• Non ci sono risultati.

Esaminato il parere dell’Ufficio Studi e documentazione, che in larghissima parte si recepisce, la Commissione osserva quanto segue

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Esaminato il parere dell’Ufficio Studi e documentazione, che in larghissima parte si recepisce, la Commissione osserva quanto segue"

Copied!
22
0
0

Testo completo

(1)

Parere ai sensi dell'art. 10 legge n. 195/58 in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative e in relazione alla assunzione di incarichi di governo nazionali e territoriali. (XVII legislatura, Senato della Repubblica, disegni di legge riuniti nn. 116, 273, 296, 394, 546).

(Delibera del 21 maggio 2014)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 21 maggio 2014, ha adottato la seguente delibera:

«I disegni di legge riuniti nn. 116, 273, 296, 394, 546, hanno ad oggetto l’introduzione di una organica disciplina concernente la candidabilità, l’eleggibilità e il ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative e in relazione alla assunzione di incarichi di governo nazionali e territoriali.

Esaminato il parere dell’Ufficio Studi e documentazione, che in larghissima parte si recepisce, la Commissione osserva quanto segue.

Per una compiuta e ponderata valutazione della tematica in oggetto, prima di esaminare analiticamente il contenuto dei disegni di legge attualmente all’attenzione del Parlamento in subiecta materia, si rende opportuna una sintetica disamina del quadro normativo vigente. Infatti, un’adeguata consapevolezza in ordine alla consistenza del ius conditum permette di meglio comprendere l’impatto potenziale che le nuove norme potrebbero avere sul sistema complessivo.

1. Il sistema regolativo attuale: a) la Costituzione e la legislazione ordinaria.

L’art. 51 della Costituzione fonda il diritto di elettorato passivo per tutti i cittadini.

Il 1° comma prevede che “Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”; il 3° comma, inoltre, stabilisce che “Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro”.

L’art. 65 della Costituzione introduce, poi, una riserva di legge per l’individuazione dei casi di ineleggibilità e d’incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore.

La legge ordinaria ha fornito contenuti specifici al diritto riconosciuto dalla Costituzione ed ai limiti ivi previsti.

In una prima ricognizione normativa delle fonti primarie di possibile interesse, risulta essenziale il richiamo al T.U. 30 marzo 1957, n. 361, per l’elezione della Camera dei Deputati, applicabile anche alle elezioni del Senato per i profili relativi all’ineleggibilità, ai sensi dell’art. 5 del D. Lgs. n.

533/1993.

Con precipua attinenza ai magistrati, il citato T.U. del 1957 (art. 8) introduce un criterio d’ineleggibilità relativa1, secondo cui il magistrato non è in assoluto ineleggibile: non può soltanto candidarsi, a pena di nullità dell’elezione, nell’ambito del territorio di esercizio delle funzioni nei sei mesi antecedenti l’accettazione della candidatura. Questa regola opera anche in caso di scioglimento anticipato o di elezioni suppletive, ai sensi della legge n. 13/1997.

1 Nell’ordinamento elettorale la previsione di cause di ineleggibilità, ritenute tassative, trova fondamento nell’esigenza di garantire la perfetta parità di tutti i candidati partecipanti alla competizione elettorale, in modo che nessuno possa esercitare, a ragione dell’ufficio ricoperto, un indebito condizionamento che possa incidere sulla libera scelta degli elettori. Di contro, la previsione di cause di incompatibilità è finalizzata ad impedire che l’eletto possa trovarsi in conflitto con l’ente, in quanto portatore di interessi che contrastano con quelli della Pubblica Amministrazione per la quale si svolge il mandato, nello specifico, per ciò che concerne i magistrati, la previsione di incompatibilità salvaguarda l’indipendenza e la terzietà nell’esercizio della giurisdizione.

L’ineleggibilità, a differenza dell’incompatibilità, vizia dall’origine l’atto elettivo, quindi essa deve essere rimossa prima della competizione elettorale, ossia al momento della presentazione delle candidature. L’incompatibilità sorge solo a seguito dell’elezione, essa determina l’impossibilità giuridica di conservare un ufficio o una carica, ai quali si è stati validamente eletti.

(2)

Secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, l'intento perseguito dal legislatore con la disposizione in questione è quello di impedire che i titolari di determinati uffici pubblici possano valersi dei “poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la par condicio fra i vari concorrenti attraverso la possibilità di esercitare una captatio benevolentiae o un metus publicae potestatis nei confronti degli elettori”

(Corte Cost. n. 5 del 1978; n. 344 del 1993).

Risultano esclusi dalla regola predetta, i soli magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori, rilevanti sull’intero territorio nazionale, e dunque non assoggettabili alla regola dell’ineleggibilità relativa.

La normativa primaria fornisce, dunque, una serie di indicazioni specifiche in ordine allo status del magistrato, almeno con riguardo ad alcuni degli aspetti e delle fasi dell’iter elettorale e dell’assunzione della carica da parte dell’eletto. In estrema sintesi:

a) prima delle elezioni: con riguardo alla carica di parlamentare (Camera dei Deputati e Senato) è prevista l’aspettativa obbligatoria (art. 8, comma 1° D.P.R. 361/1957 e art. 68 D.Lgs. n. 165/2001)2; con riguardo alla carica di consigliere regionale, sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale, assessore (provinciale e comunale) “esterno” l’aspettativa è obbligatoria solo se l’elezione (o il mandato) riguarda una carica relativa al territorio nel quale esercita le sue funzioni il magistrato, altrimenti è solo su richiesta facoltativa (art. 81 D.Lgs. n.

267/2000);

b) dopo le elezioni, in caso di mancata elezione del magistrato: solamente con riguardo alla carica di parlamentare (Camera dei deputati e Senato) è previsto un divieto di esercizio delle funzioni per un quinquennio nella circoscrizione nell’ambito della quale si sono svolte le elezioni. La Consulta ha ritenuto tale norma conforme al dettato costituzionale, ritenendo che “non può ritenersi arbitraria e irrazionale una norma che vieta al magistrato di esercitare le funzioni giurisdizionali nella medesima circoscrizione in cui, avendovi svolto una campagna elettorale, ha verosimilmente potuto contrarre, secondo l'id quod plerumque accidit, rapporti della più diversa natura (di amicizia, di contrapposizione, di riconoscenza, di risentimento, ecc.), rapporti che potrebbero far apparire dubbia la correttezza delle sue decisioni. Anche il limite temporale di cinque anni non sembra arbitrariamente fissato dalla legge, rientrando nel potere discrezionale del legislatore, qui quanto mai ampio, stabilire il termine entro cui possono ritenersi eliminate le possibili implicazioni personalistiche di una campagna elettorale. Si tratta, peraltro, del termine corrispondente a quello della durata normale di legislatura, durante il quale anche i magistrati eletti non hanno alcun contatto funzionale con la circoscrizione in cui si sono presentati quali candidati, perché posti in aspettativa” (sentenza n. 172/1982);

c) durante il mandato elettorale: con riguardo alla carica di parlamentare nazionale ed europeo, nonché di consigliere regionale è prevista una aspettativa d’ufficio per tutta la durata del mandato;

con riguardo alle cariche e ai mandati presso gli enti locali è prevista una aspettativa obbligatoria solo se l’elezione riguarda una carica relativa al territorio nel quale esercita le sue funzioni il magistrato;

d) dopo la scadenza del mandato elettorale: non è prevista alcuna specifica indicazione o limite.

Quanto al tema delle elezioni amministrative, è bene ancora precisare che il T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, D.Lgs. n. 267/2000, all’art. 60, comma 1, n. 6 prevede che non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale, nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai tribunali amministrativi regionali, nonché i giudici di pace.

