1. 1 Contesto normativo
L’evoluzione normativa, avvenuta negli ultimi trentanni a livello nazionale in materia sanitaria e sociale e a livello regionale (dalle Leggi Regionali n. 78/1979, n. 13/ 1980, n. 55/1982, n. 56/1994, n. 5/1996 alla L.R. 11/2001), ha come unico filo conduttore la centralità della persona umana.
Questa centralità obbliga le istituzioni a tutti i livelli a perseguire obiettivi di salute/benessere/qualità della vita in senso globale.
Il modello di welfare della Regione del Veneto, finalizzato ad assicurare livelli essenziali ed uniformi di assistenza sanitaria e socio sanitaria in tutto il territorio regionale ed alla realizzazione di un sistema integrato di erogazione dei servizi sociali e ad elevata integrazione socio sanitaria, mediante la gestione unitaria dei servizi sociali in ambiti territoriali omogenei, si caratterizza per:
< l’integrazione delle politiche sanitarie, sociosanitarie e sociali;
< l’integrazione istituzionale dei soggetti istituzionali e dei soggetti sociali (integrazione delle responsabilità);
< l’integrazione operativa tra servizi sanitari, tra servizi sanitari e sociosanitari, tra quest’ultimi e quelli sociali;
< l’alleanza tra soggetti erogatori pubblici e privati.
Il Decreto Legislativo 229/1999, di riforma del servizio sanitario nazionale, prima e la Legge 328/200, Legge quadro sul sistema integrato di interventi e servizi sociali, hanno riproposto il problema della gestione unitaria dei servizi sociali e sociosanitari: Regioni e Comuni sono chiamati ad individuare percorsi per meglio organizzare i servizi nel territorio e garantire una efficace attuazione dei livelli essenziali di assistenza.
La Regione del Veneto ha inoltre affrontato il principio disussidiarietà, principio contenutoà nell’art. 118 della Costituzione, sia nei rapporti con gli Enti locali, sia nei rapporti con i soggetti non profit, in armonia con quanto prefigurato e condiviso nella Legge 328/2000.
Dal principio di sussidiarietà discende il concetto fondamentale di solidarietà, come dovereà sancito dalla Costituzione italiana, e di responsabilità come valorizzazione della capacità e della creatività personali. Quindi valorizzazione del Terzo Settore (organizzazioni di volontariato,e associazioni di promozione sociale, cooperative sociali, fondazioni, enti di patronato, imprese sociali) e di altri Soggetti privati (enti di confessione religiosa, associazioni di categoria ed imprenditoriali ecc.), definiti come soggetti attivi nella progettazione e realizzazione degli interventi e servizi sociali.
L’approvazione della Legge 328/2000 ha assunto una precisa funzione di riordino e di aggiornamento delle responsabilità e delle modalità programmatorie e gestionali dei servizi sociali.
Le linee di forza che essa ha introdotto e che dovranno trovare una declinazione locale si possono così sintetizzare:
• concentrare l’attenzione dal portatore di un bisogno specifico e particolare alla persona nella sua totalità e completezza;
• passare dall’ottica della prestazione sociale disarticolata all’ottica del progetto, alla persona nella sua globalità;
• passare dalla centralità del servizio, o dell’operatore, alla centralità dell’utente, con i propri bisogni, proprie domande e strategie;
• stimolare le esperienze di solidarietà locale per passare da un concetto di azione diretta dell’ente pubblico al principio di “regia” dell’ente pubblico in un panorama di nuovi attori, verso la costruzione di una rete per la lettura e la risposta ai bisogni.
Dopo l’emanazione della Legge 328/2000, lepolitiche sociali hanno assunto il ruolo dii politiche universali, non rivolte solo ai cittadini in stato di disagii o, ma alla generalità degli individui in quanto:
< il cittadino non è solo utente;
< le famiglie non sono solo portatrici di bisogni;
< la rete dei servizi non ha un approccio riparativo;
< l’assistenza non è solo sostegno economico.
Lo stesso sistema dei servizi è progettato e realizzato a livello locale:
< prevedendo un sistema allargato di governo, più vicino alle persone;
< promuovendo la progettualità verso le famiglie;
< promuovendo la partecipazione attiva di tutte le persone
< valorizzando le esperienze e le risorse esistenti, compresa l’offerta del no-profit e profit;
< assicurando livelli essenziali in tutte le realtà territoriali.
Questi orientamenti trovano nel territorio e nella comunità locale la dimensione cruciale per la definizione e l’implementazione delle politiche sociali.
