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Andrea Zanlari - Basso Medioevo t ra piacere della t avola e diet a salutista

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Academic year: 2022

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Indice

1 LA MENSA DI FEDERICO II DI SV EVIA ...3

2 LA VARIEGATA CUCINA MEDIEVAL E ...6

3 LA CONSERVAZIONE DEL CIBO NEL MEDIOEVO ... 10

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA ... 11

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1 La mensa di Federico II di Svevia

Accanto ai disagi politici delle popolazioni, e forse proprio a causa di questi, il Basso Medioevo è stato anche un’epoca in cui lo scambio di idee sulla cucina, tra occupanti ed occupati, si è presentato intenso e produttivo. Al punto da rendere difficile ri conoscere – anche nelle linee generali – chi abbia fornito il contributo maggiore al progresso generale dell’alimentazione. A volte, considerando un brodetto, un intingolo o un dolce riferito – spesso con qualche forzatura – all’XI o al XIII secolo, non è facile individuare la sua naturale origine, tanto allora si era già avviata nella Penisola una sorta di spontanea globalizzazione della tavola. Una cosa è però certa. In questi secoli si è creata la struttura della cucina italiana, pronta ad essere esaltata, come vedremo, in periodo rinascimentale, per assumere un’importanza di livello europeo, paradossalmente prima ancora di essere diventata nazionale.

Tra i protagonisti del Basso Medioevo, capaci di connotarne le vicende e la cultura, emerge Federico II di Svevia: uomo di governo, legislatore, protettore delle lettere, delle arti, della nascente scienza; e altrettanto interessante quale anfitrione e buongustaio. Giovanni Villani1 (1280-1348), quasi un contemporaneo, molto vicino alla Curia romana, nella sua Cronica ebbe a dire di lui: «Fue dissolute in lussuria in più guise... in tutti i difetti corporali volle abbondare, e quasi vita epicurea tenne, non facendo conto che mai fosse altra vita». Se si considera che l’Imperat ore Svevo fu, un irriducibile nemico dei Papi, almeno quanto i Papi furono suoi nemici, non meraviglia che, accanto agli epiteti di crudele, miscredente, e filoarabo, ci siano stati anche quelli, più facili da recepire, di gaudente, erotomane e goloso. Federico II era cacciatore appassionato e ottimo falconiere, tanto da poter scrivere il libro De arte venandi cum avibus2 , dedicato alla materia,

1 Giovanni Villani fu uno dei più conosciuti cronisti dell’Europa

medievale. Scrisse la Cronica che rimane tutt’oggi uno dei documenti più importanti della cultura dell’Italia del Trecento.

2 Sull’arte di cacciare con gli uccelli è considerato ancora oggi il più importante trattato di falconeria di tutti i tempi.

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ancorché ricco di annotazioni scientifiche e gastronomiche. Di conseguenza, amava discutere di culinaria e gustare la selvaggina in buona compagnia.

La letteratura siciliana del periodo si presenta costellata di trattati dedicati alla cucina:

alcuni attribuiti allo stesso Imperatore, tutti certamente ispirati da lui tra il 1230 e il 1250. Degno di menzione è il Liber de coquina, un rigoroso trattato suddiviso in capitoli sul modello dei più evoluti manuali dietetici. Dalle sue pagine emerge la personalità contraddittoria dell’Imperatore Svevo, dibattuto tra i piaceri conviviali e le preoccupazioni per la salute; con dizionato altresì dalla fascinosa mensa ereditata dai Normanni, ben radicata nel territorio e aperta agli influssi arabi3. Da allora, alcune specialità orientali hanno lasciato il segno nella storia della gastronomia italiana: tra queste il marzapane, i canditi, i confetti, la cassata, il torrone. Secondo il costume medievale, Federico II offriva i pranzi nelle sue tante domus solaciorum, paragonabili agli attuali casini per la caccia, più prosaicamente alle ville al mare. Le messinscena erano sempre spettacolari; ma solo la presenza di scienziati e letterati, assieme agli uomini della sua Curia, comportava allestimenti memorabili.