I magistrati onorari sono stati ricompresi nella previsione del citato art. 60 in via interpretativa, secondo l’indirizzo inaugurato dalla sentenza della Corte di cassazione n. 2195/2003.

Il terzo comma del medesimo art. 60 prescrive, peraltro, che la riportata causa di ineleggibilità non ha effetto se il magistrato “cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o

2 Secondo il parere dell’Ufficio Studi n. 345/1999 la disposizione, pur in mancanza di una indicazione espressa, si applica, in quanto compatibile, anche con riguardo alla carica di parlamentare europeo.

(3)

del comando, collocamento in aspettativa non retribuita non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature”.

E’ d’uopo, dunque, rimarcare che la causa di ineleggibilità in commento non sussiste allorquando la candidatura sia presentata per cariche amministrative presso enti locali situati fuori dal territorio in cui il magistrato esercita le funzioni. In tale ultimo caso, l’assenza della causa di ineleggibilità, unitamente alla mancata previsione in sede di normazione primaria di un obbligo di aspettativa, rende possibile per il magistrato il contemporaneo svolgimento delle funzioni politiche amministrative e di quelle giudiziarie, sia pure in diversi ambiti territoriali.

Situazione analoga si verifica per le cariche elettive regionali.

Invero, l’articolo 122, primo comma, della Costituzione demanda alla potestà legislativa regionale la disciplina dei casi di ineleggibilità e incompatibilità del Presidente della Regione e degli altri componenti della giunta e dei consigli regionali, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica. Tali principi, prima fissati dalla legge 23 aprile 1981, n. 154, sono ad oggi definiti dalla legge 2 luglio 2004, n. 165, che determina “ in via esclusiva, ai sensi dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione, i principi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali” (art. 1).

Più analiticamente, l’art. 2 fissa i principi fondamentali cui devono attenersi i legislatori regionali nel disciplinare i casi di ineleggibilità, prevedendo espressamente, al comma 1, lett. a), la

“sussistenza delle cause di ineleggibilità qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati”, nonché al comma 1, lett. b) “l’inefficacia delle cause di ineleggibilità qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni che determinano l’ineleggibilità, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature o altro termine anteriore altrimenti stabilito, ferma restando la tutela del diritto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato, del candidato”.

Pertanto, anche per le cariche elettive regionali - per le quali pure manca la previsione in sede di normazione primaria di un obbligo di aspettativa - risulta possibile che il magistrato svolga contemporaneamente funzioni politico-amministrative e giudiziarie, sia pure in diversi ambiti territoriali, anche all’esito dell’entrata in vigore della L. 165/2004, alla quale le Regioni hanno dato diversamente attuazione, nella misura in cui l’attività giurisdizionale sia svolta in un contesto territoriale diverso rispetto a quello ove vengono espletate le funzioni di amministrazione attiva.

La descritta situazione di simultaneo esercizio si ripropone, nei medesimi termini, anche nei casi in cui i magistrati assumano l’incarico di assessore comunale, provinciale e regionale cosiddetto

“esterno”.

Invero, l’ultimo comma dell’art. 122 Cost., come novellato dalla legge costituzionale 1/1999, stabilisce che il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e che, una volta eletto, nomina e revoca i componenti della Giunta.

Gli ordinamenti regionali, nel dare attuazione all’indicata disposizione costituzionale, hanno sostanzialmente esteso agli assessori regionali cd. esterni3 le cause di incompatibilità ed ineleggibilità che la normativa prevede in relazione alla carica di consigliere regionale, cause da intendersi come ostative alla nomina. In particolare, l’art. 47, comma 3, D.Lgs 267/00 prevede che, nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle province, gli assessori “sono nominati dal sindaco o dal presidente della provincia anche al di fuori dei componenti del consiglio, fra i cittadini in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla

3 Secondo la disciplina vigente i magistrati possono assumere l’incarico politico-amministrativo di assessore comunale, provinciale e/o regionale a seguito di nomina del sindaco, del presidente della provincia o della regione. L’incarico di assessore esterno è equiparato all’incarico di assessore-consigliere e costituisce esercizio del diritto all’elettorato passivo al pari di incarico elettivo.

(4)

carica di consigliere”; in base al comma 4, ciò è possibile anche nei comuni con popolazione inferiore a 15.000, purché sia espressamente previsto dallo statuto.

Con riferimento agli assessori esterni, pertanto, per espressa previsione legislativa, sussistono le medesime cause di ineleggibilità ed incompatibilità previste per i consiglieri comunali e provinciali:

conseguentemente si ripropongono le considerazioni sopra svolte con riguardo al possibile contemporaneo esercizio di funzioni giudiziarie e funzioni politico-amministrative.

Segnatamente, il magistrato non può essere nominato assessore esterno nell’ambito territoriale nel quale insiste l’ufficio presso il quale egli presta servizio, a meno che non intervenga il suo collocamento in aspettativa. Proprio in merito a tale aspetto, deve evidenziarsi che mentre il D.Lgs.

n. 267/2000, all’art. 81, prevede che “I sindaci, i presidenti delle province, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei comuni di cui all’articolo 22, comma 1, i presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché i membri delle giunte di comuni e province, che siano lavoratori dipendenti possono essere collocati a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato”, ragione per la quale dell’aspettativa potranno godere anche gli assessori “esterni”, analoga disposizione manca per le giunte regionali.

Conclusivamente sul punto, i dati di sintesi di maggior rilievo sono i seguenti: la causa di ineleggibilità prevista dall’art. 60, n. 6, D.Lgs. 227/00 si riferisce ai magistrati che svolgono funzioni giurisdizionali nell’ambito territoriale della circoscrizione elettorale; essa è rimossa con il collocamento in aspettativa al momento della presentazione della candidature ovvero - per gli assessori delle giunte comunali, provinciali e regionali - prima dell’accettazione della carica.

L’aspettativa per mandato elettorale o incarico amministrativo è un diritto disciplinato dall’art. 81, D.Lgs. 227/00. L’aspettativa obbligatoria è limitata ai casi di elezione a parlamentare nazionale e/o europeo.

Non sussistono cause di ineleggibilità o di incompatibilità nei casi in cui il magistrato sia eletto o nominato assessore nell’ambito di circoscrizione o di giunta locale situata fuori dal territorio ove esercita le funzioni giurisdizionali, in tal caso l’assunzione di funzioni amministrative che non importi la rimozione di causa di ineleggibilità di cui all’art. 60, n. 6, D.Lgs. n. 227/00 non determina la necessità di alcun atto autorizzatorio da parte del Consiglio né, tantomeno, è prevista alcuna comunicazione da effettuarsi ad opera del magistrato.

Quanto, infine, al tema del rientro in ruolo del magistrato destinato a funzioni diverse da quelle giudiziarie, merita menzione il D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160, Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della L. 25 luglio 2005, n. 150. In particolare, l'articolo 50, D.Lgs. n. 160/2006, prevede che il ricollocamento in ruolo, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, avviene nella medesima sede, se vacante, o in altra sede, e nelle medesime funzioni, ovvero, nel caso di cessato esercizio di una funzione elettiva extragiudiziaria, salvo che il magistrato svolgesse le sue funzioni presso la Corte di cassazione o la Procura generale presso la Corte di cassazione o la Direzione nazionale antimafia, in una sede diversa vacante, appartenente ad un distretto sito in una regione diversa da quella in cui è ubicato il distretto presso cui è posta la sede di provenienza, nonché in una regione diversa da quella in cui, in tutto o in parte è ubicato il territorio della circoscrizione nella quale il magistrato è stato eletto.

b) la normativa consiliare

Il Consiglio superiore della magistratura si è interessato in molteplici occasioni del tema della eleggibilità e candidabilità dei magistrati, come conseguenza del suo compito fondamentale di tutelare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura.