La prospettiva è quindi quella di un sistema sociale che passi da un welfare assistenziale a un welfare delle responsabilità condivise; da un’offerta settoriale a una offerta di interventi rivolti alla persona e alla famiglia: una politica sociale che accompagni l’individuo e la famiglia lungo il percorso della vita sostenendo le fragilità, la promozione di capacità individuali e le reti familiari, la costruzione di “comunità” favorendo la cittadinanza attiva e le iniziative di solidarietà organizzata.
Tutti i livelli di governo, Regione, Comuni, comunità locali, associazioni, soggetti non-profit, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, concorrono a formulare, realizzare e valutare le politiche sociali.
La Conferenza dei Sindaci in attuazione del principio della sussidiarietà e del principio della concertazione, riconosce e favorisce il ruolo attivo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, impegnati in azioni sinergiche nell’ambito della programmazione, organizzazione e gestione del sistema integrato degli interventi.
Gli obiettivi di politica zonale possono infatti essere efficacemente perseguiti con il positivo coinvolgimento di tutti i soggetti della comunità locale, il volontariato, l’associazionismo, le imprese sociali, gli enti religiosi, gli altri soggetti solidaristici che operano nel sistema locale di welfare, le imprese.
La valorizzazione delle diverse responsabilità è un principio che la L. 328/2000 pone a fondamento delle politiche sociali partecipate, non solo per garantire maggiore legittimazione alle scelte e maggiore condivisione delle risorse necessarie per la loro attuazione, ma come sostanziale applicazione del principio che l’intera comunità è chiamata a rendersi responsabile del proprio sviluppo, in una logica di sussidiarietà e di condivisione delle responsabilità ai diversi livelli Per questo la concertazione è vista non solo come strategia di valorizzazione dei diversi soggetti attivi nelle politiche sociali, ma anche e soprattutto come condizione strutturale e strategica per facilitare l’incontro delle responsabilità e delle risorse disponibili del territorio, da investire nei traguardi definiti dalla programmazione.
La Regione del Veneto con DGRV n. 3702 del 28 novembre 2006 ha approvato le Linee Guida di indirizzo per la predisposizione dei Piani di zona per superare l’attuale situazione non omogenea che ha determinato fino ad oggi la presenza di piani di zona con temporalità diverse e molto poco omogenei fra di loro, quindi difficilmente confrontabili/valutabili.
La programmazione è un processo continuo che accompagna, costantemente, i processi di sviluppo locale dei servizi e le linee di indirizzo prodotte a livello regionale.
Questa impostazione necessita dell’attivazione di processi di valutazione costanti, presenti in tutti i momenti di sviluppo dell’attività programmatoria regionale e, dunque, la logica valutativa deve accompagnare anche la costruzione dei nuovi piani di zona.
Le Linee guida pertanto precisano alcune indicazioni per supportare il lavoro di costruzione dei piani e per rendere i successivi processi di valutazione più utili al governo dei progetti sia a livello di singola Azienda Ulss che a livello regionale.
Nello specifico le Linee guida definiscono una struttura del piano configurando uno schema tipo per la costruzione del documento elencandone gli ambiti prioritari quali: il contesto socio economico locale di riferimento, i bisogni della comunità, l’offerta dei servizi, le risorse impiegate,
le priorità di intervento, gli obiettivi e azioni prioritarie, l’individuazione dei costi e relative fonti di finanziamento, il sistema di responsabilità, il monitoraggio e le modalità di valutazione.
1.2. Gli obiettivi del piano di zona nel territorio dell’Ulss7
Il Piano di zona dei servizi alla persona e alla comunità è lo strumento fondamentale attraverso il quale i Comuni associati negli ambiti territoriali coincidenti con quelli delle Aziende U.L.S.S., di concerto con le medesime Aziende e con il concorso di tutti i soggetti attivi nella progettazione e realizzazione possono disegnare il sistema integrato di interventi e di servizi alla persona con riferimento agli obiettivi strategici, agli strumenti e alle risorse da attivare.
L’obiettivo che pertanto si propone il Piano di zona è consolidare e sviluppare il “benessere” di un territorio, di una comunità.
Alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi, provvedono gli organi istituzionali e intervengono i soggetti della società civile.
