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LIDO. ISOLA D ORO. speciale a cura di CINZIA BOSCOLO PIETRO LANDO FRANCO TAGLIAPIETRA

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Academic year: 2022

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Breve storia del Lido di Venezia

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el Lido, e più precisamente di Metamauco, l’attuale Ma- lamocco – posto in direzione sud dell’isola –, ci parlò già Tito Livio descrivendo un territo-

rio sul mare, collegato alla terraferma dal fiume Brenta, usato come via commerciale da e per Padova. Qui trovarono rifugio gli abitanti dell’entroterra durante le invasioni barbariche e qui vi era una stazione di sosta del Percorso dei Sette Mari, una sorta di tracciato che collegava Altino a Ravenna, passando attraverso barene e tratti di terra- ferma, usato soprattutto dai bizantini in al- ternativa alla più pericolosa ed esposta via Annia. Malamocco fu sede del dogado dal 752 all’811 e i primi dogi – con i titoli con- feriti da Bisanzio, come ad esempio i p a t o s, che significa console – vi si trasferirono da Eraclea. Il borgo subì molte trasformazioni

nel corso dei secoli; venne ricostruito in gran parte dopo l’inonda- zione del 1107 e nuovamente in seguito alle distruzioni operate dai genovesi nel 1379, durante la guerra di Chioggia. Recenti scavi hanno messo in luce importanti reperti che attestano la presenza, nell’antico centro di Malamocco, di una fornace e di una casa-fondaco sull’area oggi occupata dal cosiddetto Palazzo del Podestà, sede di un piccolo museo che raccoglie frammenti di cerami- che, preziose testimonianze del pas- sato ritrovate nelle aree di scavo.

A San Nicolò, nella parte nord del Lido, vi abitava una piccola comunità di pescatori e ortolani, raccolti attorno a un oratorio e al- le prime strutture di difesa costruite con sabbia e palizzate in legno.

Dopo il Mille, il doge Domenico Contarini cedette ai Benedettini quest’area che verrà bonificata e col-

tivata a vigneto. Venne costruita una chiesa di tipo esarcale, a tre navate e cripta, dedicata a San Nicola, vesco- vo di Myra (città della Licia), le cui

reliquie erano arrivate al Lido dopo la prima Crociata. Successiva- mente, l’intera zona di San Nicolò verrà protetta da mura e strut- ture difensive che nei secoli a seguire saranno allargate e consolida- te. Al loro interno, nel corso del Seicento, si edificherà la nuova chiesa che prenderà il posto della precedente, la cui navata super- stite è ancora apprezzabile all’interno del monastero di San Nicolò.

Quest’angolo del Lido così ricco di storia e memorie, dove ogni anno si celebra la festa dello Spo- salizio del Mare, costituiva quel-

la parte dell’isola che si affacciava sulla principale via d’accesso a Ve- nezia a cui, ovviamente, il governo dedicava particolare attenzione, essendo stato anche il luogo dove sostavano crociati, cavalieri e pel- legrini in partenza per la Terra Santa.

Nel corso del Cinquecento, quando la paura di un’invasione ot- tomana, dopo la caduta delle più importanti isole dell’Egeo su cui Venezia aveva fondato i centri com- merciali del Levante, diventava una realtà sempre più probabile, tutta l’area venne ulteriormente protetta, compresa l’isola di fronte dove si co- struì il Forte di Sant’Andrea, gran- diosa opera di Michele Sanmicheli.

Il Lido, data la sua posizione, man- tenne per secoli la funzione di difesa di Venezia e della sua laguna. Le strutture militari più antiche sono state distrutte ma, ancor oggi, forti, batterie e i recenti bunker, affiorano tra canneti e siepi di rovi lungo i dodici chilometri di litorale.

Fu solo nella seconda metà dell’Ottocento che il Lido venne pensato come luogo dove poter sviluppare una sorta di attività bal- neare legata alla cura di malattie sensibili al beneficio del mare, della sabbia calda e del sole. Nacque così il primo Ospizio Marino per bambini scrofolosi a cui seguì la costituzione della Società dei Bagni che diede il via allo svi- luppo di un turismo più monda- no che andava scoprendo i van- taggi delle cure marine, del ri- poso e dello sport all’aria aperta.

La prima struttura di accoglien- za, un’osteria con alloggi, si tro- vava alle Quattro Fontane, dove oggi ammiriamo un albergo di grande charme circondato da uno dei più singolari giardini dell’i- sola, punto di riferimento per chi cerca ancora una vacanza all’inse- gna del relax e dell’eleganza. La costruzione dei grandi alberghi, Des Bains, Excelsior, Hungaria, dell’aeroporto Nicelli che negli an- ni trenta era il secondo per importanza dopo Roma, del primo Fe- stival del Cinema nel 1932, della realizzazione di uno dei più bei campi di golf, fecero del Lido il luogo più ambito dove trascorrere le vacanze più mondane.

Non c’era posto migliore: affacciato sull’Adriatico, immerso nella natura e a un passo da Venezia. Fu così che nei primi decenni del Novecento vennero proget- tate le ville del Lido, in quello stile eclettico così particolare e inconfondibile, che per la loro concentrazione in così pochi chilometri quadrati (più di due- cento abitazioni definite li- berty), diedero un volto e un ca- rattere nuovo a questo territorio lagunare conosciuto in passato come l’Isola d’Oro.

[87-88] p. 15:

Manifesto pubblicitario del Lido del 1888.

Sopra, dettaglio del Lido nella pianta Vinegia di Benedetto Bordone del 1528.

[91] Francesco Guardi, Il bucintoro a San Nicolò, Parigi, Louvre.

[92] Il Forte di Sant’Andrea alle Vignole.

[93] L’Ospizio Marino alle Quattro Fontane in una foto degli anni trenta.

[94] Villino Perez.

[89-90] Reperti archeologici del Museo di Malamocco e, in basso, pianta dell’abazia di San Nicolò.

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I murazzi e la loro storia

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in dai primi insediamenti su isole e litorali, per la particola- re natura instabile del territorio, si è cercato, come meglio si poteva, di proteggere le sponde della costa veneziana da in- terramenti e da erosioni. Un’idea di com’erano i più antichi meto- di di difesa ce la tramanda Cassiodoro, ministro di Teodorico, in una lettera scritta ai Tribuni del Mare nel 537-38, spiegando come

“con vimini legati e uniti, si formava un solo terreno, senza punto temere di opporre all’impeto del mare una tale debole difesa”.