In via di prima approssimazione, è bene evidenziare che la direttrice di intervento sempre seguita dal Consiglio risulta indirizzata a garantire l’immagine di terzietà ed imparzialità che deve assistere ciascun magistrato nell’esercizio concreto delle sue funzioni, in linea con l’osservazione, espressa dalla Corte Costituzionale, secondo cui “i magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101, secondo

(5)

comma, e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali ed indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità ” (sent. n. 224/2009).

Nei termini riportati, la produzione regolativa consiliare, nel suo complesso, si è sempre attestata sul riconoscimento che l'immagine dell’imparzialità è un elemento indispensabile, perché traduce in una forma esterna immediatamente percepibile il contenuto sostanziale di detto valore. D’altra parte, risulta assodato, nella cultura consiliare, che la fiducia che i cittadini ripongono nella magistratura si nutre anche della percezione che gli stessi hanno dell’indipendenza e dell’imparzialità dei singoli magistrati nell’Amministrazione della giustizia.

Nella delineata prospettiva, il Consiglio superiore ha avviato già da molti anni una riflessione sull’assetto ordinamentale in tema di partecipazione dei magistrati alle competizioni elettorali.

La Risoluzione del 28 aprile 2010 costituisce un’essenziale espressione della posizione del Consiglio superiore della magistratura in subiecta materia, su di essa conviene quindi soffermarsi particolarmente.

La Risoluzione, importante momento di razionalizzazione e riordino normativo, approfondisce in primis il profilo relativo ai diritti di elettorato passivo spettanti al magistrato, affermando una serie di importanti canoni regolatori di portata assolutamente generale.

A questo scopo, il Consiglio prende le mosse dal rilievo che la Corte di cassazione, nell’affrontare le questioni relative alle condizioni di non candidabilità, ineleggibilità ed incompatibilità per le elezioni degli enti locali, ha delineato il portato precettivo dell’art. 51 della Costituzione, quale previsione che assicura in via generale il diritto di elettorato passivo, ricondotto alla sfera dei “diritti inviolabili della persona” di cui all’art. 2 Cost..

L’Organo di autogoverno condivide pienamente l’orientamento sostenuto dalla Suprema Corte affermativo della preminenza del principio del libero accesso in condizioni di eguaglianza di tutti cittadini alle cariche elettive di cui all’art. 51 Cost., giungendo così ad affermare che “l'eleggibilità è la regola e l'ineleggibilità l'eccezione, per cui le norme che derogano al diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione; che, infine, le restrizioni di un diritto inviolabile sono ammissibili solo nei limiti indispensabili alla tutela di altri interessi di rango costituzionale pari o superiore”4. Ne risulta quindi sancito, quale canone sistematico generale, il principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale di riconoscimento di un diritto politico in capo ad ogni cittadino di partecipare, su un piano di eguaglianza, al vivo delle istituzioni, così da realizzare la democraticità della Repubblica.

Conseguentemente, il mandato elettivo o assimilato, in quanto espressione del fondamentale diritto all’elettorato passivo, non tollera limitazioni non espressamente previste e, dunque, il magistrato non ha alcun onere di richiedere una preventiva autorizzazione al Consiglio, in linea con l’art. 16 R.D. 12/41, norma che prevede l’autorizzazione consiliare solo per il conferimento di incarichi.

La distinzione così tracciata tra la nozione di pubblico ufficio e quella di incarico costituisce la ratio che giustifica la differente disciplina consiliare: mentre l’incarico deve essere autorizzato, l’accesso al pubblico ufficio non è soggetto ad autorizzazione trattandosi di un diritto politico costituzionalmente riconosciuto in capo ad ogni cittadino senza alcuna distinzione derivante dall’attività o dalle funzioni svolte5.

Per completezza, resta ancora da precisare che, in detta occasione6, il Consiglio segnalava la necessità di una modifica della legislazione primaria.

4 Cfr. Cass. civ, Sez. I, 29 novembre 2000, n. 15285

5 La specifica materia degli incarichi conferiti a magistrati, proprio al di fuori delle cariche elettive, è oggi contenuta, per le conseguenze in tema di obbligatorio collocamento fuori ruolo, nella legge n. 190/2012, art. 1, commi 66 e ss..

6 In realtà, già da anni, il Consiglio si esprimeva in termini di necessario riassetto regolativo della materia, così per esempio, nei casi Trezza (delibera 13.12.1995), Marasca e Costa (delibera 5.7.2002). Per avere contezza dell’ampiezza e complessità del dibattito consiliare sul tema, si vedano le discussioni plenarie sul caso del dott. Nicastro (sedute del 17 e 18 febbraio 2010).

(6)

Viene, in particolare, considerato che, pur se la professionalità acquisita dai magistrati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie può apportare un significativo contributo anche all’amministrazione attiva degli enti locali, ciò nondimeno il Consiglio superiore ha il dovere istituzionale di tutelare pienamente l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, che potrebbero essere potenzialmente appannate dal contestuale esercizio di funzioni giudiziarie e funzioni di governo locale da parte dei magistrati.

In tale prospettiva, il Consiglio segnalava l’opportunità di introdurre a livello di fonte primaria7, la previsione generale in base alla quale per svolgere le funzioni di sindaco, presidente della Provincia, presidente della Regione, consigliere ovvero assessore comunale, provinciale e regionale occorre comunque il collocamento in aspettativa del magistrato8, per evitare qualsiasi contestualità funzionale e ciò anche nel rispetto di una “regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento da parte dei magistrati”.

Il Consiglio, peraltro, opportunamente avvertiva che l’assenza di atto autorizzatorio obbligatorio e la mancata previsione di obblighi di comunicazione a carico del magistrato, impediscono una ricognizione circa il numero dei magistrati impegnati contemporaneamente in funzioni giurisdizionali ed in funzioni politico-amministrative.

Nella medesima prospettiva, il Consiglio auspicava la predisposizione di una disciplina unitaria e sistematica tale da rendere il regime in tema di rientro in ruolo dei magistrati, chiamati a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali, del tutto omogeneo a quello vigente per le elezioni al Parlamento, nonché ad evitare che il magistrato si proponga come amministratore attivo nel medesimo contesto territoriale nel quale, senza soluzioni di continuità, ha appena svolto attività giurisdizionali, rischiando in tal modo di creare un’oggettiva confusione di ruoli e di funzioni, di per sè idonea ad appannare l’immagine di imparzialità.

Il Consiglio chiariva, altresì, che l'indipendenza della magistratura abbisogna di una base materiale fatta di volontà, interessi e sentimenti, cioè essa si alimenta degli orientamenti culturali delle diverse forze politiche, degli equilibri tra le Istituzioni, del comune sentire dei cittadini, delle posizioni assunte dai mezzi di informazione che influenzano l'opinione pubblica e le danno voce. E allora, se è vero, come sopra già evidenziato, che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino, è altrettanto vero che “le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l’ordinamento costituzionale (sentenza n.

100 del 1981). Per la natura della loro funzione, la Costituzione riserva ai magistrati una disciplina del tutto particolare, contenuta nel titolo IV della parte II (artt. 101 e ss.): questa disciplina, da un lato, assicura una posizione peculiare, dall’altro, correlativamente, comporta l’imposizione di speciali doveri”9.

