, diede per scontata l’accettazione dell’ente Provincia tra Regioni e Comuni, negando in maniera decisa che la Commissione dei 75 avesse voluto riservare alla Provincia – come aveva affermato l’on. Targetti – “ un funerale di terza classe “ 22. La commissione ne aveva voluto fare un momento di “partecipazione alla gestione amministrativa” prevedendo che in ogni caso “nelle Provincie funzionassero giunte nominate dai corpi elettivi”; dovevano, però. essere circoscrizioni di decentramento amministrativo e non più enti autonomi. La fissazione dei loro poteri e dei modi di elezione delle giunte veniva demandata al legislatore ordinario. L’on. Ruini, però, non si prodigò nel difendere questa scelta.

Rammentò invece le considerazioni dell’on. Orlando, il quale aveva osservato come la Provincia si fosse rafforzata dove forti erano i Comuni, identificandosi nel maggiore di questi e raggruppandosi attorno ad esso.

Aveva altresì rilevato come le funzioni storicamente attribuite alle Province fossero esigue, benché si trattasse di enti con uffici solidi e bene organizzati.

Diede risalto all’opportunità di non favorire una tendenza all’accentramento regionale, anzi la Regione doveva nascere dalla collaborazione dei sostenitori delle Provincie.

22 La Costituzione nei lavori, pag. 249 e segg.

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Ci si trovò dunque, di fronte ad una situazione rischiosa: il Presidente della Commissione che aveva redatto il progetto rinunciava a difenderlo.

Solo gli onorevoli Lussu, Devita e Persico presero la parola per sostenere la tesi contraria alla conservazione della Provincia tra gli enti territoriali23. Specialmente il primo volle sottolineare, da un lato, il rischio di una quadruplicazione dei livelli burocratici e, dall’altro lato, il pericolo che conservando la Provincia si venisse a sabotare l’istituenda Regione. “ La Provincia è niente “ egli disse, trovando di lì a poco conforto nei rilievi di De Vita: “ La Provincia espressione dello Stato accentratore, è una creazione artificiale che non corrisponde né ai criteri geografici, né ad esigenze umane.

Credo che nessuno possa seriamente sostenere che la Provincia eserciti funzioni che non possono essere efficacemente esercitate o dal Comune o dalla Regione”24. Ma la maggioranza era decisamente orientata: benché la votazione procedesse per divisione, su richiesta dell’on. Corbino, la Provincia passò e guadagnò la salvaguardia della garanzia costituzionale 25.

Ad un esame attento e retrospettivo del dibattito svoltosi in Assemblea costituente sull’art. 114 non si percepiscono nettamente le reali motivazioni

23 La Costituzione nei lavori, pag. 2421 e segg.

24 La Costituzione nei lavori, pag. 2422.

25 S. BARTOLE, Commentario della Costituzione a cura di G. Branca e A. Pizzorusso, Società editrice del Foro italiano 1985, tomo 1° pag. 102 – 223.

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che portarono ad elevare la Provincia al rango costituzionale. Gli argomenti che Ruini portò in merito alla questione furono soprattutto di carattere storico. Maggiore consistenza ha l’appello, che troviamo frequente, alla necessità di fare della Provincia una vera e propria istanza di autogoverno, o meglio – come disse l’on. Targetti – un “ente autarchico dotato di autonomia di governo”26. In tal senso si espresse specialmente l’on. Chieffi, sostenendo che la Provincia doveva risolversi nella conservazione di un ente autarchico con personalità giudica , cui andava assicurata la rappresentanza elettiva 27. Era la Prefettura che semmai doveva scomparire. In questo dibattito non fu prestata una sufficiente attenzione alle funzioni che si volevano conservare o conferire “ex novo” alle Province. Vi fu in proposito un intervento dell’on.