Originariamente i litorali erano provvisti di una difesa naturale con- sistente in scanni di sabbia prodotti dalle torbide dei fiumi e modellati dall’azione del mare e del vento.

Una volta deviati i fiumi alle estre- mità nord e sud della laguna, per migliorare la viabilità dei porti e la salubrità dell’ambiente, gli scanni si depauperarono e, per difendere i li- torali, si procedette a “intonacare, per così dire, quei montoni con buo- na terra, di ponervi dei sassi... Al di- fetto naturale provenuto dalla diver- tione dei fiumi si à procurato di ri- metter coll’arte quella parte degli scanni che spiaggia si chiama”.

Con il passare del tempo e l’avanzamento della tecnica inge- gneristica si cercò di trovare un progetto più sicuro e duraturo. Re- golarmente gli esperti del Magistrato alle Acque passavano a con- trollare le opere di difesa e ne descrivevano le condizioni, specifi- cando la resistenza riscontrata di quelle vecchie e di quelle nuove.

Non si finiva mai di sperimentare nella speranza di trovare “il pro- getto” che potesse resistere alla forza del mare e delle onde. Per molti anni e con piccole varianti si usarono per le opere idrauliche legni, terreni argillosi, sassi d’Istria e di Lispida di varie dimensio- ni e ferro per bloccare tra loro le file di pali. Le difese venivano co- struite parallelamente alla costa, “paliselle”, e perpendicolarmente a questa, “guardiani” alle bocche di porto, “palificate” e “speroni”

per catturare le sabbie trasportate dalla corrente litoranea e difen- dere gli argini.

Dalle cartografie del Cinque-Seicento si scopre che di queste palificate ve ne erano 66 sul litorale di Malamocco, 80 su quello di Pellestrina, e altre, in numero imprecisato, su quello di Chioggia.

In un solo secolo, dal Seicento al Settecento, sette grandi burrasche causarono notevoli danni alla laguna, ai porti e ai litorali. Si può avere un’idea precisa di qual era lo stato di degrado delle difese li- toranee a Venezia esaminando una serie di disegni e di rilievi ese- guiti dai periti del Magistrato alle Acque proprio in questo perio- do. E sarà proprio a partire dalla seconda metà del XVII secolo che i progetti presentati e sperimentati lungo i lidi vedranno piano pia- no scomparire l’uso del legno, materiale per natura stessa deperibi- le e oramai divenuto piuttosto raro e perciò costoso. L’insieme di questi progetti rappresenta un esempio ricco della ingegnosità de- gli specialisti in materia d’idraulica, ma anche della mobilitazione e dell’interesse della Serenissima riguardo al problema della difesa della laguna.

Ci furono proposte di muri di pietre e mattoni (Iseppo Benoni, 1660), di colonne di pietra piramidali (Domenico Gritti, 1715), di strutture di ferro protette da speciali misture (Vincenzo Coronelli, 1716), di muri di pietra a gra-

doni discendenti verso il mare, più o meno spigolosi (Andrea Tirali, Angelo Minorelli, Do- menico Piccoli e Lorenzo Bo- schetti, 1719-20). Molte di queste opere vennero sperimen- tate e la loro durata attentamen- te controllata. I litorali di que-

st’epoca erano un vero p a t c h w o r k di progetti messi uno accanto al- l’altro, ma tutti ancora fragili perché instabili.

Proprio di questo periodo sono le preziose relazioni di Bernar- dino Zendrini, medico, matematico e ingegnere idraulico. Uomo dallo spirito chiaro e preciso, ottimo osservatore, Zendrini ci lascia una serie di disegni e rilievi della costa veneziana con ben precisa- ti i pregi e i difetti delle opere

esistenti. Per lui il progetto più duraturo è “l’arzere di gran pie- tre a scalinata”, ma a questo progetto manca un unico detta-

glio molto importante: il legante che possa tenere unite le pietre in modo da costituire un muro solido e resistente all’erosione del ma- re. Già in una relazione del 1721 Zendrini proponeva di usare una calce speciale che si trovava nel vicentino. Ma sarà solo a partire dal 1735, quando su ordine del Magistrato alle Acque partì per la To- scana per osservare il modo con cui venivano difese le spiaggie e i porti della costa tirrenica, che scoprì l’uso della pozzolana, tufo vul- canico, impastato a calce, capace di far presa sotto acqua.

Il 4 dicembre dello stesso anno stese una relazione nella quale spiegò come un muro costruito senza l’uso di pali, ma semplice- mente ammassando sassi di qualunque natura, calce e pozzolana, può resistere “in eterno”. Nel 1737,

a titolo sperimentale, Bernardino Zendrini fece erigere “un cassone di due pertiche di lunghezza, largo e alto in proporzione, riempito di sas- so e pozzolana” sul sito detto “il Ca- pitello” del litorale di Malamocco.

[95] La laguna di Venezia vista dal satellite; le frecce indicano i quattro litorali: Cavallino, Lido, Pellestrina e Chioggia.

[96-97] Diversi utilizzi dei pali: a sinistra in un disegno del 1686 di Domenico Margutti per l’argine di Ca’ Roman e, a destra, una palificata del XVIII secolo.

[98-99] Andrea Tirali, profilo di argine, 1719. In basso, Bernardino Zendrini, rappresentazione del 1721 dell’argine a Pellestrina intaccato dalle acque.

[100] Murazzo al Capitello: forse la prima prova di Zendrini con sassi e pozzolana.

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Visti i buoni risultati ottenuti, si procedette all’avanzamento dell’opera su tutti i litorali, par- tendo dalle zone più danneggia- te e fragili. A lungo si utilizzò alla lettera la proposta dell’auto- re che prevedeva l’esecuzione di uno “scarpone di pietre” a difesa dell’argine di terra, con “zoccolo

a mare” a sostegno di questo, e di “speroni” per favorire il deposi- to delle sabbie e incrementare la spiaggia alla base, ritenuta neces- saria alla stabilità del murazzo. L’idea, a livello concettuale, non differiva dai metodi di difesa fino ad allora utilizzati lungo i lidi ve- neziani, ma questa volta la struttura si era rivelata solida e resi- stente per i materiali impiegati e la compattezza dell’insieme. A partire dal 1778 si decise, per economizzare e velocizzare i lavori, di realizzare solo lo “zoccolo a mare”, riservando il rimanente del- l’operato a un altro periodo. Il risultato portò ovviamente a una struttura meno solida e a interventi di riaggiustamento nuovamen- te necessari.