Nella Risoluzione del 2010 risulta affrontata anche l'ulteriore questione che attiene alla regolamentazione delle candidature al Parlamento dei magistrati.

Il Consiglio muoveva dal rilevare che la disciplina del 1957, che stabilisce condizioni di ineleggibilità ed incompatibilità, era stata elaborata in un contesto storico-culturale completamente diverso da quello attuale ove vige un sistema di democrazia maggioritaria e in cui la nuova legge elettorale (270/2005), attraverso il binomio “lista bloccata” ed assenza di voto di preferenza, ha completamente mutato il rapporto tra elettore ed eletto, affidando di fatto la scelta dei rappresentati direttamente alle segreterie ed ai vertici dei partiti.

7 Si è visto, infatti, che secondo la disciplina vigente sopra richiamata, per le cariche amministrative presso enti locali territoriali, non è prevista aspettativa obbligatoria e, conseguentemente, i magistrati possono svolgere contemporaneamente funzioni giurisdizionali e funzioni politico-amministrative in forza di mandato elettorale o di incarico di assessore quando la funzione politico-amministrativa e la funzione giurisdizionale sono svolte in diversi ambiti territoriali.

8 E’ utile tener presente che in talune occasioni, il Consiglio ha, attraverso un’interpretazione estensiva delle norme, riconosciuto la possibilità di godere di aspettativa su domanda in casi non previsti dalla legge, come è a dirsi per l’incarico di assessore regionale esterno nominato dal Presidente dell’Ente (Delibera del C.S.M. in data 29 maggio 2008 relativa al collocamento in aspettativa del dott. Giovanni Ilarda e del dott. Massimo Russo)

9 Cfr. Corte Costituzionale n. 224/2009.

(7)

Il nuovo ordinamento giudiziario, si osserva, ha poi decisamente modificato il sistema di valutazione della professionalità dei magistrati, con ciò comportando la necessità di ripensare anche la condizione ordinamentale del magistrato collocato in aspettativa per mandato parlamentare.

In tale contesto, partendo dalla chiara premessa contenuta nella sentenza della Consulta n. 224/2009 cit., secondo cui i magistrati “- e non sono possibili dubbi in proposito - debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino e che quindi possono, com’é ovvio, non solo condividere un’idea politica ma anche espressamente manifestare le proprie opzioni al riguardo”, il Consiglio segnalava di avere avviato una riflessione generale per verificare se l’articolata griglia di regole che impone condizioni di ineleggibilità e incompatibilità, poteva ritenersi ancora adeguata a garantire il corretto equilibrio tra i due principi costituzionali contrapposti sopra citati: il diritto del magistrato a non essere escluso dall'esercizio dei diritti di elettorato passivo10 e l’esigenza di salvaguardare l'immagine d'indipendenza del singolo magistrato e la credibilità della magistratura che va sempre preservata essendo un patrimonio delle Istituzioni della Repubblica e “dunque, se non sia opportuno ragionare su regole coerenti con l’attuale assetto delle Istituzioni politiche e con l’attuale struttura della carriera del magistrato”.

L’attenzione della normazione consiliare ha investito anche la condizione del magistrato in caso di mancata elezione ovvero quella successiva alla scadenza del mandato. Il Consiglio superiore della magistratura ha in particolare regolamentato la “Destinazione dei magistrati al termine dell’aspettativa per avvenuta presentazione di candidatura alle elezioni politiche ed amministrative, nonché dopo la scadenza del mandato elettorale”, come pure l’“Assegnazione della sede ai magistrati chiamati a ricoprire cariche pubbliche nell’amministrazione degli enti locali”

nei paragrafi XXIX, XXX e XXXI della Circolare n. 12046/200911.

L’approfondimento di questa complessa disciplina è contenuto nel prosieguo dell’analisi.

Il Consiglio, con delibera del 27 luglio 2011, ha, inoltre, formalizzato al Guardasigilli una

“Proposta di modifica legislativa sulle modalità di ricollocamento in ruolo dei magistrati destinati a funzioni diverse da quelle giudiziarie”, in particolare proponendosi di sostituire il primo comma dell'articolo 50 D.Lgs. n. 160/2006 con un articolato del seguente tenore: “1. Il periodo trascorso dal magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura è equiparato all'esercizio delle ultime funzioni giudiziarie svolte e il ricollocamento in ruolo, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, avviene nella medesima sede, anche in sovrannumero, e nelle medesime funzioni, ovvero, nel caso di cessato esercizio di una funzione elettiva extragiudiziaria, salvo che il magistrato svolgesse le sue funzioni presso la Corte di cassazione o la Procura generale presso la Corte di cassazione o la Direzione nazionale antimafia, in una sede diversa vacante, appartenente ad un distretto sito in una regione diversa da quella in cui è ubicato il distretto presso cui è posta la sede di provenienza nonché in una regione diversa da quella in cui, in tutto o in parte è ubicato il territorio della circoscrizione nella quale il magistrato è stato eletto”. In via transitoria, inoltre, si propone di mantenere il regime vigente per coloro che si trovavano già fuori ruolo alla data di entrata in vigore della modifica normativa.

Venendo alla magistratura onoraria, molto di recente, il Consiglio è intervenuto a regolamentare i requisiti di candidabilità del magistrato onorario alle elezioni amministrative ed i profili d’incompatibilità tra l’esercizio delle funzioni onorarie e lo status di membro del Parlamento, consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale (risposta a quesito del 16 gennaio 2013).

Il Consiglio, in tale occasione, ha ricordato intanto che la normativa vigente in tema di elezione alle cariche amministrative, di cui all’art. 60, comma 1, n. 6, del D.Lgs. n. 267/2000, si applica anche ai giudici di pace.

L’Organo di autogoverno ha, poi, osservato, con attinenza alla possibilità di applicare l’art. 60,

10 Circa la natura dei permessi e delle licenze di cui all’art. 79 D.Lgs. n. 267/2000 previsti per gli amministratori degli enti locali, si veda la Risposta a quesito del 7 settembre 2011.

11 L’attuale disciplina costituisce il risultato di una serie numerosa d’interventi consiliari di regolazione, tra i quali vale la pena citare la Risoluzione del 19 giugno 1996 e la Deliberazione del 13 aprile 2005.

(8)

comma 312, che poiché i magistrati onorari, non essendo pubblici dipendenti, non godono del diritto di questi ultimi al collocamento in aspettativa, e non può applicarsi nei loro confronti la revoca dell'incarico o del comando, consegue che le uniche modalità di rimozione della causa di ineleggibilità sono la cessazione dalla carica ed il trasferimento ad altra sede.

Quanto al trasferimento, è stato ritenuto che potrà farsi ricorso a tale istituto (in deroga a quanto stabilito nella circolare consiliare prot. n. 15880/2002 del 1° agosto 2002, e successive modificazioni), laddove prevede che il giudice di pace non potrà presentare domande di trasferimento per altre sedi prima di due anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano comprovati e gravi motivi di salute, di famiglia ovvero cause sopravvenute di incompatibilità.

Inoltre, precisato che l'ipotesi di mera candidatura non può configurare un'ipotesi di incompatibilità (che propriamente consiste in una situazione giuridica impeditiva dell'esercizio contemporaneo di due attività tra loro inconciliabili), si è rilevato che la deroga si giustifica in considerazione del fatto che una fonte non primaria non può comprimere un diritto, quello appunto di elettorato passivo, costituzionalmente riconosciuto e garantito. E’ stato in tale occasione precisato che può - di contro - farsi ricorso al trasferimento ad altra sede solo ove vi siano posti liberi in uffici non compresi nell'ambito territoriale coincidente con la circoscrizione elettorale.