Il Piano di zona dell’Azienda Ulss 7 persegue quindi i seguenti obiettivi:
- favorire la formazione di sistemi sociali integrati, promuovendo risorse di solidarietà e di autoaiuto;
- responsabilizzare i cittadini e le strutture nella programmazione, nella co-progettazione e nella verifica dei servizi;
- qualificare la spesa con un impiego coerente delle risorse finanziarie e con l’adozione di procedure efficienti di spesa e di controllo della stessa;
- promuovere iniziative di formazione e altre azioni di sistema per consentire la crescita delle competenze professionali delle risorse umane impegnate della promozione e nell’attuazione del Piano di zona, ma anche per supportare la costruzione di una struttura organizzativa dedicata e coerente con il complesso di azioni da realizzare;
- consolidare e stabilizzare, all’interno del sistema sociale, le esperienze innovative ed i servizi sperimentali che hanno dato esiti positivi;
- consolidare, attraverso intese progettuali, i rapporti istituzionali fra Comuni, Azienda Ulss, Scuola, Terzo Settore.
In questa logica di integrazione, il Piano di zona si raccorda anche con gli altri Piani e Programmi attuativi locali dell’Azienda Ulss 7, quale strumento di programmazione generale per l’attuazione degli obiettivi socio sanitari regionali in coerenza con gli obiettivi di salute specifici definiti dalla Conferenza dei Sindaci.
Il Piano diventa altresì occasione di programmazione sociale condivisa delle Amministrazioni Comunali in quanto strumento necessario, non solo per una migliore conoscenza della nostra comunità, ma utile per evidenziare i punti di forza e le criticità sulle quali lavorare per rendere concreto e condiviso “lo stare bene” per il singolo cittadino, in particolare partendo dai soggetti più deboli.
Il Piano di zona, inteso come strumento dinamico, può quindi diventare, sempre di più espressione di un nuovo modo partecipato di fare politica sociale, garantendo risposte sociosanitarie globali, unitarie e concertate ai bisogni dei singoli, delle famiglie, dei gruppi e delle comunità locali.
1 3. Le scelte strategiche
Il presente Piano di zona si propone di favorire le seguenti scelte strategiche.
1. l’ Integrazione sociosanitaria, intesa come sistema integrato la cui qualità dipende anche dal livello di integrazione con i servizi sanitari.
L’integrazione fra ii servizi sociali e i servizi sanitari fino ad arrivare alle diverse politiche che influenzano il benessere e la socializzazione, sono un punto trasversale alla L.328/2000 che in più punti ne sottolinea l’importanza strategica.
Il Piano di zona quale strumento di programmazione di politiche locali, può rappresentare una vera opportunità per realizzare l’integrazione in una logica di concertazione fra soggetti diversi con pari dignità, che condividono una metodologia per leggere i problemi e bisogni del territorio e per affrontarli con scelte programmatorie assumendo una logica interistituzionale, che va al di là del proprio specifico ambito territoriale.
2. i Livelli essenziali delle prestazioni per i quali il Piano di zona assume un significato determinante, per la loro definizione in termini di assistenza socio sanitaria e di quelli delle prestazioni sociali da garantire in un dato territorio;
Il Piano di zona è quindi chiamato a rispondere in termini generali ai principi e alle finalità indicate negli articoli 1 della Legge 328/2000, e dell’articolo 22 della stessa, dove si individuano i servizi essenziali che, coordinati con le priorità dei Piani (nazionali e regionali), devono costituire per il piano di zona i punti di riferimento per offrire ai cittadini un sistema sociale che sostenga e promuova le responsabilità e risponda, in prima istanza, ai bisogni delle fasce fragili della popolazione.
3. l’ Accesso unitario ai servizi e la Valutazione integrata dei bisogni: l’accesso alle prestazioni va reso unitario, senza costringere le persone e le famiglie a percorsi tortuosi e per tentativi. Vanno realizzati punti unici di accesso ai servizi sociali, sociosanitari e sanitari, con scelte zonali idonee a ottimizzare le risorse disponibili; la stessa valutazione del bisogno sociale e sociosanitario va garantita in modo unitario dal Comune e dall’Azienda Ulss, a livello distrettuale, tramite l’Unità valutativa multidimensionale distrettuale.
4. le Politiche per la famiglia: alla famiglia viene riconosciuto un ruolo prioritario, perché è aa nella famiglia che si scopre il valore della vita unitamente al valore del “prendersi cura”, riconoscendola come soggetto erogatore anche di prestazioni sociali. La famiglia quale prima cellula della società, prima istanza per l’attività anche assistenziale, soggetto attivo del sistema integrato di interventi.
La famiglia è destinataria e soggetto di politiche sociali, doppia valenza che chiede al Piano di zona azioni finalizzate per sostenere le responsabilità educative e i carichi di cura delle famiglie, il sostegno alle situazioni di crisi e di conflittualità, il contrasto alla povertà familiare, l’aiuto reciproco tra famiglie.