Di quest’opera monumentale rimane oggi un bellissimo esem- pio lungo il litorale di Pellestrina, nella zona di Ca’ Roman. Nu- merose epigrafi a ricordo e testimonianza dell’operato e numerose effigi con il leone di San Marco – come richiesto da Nicolò Mo- rosini nel 1777, trovando “inconveniente”

che non ci fosse un solo San Marco lungo quest’opera così “superba e maestosa” della Repubblica Serenissima – si possono ammi- rare percorrendo il muro di pietra d’Istria dal lato che costeggia la laguna.

Lungo il Lido di Malamocco oggi il murazzo è ancora intatto per qualche chilometro e vissuto dai veneziani amanti della tran- quillità e del sole. Ci sono capanne fatte di legni trasportati dal ma- re e la passeggiata lato terra, costeggiata da orti e giardini, è una delle più gradevoli del luogo. È sempre misteriosa l’evoluzione pos- sibile di un manufatto messo a protezione di un terreno così insta- bile come quello della laguna di Venezia, ma la speranza che possa durare ancora a lungo rimane certo nel cuore di tutti noi.

La balneazione per salute e svago

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el 1846 i bagni nelle acque dei canali veneziani erano fa- mosi e indicati per il trattamento di molte affezioni: la scrofola, il rachitismo, le patologie del sistema follicola- re e mucoso, le dermatosi, le malattie nervose, sessuali e addomina- li, i reumatismi e perfino la paralisi. Perciò nel 1852 il Comune di Venezia bandì un concorso per la costruzione di un grande alberg o metropolitano termale. Vinse senza rivali l’ambizioso progetto del- l’imprenditore Giovanni Busetto Fisola, firmato dal giovane archi- tetto Ludovico Cadorin. Esso contemplava la costruzione sulla Riva degli Schiavoni, opportunamente ampliata, di una grande struttura lunga 600 metri e larga 46 contenente tre piscine, 500 stanze, ri-

storanti, teatro e ogni genere di trattamento idroterapico.

Oltre a questo polo termale e mondano nel cuore della città, si propose di erigere anche un grande stabilimento climatico- balneare al Lido e un terzo stabi- limento di bagni galleggianti in laguna. Le tre strutture intende- vano lanciare Venezia come lea- der nel settore del turismo ter- male delle villes d’eau che offriva-

no oltre alla cultura e allo svago, anche la cura del corpo. Il proget- to venne cassato nel 1854 non tanto per la tutela del Bacino di San Marco, ma per motivi militari e di sicurezza. Al Fisola allora non restò che puntare sul Lido per il quale il Cadorin aveva ideato un edificio in muratura con bar, ristorante, sale da ballo e camere, col- legato con un ponte di ferro a una lunga terrazza lignea sul mare do- tata di scale per scendere nell’acqua. Alle passeggiate e alle capan- ne sulla spiaggia, si aggiungevano persino delle rotaie aggettanti sull’Adriatico dove trasportare, in appositi carrelli, i visitatori che per diletto o per cura volessero respirare l’aria marina sopra i flutti.

Per realizzare con successo tutto ciò, si sarebbe dovuto attrarre al mare la clientela che preferiva le più piccole strutture alberghie- ro-termali del centro storico. A metà Ottocento ve ne erano otto di cui sette sul Canal Grande e una sul ramo dei Fuseri oltre a due bagni galleggianti in Bacino. Il decollo di un grande stabili- mento per i bagni di mare fu ostacolato dalle restrizioni im- poste dal governo austriaco, che

non consentì di realizzare alcuna opera in muratura sulla spiaggia che, in caso di sbarco nemico, si

sarebbe potuta trasformare in una pericolosa postazione avversaria.

Perciò il Fisola, che aveva acquistato nel 1856 tutto l’arenile fra San Nicolò e le Quattro Fontane, dovette costruire il suo stabilimento in legno.

Un altro ostacolo fu costituito dalla posizione decentrata del Li- do che, con le sue dune sabbiose digradanti, lambite dall’acqua e modellate dal vento, attirava gli scrittori romantici come Goethe, Byron, Shelley, Alfred de Musset, Théophile Gautier, ma non era comodo da raggiungere. Dopo la traversata del bacino in barca, si dovevano percorrere a cavallo o a dorso di mulo sentieri stretti fra la vegetazione. Per fornire alla clientela qualche buona motivazio- ne per superare tutti questi ostacoli fu diffuso nel 1857 un opusco- lo medico-promozionale che pubblicizzava lo stabilimento Fisola sostenendo la maggior purezza dell’acqua di mare rispetto a quella di laguna. Si faceva appello, inoltre, ai benefici effetti del “bagno ondoso” sull’organismo per il massaggio tonificante che operava su ogni parte del corpo favorendo la circolazione.

[101] Argine progettato da Bernardino Zendrini nel 1743.

[102] Un leone scolpito sui murazzi.

[103] Il grande albergo termale in riva degli Schiavoni, progettato da Ludovico Cadorin, in un dipinto di Luigi Querena del 1853.

[104-105] I bagni in bacino San Marco e, a destra, l’entrata dello Stabilimento Bagni al Lido in un’immagine degli anni dieci.

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Nel 1858 si creò a Santa Maria Eli- sabetta un approdo e si garantì il collegamento via piroscafo con Ve- nezia. Anche se in legno, lo stabili- mento Fisola era ben attrezzato disponeva di camerini, ristorante e caffetteria che si affacciavano su una terrazza su palafitte da cui si poteva scendere nell’acqua, all’esterno si trovava anche un’ampia tettoia per l’orchestra. Nel 1859, durante la seconda guerra di In- dipendenza, il governo austriaco lo fece demolire per motivi di si- curezza, ma le stagioni balneari continuarono a svolgersi sotto grandi tendoni. Dopo l’ingresso degli Italiani a Venezia la situa- zione si fece più tranquilla. Nel 1867 il Fisola ricostruì il suo sta- bilimento più ampio di prima, animandolo con un gran fervore di iniziative e intrattenimenti. Nel 1869 attivò anche un bagno po- polare vicino al Forte di Santa Maria Elisabetta.

Nel frattempo si stava affacciando alla spiaggia del Lido anche la realtà sofferente dei bambini poveri affetti dalla scrofola, che nel sole e nell’acqua trovavano sollievo a quella forma di tubercolosi os- sea e cutanea che ne martoriava i corpi. La filantropia veneziana aveva infatti costituito un comi- tato per la fondazione di un Ospizio Marino al Lido, che sor- se nel 1870 proprio grazie alla generosa offerta da parte di Gio- vanni Fisola di un terreno alle Quattro Fontane, lontano dal suo stabilimento balneare in cui stava investendo per una clientela agiata, sana e spensierata.