Quanto alla disciplina applicabile all'esito delle elezioni, si è precisato che, nel caso in cui il giudice di pace si sia dimesso, la sua mancata elezione o la sua avvenuta elezione non hanno alcun significato, non rivestendo più il soggetto lo status di magistrato onorario. Nel caso, invece, in cui il giudice di pace sia stato trasferito e venga eletto sarà applicabile l'art. 8, comma 1, della legge 21 novembre 1991, n. 374, e successive modificazioni, il quale dispone che non possono esercitare le funzioni di giudice di pace i membri del Parlamento, i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, i componenti dei comitati di controllo sugli atti degli enti locali e delle loro sezioni, prevedendo un'espressa causa di incompatibilità assoluta senza delimitazioni territoriali che, per la tutela delle medesime ragioni di indipendenza e terzietà, va estesa anche alle cariche di sindaco, assessore regionale, provinciale e comunale (cfr., in tal senso, il Capo IV, Par. 1, punto 4 della circolare consiliare sui giudici di pace prot. P-15880/2002 del 1° agosto 2002, e successive modificazioni). L'art. 8 de quo, infatti, per la sua formulazione testuale non lascia spazio per delimitazioni territoriali dell'incompatibilità e si giustifica per le ovvie esigenze di tutela dell'assoluta indipendenza della funzione giurisdizionale onoraria oltre che per l'impossibilità di applicare ai giudici di pace l'istituto dell'aspettativa.

Se ne è dunque fatta conseguire la soluzione di decadenza dall'ufficio, ai sensi del successivo art. 9, ove sopravvenga una causa di incompatibilità.

Nel caso in cui il giudice di pace sia stato trasferito e non venga eletto, è stata esclusa l’applicazione dell'art. 8 suddetto, che prevede l'incompatibilità in riferimento alla carica elettiva e non al mero esercizio del diritto di elettorato passivo e che configura una norma di carattere eccezionale, come tale non estensibile in via di interpretazione analogica. In mancanza di espressa regolamentazione della fattispecie, la candidatura costituisce elemento da solo insufficiente a far ritenere venuto meno il requisito di cui all'art. 5, comma 3, della legge n. 374/1991.

Tuttavia, è stato ben chiarito che, benché debba escludersi ogni automatismo nella pronuncia della decadenza, si tratta di una situazione che può costituire oggetto di valutazione da parte del Consiglio che, nell'estrinsecazione dei suoi poteri, può valorizzare le situazioni che possono pregiudicare il prestigio dell'Ordine giudiziario, valori costituzionalmente protetti.

2. Le norme del disegno di legge relative alla candidabilità dei magistrati.

12 L'art. 60, comma 3, prevede come premesso che la detta causa di ineleggibilità non ha effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o del comando, collocamento in aspettativa non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature. La causa di ineleggibilità deve essere, quindi, necessariamente rimossa, entro i termini normativamente indicati.

(9)

Il nuovo testo del disegno di legge all’esame del Parlamento, risultato dall’accorpamento dei disegni di legge nn. 116, 273, 296, 394 e 546, propone in primo luogo l’unificazione della sede legislativa di disciplina delle condizioni di partecipazione dei magistrati alle elezioni ai parlamenti nazionale ed europeo, agli incarichi elettivi o assessorili presso gli enti locali provinciali e comunali, nonché una disciplina di contenuto analogo per le diverse ipotesi.

Come si è già visto nei paragrafi che precedono, nella normativa attualmente in vigore le condizioni di elettorato passivo dei magistrati sono sottoposte a disciplina frammentaria e separata, con soluzioni eterogenee, a seconda degli enti presso cui gli incarichi si collocano.

Per tutte le ipotesi il disegno di legge generalizza, nel metodo, la soluzione dell’ineleggibilità relativa adottata dall’art. 8 del D.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 recante norme per la elezione alla Camera dei Deputati, applicabile anche alla elezione al Senato (art. 5 D.Lgs. 20 dicembre 1993 n.

533). Come si è già visto, la norma vigente stabilisce un limite alla candidabilità dei magistrati di natura territoriale escludendo che essi possano partecipare alla competizione elettorale nello stesso luogo in cui hanno operato come magistrati13. La disposizione di cui si propone l’introduzione, con riferimento alle elezioni al Parlamento nazionale ed al Parlamento europeo prevede che: “I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, inclusi quelli collocati fuori dal ruolo organico, non possono candidarsi per l'elezione alle cariche di parlamentare europeo e parlamentare nazionale se prestano servizio, o lo hanno prestato nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della regione, e ricompresa, in tutto o in parte, nella circoscrizione elettorale per la quale intendono presentare la loro candidatura. I medesimi soggetti non possono candidarsi per le elezioni alle cariche di presidente della provincia, consigliere provinciale o ricoprire l'incarico di assessore provinciale se prestano servizio, o lo hanno prestato nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura o di assunzione dell'incarico, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della provincia e di quelle limitrofe. I soggetti medesimi non possono altresì candidarsi per l'elezione alle cariche di sindaco, consigliere comunale, consigliere circoscrizionale o ricoprire l'incarico di assessore comunale se prestano servizio, o lo hanno prestato nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura o di assunzione dell'incarico, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della provincia in cui è ricompreso il comune per il quale intendono candidarsi o accettare la nomina.”

Il nuovo testo, in primo luogo, chiarisce che il suo ambito applicativo riguarda ogni tipo di magistratura, e definisce il territorio rispetto al quale opera l’ineleggibilità. L’art. 8 citato utilizza quale parametro quello delle “circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte” alla giurisdizione degli uffici ai quali i magistrati si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le proprie funzioni, facendo evidentemente rinvio alla nozione di circoscrizione elettorale come definita dalla legge che governa il procedimento di espressione del suffragio. La norma proposta con riferimento alle elezioni al Parlamento nazionale ed europeo, pur utilizzando la medesima tecnica di rinvio alla definizione di circoscrizione secondo la legge elettorale, aggiunge l’ulteriore riferimento fisso ed obiettivo al “territorio della regione”.

Lo spirito di rigore che appare animare la iniziativa riformatrice induce a ritenere che con tale aggiunta il legislatore intenda imporre il divieto in relazione ad entrambi i contesti, stabilendo, in ogni caso, in ragione della variabilità della definizione delle circoscrizioni elettorali, un perimetro fisso minimo dell’ampiezza della ineleggibilità, corrispondente all’ambito regionale. L’utilizzo della congiunzione tra i due riferimenti territoriali, facendo ritenere necessaria la ricorrenza di ambedue le condizioni per la configurazione del limite all’elettorato passivo, è però suscettibile di condurre a conclusioni parzialmente difformi. Appare potersi ipotizzare, cioè, secondo il tenore

13 Sulla ratio di tale limite e sulla valutazione che la Corte Costituzionale ne ha fatto si rinvia al par. 1 della presente relazione

(10)

letterale della norma, che ove la circoscrizione elettorale comprenda più regioni14, e l’ufficio ove il magistrato ha prestato attività abbia competenza limitata ad una sola di esse, la candidatura possa essere presentata nella medesima circoscrizione perché in questo caso ricorrerebbe una sola delle condizioni cui la norma subordina la non candidabilità. Analogamente, nella diversa ipotesi in cui la circoscrizione elettorale abbia estensione inferiore all’ambito regionale15, e la giurisdizione del magistrato ricada nella regione ma non nella circoscrizione, potrebbe discutersi della possibilità di ravvisare la ricorrenza del divieto. Considerato che, come si è già detto, le regole di incandidabilità, ponendo limiti e vincoli all’esercizio di un diritto costituzionale, devono essere interpretate nella maniera più rigorosa e restrittiva, è opportuno che il legislatore espliciti in maniera meno equivoca il rilievo territoriale che intende attribuire alla regola stabilita.