Il cuoco di Corte, Mastro Berardo, era abilissimo nel preparare pietanze ricercate all’insegna dei colori, delle forme e dei profumi. Accanto a lui fu introdotta nelle cucine la figura del siniscalco, inteso allora come un maggiordomo, specializzato nel tagliare i bottini di caccia. A seconda delle stagioni la tavola era dominata dal giallo dello zafferano, dal rosso delle melagrane, oppure dalle piacevolezze agrodolci delle prugne, dei pinoli e dell’uva passa. Durante il banchetto sapori, profumi, suoni, teatro e danza dovevano essere capaci di sollecitare tutti i sensi4 . Nei banchetti i piatti venivano serviti osservando una particolare sequenza, quasi un rituale.

L’insalata e la frutta, simbolo della naturalezza, venivano servite all’inizio; non come norma di

3 Cfr. in proposito Martellotti, Anna, Ricettari di Federico II. Dal

“Meridione” al “Liber de coquina”, Firenze,

4 Un concetto questo ricorrente nella cultura gastronomica, perché risponde ai desideri dell’uomo fin dall’antichità; anche se ancora in Epoca Moderna è a volte abusivamente presentato come una scoperta. Si confronti a proposito il paragrafo di riferimento su “La cucina futurista”.

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igiene alimentare, ma per preparare degnamente lo stomaco ad accogliere le successive delizie.

A questo proposito è interessante notare come tante abitudini salutari, oggi consigliate dai dietologi, erano in passato prescritte, oltre che dalle norme religiose, da canoni estetici o da consuetudini prossime al rito profano. Seguivano le altre portate, sempre molto assortite, i n modo da soddisfare le preferenze di ogni singolo convitato. All’Imperatore piacevano la selvaggina allo spiedo e i colombi che venivano spalmati di miele prima di essere passati alle brace assieme ad erbe aromatiche. Gradiva anche i pesci, con preferenza per quelli pescati nel Lago di Lesina, un piccolo bacino lacustre di acqua salmastra tra il Tavoliere delle Puglie e il promontorio del Gargano.

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2 La variegata cucina medievale

Il nutrimento di una famiglia variava a seconda che abitasse in pianura, in collina, in montagna, ovvero nella zone di mare, in prossimità di porti, sulle grandi direttrici del traffico. Una diversificazione questa che accomunava le classi indigenti, la piccola borghesia e il personale subalterno delle Corti anche più illustri5. In montagna la base dell’alimentazione erano le castagne, consumate appena raccolte cotte nell’acqua o sulle brace, ovvero seccate e ridotte in farina come scorta per l’inverno. Nei periodi di crisi le classi più povere erano costrette a mangiare le ghiande, altrimenti destinate ai porci. In pianura a farla da padroni sulla tavola di tutti i giorni erano i legumi, in prevalenza i ceci e le fave, assieme al frumento e ad altri cereali a seconda delle possibilità di coltivazione. Variava invece da luogo a luogo il modo di cucinare gli stessi prodotti, come dimostrano svariate ricette riferite al pesce: un alimento povero, consumato da tutti. Ancor oggi, dopo che sono stati stampati migliaia di ricettari con possibilità di scelte e confronti, non esistono due località rivierasche affacciate sul Mediterraneo che, onorando con orgoglio le vecchie ricette, cuociano allo stesso modo una zuppa di pesce, se non addirittura una semplice sogliola in graticola.

Moltissime pietanze, intingoli, condimenti di vario genere che appaiono ancor oggi sulle nostre tavole sono di origine medievale; o, se di origine ancor più antica, sono stati esaltati all’inizio del Secondo Millennio. Le alterne vicissitudini, tra calamità di vario genere, avevano creato povertà ma anche molti ricchi – come le autorità municipali, i proprietari terrieri e i facoltosi mercanti – che erano disposti a pagare lautamente cuochi, provviste, prodotti alimentari esotici.