Romano che insistette per la conservazione degli uffici statali decentrati a competenza provinciale, affermando che la Provincia, in quanto ente, poteva divenire – anche ereditando competenze prefettizie – “ il centro di assistenza sanitaria per la circoscrizione territoriale provinciale” 28. Nonostante in definitiva venisse conservata in capo alla Provincia la qualificazione di ente

26 Ma Targetti affermò anche, esplicitamente, di non vedere la necessità di dire le ragioni che militavano per la conservazione della Provincia. L’andamento della discussione generale sul titolo V e la presentazione degli emendamenti all’art. 107 del Progetto stavano evidentemente a dimostrare che l’intento riduttivo del ruolo delle Province emerso in Commissione dei 75 era stato ormai abbandonato dalla maggioranza, e ritornare sull’argomento poteva forse risultare pericoloso. In La Costituzione nei lavori, pag.2415

27 La Costituzione nei lavori, pag. 2401 e segg.

28 Così l’on. Chieffi, in La Costituzione nei lavori, pag. 2402.

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autarchico e autonomo, non fu sufficientemente affrontato il problema relativo alle funzioni, in generale, che essa dovesse svolgere. Si parlò, come fece l’on. Micheli, di questo ente intermedio come “ente precipuo di coordinamento” auspicando che esso divenisse “ tramite nella pratica esplicazione” delle Regioni, sino al punto di minimizzare la prospettiva della permanenza di un ente autarchico 29.

Si parlò, come fece l’on. Piccioni, che aveva aderito agli emendamenti volti ad inserire la Provincia fra Regione e Comune, dell’esistenza di alcuni servizi particolari che nell’ambito provinciale potevano “trovare una migliore attività funzionale ed esecutiva”. Anzi, benché accennasse alla devoluzione alla Regione del compito di coordinare attività e funzioni provinciali, insistette sulla “diversità delle attribuzioni riservate alla Provincia, rispetto all’elencazione delle materie e delle competenze attribuite alla Regione”. Il che rendeva molto remoto il pericolo che la conservazione della Provincia potesse ostacolare il decollo delle Regioni 30.

Si può, comunque, affermare che nella discussione generale sul titolo V, salvo qualche accenno alle attribuzioni provinciali in materia di

29 La Costituzione nei lavori, pag. 2419 – 2420.

30 La Costituzione nei lavori, pag. 2421.

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assistenza, sanità e servizi ospedalieri 31, il discorso non entrò mai nel dettaglio, anche negli interventi di chi – come gli onorevoli Preti, Colitto e Fabbri32 vedeva nella restaurazione della Provincia un’alternativa, pericolosa e inopportuna, alla vita dell’istituenda Regione. Votato l’articolo in Commissione, gli onorevoli Carboni e Lussu posero il problema della individuazione delle funzioni della Provincia, ottenendo dall’on. Ruini solo risposte generiche, sostenendo che il problema, anche con riguardo alla Regione ed alle attribuzioni reciproche fra i due enti, avrebbe potuto essere affrontato e risolto, se lo si crederà opportuno, negli articoli successivi 33.

Dal dibattito in Assemblea costituente sulla Provincia, che si è tracciato nei punti salienti, si desume che la salvaguardia costituzionale accordata alle Province consiste nel loro riconoscimento di enti territoriali e non ne qualifica la natura delle funzioni da svolgere. Vi sono solo affermazioni che rinviano la qualificazione del ruolo di tali enti, tanto discussi, ai successivi articoli della Costituzione, ma soprattutto alla legge ordinaria 34.

31 Degli on.. Bosco Lucarelli in La Costituzione nei lavori, pag. 2062, Grazi id., pag. 2100 ed Abozzi id., pag.

2126.