Per quanto riguarda le elezioni alle cariche politiche ed amministrative provinciali ed all’assunzione dell’incarico di assessore provinciale, il territorio rilevante ai fini del divieto è definito in riferimento a quello provinciale e delle province limitrofe. In questo caso, per attribuire rilievo univoco e rigoroso alla dizione deve evidentemente farsi richiamo al significato letterale dell’espressione limitrofe, intesa nel senso di confinanti.

Quando invece si tratti di elezioni comunali, o dell’incarico di assessore comunale, la norma è chiara nel proibire la candidatura di chi abbia operato come magistrato nella provincia in cui il comune si colloca.

Sebbene il disegno di legge sia, sul punto, silente, deve implicitamente ritenersi, per ragioni di coerenza sistematica ed avuto ulteriormente riguardo alle disposizioni sul ricollocamento contenute nei successivi artt. 5 e 6, che le regole sull’incandidabilità previste al primo comma dell’art. 2 non si applicano ai magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori, aventi competenza sull’intero territorio nazionale.

La norma propone, inoltre, un radicale ampliamento del rilievo cronologico del limite territoriale, portandolo dai sei mesi della disposizione vigente, fino a cinque anni. La Corte Costituzionale ha già avuto modo di osservare come la definizione dei termini in cui possano ritenersi eliminate le interferenze indebite tra i diversi ruoli – giurisdizionale e politico – rientra nella discrezionalità, particolarmente ampia, del legislatore16.

Come si vedrà più avanti, il periodo di cinque anni è anche quello per cui valgono i divieti ed i limiti funzionali e territoriali previsti – sia nella legge attualmente in vigore che nella proposta in commento – per l’esercizio delle funzioni giudiziarie a seguito della cessazione dell’incarico politico o amministrativo. Può, quindi, ravvisarsi coerenza nelle scelte di fissazione in tale termine in via generale della condizione di necessaria separazione temporale, sia in entrata che in uscita – per evitare confusioni ed appannamenti dell’immagine di imparzialità ed autonomia – tra le funzioni di magistrato e l’incarico politico o amministrativo esprimibili dallo stesso individuo nel medesimo contesto territoriale.

Il comma 2 dell’articolo 1 stabilisce le modalità procedimentali per l’assunzione di incarichi politici ed amministrativi, prevedendo che il magistrato che intenda partecipare alle elezioni o accettare un incarico di assessore provinciale o comunale - in caso di scadenza naturale della legislatura o del consiglio comunale o provinciale - si trovi in aspettativa da almeno sei mesi prima dell’accettazione della candidatura o di assunzione dell’incarico17.

14 Ciò accade attualmente nel sistema elettorale vigente per l’elezione al Parlamento Europeo in cui l’intero territorio nazionale è diviso in cinque circoscrizioni di cui una – la IV relativa all’Italia meridionale - comprende addirittura sei regioni.

15 Ciò accade in tredici delle ventisette circoscrizioni in cui è ripartito il territorio nazionale per l’elezione alla Camera dei Deputati ai sensi della legge n. 270 del 2005.

16 Sent. 1732/82, con riferimento alla definizione del periodo di tempo per cui il magistrato che abbia esercitato incarico politico non può tornare a funzioni giudiziarie nello stesso territorio, su cui più diffusamente supra par. I.

17 Ove le elezioni si tengano a seguito di scioglimento anticipato delle Camere o del consiglio provinciale o comunale ovvero di elezioni suppletive, il magistrato deve essere in aspettativa all’atto di accettazione della candidatura (l’Aula del Senato avendo in tal senso opportunamente emendato il testo approvato in Commissione, connotato da rigore draconiano, stando al quale il magistrato avrebbe dovuto chiedere di essere posto in aspettativa entro dieci giorni dalla

(11)

La norma è verosimilmente giustificata dall’intento di evitare che l’esercizio delle funzioni giudiziarie arrivi troppo a ridosso della competizione elettorale e che il magistrato, che abbia in animo di parteciparvi, possa trarre profitto della visibilità e dei poteri che la funzione gli attribuisce, a danno degli altri candidati18.

D’altra parte, però, la disposizione potrebbe rappresentare un ostacolo pratico alla effettiva candidatura e quindi all’esercizio del diritto all’elettorato passivo da parte dei magistrati. Per la elezione alla Camera dei Deputati, ad esempio, la legge prevede che “Le liste dei candidati devono essere presentate, per ciascuna Circoscrizione, alla Cancelleria della Corte di appello o del Tribunale indicati nella Tabella A, allegata al presente testo unico, dalle ore 8 del trentacinquesimo giorno alle ore 20 del trentaquattresimo giorno antecedenti quello della votazione….. Insieme con le liste dei candidati devono essere presentati gli atti di accettazione delle candidature” (art. 20 D.P.R. 361/57). Per le elezioni comunali, il D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli Organi delle Amministrazioni comunali all’art. 28 consente la presentazione delle candidature, con relativa accettazione, tra il trentesimo ed il ventinovesimo giorno antecedente le votazioni.

L’esperienza pratica consente di affermare che normalmente la scelta delle candidature da parte dei proponenti non è effettuata in via definitiva in un termine così anticipato rispetto alle elezioni. E’

difficile immaginare che, in concreto, il magistrato sia indotto a rinunciare alle proprie funzioni con tanto anticipo, in dipendenza di un evento che, a tale distanza cronologica dalle votazioni, si presenta come futuro ed incerto.

Per garantire l’effettività del regime di incandidabilità relativa, l’Aula del Senato ha introdotto, agli artt. 14 e 15, un nuovo illecito disciplinare tipizzato, consistente proprio nell’accettazione della candidatura a cariche elettive o nell’assunzione di incarichi di governo o amministrativi “in violazione di legge” e sanzionato con la perdita di anzianità non inferiore a due anni. Una così severa penalizzazione appare eccessiva e potrebbe giustificarsi, al più, solo se collegata alla condotta del magistrato che accetti la candidatura senza essere in aspettativa.

L’art. 2, con soluzione ragionevole e condivisibile, impedisce al magistrato, che non sia collocato in aspettativa all’atto dell’accettazione, di assumere la carica di Presidente del Consiglio, Vicepresidente del Consiglio, Ministro, viceministro, sottosegretario di Stato.

Dipende probabilmente da un difetto di coordinamento l’inclusione tra le cariche per la cui accettazione è richiesto il collocamento in aspettativa anche di quelle di assessore comunale e provinciale atteso che, come si è già visto, il comma 2 dell’articolo 1 per esse impone l’aspettativa già dai sei mesi precedenti.

L’art. 3 del disegno di legge prevede per il candidato l’obbligo, che l’Aula del Senato ha circoscritto alle sole candidature agli organi elettivi degli enti territoriali, di attestare, al momento dell’accettazione della candidatura e con dichiarazione fidefaciente, di non versare in alcuna delle condizioni di incandidabilità; prevede che, in ogni caso, la sussistenza delle stesse sia accertata secondo le modalità stabilite dalla legge 235/201219.

data di scioglimento anticipato o dell’indizione delle elezioni). Residua, nel testo ora sottoposto all’esame della Camera dei Deputati, una discrasia tra la disciplina prevista per il caso della scadenza naturale della legislatura o della consiliatura, incentrata sul rispetto del menzionato termine semestrale, e quella relativa alle ipotesi di indizione anticipata dei comizi elettorali, che offre più ampie chances di partecipazione al magistrato che intenda presentare la propria candidatura.