Alla fine del secolo si avvia fra gli imprenditori un acceso di- battito sulla necessità di promuovere, oltre alle stagioni balneari per i pendolari, anche un turismo residenziale per una clientela raf- finata. Nascono così alle due estremità del Gran Viale il Grand Ho- tel Lido e il Des Bains, in cui Thomas Mann ambienterà il suo Morte a Venezia. Nel 1905 Nic- colò Spada sceglie un sito deser- tico sul mare vicino all’Ospizio

Marino per costruirvi l’Excelsior Pa- lace Hotel. Il conte Giuseppe Volpi di Misurata vi fa poi crescere attorno la cité loisir che attirerà al Lido il jet

set internazionale. L’isola diviene così parte integrante del proget- to complessivo di rilancio della città lagunare fra il grande polo in- dustriale, portuale e operaio di Marghera e quello turistico, mon- dano e balneare del Lido.

La Compagnia Italiana Grandi Alberghi (CIGA), che ha assorbi- to l’Excelsior, vi attiva nel 1909 uno stabilimento bagni e un cen- tro per cure idroterapiche e kinesiterapiche dotato di apparecchi modernissimi fatti venire dalla Norvegia. Lo dirige Giulio Cereso- le, il fondatore della scuola talassoterapica italiana. Durante la pri- ma guerra mondiale, però, i macchinari saranno smontati e trasfe- riti all’Ospedale Civile. Nel 1921 la CIGAconvince l’amministra- zione dell’Ospizio Marino ad accettare la sua proposta di un ampio appezzamento di terra sulla spiaggia vicino alla Favorita, liberando la spiaggia dell’Excelsior dall’inquietante presenza dei bambini sof- ferenti e martoriati dalla scrofola.

Nel 1933 l’Ospizio Marino diviene “Ospedale al Mare”, attivo per tutto il tempo dell’anno. Da allora, e in continuità con il passa- to, l’assistenza sanitaria, la riabilitazione e le cure con le risorse am- bientali continuarono a coesiste- re al Lido per il turismo e per la popolazione, in una sinergia fra le forze produttive e le attività mediche e talassoterapiche, fra la filantropia e l’imprenditorialità.

I tagli della spesa sanitaria dal 1975 portarono alla contrazione dell’Ospedale al Mare perciò nel 1999 l’Azienda Sanitaria, che lo aveva ereditato e con esso aveva assunto anche i vincoli morali e la destinazione d’uso, ne affidò il progetto di ristrutturazione all’architetto Luca Rossi per realizzare delle strutture termali e ricettive nella parte storica, garantendone i proventi al presidio sanitario e al polo riabilitativo.

La cronaca, che vede concretizzarsi all’inizio del 2006 un accor- do politico fra l’Azienda Sanitaria Locale, la Regione e il Comune per alienare l’Ospedale al Mare allo scopo di finanziare la costru- zione di un nuovo costoso Palazzo del Cinema accanto a quello già esistente, segna una rottura con la tradizione che ha gestito le ri- sorse ambientali e il patrimonio comune in consonanza con la qua - lificazione turistica del Lido e con le cure balneoterapiche ai mala- ti di ogni classe sociale.

[106] Tram e piroscafo a Santa Maria Elisabetta nel 1929.

[107-109] Lo Stabilimento Bagni al Lido in varie epoche: sopra la caffetteria sulla terrazza, in alto a destra le scalette di legno per scendere in acqua e, a fianco, il grande salone.

[110] Bambini affetti da scrofola nella spiaggia dell’Ospizio Marino.

[111] Il Grand Hotel Lido in piazzale Santa Maria Elisabetta.

[112] L’Hotel Des Bains nei primi anni del Novecento.

[113-114] Jet set al Lido fine anni trenta: Marlene Dietrich e, a destra, il duca di Windsor sul pattino.

[115] Il complesso dell’Ospedale al Mare in una foto di metà anni venti.

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Il Lido dal liberty all’art déco

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pesso si afferma che non si può parlare di un vero stile liberty al Lido di Venezia, in realtà per “liberty lidense” si intende lo stile delle case costruite nei primi tre decenni del Novecento, influenzato dai revival e dagli eclettismi imperanti a Venezia in quegli anni, o tendente al nuovo, sbizzarrendosi nei decori delle cornici di porte e finestre, nelle fasce marcapiano affrescate o in maiolica, nelle torrette belvedere –

trasformazione dell’altana delle case del centro storico – e soprattutto nei ferri battuti e nelle vetrate policro- me, realizzando così la collaborazio- ne fra le varie arti propugnata dagli artisti del liberty, senza dimenticare naturalmente l’importanza dei giar- dini, alcuni dei quali per fortuna so- no rimasti integri.

Fino al Novecento gli edifici dell’isola erano per lo più delle ca- se coloniche con portico e scala esterna, oppure c h a l e t con mantova- ne in legno e fregi in cotto, o semplici parallelepipedi con altret- tanto essenziali aperture delineate talvolta da una cornice chiara; poi il Lido divenne la palestra dove cercavano di cimentarsi ingegneri e architetti, ma anche impresari edili senza alcun titolo ufficiale. Le li- nee architettoniche esprimevano le fantasie sia dei ricchi commit- tenti che dei progettisti, i quali tendevano a liberarsi dai vincoli im- posti dalla Commissione all’Ornato nel centro storico veneziano.

Anche al Lido comunque spesso si bocciavano fregi e ornamen- ti ritenuti eccessivi, come pure i decori in ferro, in maiolica o a fre- sco con cui si esprimevano i dettami dell’arte nuova, definita an- che floreale. Venivano soprattutto criticati i motivi realizzati in pietra cementizia, il materiale del futuro tanto impiegato anche nelle altre città, a cui facevano riferimento varie lettere in difesa di progetti bocciati o crudelmente semplificati; la Commissione pre- feriva che anche al Lido fossero ripresi gli stili tradizionali di Ve- nezia, il bizantino, il gotico, o comunque un linguaggio medieva- le o classico, che però fosse armonioso e non turbasse l’ambiente con eccessive innovazioni o espressioni personali. Saranno quindi accettate le ville di Rupolo, che richiamano dichiaratamente gli stili veneziani, mentre ci saranno

difficoltà per il disegno ardito, di chiara ascendenza viennese, di Sul- lam nel villino Monplaisir, purtrop- po oggi quasi irriconoscibile.