Nel Medio Evo i cibi erano ancora cucinati sul fuoco vivo, dato che i primi fo rnelli inizieranno ad apparire molto più tardi; circostanza questa che impediva di raggiungere la cottura ideale

5 Cfr. Montanari, Strutture di produzione e sistemi alimentari nel medioevo, in Montanari, Flandrin (a cura di), Storia dell’alimentazione, p.

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delle vivande, e limitava non poco la creatività dei cuochi. Accanto ad un enorme assortimento di minestre, eredità delle precedenti economie rurali, sulle mense più raffinate c’erano – pur con denominazioni differenti a seconda delle regioni, spesso dei paesi – i brodetti, i ravioli, le lasagne, le passati di verdure e di legumi. Le carni cucinate in pentola trovavano ampio spazio con gli stracotti, i salmi, i gallinacei accompagnati da sughi molto appetitosi. Non mancavano gli arrosti, che riguardavano soprattutto il pollame e le parti pregiate di bovino precedentemente sbollentate in acqua per ammorbidirle. E ancora le paste farcite, le torte e i pasticci in crosta, gustoso accostamento tra la pasta esterna dolce e il ripieno salato, nei quali gli animali rinchiusi interi lasciavano gradatamente il posto alle meno eccentriche ma più pratiche carni disossate. I pesci consentivano ai cuochi di aprire la fantasia con invenzioni impensabili nei precedenti secoli, quando erano considerati un alimento per i poveri e mangiati semplicemente lessati o arrostiti6. Un altro elemento caratteristico della cucina basso medievale era l’uso delle salse leggere, prodotte a base di frutta ed erbe aromatiche talvolta insaporite con l’aggiunta di succhi acidi, usando come leganti mollica di pane, pane abbrustolito, farine, mandorle o uova. Con il tempo, questi condimenti iniziarono a essere profumati alla moda orientale con miscele di spezie – coriandolo, pepe, zenzero, chiodi di garofano... – sempre più diffuse per effetto dei rapporti commerciali con il Paesi del Mediterraneo Orientale7. Certe salse, divenute spesso l’elemento distintivo di una determinata cucina, potevano a volte risultare utili per nascondere cattivi sapori imputabili al deterioramento dei generi alimentari trattati. Anche se sarebbe troppo riduttivo ricondurle solo a questa poco nobile finalità. C’era l’agliata per la carne, l’agliata per il pesce, la salsa verde di erbe aromatiche per il bollito, la salsa d’uva, quella di prugne secche. La salsa carmelina era a base di mandorle, cannella, chiodi di garofano. La salsa nera era a base di pepe, aceto e agresto;

la salsa gialla, di zenzero e zafferano.

6 Ivi, pp. 218-219.

7 Si legga a proposito il bellissimo saggio Plouvier, Liliane, Vennero poi le spezie, e insaporirono la cucina europea, Ferniot, Le Goff (a cura di) La cucina e la tavola. Storia di 5000 anni di gastronomia , Dedalo, Bari 1987, pp.

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Diffusa era l’abitudine di accostare alle pietanze complementi dal gusto differente: una specie dei nostri contorni, la chiara volontà di creare nuovi sapori e rendere i piatti maggiormente equilibrati da un punto di vista nutrizionale. Tra questi meritano di essere ricordate le mostarde, termine, derivato da mustum ardens che appare per la prima volta in un testo francese del 1288 per indicare il mosto d’uva reso ardente, cioè piccante, attraverso l’aggiunta di grani di senape finemente macinati. Ne derivava un intruglio, che univa alla piacevolezza la possibilità di conservare a lungo generi alimentari facilmente deteriorabili, quali la frutta e gli ortaggi. Il mustum originario medievale non era nemmeno il progenitore delle attuali moutarde francesi e dalle mostarde italiane, entrambi di creazione settecentesca. Le prime sono una miscela di spezie, alcune considerate di origine officinale, variamente dosate assieme alla senape; le seconde sono ottenute mediante la cottura di frutta e zucchero con l’aggiunta di olio di senape, servite solitamente con lessi e formaggi. Parallelamente allo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni i generi caseari, fino a quel momento anonimi, rivolti a pochi clienti locali, iniziarono ad acquisire le caratteristiche del prodotto tipico, un passo essenziale per svilupparne la produzione, destinata ad incrementare nei secoli successivi.

