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In altre parole, che cos’è, nello specifico, che distingue l’Odissea o il Don Chisciotte dall’articolo di giornale o il trattato di economia o di politica?

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Academic year: 2021

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3. P

OETICA E STILE

Per quanto riguarda la poetica di Arthur Machen, risulta di vitale importanza lo studio del testo di teoria letteraria dell’autore, Hieroglyphics, pubblicato nel 1902. Altrettanto importante, come vedremo, sarà l’analisi dell’apparato paratestuale, dato che nelle introduzioni alle sue opere Machen riporta spesso alcune idee al riguardo.

In Hieroglyphics, mediante l’invenzione di un «eremita letterario», che non è altro che l’alter ego dell’autore, Machen cerca di rispondere ad alcuni quesiti fondamentali: qual è la differenza tra la vera letteratura e il semplice materiale da lettura?

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In altre parole, che cos’è, nello specifico, che distingue l’Odissea o il Don Chisciotte dall’articolo di giornale o il trattato di economia o di politica?

La differenza, ci dice Machen, è senz’altro intuitiva, eppure il lettore comune non sarebbe in grado di spiegarla. E, andando piú nello specifico, e considerando un periodo e una nazione ben determinati, perché The Pickwick Papers può considerarsi «letteratura» mentre Vanity Fair no?

La risposta, come ci spiega l’eremita, sta in una sola parola: estasi. Se                                                                                                                

1 Cfr. A. MACHEN, Hieroglyphics, Grant Richards, London 1902, pp. 8-10. Machen distingue tra fine literature e reading matter. Come farà piú avanti lo stesso autore, da ora in poi userò il termine letteratura nel senso di «letteratura nel senso piú puro e alto del

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questa è presente, ci troviamo di fronte a un’opera che può essere considerata letteratura; se è assente parliamo semplicemente di un testo da leggere, per quanto possa esser scritto con abilità. Ma che cos’è esattamente l’estasi per Machen?

Substitute, if you like, rapture, beauty, adoration, wonder, awe, mystery, sense of the unknown. All and each will convey what I mean; for some particular case one term may be more appropriate than another, but in every case there will be the withdrawal from the common life and the common consciousness which justifies

my choice of “ecstasy” as the best symbol of my meaning

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.

Mettendo in pratica questo criterio, possiamo dividere gli scritti di tutti i tempi e di tutte le nazioni in ciò che è letteratura e ciò che non lo è: nel primo gruppo troviamo pertanto opere come l’Odissea di Omero, l’Edipo di Sofocle, Gargantua e Pantagruel di Rabelais, il Don Chisciotte di Cervantes e The Pickwick Papers di Dickens, mentre il secondo gruppo include non solo trattati politici e articoli di giornali, ma anche testi comunemente considerati

«letterari» come Vanity Fair di Thackeray, le opere di Jane Austen e Die Leiden des jungen Werthers di Goethe.

Nella sua argomentazione, l’autore approfondisce la questione, mettendo bene in risalto come non si tratti d’una mera questione di gusti: un’opera può piacerci immensamente, può interessarci, può farci commuovere o divertire senza che questa possa considerarsi letteratura e, viceversa, può non piacerci o sembrarci noiosa fino all’inverosimile l’Odissea, ma ciò non toglie che si tratti di letteratura.

                                                                                                               

2 Ibidem, p. 11.

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In termini semplici, la letteratura vera, com’è appunto intesa da Machen, è caratterizzata da un allontanamento dalla vita di tutti i giorni e, pertanto, dall’estasi. Ne consegue che la letteratura dev’essere un’allegoria, e non la riproduzione attenta e precisa di personaggi comuni nella vita di tutti i giorni.

E con una serie di domande retoriche controbatte a chiunque difenda l’opinione opposta alla sua:

Is the story of Ulysses, in any accepted sense of the phrase "faithful" to life as we know it? Is it "faithful," that is to say, with the fidelity of Jane Austen, of Thackeray, of George Eliot, of Fielding? Is there anything in our experience answering to the episodes of the Lotus-Eaters, Calypso's Isle, the Cyclops' Cavern, the descent of the Goddess? Is the "reflection" even a reflection of Homer's own experience? Had he escaped from the cave under the belly of a ram? Had he been in the world of one-eyed giants? Were his friends in the habit

of talking in hexameter verse?