Il villino Monplaisir fu ideato e costruito nel 1906 da Guido Costante Sullam contemporaneamente alla vicina villa Tea, costi- tuendo un insieme architettonico dal Gran Viale a via Michiel. Poco resta oggi delle ville che avevano su- scitato pareri contrastanti, per lo più negativi, nella Venezia del primo Novecento legata a modelli di ripe- tizione dell’antico. I negozi, la gran- de terrazza con la tettoia sporgente, la terrazza al secondo piano con le balaustre in ferro battuto decorate da motti, risalgono a una radicale modifica degli anni venti. Sono spa- riti i motivi floreali affrescati all’ul- timo piano, la deliziosa leggerissima terrazza in ferro sopra il tetto – va- riante della classica altana in legno – le grandi finestre dai telai ricurvi, insomma quasi tutti gli elementi del linguaggio espressivo della se- cessione viennese a cui si era ispirato il giovane Sullam, che ne aveva avu- to esperienza diretta nel 1903 e ave- va anche arredato gli interni. Della primitiva costruzione rimango- no i ferri battuti alle finestre di motivo geometrico, le maioliche blu dei grandi archi, il bovindo rivestito di marmo, il balcone in legno della facciata verso via Michiel e soprattutto il capitello dal- le testine femminili vagamente sorridenti e perse nella contempla- zione del paesaggio.

Chi vuol vedere il vero liberty, floreale o geometrico che sia, de- ve andare a cercarlo nelle cancellate, nelle vetrate, nei decori in maiolica, nelle ringhiere, nelle gra-

te, nelle fasce sottogronda, ma so- prattutto nelle cornici delle finestre.

Per fortuna molti giardini si sono salvati dalla smania edificatoria che, fin dal primo dopoguerra, ha fatto trasformare in villini e poi in veri e propri condomini le scuderie, i ma- gazzini o le lavanderie che si trova- vano in un angolo della vasta area verde che circondava le prime ville.

Spesso però il disegno delle aiole fio- rite e dei vialetti di ghiaia nei giar-

dini contornati da cedri del Libano, magnolie, tassi, bagolari, in cui non mancava mai l’area destinata a frutteto, ha ceduto il posto ai moderni prati all’inglese punteggiati da qualche cespuglio fiorito e i villini rimangono nascosti dietro fitte siepi o alti arbusti che ne rendono difficile la vista.

Esempio magnifico della teoria del decoro funzionale al- l’opera è il Grande Albergo Au- sonia & Hungaria in cui ci si di- mentica dell’imponenza della costruzione contemplando i co- lori che vanno dall’ocra, al verde [116] Lampione liberty di villa

Lucina.

[117-118] Esempi di edifici che si rifanno agli stili veneziani: in alto una trifora di villa Adele con gli affreschi di Guido Marussig oggi scomparsi. A sinistra, villa Romanelli di Domenico Rupolo.

[119-120] Villino Monplaisir in una foto d’epoca e, in basso, allo stato attuale.

[121-122] Il gazebo di villa Livia, oggi demolita. In basso, l’Albergo Ausonia & Hungaria negli anni trenta.

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chiaro, all’azzurro (terra, acqua e cielo), con bassorilievi che pro- pongono motivi vegetali monocromi, interrotti da fasce colorate con vasi da cui escono rami con frut- ti. Costruito nel 1906 da Niccolò Piamonte, nel 1914 fu rivestito in maiolica dal bassanese Luigi Fabris.

All’ultimo piano sovrasta il tutto una fascia azzurra con una teoria di putti che reggono nastri turchini e ghirlande di fiori, soggetto decorati- vo utilizzato da secoli, presente in molte opere liberty e ricco di valen- ze simboliche; queste arrivano al culmine nelle figure femminili cen- trali, allegorie di Venezia e dell’Un- gheria, oltre che dei prodotti della terra, sovrastate da altri simboli dei due paesi. L’opera più signifi- cativa del liberty al Lido è quindi il risultato della geniale trasfor- mazione di un edificio piuttosto massiccio, nato dall’unione di un grazioso villino di fine Ottocento e di una grande nuova costruzio- ne, circondati da un ampio giardino, che si affacciavano sul Gran Viale con una vasta terrazza dove si svolgevano feste ed eventi per la clientela internazionale che vi soggiornava per lunghi periodi.

La svolta decisiva alla trasformazione del Lido nella famosissima stazione balneare della belle époque fu data dalla moda dei bagni di mare, così, dalla metà dell’Ottocento, cominciarono a sorgere i pri- mi stabilimenti attorno a cui furono costruiti c h a l e t, osterie e chio- schi di ristoro, presto seguiti dai primi alberghi e poi da ville e vil- lini. Dei primi anni del Novecento sono invece i due grandi alber- ghi dalle sobrie linee classicheggian-

ti: uno sul mare, l’Albergo dei Bagni (Hotel Des Bains), dove Thomas Mann fa soggiornare il protagonista di Morte a Ve n e z i a, a una estremità del viale e l’altro, l’Hotel Lido oggi demolito, al capo opposto, sulla la- guna, all’approdo dei battelli da Ve- nezia. A metà strada si trova l’Hotel Villa Regina, oggi divenuto condo- minio e quasi immutato nel suo sti- le composito, costruito nel 1903 da

un architetto di grido, Giovanni Sardi, che ben presto, fra il 1907 e il 1908, innalzerà, proprio sulla riva del mare, l’Hotel Excelsior, grandiosa mole di stile moresco, che darà avvio allo sviluppo urba- nistico della zona circostante, con ville di gran tono, centri di di- vertimenti e parchi pubblici.

L’Hotel Des Bains, disegnato dai fratelli Marsich, fu inaugura- to nel luglio del 1900; si eleva all’inizio del lungomare Marconi con la sua mole elegante, dai molti decori classicheggianti in cui spiccano grandi colonne e timpani. All’inizio non era bianco, lo fu probabilmente solo dal 1926, quando fu aggiunto l’orologio sulla facciata e vi furono inter- venti radicali, in particolare di Giovanni Sicher, per ricostruire l’ala sud distrutta da un deva- stante incendio nel 1916: si eb-

bero così nuove sale decorate a stucchi e ori ancora esistenti. Si era salvata per fortuna l’originale sala del 1905 (in seguito denomina- ta Visconti) rivestita di legno, che presenta un ballatoio con motivi in ferro battuto e vetro colorato. Un grande parco mos- so e articolato, disegnato da Lui- gi Tramontin, lo circonda fin dai primi tempi, comprendendo alcuni villini, campi da tennis e oggi, dopo il riassetto del pae- saggista Pietro Porcinai del 1968, anche due piscine, mentre l’ac- cesso alla spiaggia è facilitato da un sottopassaggio fin dal 1926.