La migliore qualità e la precisa connotazione consentiranno ai formaggi di entrare nelle mense più prestigiose, e da qui decollare verso un più vasto consumo qualificato come dimostra un episodio accaduto presso la Corte Sveva di Palermo nell’Anno del Signore 1209, quando giunse Costanza d’Aragona, per essere condotta all’altare da Federico II di Svevia, allora Re di Sicilia. Qui la nuova Regina tra gente sconosciuta, diffidente, e per giunta accanto ad un marito inesperto, dieci anni più giovane di lei, fu colta da una profonda depressione. Dopo vari consulti, i medici della Scuola Salernitana le consigliarono di curarsi con lo zafferano: una spezia costosissima, universalmente apprezzata, ma troppo dolce per incontrare il suo gradimento. Al fine di convincerla ad assumere l’originale medicina, il marito fece allora produrre da un caseificio di Enna del formaggio pecorino impastato, appunto, con ricche dosi di zafferano. Né sortì un ottimo formaggio destinato presto a diffondersi tra la società bene della regione, e ancor oggi oggetto di un selezionato commercio. Piacevole al punto da essere chiamato Piacentino, un nome che non

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ha nulla in comune con la città emiliana. Solo per completare l’originale racconto, può essere interessante notare che oggi, dai rossi stimmi dello zafferano, sono ricavati alcuni prodotti naturali che posso aiutare a combattere nervosismo, stress, difficoltà di concentrazione

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3 La conservazione del cibo nel Medioevo

Nel Medioevo i generi deteriorabili, e in particolare le carni, erano di preferenza consumate fresche. Le tecniche di mantenimento, alcune delle quali applicate in embrione fin dall’Età Preistorica ed Egizia, si stavano perfezionando, ma ancora molto si poteva fare con i mezzi a disposizione. Nelle residenze gentilizie iniziarono a comparire le ghiacciaie: caverne ricavate nei sotterranei delle rocche o dei palazzi, dove il fresco era garantito dalla neve accumulata durante i mesi invernali e pressata a contatto delle celle. In mancanza di luoghi naturali adatti, nei cortili delle campagne e negli orti cittadini venivano costruite delle fosse ricoperte di terra e di neve, isolate da vari strati di pagliericcio. L’ambiente creato era sufficiente per affrontare la stagione estiva e le possibili emergenze in caso di guerre o carestie. Un’abitudine che fu protratta nelle campagne fino al secolo scorso per mantenere i vini e i cibi a temperatura costante. Oltre alla refrigerazione, per la conservazione delle carni furono sviluppati gli antichissimi metodi di essiccamento e la salatura, quest’ultima riservata ai prodotti più pregiati per effetto dell’elevato costo della materia prima necessaria. Le nuove sperimentazioni si rivelarono presto tali da fornire risultati sorprendenti. Un esempio è rappresentato dai salumi di maiale, la cui produzione ha iniziato da questo periodo ad andare ben oltre la semplice tecnica per il mantenimento di un prodotto che non può essere consumato fresco. Per la conservazione delle verdure, si preferiva la cottura e il riposo nell’aceto: sistemi entrambi studiati e messi a punto presso le cucine delle Corti, che dovevano predisporre con largo anticipo le portate destinate ai banchetti con centinaia di commensali.

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Bibliografia consigliata

• Montanari, M., Flandrin J-L, (a cura di), Storia dell’alimentazione, Laterza, Roma-Bari 2003.

• Plouvier, Liliane, Vennero poi le spezie, e insaporirono la cucina europea,

Ferniot, Le Goff (a cura di) La cucina e la tavola. Storia di 5000 anni di

gastronomia, Dedalo, Bari 1987.

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