32 La Costituzione nei lavori, pagg. rispettivamente, 1963,2105 e 2313.

33 La Costituzione nei lavori, pag.2424-2425. Vedi le successive dell’on. Micheli , id,,pag. 2695.

34 S. BARTOLE, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca e A. Pizzorusso, op. cit.

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L’affermazione per cui “ la Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni“ non può essere letta come una sorta di riconoscimento di una soggettività giuridica storica, e – per così dire – precostituzionale agli enti in discorso. La stessa lunga vicenda che ne ha accompagnato, prima il riconoscimento costituzionale e poi il decollo istituzionale sta a confermare l’esattezza di questa conclusione per quanto riguarda le Regioni. Delle Province si è detto: alla Costituente è stata messa per un certo lasso di tempo addirittura in discussione la loro collocazione fra gli enti dotati di personalità giuridica diversa da quella dello Stato, e solo da ultimo esse hanno riguadagnato terreno. Certamente la scelta finale è da addebitarsi all’accertamento di comunità o aggregati di livello provinciale degni di vedersi attribuita autonoma rilevanza giuridica. E, però, i Costituenti hanno chiaramente dimostrato di non considerare affatto scontata la risposta costituzionale che al riguardo si doveva dare.

Come per le Regioni, la configurazione degli enti territoriali di livello provinciale restava affidata ai poteri conformativi della Costituzione, ed era ed è demandata - per quanto la Costituzione non disponga – alla legge

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ordinaria. Non si può, quindi, parlare di una sorta di giuridica soggettività naturale delle Province 35.

Si può, dunque, affermare che la Costituzione quando dice che la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni sembra avere riguardo all’istituzione di enti territoriali dotati di personalità giuridica distinta da quella dello Stato apparato. Resta, comunque, il fatto che si tratta di un riparto per enti, cui dovrà fare seguito un programma di decentramento la cui definizione e realizzazione è rimessa, nella sua quasi totalità, al legislatore ordinario. In effetti, pure a questo proposito la Costituzione dice molto poco, né vi ragione di ritenere che, per implicito, sia stata in qualche modo costituzionalizzata la situazione venutasi al riguardo a maturare negli anni dell’esperienza statutaria 36.

Continuando a trattare del dibattito in Assemblea costituente, occorre riferirsi all’art. 128 della carta costituzionale che originariamente aveva il numero 121. Il testo dell’articolo è il seguente: “Le Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni.” Nella sostanza si tratta di un rinvio alla legge ordinaria. La sola affermazione contenuta nella norma è

35 Idem come sopra.

36 Sulla quale vedi L. PALADIN, Il territorio degli enti autonomi in Riv. Trim.dir. pubbl. 1961,passim

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quella che definisce le Provincie e i Comuni “enti autonomi”. La norma non figurava nel progetto di Costituzione e fu presentata dal Comitato di redazione come necessario sviluppo della deliberazione dell’Assemblea di conservare la Provincia come ente autonomo37. L’on. Rescigno aveva proposto di definire le Provincie e i Comuni enti “autarchici territoriali”.

L’on. Ruini, per la Commissione, replicò : “ Lei , così , diminuisce la forza di questi enti, poiché autarchia è meno di autonomia….in Italia si è sempre parlato di enti autonomi. Vi è un significato nelle leggi e nelle tradizioni che rimane fermo e al quale io non intendo derogare” 38. L’on. Dominedò diede poi una propria interpretazione dell’autonomia, che l’on. Ruini dichiarò essere stata tenuta presente dal Comitato nel redigere la norma.. Secondo l’on. Dominedò “la Provincia (e quindi anche il Comune) è considerata come persona giuridica e, per ciò stesso, è definita con la formula generale di ente autonomo, che sembra la più appropriata, per il possibile sviluppo futuro del concetto, senza ricadere in terminologie , tipo ente autarchico, che potrebbero fare nascere eventuali perplessità interpretative di carattere restrittivo” 39.

37 V. FALZONE, F. PALERMO e F. COSENTINO La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, op. cit..

38 A.C. pag.5890.

39 A.C. pag.5886.

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L’on. Colitto propose di sopprimere , dopo “leggi” , l’aggettivo

“generali”, considerando difficile stabilire dove finiscono le leggi generali e dove cominciano quelle particolari, e perché principi e direttive si possono ricavare anche da leggi particolari40. Egli rinunziò poi alla proposta, e l’Assemblea votò la parola “generali”, pur senza che la Commissione ne precisasse la portata. Occorre tuttavia rilevare che, nell’intendimento del Comitato di redazione, l' espressione “leggi generali” è stata adottata non in contrapposizione a “leggi particolari”, ma per impegnare il legislatore a una disciplina uniforme per tutte le Provincie e ad una disciplina uniforme per tutti i Comuni, in modo, cioè, che, rispettivamente tutte le Provincie e tutti i Comuni siano posti su di un piede di perfetta uguaglianza di fronte alle leggi dello Stato 41. L’on. Colitto propose anche di aggiungere in fine “e i poteri”.