Otto anni dopo l’inaugurazione del Des Bains, sempre di luglio e alla presenza di ben tremila spettatori, apre l’Hotel Excelsior: era il 1908. La sua storia inizia però nel 1905 quando l’imprenditore Niccolò Spada aveva cominciato la sua opera tenace per trasforma- re dune e acque stagnanti in un palazzo faraonico, costruito diret- tamente sulla spiaggia, e in un porto – la darsena – che lo colle- gasse direttamente con Venezia. La lotta era stata dura, aveva fatto preparare più di dieci progetti e alla fine fu realizzato quello di Giovanni Sardi, il più importante architetto dell’epoca, nonostante le critiche feroci di qualche collega. La costruzione stupisce ancora per la sua estensione, per la varietà

degli ornati, camini, cupole, merla- ture, finestre, balaustre, cornici e ferri battuti, fontane, terrazze e sfin- gi: tutto richiama l’oriente, il more - sco, sempre in linea con la vocazione

naturale di Venezia. Gli spazi però non bastavano, così nel 1914 fu rea- lizzata una terza cupola, una terraz- za e una grande sala da pranzo, la

“Sala degli Stucchi” dove Sergio Leone nel 1984 avrebbe ambien- tato una suggestiva scena del film C’era una volta in America.

Chiudiamo infine il nostro percorso presentando tre edifici par- ticolarmente significativi: villa Bianca, casa Licia e villa Marg h e r i t a . Sulla riviera Santa Maria Elisabetta, poco distante dal Te m p i o Votivo, si trova villa Bianca – originariamente villa Quarti – co- struita nel 1909 da Rubens Corrado,

il più attivo dei progettisti del Lido in quegli anni, che si esprimeva con linee tradizionali di r e v i v a l, ma anche con altre più moderniste. In questa villa il gotico impera, nelle varie for- me di finestre, balconi, archi dei por- toni, p à t e r e, formelle, capitelli e ca- mini. Questa scelta stilistica non era [123-124] Motivi decorativi

della facciata dell’Hotel Ausonia

& Hungaria.

[125-126] L’edificio originario dell’Hotel Des Bains e, in basso, l’attuale facciata con l’orologio e l’intonaco bianco ideata nel 1926.

[127] Il complesso del Des Bains col parco retrostante.

[129-130] L’Excelsior nella prima versione e, a sinistra, dopo l’ampliamento del 1914. In basso, la darsena.

[131] Villa Bianca nel 1912.

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apprezzata da tutti, tanto che un cronista dell’epoca affermò che con il materiale usato per creare fronzoli, bifore, trifore, archi, scalee, p à - t e r e e rosoni si sarebbero potute costruire ben due ville. L’edificio è circondato da un vastissimo giardino il cui muro di cinta era unico nel suo genere in quanto alternava parti chiuse da una griglia di fer- ro (ora murate) ad altre a mattoni in cui erano inclusi antichi fram- menti marmorei provenienti, pare, dall’antico monastero di San Ni- colò, e altri moderni in pietra cementizia.

Casa Licia sorse in via Negroponte fra il 1913 e il 1915 su pro- getto di uno fra gli imprenditori dalla personalità più spiccata fra quelli che operarono al Lido:

Attilio Perez che qui fissò la sua residenza fino alla fine degli anni trenta, quando la terrazza del quarto piano fu sostituita dall’attuale tetto a tegole. La grandezza dell’e- dificio è attenuata dall’into-

naco chiaro e dalla particolarità delle linee morbide, con tanti archi, spigoli attenuati, varietà dei decori, ferri battuti sottili sul portone d’ingresso. È ricordata per l’ascensore liberty, ancora funzionante.

Nel genere delle dimore per possidenti rientra villa Marg h e r i t a che occupa ben sei lotti di terreno. Imponente e circondata da un vasto giardino, fu costruita fra il 1919 e il 1920 sul lungomare San Nicolò – oggi D’Annunzio – da Mario Vucetich di Bologna per il nobile Guido Alverà, fratello del futuro podestà Mario. Il progetto è sontuoso, le linee sono settecentesche, i materiali importanti per- ché si usa anche pietra vera e non solo la più economica pietra ce- mentizia: caratteristiche sono le cornici delle finestre e i marcapia- ni, in particolare al piano nobile, dove motivi a conchiglia stabili- scono un legame con l’ambiente marino; i ferri battuti sono molto elaborati, sia nelle ringhiere dei balconi, che nella cancellata. Con- frontando l’aspetto odierno con una foto degli anni venti, le uniche evidenti differenze sono che, al posto dell’attuale intonaco rosso, c’erano mattoni a vista e due grandi statue ornavano gli angoli del- la terrazza. Prima del 1926, pre-

so da altri progetti edilizi, Al- verà vende la villa all’industriale tessile di Valdagno, conte Gae- tano Marzotto, che le darà il no- me della moglie: Marg h e r i t a . Dopo la morte di Marzotto nel 1972, gli eredi vendono villa M a rgherita e i nuovi proprietari la trasformano nell’attuale con- dominio, con lavori che divide- ranno i grandi saloni e copriran- no in parte la vasta terrazza.

Lo storico Forte delle Quattro Fontane

E

VELINA

D

IDOVICH

P

arlare del Forte delle Quattro Fontane significa trattare di studi e argomentazioni su ciò che non si vede, di costruzio- ni sotterranee che testimoniano un passato che pochi cono- scono: un baluardo difensivo costruito tra Otto e Novecento. I re- sti del vecchio forte franco-austro-italiano si trovano sotto un’area conosciuta a livello internazionale soprattutto per i suoi edifici:

l’Hotel Excelsior, il Palazzo del Cinema e il Casinò, cuore dell’eco- nomia e del turismo lidense, ma anche per le sue splendide ville sti- le liberty. Una zona dalle gradi potenzialità, sia per le caratteristi- che urbanistiche che morfologiche, un’area strategica che presto potrebbe divenire, proprio per la sua centralità nell’isola, un vero e proprio punto di aggregazione sia per il Lido che per Venezia; una vera Cittadella della cultura, funzionante tutto l’anno.