5. il Pronto intervento sociale: l’attuazione del pronto intervento sociale previsto dalla L.328/2000 chiede di individuare le risposte da garantire in ambito Ulss e su scala più vasta, in modo da sviluppare una sistematica e tempestiva capacità di fronteggiare le emergenze personali e familiari.
6. l’attenzione alla politiche di prevenzione sociale: i fenomeni sociali emergenti interrogano i soggetti istituzionali e sociali sulla loro capacità di attivare interventi, progetti, azioni volti a prevenire le nuove forme di disagio operando preventivamente sulle cause che possono determinare il malessere. La famiglia, gli adolescenti, i giovani e la comunità diventano pertanto soggetti sui quali porre l’attenzione per identificare anche forme nuove di intervento da parte dei servizi e delle politiche territoriali.
1.4 Partecipazione e governance
Il presente Piano si connota rispetto al piano del triennio precedente nell’obiettivo generale di aumentare la partecipazione e di favorire processi di governance
Partecipare deriva dal termine “parte”, il cui etimo significa “generare”.
La partecipazione è quindi un processo dinamico, che dà vita, che fa crescere;per tale motivo non può darsi per scontata, ma anzi obbliga tutti coloro che la “abitano” ad interrogarsi costantemente sul suo significato e le ricadute che essa comporta.
In questa cornice si è sviluppato il lavoro di predisposizione di questo Piano di zona dei servizi alla persona, quale percorso di efficace integrazione socio sanitaria e sociale territoriale attraverso un’azione tesa a favorire il coinvolgimento e la massima partecipazione delle varie organizzazioni, ognuna con le proprie unicità e specificità, orientate all’individuazione di obiettivi condivisi, unendo gli sforzi per tradurre le progettualità in azioni che promuovano una reale politica di integrazione.
Il Piano di zona rappresenta uno strumento per la definizione di una responsabilità condivisa, nel rispetto delle singole competenze che consente di usare al meglio le risorse degli enti pubblici e del privato sociale.
Oramai è assolutamente impensabile credere che la sola amministrazione pubblica sia portatrice di tutte le istanze sociali ed abbia pieno controllo e la piena valutazione della situazione e dei bisogni dei cittadini.
Il processo decisionale in sistemi complessi come il territorio che comprende i ventotto Comuni dell’UlLSS 7 passa necessariamente attraverso una serie di interazioni, rapporti, reti dove ogni snodo della rete ha solo una visione parziale e questo vale per ogni comune, ogni distretto, ogni singola organizzazione del territorio.
Il passaggio che si sta delineando è quello da un processo decisionale unidirezionale a un sistema più complesso formato da più attori, dove ognuno diventa anello di una catena.
Il salto di qualità sta proprio in questo: realizzare un processo decisionale, una “governance”, basato sulla compartecipazione alle scelte e sulla fiducia reciproca dei soggetti pubblici e privati presenti su un territorio.
“Governance”significa governare per progetti, condividendo la programmazione con una rete di soggetti.
La governace integra, elimina i gap e le sovrapposizioni esistenti e riallinea gli attori verso un obiettivo comune.
I processi di programmazione, realizzazione e valutazione del piano di zona possono favorire la costruzione di un ’welfare locale’, fondato su un’attenta lettura delle specificità territoriali e su una rinnovata capacità di attivare sistemi di protezione sociale.
La sfida oggi aperta dalla necessità di espandere il numero di beneficiari delle misure di intervento sociale oltre le categorie tradizionali alla luce dei nuovi bisogni e delle molteplici domande, richiede di spostare l’attenzione sui reali risultati attivati dalle politiche locali.
L’esperienza dei piani di zona ha consentito, rispetto al passato, l’elaborazione e la condivisione di progettualità specifiche e ha favorito l’emergere di pratiche collettive di elaborazione programmatoria.
Oggi la collaborazione con il terzo settore non si ferma alla stipula di forme di parternariato ma si allarga a comprendere la definizione più possibile congiunta e concorde degli obiettivi di policy.
Il nuovo scenario del welfare locale richiede pertanto un deciso passo in avanti: le nuove competenze di natura strategica riguardanti il coordinamento di una pluralità di attori, la definizione di obiettivi collettivi, la scelta delle priorità, la valutazione dei interventi complessivi, diventano fondamentali.
Nell’ambito del nostro territorio la strada è aperta, ma richiede ancora energie per poter continuare a mantenere elevata la dinamica innovativa.