L’on. Ruini, per la Commissione, spiegò che “evidentemente nelle funzioni sono compresi anche i poteri” 42. L’on. Colitto considerò implicitamente accolta la sua proposta e non insistette a che fosse posta in votazione.

Tuttavia per le Regioni, l’art. 115 dice espressamente “con propri poteri e funzioni”. Ma, dopo la precisazione dell’on. Ruini, non consiste in

40A.C. pag.5885.

41 V. FALZONE, F .PALERMO, F. COSENTINO,La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori op. cit., pag. 233.

42 A.C. pag. 5889.

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ciò la differenza fra l’autonomia della Regione e quella della Provincia e del Comune. La differenza consiste nel fatto che la disciplina dell’ente Regione è dettagliatamente stabilita dalla Costituzione, tantochè il legislatore potrà intervenire solo ove la Costituzione fa ad esso esplicito rinvio; mentre la disciplina dell’ente Provincia e dell’ente Comune, salvo il principio dell’autonomia e le poche norme stabilite negli articoli 129 e 130 (ora abrogati), è rimessa al potere legislativo dello Stato e, limitatamente alle circoscrizioni circondariali e comunali, a quello della Regione 43.

2. LA SITUAZIONE DEGLI ENTI TERRITORIALI NEL PRIMO QUARANTENNIO REPUBBLICANO

Le Regioni, dopo le relative elezioni dei loro Consigli avvenute nel giugno del 1970, hanno cominciato a funzionare con un certo rilento, dovuto anche agli ostacoli frapposti alla loro organizzazione dai Prefetti, ostili al loro funzionamento che sottraeva loro potere, in particolare modo per quanto riguardava il controllo sugli enti locali. Dopo ventidue anni dalla loro previsione costituzionale, questi enti, dotati di poteri legislativi, vedevano la

43 Idem nota 39, pag, 233

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luce, preannunciando una nuova stagione politica fatta di scelte più vicine alle esigenze della popolazione e del territorio. Se poi ciò si sia avverato, è tutto da dimostrare, ma questo tema esula dal presente lavoro.

La prima vera ed organica riforma del sistema di decentramento autonomistico previsto dall’art. 5 della Cost. vedrà la luce con l’approvazione della legge 8 giugno 1990, n. 142 “Ordinamento delle autonomie locali”, e cioè dopo 42 anni dall’approvazione della carta costituzionale.

Non si può quindi affermare che i governi, che si sono succeduti nel tempo, dopo il 1948, abbiano avuto particolarmente a cuore il problema del decentramento autonomistico, nel senso di volere varare una riforma ordinamentale organica degli enti che ne costituiscono l’espressione.

Si sono soltanto avuti interventi legislativi di conferimento di funzioni agli enti locali, specialmente nei confronti dei Comuni. Per quanto riguarda l’entità del conferimento stesso, merita al riguardo menzionare il D.P.R. 24 luglio 1977, n.616, che ha operato un notevole trasferimento di funzioni, già di competenza statale, alle Regioni, alle Province e soprattutto ai Comuni, oltre alla delega di funzioni amministrative. In particolare alla Provincia sono state trasferite le funzioni di carattere programmatorio, quasi

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a volere anticipare (ma non credo che ciò fosse nell’intenzione del legislatore) la riforma che sarà attuata con la legge n.142/90. Infatti, in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, “ La Provincia, nell’ambito dei piani regionali approva il programma di localizzazione dei presidi sanitari ed esprime il parere sulla delimitazioni territoriali di cui al quarto comma del precedente articolo.” (art. 33 del d.p.r. 617/1977). Ma le vengono attribuite o trasferite anche funzioni di amministrazione attiva come in materia di polizia amministrativa concernente le attività di competenza. (art.