In origine l’area era denominata “Quattro Cantoni”, probabil- mente per la presenza dell’omonima casa del Cinquecento apparte- nuta alla famiglia patrizia Pisani; solo successivamente, nei primi anni dell’Ottocento, il nome si trasforma in “Quattro Fontane” per l’esistenza di quattro vasche d’acqua dolce, situate sulle dune, co- me documentato dal catasto napoleonico del 1811.

Dopo il 1830, sotto il dominio austriaco, fu edificato il “Forti- no” nelle vicinanze delle quattro vasche di acqua dolce, la cui strut- tura è visibile nel Catasto Austriaco del 1841. L’edificio, la cui fac- ciata fronte mare era costituita da un muro curvo dove i militari austriaci avvistavano, attraverso strette aper- ture, le navi che giungevano dal ma- re, è provvisto, nella parte retrostan- te, di uno spazio delimitato da un tamburo semicircolare. Dalla pianta catastale non è chiaro se il fortino fosse circondato da un fossato: si no- ta solo che la costruzione era inserita all’interno di un’area dal contorno ben definito, la cui superficie si estendeva, da un lato, fino al congiungimento del canale tuttora esi- stente, l’unico, in quell’area, alimentato dalle acque della laguna.

Successivamente l’area subì un’altra trasformazione come dimo- stra la pianta del Catasto Austro-italiano del 1860. Il fortino fu in- serito, assieme a una delle quattro vasche di acqua dolce, all’inter- no di un’area delimitata da un muro con fossato; fu costruito un Blockhaus (caserma di difesa) con base rettangolare a un unico pia- no coi lati brevi a forma tondeg- giante (zona delle fuciliere). Il collegamento tra il Blockhaus e il vecchio tamburo semicircolare [132-134] Casa Licia e, a destra, dettaglio

dei ferri battuti del portone. In basso, un’immagine storica di villa Margherita.

A G

E

C

F B

D

[136] Ricostruzione volumetrica del Forte delle Quattro Fontane. Opere realizzate dopo il 1830: Afortino, B

tamburo semicircolare, Cingresso. Opere realizzate dopo il 1840: DBlockhaus,

Efossato, Fcollegamento a doppia caponiera, Gtorretta.

[135] La pianta del Catasto Austriaco del 1841, il cerchio evidenzia l’area del forte.

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era dato da un percorso delimitato da due mura merlate dette dop- pia caponiera; mentre l’area intorno alla fortificazione, soggetta al- la legge sulle Servitù Militari, non subiva cambiamenti.

Nei primi anni del Novecento non si riscontrano rilevanti cam- biamenti: il Blockhaus sarà elevato di un piano e la copertura, in ori- gine piatta, sarà realizzata con un tetto a falda mentre a ridosso del fortino fu costruita una torre di vedetta coronata da una merlatura a coda di rondine come si nota in una foto degli anni venti conser- vata all’Archivio Comunale.

Dopo gli anni trenta, in un triennio, fu costruito nel 1937 il Palazzo del Cinema (la rassegna inizialmente era ospitata all’Hotel Excelsior) e nel 1938 il Casinò, aperto solo nella stagione estiva. Il progetto iniziale curato dall’ingegner Eugenio Miozzi – responsa- bile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Venezia – prevedeva la co- struzione di tre edifici: il Palazzo del Cinema, il Casinò e una pi- scina coperta ma furono realizzati solo i primi due.

Durante la costruzione dei due edifici il vecchio forte fu in par- te demolito, come ad esempio le mura della vecchia entrata situata di fronte alla casa cinquecentesca della famiglia Pisani; fu incorpo- rato alle nuove strutture: ad esempio il Casinò, posto al centro del- l’area, andrà ad occupare per intero la superficie del vecchio Blockhaus, la cui struttura fu mantenuta proprio per la sua robu- stezza, poiché il terreno, permeato d’acqua, creava delle difficoltà tecniche nel corso d’opera; il forte fu inoltre interrato e coperto dal- l’attuale piazzale antistante il Casinò la cui pavimentazione risulta infatti rialzata di oltre tre metri rispetto all’originario livello terra.

Interessanti sono i due percorsi sotterranei: il primo, risalente agli anni trenta, e non più attivo nella sua interezza, collega il Ca- sinò, il Palazzo del Cinema, la dependance (attuale sede del Ly o n ’s Bar), l’Hotel Excelsior e la darsena; l’ultima volta che venne uti- lizzato fu nel 1982, in occasione di un ricevimento, per trasporta- re le pietanze preparate all’Hotel Excelsior fino al Casinò. Tr a c c e

del forte si trovano in questo percorso sotto la scalinata ester- na del Ly o n ’s Bar, le cui finestre ricordano le vecchie aperture a strombatura dei forti. Il secon- do percorso, che collegava e do- vrebbe collegare tuttora il Ca- sinò alla spiaggia, fu realizzato sulle tracce del forte e alcuni re- sti del muro detto doppia capo- niera sono visibili anche oggi utilizzando il passaggio.

Mi auguro che i progettisti del nuovo Palazzo del Cinema ab- biano tenuto conto di quello che rimane dello storico Forte delle Quattro Fontane dando modo, ai residenti e non, di conoscere quel- la parte di storia fino ad oggi occulta, coniugando così il Lido di ie- ri e il Lido del domani.

Il Palazzo del Cinema

E

LISABETTA

P

OPULIN

D

all’istituzione della prima Biennale d’Arte, inauguratasi il 22 aprile 1884 in occasione delle nozze d’argento di Umberto e Margherita di Savoia, e da una serie di ini- ziative artistiche e turistiche parallele, ebbe inizio quel grande progetto culturale per il rilancio della città di Venezia, che negli anni trenta subì un impulso decisi-

vo dalla lungimirante figura del conte Giuseppe Volpi di Misurata, il quale, nominato Presidente della Biennale nel 1930, proprio in occa- sione dell’Esposizione Internaziona- le d’Arte di quell’anno, diede inizio, a Venezia, alla cosiddetta “era Vo l- pi”. Il periodo coincise con l’epoca dell’industrializzazione della cultu- ra in città e mise in moto, da subi- to, un intenso fenomeno turistico pilotato sapientemente a fini econo- mico-culturali dalla Biennale stessa

e dalla CI G A, la Compagnia Italiana Grandi Alberghi.

Il culmine di questa nuova strategia di rilancio turistico della città su larga scala, e in particolare del Lido, fu la creazione nel 1932 dell’Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica tenu- tasi, prima della costruzione del palazzo, per la prima edizione nel- la terrazza del vicino Hotel Excelsior e nelle successive del 1934, 1935 e 1936 nel giardino detto delle “fontane luminose”, che eser- citò da subito un grande richiamo mondano e internazionale tanto da essere incentivata

con riduzioni aeree e ferroviarie del 50%

come si legge nel manifesto della Mo- stra del 1932.