18 Preoccupazione già ritenuta ragionevole dalla Corte Costituzionale che ha condivisa l’opportunità di impedire che i titolari di determinati uffici pubblici possano valersi dei “poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la par condicio fra i vari concorrenti attraverso la possibilità di esercitare una captatio benevolentiae o un metus publicae potestatis nei confronti degli elettori” (Corte Cost. n. 5 del 1978; n. 344 del 1993).

19 L’art. 2, comma 2 del D.Lgs 235/2012 stabilisce che “L'accertamento dell'incandidabilita' è svolto, in occasione della presentazione delle liste dei candidati ed entro il termine per la loro ammissione, dall'ufficio centrale circoscrizionale, per la Camera, dall'ufficio elettorale regionale, per il Senato, e dall'ufficio centrale per la circoscrizione estero, sulla base delle dichiarazioni sostitutive attestanti l'insussistenza della condizione di incandidabilita' di cui all'articolo 1, rese da ciascun candidato ai sensi dell'articolo 46 del testo unico delle

(12)

L’Aula del Senato ha, sul punto, escluso che l’omessa presentazione della dichiarazione costituisca, di per sé, causa di incandidabilità.

L’art. 4 introduce una normativa unitaria per la disciplina dello status del magistrato che sia stato eletto o abbia un incarico di governo nazionale o locale prevedendo l’obbligatorietà dell’aspettativa, l’opzione tra il mantenimento del trattamento economico goduto in precedenza e, in via alternativa, la percezione dell’indennità di carica, con la precisazione che il periodo di aspettativa è computato a fini pensionistici e dell’anzianità di servizio.

Tale disciplina è sostanzialmente conforme a quella vigente con riferimento all’incarico di parlamentare nazionale secondo l’art. 88 del D.P.R. 361/195720.

Già attualmente, le disposizioni dell’art. 88 citato si applicano anche ai membri del Parlamento europeo (art. 2 legge n. 384 del 1979, come modificato dall’art. L. n. 788 del 2004).

L’art. 68 D.Lgs.vo n. 165 del 2001 in vigore stabilisce inoltre che “I dipendenti delle pubbliche amministrazioni eletti al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo e nei Consigli regionali sono collocati in aspettativa senza assegni per la durata del mandato. Essi possono optare per la conservazione, in luogo dell'indennità parlamentare e dell'analoga indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l'amministrazione di appartenenza, che resta a carico della medesima”, precisando al comma 2 che “Il periodo di aspettativa è utile ai fini dell’anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza”.

Come si è già detto, analogo obbligo di aspettativa non è previsto dal D.Lgs.vo n. 267 del 2000 per i magistrati che partecipino alle elezioni a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale, essendo sufficiente la separazione tra i territori in cui esercitano le funzioni giurisdizionali e quelle amministrative.

L’eliminazione della possibilità da ultimo citata, con l’imposizione di aspettativa obbligatoria anche per gli incarichi presso enti locali, deve essere salutata con estremo favore, corrispondendo agli auspici più volte manifestati in maniera esplicita dallo stesso Consiglio superiore della magistratura, a tutela dell’immagine di imparzialità ed autonomia dell’esercizio della giurisdizione21.

In materia di status dei magistrati in aspettativa per incarichi politici o amministrativi, elettivi o di governo a livello nazionale o presso enti locali si ritiene opportuno segnalare al legislatore la necessità di intervenire in materia di valutazione di professionalità degli stessi ai fini dei connessi avanzamenti in carriera.

Come è noto, la riforma dell’ordinamento giudiziario – segnatamente il D.Lgs.vo 160/2006, attuativo della delega di cui alla legge 150/2005 – ha radicalmente innovato la disciplina della carriera del personale di magistratura, abrogando il sistema di progressione articolato attraverso le qualifiche – uditore giudiziario, magistrato di tribunale, di appello, di Cassazione ed idoneo alle funzioni direttive giudiziarie – sostituendolo con un percorso professionale unitario ed omogeneo, scandito da valutazioni in ordine alla permanenza dei requisiti di idoneità alla funzione condotte per tutto il corso della carriera, fino al raggiungimento del ventottesimo anno di anzianità, con una periodicità quadriennale costante.

Lo scopo perseguito dal legislatore è stato quello di realizzare un sistema più stringente e puntuale

disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Gli stessi uffici accertano d'ufficio la condizione di incandidabilita' anche sulla base di atti o documenti di cui vengano comunque in possesso comprovanti la condizione di limitazione del diritto di elettorato passivo di cui all'articolo 1.

20 Detto art. 88 prevede che “I dipendenti dello Stato e di altre pubbliche Amministrazioni nonchè i dipendenti degli Enti ed Istituti di diritto pubblico sottoposti alla vigilanza dello Stato, che siano eletti deputati o senatori, sono collocati d'ufficio in aspettativa per tutta la durata del mandato parlamentare ….Il periodo trascorso in aspettativa per mandato parlamentare è considerato a tutti gli effetti periodo di attività di servizio ed e computato per intero ai fini della progressione in carriera, dell'attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e di previdenza. Durante tale periodo il dipendente conserva inoltre, per sè e per i propri familiari a carico, il diritto all'assistenza sanitaria e alle altre forme di assicurazione previdenziale di cui avrebbe fruito se avesse effettivamente prestato servizio”.

21 Al tema è dedicata la delibera 28 aprile 2010, contenente una proposta di modifica legislativa al Ministro della Giustizia nel senso indicato nel disegno di legge, della quale più diffusamente si è detto al par. 1, b).

(13)

di verifica della adeguatezza professionale dei magistrati articolando valutazioni maggiormente ripetute e frequenti rispetto a quanto previsto dalla legislazione previgente.

Dal conseguimento delle successive valutazioni di professionalità dipende anche la progressione economica della retribuzione percepita dal magistrato – a sua volta organizzata per classi stipendiali –, nonché la valutazione di astratta idoneità ad accedere a particolari funzioni.

Ora, l’art. 11 del D.Lg 160/06 stabilisce che “Tutti i magistrati sono sottoposti a valutazione di professionalità ogni quadriennio a decorrere dalla data di nomina fino al superamento della settima valutazione di professionalità”; la legge definisce l’oggetto ed i criteri di valutazione della professionalità demandando alla normativa secondaria l’individuazione dei parametri e degli elementi rilevanti22.

I parametri ed i criteri di valutazione sono ovviamente modellati con specifico riferimento alla qualità e quantità dell’attività giudiziaria23.

D’altra parte, occorre considerare che l’art. 11 del D.Lgs.vo n. 160/2006 al comma 16 prevede che

“I parametri contenuti nel comma 2 si applicano anche per la valutazione di professionalità concernente i magistrati fuori ruolo. Il giudizio è espresso dal Consiglio superiore della magistratura, acquisito, per i magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia, il parere del Consiglio di amministrazione, composto dal presidente e dai soli membri che appartengano all’Ordine giudiziario, o il parere del Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Roma per tutti gli altri magistrati in posizione di fuori ruolo, compresi quelli in servizio all’estero. Il parere è espresso sulla base della relazione dell’autorità presso cui gli stessi svolgono servizio, illustrativa dell’attività svolta, e di ogni altra documentazione che l’interessato ritiene utile produrre, purché attinenti alla professionalità, che dimostri l’attività in concreto svolta”.

A tale disposizione primaria è stata data esecuzione con la previsione del capo VI della circolare sulle valutazioni di professionalità, in base al quale: “1. Le disposizioni che precedono si applicano anche ai magistrati destinati a funzioni non giudiziarie, in quanto compatibili, ivi compresi coloro per i quali il parere è formulato dal Consiglio di amministrazione del Ministero della Giustizia.