9 d.p.r. 616/1977). Od ancora, sempre in materia di polizia amministrativa, le funzioni attinenti la sospensione temporanea della circolazione sulle strade per motivi di pubblico interesse ( art. 66 d.p.r. 616/ 1977).

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CAPITOLO III

LE RIFORME DEGLI ENTI LOCALI DEGLI ANNI ‘90

1. LA RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI

Il riconoscimento degli enti locali operato dal testo costituzionale del 1948 non ha comportato, fino agli anni 90, una corrispondente adeguata legislazione di attuazione. Le norme fondamentali per il funzionamento delle Province sono rimaste, fino all’emanazione della legge n. 142/90, il T.U. del 1934 ed il T.U. del 1915, marginalmente modificati nel corso del tempo, che niente avevano in comune con il rinnovato spirito democratico introdotto dal Costituente. Basti pensare alla sopravvivenza, fino all’attuazione delle Regioni nel 1970, del controllo esercitato dal Prefetto sugli atti degli enti locali. L’inadeguatezza della legislazione di riferimento si è acuita con l’istituzione delle Regioni ordinarie, che ha reso ancora più evidente la mancanza di norme concernenti i rapporti con il governo regionale, l'insufficienza delle circoscrizioni territoriali rispetto al decentramento delle funzioni, le anacronistiche forme di collaborazione tra gli enti e, per quello

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che più ci interessa, la indeterminata collocazione delle Province 44. In questo contesto si sviluppò un serrato dibattito sulla riforma delle autonomie locali, dal quale scaturirono progetti di riforma elaborati da studiosi e dalle Università, oltre a progetti di legge presentati alle Camere dai parlamentari in rappresentanza dei diversi partiti. In tale dibattito il futuro aspetto delle Province subì alterne prospettazioni che andarono dalla previsione di una loro soppressione in conseguenza dell’avvento delle Regioni, che in molti casi avevano previsto forme diverse di allocazione delle funzioni di vasta area (comprensori, circondari, associazioni), ad un mutamento del loro ruolo, e, in alcuni casi, in una rivitalizzazione della loro funzione.

In quest'ultimo senso pare si sia indirizzata la riforma introdotta con la legge 8 giugno 1990, n.142 (Ordinamento delle autonomie locali). Prima di affrontare questo tema appare opportuno segnalare i punti qualificanti di questa riforma che riguardano indistintamente tutti gli enti locali e che possono essere così sinteticamente indicati:

- Attuazione concreta, dopo 42 anni di attesa, dei principi contenuti negli articoli 5, 118 e 128 della Costituzione, con definizione in modo organico del ruolo istituzionale e delle funzioni delle autonomie locali;

44 L. VANDELLI, Il sistema delle autonomie locali, quinta edizione, op. cit, pag. 28

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- Riconoscimento per la prima volta dell’autonomia statutaria che assumerà successivamente rango costituzionale con la relativa riforma del 2001. Il Consiglio dell’ente approva, con una procedura aggravata, un testo normativo che stabilisce il funzionamento dell’ente stesso (norme fondamentali per l’organizzazione dell’ente, attribuzioni degli organi, ordinamento degli uffici e dei servizi, forme di decentramento, accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi);

- Individuazione dei tre principali organi: Consiglio comunale o provinciale, Giunta, Sindaco o Presidente della Provincia. Il primo rappresenta l’organo di indirizzo politico e di controllo, cui sono affidate determinate tipologie di atti. Il secondo è l’organo esecutivo che dispone di una competenza residuale per tutti gli atti non espressamente attribuiti agli altri organi. Il terzo, infine, rappresenta l’ente, convoca il Consiglio e la Giunta, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici, nonché all’esecuzione degli atti.