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E conclude il ragionamento aggiungendo un’altra opera al primo gruppo summenzionato: «If fine literature must be faithful to life, then “Kubla Khan”

is not fine literature; which, I think we may say, is highly absurd»

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.

Perciò Vanity Fair appartiene al secondo gruppo – a ciò che non è letteratura – semplicemente perché Thackeray non si allontana mai dalla vita di tutti i giorni, perché non fa altro che fotografare ciò che vede – sebbene sia un fotografo intelligente, abile e divertente – e perché, in altre parole, non troviamo nel suo romanzo l’estasi: «he never leaves the street and the highroad to wander on the eternal hills, because he does not seem to be aware that such

                                                                                                               

3 Ibidem, p. 33.

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hills exist»

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.

L’autore non deve descrivere le cose che vedono i nostri occhi, ma deve cercare di riportare quelle verità universali che non sono accessibili a tutti, ma che possono essere percepite, solo da alcune persone, attraverso un’esperienza semi-mistica, che corrisponde a ciò che Machen chiama estasi. Queste verità universali non possono essere espresse con parole precise, con un linguaggio atto a descrivere gli oggetti materiali, ma solo attraverso «geroglifici», di cui è costituita la vera letteratura.

Questa posizione anti-realista di Machen, contraria al rappresentare le cose cosí come sono o come si percepiscono, sembrerebbe pertanto spiegare, almeno in parte, perché all’inizio della sua carriera decida di scrivere racconti del soprannaturale: rappresenta un semplicissimo e ovvio tentativo di allontanarsi dalla realtà quotidiana e d’introdurre quindi l’estasi. Ma, evidentemente, l’autore gallese era ancora agl’inizi, e pertanto non sembra essersi reso conto di produrre il genere di opere che in un certo qual senso avrebbe poi criticato proprio in Hieroglyphics, come ad esempio The Strange Case of Dr. Jeckyll and Mr. Hyde di Stevenson.

Ma è necessario fare un passo indietro. Secondo il nostro eremita, ogni libro è costituito di quattro elementi: l’Idea, la trama, la costruzione e lo stile. Il primo tra questi è quello che al momento c’interessa maggiormente, e che viene definito come: «the thing of exquisite beauty which dwells in the author’s soul, not yet clothed in words, nor even in thought, but a pure emotion»

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. Per creare letteratura sono necessari tutt’e quattro questi elementi,                                                                                                                

5 Ibidem, p. 44.

6 Ibidem, p. 78.

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mentre The Strange Case of Dr. Jeckyll and Mr. Hyde si può considerare tale solo per quanto riguarda la concezione, e non l’esecuzione. Il divario che separa la concezione di un’opera e la sua realizzazione è una questione che Machen affronta anche in Far Off Things, riassumendola nella frase «He dreamed in fire; he has worked in clay»

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.

Tradotto in termini pratici, il problema dei racconti del soprannaturale è che hanno a che fare, in genere, con qualche tipo di mistero che, una volta risolto, fa perdere l’interesse per la storia che viene proposta. E parlando di Jekyll e Hyde, Machen argomenta:

I expect that when you read it, you did so with breathless absorption, hurrying over the pages in your eagerness to find out the secret, and this secret once discovered, I imagine that “Jekyll and Hyde” retired to your shelf––and stays there, rather dusty. You never opened it again? Exactly

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.

Per tornare all’argomento principale, la decisione di Machen di scrivere racconti del soprannaturale, se da un lato è un modo per allontanarsi dalla realtà e muoversi verso l’estasi, porta con sé anche un’altra conseguenza, cioè che questi racconti dopo la prima lettura diventano molto meno interessanti e misteriosi. Invece, i libri che possono essere considerati letteratura si possono leggere moltissime volte, se non all’infinito: Machen ammette di leggere The Pickwick Papers una volta l’anno e il Don Chisciotte una volta ogni tre anni.

Definisce questi libri eterni, universali, e i loro personaggi non rispecchiano le persone che vediamo normalmente nella vita quotidiana ma sono dei simboli.

Come emerge anche dalle pagine dell’autobiografia, Machen è sempre                                                                                                                

7 A. MACHEN, FOT, p. 94.

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stato capace d’imitare lo stile degli autori che in qualche modo lo colpivano.