2. Il parere è espresso sulla base della relazione dell’Autorità presso cui gli stessi svolgono servizio, illustrativa dell’attività svolta, e di ogni altra documentazione che l’interessato ritiene utile produrre, purché attinente alla professionalità e che dimostri l’attività in concreto svolta.”

La norma si riferisce a tutte le ipotesi in cui il magistrato si trovi in collocamento fuori ruolo e, quindi, anche a quelle in cui esso sia stato determinato da aspettativa.

Così, nella prassi consiliare, sono collocati fuori dal ruolo organico i magistrati in aspettativa per mandato parlamentare o amministrativo.

La conseguenza è che per il magistrato in aspettativa a seguito di elezione al Parlamento o in enti territoriali, il Consiglio ha sempre dovuto procedere alla valutazione professionale riferendola all’attività compiuta nella sede diversa da quella giudiziaria in cui ha operato, sulla base delle risultanze offerte dall’autorelazione dell’interessato e delle informazioni fornite dagli Organi rappresentativi dell’ente – Presidenza del ramo del Parlamento.

E’ doveroso segnalare la scarsa compatibilità della valutazione professionale, rigorosamente disciplinata, per procedura, parametri e criteri di giudizio, selezione degli elementi rilevanti e delle fonti di conoscenza, con l’attività condotta dagli stessi presso Organi di rappresentanza o di governo politico ed amministrativo, profondamente eterogenea per contesto, finalità e modalità in quanto espressione di un indirizzo politico non imparziale.

Sarebbe, quindi, estremamente opportuno che il legislatore cogliesse l’occasione per adattare la disciplina delle valutazioni di professionalità alle specificità dell’attività politica e di governo esercitata dai magistrati, distinguendola – nel merito e nel metodo - da quella applicabile a coloro che esercitano effettivamente le funzioni giudiziarie.

22 In adempimento di tale prescrizione il C.S.M. ha emanato la circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007 e successive modifiche, che detta i nuovi criteri per la valutazione di professionalità.

23 Il comma 2 dell’art. 11 citato stabilisce che la valutazione di professionalità riguarda “la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno” dei magistrati.

(14)

3. Il ricollocamento dei magistrati candidati e non eletti, di quelli eletti al Parlamento nazionale o europeo o in elezioni amministrative e di quelli con incarichi di governo nazionale, regionale o locale.

Gli artt. 5, 6, 7, 9 e 10 del disegno di legge in commento si occupano della destinazione, all’atto del reingresso nei ruoli della magistratura ordinaria, amministrativa, contabile e militare, dei magistrati che abbiano proposto la loro candidatura in elezioni politiche nazionali o europee, ovvero amministrative e non abbiano conseguito l’elezione, di coloro che, invece, siano stati eletti in esito alle medesime competizioni elettorali, nonché di chi, pur non essendosi candidato, abbia ricoperto un incarico di governo nazionale, regionale o locale.

Va osservato che il disegno di legge in commento si propone di incidere su di essa attraverso una serie di innovazioni, destinate ad individuare la procedura di ricollocamento in ruolo di tutti magistrati, e quindi non soltanto di quelli ordinari.

Il commendevole e condiviso obiettivo di apprestare finalmente una normativa organica idonea ad evitare l’immanente rischio di opacizzazione dell’immagine di indipendenza ed imparzialità degli appartenenti all’Ordine giudiziario si è tradotto, talora, in disposizioni non funzionali rispetto allo scopo prefissato e non aliene da tratti di incongruità.

All’art. 5, comma 1, è, innanzitutto, ribadito il divieto di assegnazione, per 5 anni, dei magistrati candidati e non eletti al Parlamento nazionale ed europeo ad uffici situati nella regione in cui si sono presentati o che la ricomprenda all’interno della propria circoscrizione territoriale: in sostanza, l’ambito regionale si sostituisce a quello distrettuale, contemplato dalla vigente normativa secondaria, che è, però, riproposto, al terzo comma, per i magistrati candidati e non eletti alla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere provinciale, comunale e circoscrizionale.

Diversamente, per i magistrati provenienti da uffici con competenza territoriale nazionale è prevista la ricollocazione presso l’ufficio di provenienza.

In proposito, il testo dell’art. 5, comma 2, è stato modificato dall’Aula del Senato sì da garantire una migliore specificazione del regime riservato ai magistrati candidati e non eletti che fossero già in servizio presso le giurisdizioni di ultima istanza. Nulla è, tuttavia, previsto per i magistrati dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo presso la Corte di cassazione, che, a rigore, non sono in servizio “presso i collegi giudicanti della Corte di cassazione”.

Le novità più dirompenti contenute nell’art. 5 sono compendiate nei commi 4 e 5, che, presumibilmente in virtù di un imperfetto coordinamento, attribuiscono portata generale a disposizioni già contenute, con efficacia soggettiva più circoscritta, nel comma 2.

Ai sensi di tali norme, i magistrati candidati e non eletti al Parlamento nazionale o europeo ovvero alla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere provinciale, comunale e circoscrizionale subiranno il divieto, per un periodo di cinque anni, di ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi e saranno assegnati, per identico lasso temporale, a funzioni giudicanti collegiali.

Il disposto del comma 4 ripropone il vincolo della destinazione del magistrato già candidato a funzioni collegiali che, in altro contesto, era stato introdotto dalla normativa consiliare precedente alla novella operata con la delibera del C.S.M. del 13 aprile 2005 che, sul punto, aveva consapevolmente effettuato una scelta diversa24.

24 Questa la motivazione sottesa al mutamento di indirizzo:

“Sul piano funzionale, la vigente circolare prescrive, poi, la destinazione a funzioni collegiali.

Tale indicazione trae origine da un assetto ordinamentale che vedeva gli uffici di primo grado ripartiti tra uffici di Pretura e Tribunali, i primi con competenza monocratica e i secondi con competenza collegiale e si giustificava in quanto l’assegnazione ad un Tribunale comportava necessariamente l’inserimento del magistrato in un collegio in cui erano esclusi percorsi decisionali in totale autonomia, che, invece, caratterizzavano lo svolgimento delle funzioni pretorili.

L’esigenza tutelata mirava a garantire non solo l’indipendenza sostanziale dei magistrati ma anche la limpidezza dell’immagine di terzietà ed autonomia della magistratura nel suo complesso.

Tale configurazione, peraltro, è stata radicalmente innovata con il D.Lgs. n. 51/1998 che ha istituito il giudice unico di primo grado, ampliando considerevolmente l’ambito delle competenze monocratiche sia civili che penali.

Riferimenti

Documenti correlati

L’Autore affermò testualmente che “l’impunità fattuale” non poteva addebitarsi alla pecu- liarità della funzione giudiziaria, “giacché sono agli occhi di tutti vicende

con l’aggravante di cui all’art. 30, comma 6, del vigente Codice di Giustizia Sportiva) della pluralità degli illeciti posti in essere dal sig. BONCORE Giuseppe Davide, all’epoca

● Per quelle che non restituiscono un valore si può usare “return” senza argomento, oppure ometterlo per terminare la funzione alla fine della funzione..

[r]

[r]

(se esistono, se ne calcoli la formula ed il corrispondente

" Premesso che con nota in data 20 luglio 2017 il Presidente del Tribunale di … ha formulato un quesito chiedendo di conoscere se, con riguardo alle

INCARICO CONFERITO: Componente della Commissione per l'elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi diritto processuale civile -