Nella disciplina della legge di riforma il Sindaco ed il Presidente della Provincia erano eletti ancora dai rispettivi consigli;

- Affidamento al Comune, senza specificazione, di tutte le funzioni che riguardano la popolazione e il relativo territorio. Alla Provincia, invece, sono attribuiti compiti di programmazione e significative funzioni amministrative;

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- Incentivazione degli accorpamenti dei piccoli Comuni e delle forme associative tra gli enti locali, prevedendo anche l’istituzione delle Città metropolitane in alcune aree metropolitane ad alta intensità demografica e a rilevante integrazione fra centro e periferie, con trasferimento a questi nuovi enti delle funzioni esercitate sullo stesso territorio dalle Province;

- Rafforzamento dei rapporti fra le Regioni e gli enti locali, sia attraverso la concreta allocazione di funzioni, sia incentivando le procedure di programmazione, le forme di associazione e di collaborazione e la revisione delle circoscrizioni, sia per quanto riguarda i controlli sugli atti che venivano limitati ad alcuni tipi, mentre quelli sugli organi venivano compiutamente disciplinati;

- Previsione delle diverse forme in cui possono essere esercitati i servizi pubblici locali45;

- Responsabilizzazione degli organi burocratici degli enti con la previsione contenuta nell’art. 53 della legge, che testualmente stabilisce al comma 1:

“Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio deve essere chiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica e contabile, rispettivamente del responsabile del servizio interessato e del responsabile di

45 L. LAPERUTA, A.VERRILLI e S. MINIERI Compendio di diritto degli enti locali op. cit. pag. 25.

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ragioneria, nonché del segretario comunale o provinciale sotto il profilo di legittimità. I pareri sono inseriti nella deliberazione.”, aggiungendo al comma 3 che “I soggetti di cui al comma 1 rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi”, introducendo in tal modo un istituto nuovo:

“la responsabilità da parere”, che appare un po’ singolare in quanto derivante da un atto amministrativo di natura consultiva anche se obbligatorio. Si tornerà su questo argomento.

In questo contesto l’istituzione “Provincia”, di cui, nei due precedenti decenni, in un mutato assetto politico-istituzionale dovuto all’attuazione delle Regioni ordinarie, si era discusso dell’utilità , riceve una riqualificazione ed una rivitalizzazione di non trascurabile rilevanza, tanto da essere definita dall’art. 2, comma 2, della legge in esame, anche se incidentalmente, “ente locale intermedio fra comune e regione” che “cura gli interessi e promuove lo sviluppo della comunità provinciale” a cui spettano funzioni proprie, oltre che funzioni attribuite o delegate da leggi statali e regionali.

La legge n.142/90 assegna alla Provincia un nuovo ruolo, attribuendole funzioni programmatorie (art. 15), di amministrazione attiva e di gestione in un’ampia serie di materie, con particolare riferimento al territorio e all’ambiente. Le funzioni di gestione indicate dall’art. 14,

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comma 1, comprendono i vecchi settori di intervento previsti dalla precedente legislazione e altri nuovi, assunti tra le attività delegate dalle Regioni, mentre altri ancora ( i servizi sanitari attribuiti dalla legislazione statale e regionale) sono del tutto nuovi46.

Nell’attribuzione delle funzioni, la legge in esame ha introdotto il criterio della “competenza integrata”, che consegue al sistema, in gran parte adottato, di svolgimento da parte delle autonomie locali di funzioni che impegnano anche lo Stato, le Regioni ed altri enti in diverso modo, a seconda della loro ampiezza territoriale e della loro importanza istituzionale.

In questo quadro gli ambiti di azione delle Province vanno individuati facendo ricorso al criterio previsto dall’art. 14 che è quello territoriale. In base al comma 1 di detto articolo “spettano alle province le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardano vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale”. Lo stesso comma di seguito elenca i settori di intervento di attività dell’ente. Mentre il comma 2 del medesimo articolo introduce, con spirito innovativo, un nuovo compito che l’Amministrazione provinciale dovrà svolgere “in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi”, consistente nella promozione e nel

46 E. MAGGIORA, L CAMARDA, G. DAINESE, A. MAZZANTI , L’ordinamento provinciale, Giuffrè, Milano.

2006

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coordinamento di attività nonché nella realizzazione di opere “di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo”. Prevede infine il comma 3 che “la gestione di tali attività ed opere avviene attraverso le forme previste dalla presente legge per la gestione dei servizi pubblici”.