Abbiamo già accennato alla sua passione per la lingua inglese del Seicento, che cominciò a imitare e a usare per i suoi scritti (fino addirittura all’opera di finzione The Chronicle of Clemendy) dopo aver scoperto il poeta Robert Herrick (1591-1674). Il passaggio a uno stile piú moderno sembra essere avvenuto nel 1889, come afferma lo stesso Machen nell’introduzione all’antologia The House of Souls (1906):

It was somewhere, I think, towards the autumn of the year 1889 that the thought occurred to me that I might perhaps try to write a little in the modern way. For, hitherto, I had been, as it were, wearing costume in literature. The rich, figured English of the earlier part of the seventeenth century had always had a peculiar attraction for me. I accustomed myself to write in it, to think in it; I kept a diary in that manner […]

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.

Inizia a scrivere articoli e racconti per alcuni quotidiani londinesi, e necessariamente passa a uno stile piú moderno. Ma con le opere scritte fino al 1895 Machen non trova ancora uno stile che possa definirsi davvero suo:

l’influenza di Robert Louis Stevenson, sia nello stile e sia nei contenuti, è piuttosto evidente, soprattutto testi come “The Lost Club” – che s’ispira evidentemente a The Suicide Club dell’autore scozzese – e “The Novel of the White Powder”, il cui elemento centrale è lo stesso di The Strange Case of Dr.

Jekyll and Mr. Hyde. Quest’ultima «storia» (nel testo fonte viene detta novel) fa parte di The Three Impostors, una serie di racconti interconnessi tra loro, alla maniera di The New Arabian Nights di Stevenson; dopo la loro pubblicazione, Machen fu criticato e definito un imitatore di Stevenson di                                                                                                                

9 A. MACHEN, The House of Souls, p. vii.

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basso livello. La critica fu accettata, e Machen cercò di rimediare, affermando:

«I will never give anybody a white powder again»

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. Pertanto cercò di ripartire da zero, iniziando un processo che lo portò alla tormentata creazione di un’opera diversa da quelle che aveva scritto prima: The Hill of Dreams. Al centro del testo ora mette la solitudine e l’allontanamento dall’umanità, cercando forse di riavvicinarsi – attraverso un’altra via – all’estasi, a quell’allontanamento dalla realtà che caratterizza la letteratura vera. Riproduce perciò una condizione che Machen ben conosceva, visto che a Londra era stato per molti anni solo in mezzo a molti, una condizione che però era necessaria per la creazione di un capolavoro, come dice in Hieroglyphics: «real literature has always been produced by men who have preserved a certain loneliness of soul, if not of body»

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. Nell’introduzione Machen lo definisce «a ‹Robinson Crusoe› of the soul», spiegando:

I would take the theme of solitude, loneliness, separation from mankind, but, in place of a desert island and a bodily separation, my hero should be isolated in London and find his chief loneliness in the midst of myriads and myriads of men.

His should be a solitude of the spirit, and the ocean surrounding him and dissociating him from his kind should be a spiritual deep

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.

Una solitudine che sarà evidente, e che Machen descriverà a lungo, in Far Off Things, e non a caso The Hill of Dreams è la piú autobiografica tra le sue opere.

Nell’introduzione summenzionata emerge a chiare lettere anche un ultimo                                                                                                                

10 A. MACHEN, The Hill of Dreams, Alfred A. Knopf, New York 1923, p. vi.

11 A. MACHEN, Hieroglyphics, p. 196.

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aspetto, e cioè la difficoltà per Machen di scrivere il libro che davvero vorrebbe scrivere. Per tornare alla terminologia usata in Hieroglyphics, sente spesso di non essere in grado di rendere concreta l’Idea che gli si è presentata.

Una volta terminato il libro, sente – sin dagl’inizi della sua carriera – che non è quello che avrebbe voluto scrivere. Nell’autobiografia traduce questo tormento in un’immagine poetica:

There was a wild sunset, scarlet and green and gold, and as it were, gardens of Persians roses, far in the evening sky. I stood by an old twisted oak, and thought of my book [The Anatomy of Tankards] as I would have made it, and sighed, and so went home and made it as I could

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.

 

                                                                                                               

13 A. MACHEN, FOT, p. 126. The Anatomy of Tankards è il titolo originale di quello che sarebbe poi diventato The Anatomy of Tobacco.

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