[137-138] Immagini degli anni venti: a sinistra il forte visto dall’Hotel Excelsior e, a destra, il dettaglio della torre di vedetta merlata.

[139-141] Distruzione del Forte delle Quattro Fontane per la realizzazione di due nuovi edifici: il Casinò e il Palazzo del Cinema.

A destra, la costruzione del Casinò sopra il Blockhaus di cui ricalca la forma.

[142] L’ingegner Eugenio Miozzi nei sotterranei del Casinò realizzati sulle preesistenze fortilizie.

[143] Il conte Giuseppe Volpi di Misurata.

[144] Dettaglio del manifesto della Mostra del Cinema del 1932, l’intero è pubblicato a p. 32.

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La dimostrazione di come l’allora CIGAfosse economicamente interessata alla creazione del Palazzo del Cinema viene provata dal fatto che decise di finanziarlo in parte con i proventi derivanti dal- l’affitto dei locali dell’Hotel Ex- celsior, sborsati dal Comune di Venezia, per la concessione degli spazi, nell’albergo, a uso del Ca- sinò Municipale: “a comprova che tali compensi non costitui- scono per la CIGAun fine di lu- cro, essa ha stabilito di devolve- re le somme che incasserà a be- neficio della costruzione del pa- diglione della mostra cinemato- grafica che l’ente della Biennale fa sorgere su una parte dell’area dell’ex Forte delle Quattro Fontane”. Si trattava di 490.000 lire per i primi cinque mesi del 1937, saliti a un milione poiché la conces- sione al Casinò venne prorogata sino al 31 maggio 1938, ma solo il 2 luglio il Comune riconsegnò all’albergo i locali occupati sborsan- do per il ritardo una penale di 50.000 lire. Quel milione venne ef- fettivamente concesso dalla CIGAalla Biennale e contribuì per un quinto della spesa complessiva del palazzo.

Il Lido, luogo borghese della villeggiatura, conobbe così nei pri- mi decenni del Novecento una stagione di rapida crescita che portò nel 1936 all’edificazione del Pa-

lazzo del Cinema e del vicino Casinò Municipale nel 1938.

Entrambi i palazzi sorsero sull’a- rea occupata dal precedente For- te austriaco delle Quattro Fonta- ne, che era posto in posizione in-

termedia tra le fortificazioni co- struite alle due estremità del li- torale, quelle di San Nicolò e di Malamocco. Il progetto globale di riassetto dell’area era, in realtà, molto più articolato e ambizioso. Consisteva nella creazione sim- metrica di tre grandi palazzi moderni in stile razionalista: quello del Cinema a sinistra, il Casinò al centro e un terzo a destra equidi- stante che doveva ospitare una piscina coperta da utilizzarsi d’in- verno, grazie a un modernissimo sistema di refrigerazione, come campo di pattinaggio su ghiac- cio. Il grande complesso archi- tettonico, così articolato, si af- facciava su un ampio piazzale or- nato di scenografiche fontane e importanti arredi.

La monumentalità iniziale dell’ambizioso progetto dell’intera area, redatto dall’ingegnere Capo del Comune di Venezia Eugenio Miozzi, svilitosi poi nella sua parziale realizzazione a causa dell’ar- rivo della seconda guerra mondiale, mirava a creare al Lido un polo turi- stico ricettivo d ’ é l i t e posto tra gli al- b e rghi Excelsior e Des Bains che, in occasione dell’arrivo in città di per- sonaggi di richiamo internazionale, fosse in grado di garantire, dato il carattere di cittadella ben delineata, anche tutte le norme di sicurezza e controllo come in realtà si speri- mentò in occasione della visita di Goebbels alla Mostra del Cinema nel 1941 riportata con ampio spazio dalle cronache del tempo.

Nel 1936 iniziavano i lavori del primo dei tre futuri palazzi, quello del Cinema, inaugurato il 10 agosto 1937, dopo soli sei me- si di lavoro, in occasione della quinta Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica, secondo il progetto redatto dall’ingegner Luigi Quagliata. Subito dopo la conclusione dei lavori al Palazzo del Cinema piovvero pesanti critiche perché si accusava di averlo posto in una posizione “quasi marginale nell’amplissima zona di- sponibile”. La costruzione del Casinò contribuì solo in parte a se- dare queste obiezioni, tanto che,

per raccogliere consenso, si provvide a erigere uno steccato che delimitasse i confini del ter- zo edificio – quest’ultimo mai realizzato a causa dell’imminen- te arrivo della guerra che bloccò

definitivamente ogni futura edi- ficazione – per rendere più evi- dente la distribuzione armonica dell’assetto globale dell’opera articolata nei tre plessi equidistanti.

La costruzione del Palazzo del Cinema era costata complessiva- mente cinque milioni di lire. Tale spesa era stata così ripartita: il Ministero della Cultura Popolare forniva un contributo di 200.000 lire per la durata di quattordici anni tratto dai proventi del Casinò e il Comune di Venezia un finanziamento, per tredici anni, di 100.000 lire annue, sempre tratte dai proventi del Casinò. L’anti- cipazione economica era stata fornita dall’Istituto San Paolo di To- rino che concedeva un mutuo di 2.737.000 lire a un tasso del 6%;

il rimanente della cifra, escluso un piccolo finanziamento comuna- le, veniva coperto dalla CIGA.

Inizialmente il fronte mare del Palazzo del Cinema appariva perfettamente in linea con il prospetto del Casinò – anche se que- st’ultimo risultava leggermente arretrato – e presentava una piace- vole simmetria monumentale, contraddistinta dalla famosa forma, simpaticamente definita nel gergo popolare, “a radio”. Il primitivo progetto di Quagliata aveva disegnato un prospetto fronte mare scegliendo una tripartizione verticale lasciando ampie campiture li- [145] L’entrata del Casinò quando era

ospitato all’Hotel Excelsior.

[146-148] Il Forte delle Quattro Fontane e, a sinistra, il progetto di Eugenio Miozzi del 1936. In basso, il piazzale antistante la spiaggia.

[149] Prospetto integrale del progetto dell’area fronte mare.

[150] Goebbels alla Mostra del Cinema tra Volpi e Pavolini.

[151-152] La costruzione del Palazzo del Cinema e, a sinistra, quella del Casinò.

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