La più rilevante novità per la Provincia, introdotta da questa legge, appare comunque l’attribuzione ad essa di compiti di programmazione. La relativa disciplina è contenuta nell’articolo 15 in cui si rinviene la particolare vocazione programmatoria dell’amministrazione provinciale che comporta lo svolgimento di importanti compiti di raccordo, verso l’alto nei confronti della Regione, attraverso l’assemblaggio ed il coordinamento delle proposte avanzate dai Comuni in materia di programmazione economica, territoriale ed ambientale regionale (lett. a) e verso il basso nei confronti dei Comuni, attuando il coordinamento della loro attività programmatoria (lett. c). La Provincia assume così il ruolo di organismo autonomo di programmazione, capace di adottare propri programmi pluriennali di sviluppo ed il piano territoriale di coordinamento. Da sottolineare, inoltre, che la Provincia ha assunto la natura di ente a fini generali ed, in quanto tale, ha il potere di intervenire per l’attuazione, la soddisfazione ed il coordinamento degli interessi delle collettività presenti sul territorio che possiamo definire di

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vasta area che essa stessa rappresenta. Ciò può avvenire in tutti i settori di interesse locale prescindendo dallo svolgimento di attività a carattere autoritativo. Praticamente la Provincia svolge al riguardo funzioni non previste dalla legislazione di riferimento che la dottrina definisce funzioni libere.

Per sintetizzare e concludere si può affermare che la legge n.142/90 tende a valorizzare il ruolo della Provincia nel panorama dell’assetto delle autonomie locali, conferendole la caratteristica di ente intermedio destinato al raggiungimento di scopi di natura generale, con lo svolgimento di precipui compiti di programmazione, incentivazione e coordinamento dell’attività degli altri enti locali in un sistema tendente a rendere efficace l’esercizio delle funzioni di vasta area47.

2.LA RIFORMA DEL SISTEMA ELETTORALE

Una tra le più importanti riforme degli anni 90 è stato il riordino del sistema elettorale comunale e provinciale attuato dalla legge 25 marzo 1993, n.81 che ha previsto:

47 L VANDELLI Il sistema delle autonomie locali op. cit. pag. 93.

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1) l’elezione diretta, da parte del corpo elettorale, dei Sindaci e dei Presidenti delle Province, con sistema a doppio turno per le Province e i Comuni con più di 15.000 abitanti e sistema a turno unico per gli altri Comuni;

2) l’elezione dei Consigli secondo sistemi differenziati fra Province, Comuni maggiori e Comuni più piccoli, tali comunque da assicurare la stabilità delle maggioranze e da realizzare il collegamento con il candidato Sindaco o Presidente della Provincia;

3) l’attribuzione dei poteri di nomina e di revoca degli assessori, dei dirigenti e dei rappresentanti in enti, aziende o istituzioni al Sindaco e al Presidente della Provincia48.

Le innovazioni al quadro politico-istituzionale degli enti locali apportate dalla legge sono rilevanti. Per quanto riguarda la Provincia, ma anche per il Comune, è la prima volta che la normativa prevede l’elezione diretta da parte del rispettivo corpo elettorale dell’organo monocratico di vertice dell’ente. Ciò comporta l’acquisizione di una maggiore rappresentatività di tali organi ed un loro maggiore peso politico nella conduzione dell’amministrazione dell’ente di riferimento, determinato anche dal conferimento di poteri di rilevante importanza, come la nomina e la

48 E. MAGGIORA, L. CAMARDA, G. DAINESE, A. MAZZANTI, L’ordinamento provinciale, op. cit.

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