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15/01/2018 IMMIGRAZIONE

Documento di posizionamento

ufficiostudi.fdi@senato.it

SENATO DELLA REPUBBLICA

Indice:

- SITUAZIONE SBARCHI E DIRITTO DI ASILO - REVISIONE ACCORDI DI DUBLINO

- CHIUSURA DEI PORTI

- LA POSIZIONE DI FRATELLI D'ITALIA

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1 I. SITUAZIONE SBARCHI E DIRITTO DI ASILO

Quanti sono gli immigrati giunti da noi?

Nel 2017 sono sbarcate oltre 180.000 persone; nel 2017 sono sbarcate oltre 119.000 persone. Numeri scesi nel corso del 2018, sono sbarcati infatti in 23.371, ma occorre sottolineare che le modalità di sbarco sono cambiate con l'utilizzo di imbarcazioni piccole e veloci, non intercettabili, quindi il numero preciso non è facilmente stimabile.

Nei cinque anni di governi PD: 680.000 sbarchi.

Attualmente sono ospitati nei centri di accoglienza oltre 160.000 persone.

I clandestini irregolari stimati al 1° gennaio 2017 sono 491.000, (435.000 al 1° gennaio 2016), fonte Fondazione ISMU.

A metà giugno 2018 se ne stimano quasi 600.000 per ammissione della stesa Boldrini (tweet dell'11 giugno 2018).

Composizione dell'immigrazione.

Per quasi il 90% uomini e 10% donne. Il 14% sono minori non accompagnati, ma in prevalenza ragazzi tra i 15 e i 18 anni, pochissimi i bambini.

Nel corso del 2018 il flusso è mutato, le principali nazionalità sono infatti: Tunisia (18%), Eritrea (15%), Sudan (9%), Nigeria (7%), Costa d'Avorio (6%).

Quanti hanno diritto alla protezione internazionale?

Solo 12,1% ha titolo ad una protezione riconosciuta a livello internazionale.

Ad un ulteriore 26,9% è stata concessa la "protezione umanitaria" prevista nell'ordinamento italiano, che non scaturisce da obblighi internazionali.

Il restante 61% è un immigrato irregolare a tutti gli effetti.

Dati forniti dall'audizione del 25 luglio 2018 del ministro dell'interno Salvini: per la restante parte, più o meno il 50% delle richieste di asilo, che è respinta dalle Commissioni Territoriali, si innesta nel 99% dei casi, un contenzioso con esito di protezione umanitaria sul 25% di essi.

Ciò porta il numero complessivo di protezioni umanitarie a più del 40% del totale delle richieste di status di rifugiato.

Quali tipi di protezione esistono?

due originano da accordi internazionali e leggi europee:

1) Il diritto di asilo che ha come fonte l'ordinamento internazionale (in particolare, la Convenzione di Ginevra del 1951, relativa allo status dei rifugiati, resa esecutiva dalla legge n. 722 del 1954) e la Costituzione (articolo 10). Riguarda esclusivamente i rifugiati politici. Solo l'8% ha ottenuto lo status di rifugiato

2) La protezione sussidiaria che ha come fonte il diritto dell'Unione europea attuato dal d.lgs. n. 25 del 28 gennaio 2008 recante norme per la “Attuazione della direttiva

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2 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”. Riguarda le persone che fuggono da situazioni di grave pericolo. Solo il 9% ha la protezione sussidiaria.

Più una terza forma di protezione che è una anomalia tutta italiana:

1) La Protezione umanitaria - abrogata

La terza forma di protezione, tutta italiana, che non nasceva né da obblighi internazionali né di carattere costituzionale, fu una libera scelta del nostro legislatore che la introdusse nel 1998. È stata abolita dal Decreto su immigrazione e sicurezza approvato dal Parlamento il 28 novembre 2018. Prima della sua abrogazione, prevedeva che la questura avrebbe potuto rilasciare un permesso di soggiorno tutte le volte in cui le commissioni territoriali, pur non ravvisando gli estremi per la protezione internazionale, avessero rilevato «gravi motivi di carattere umanitario» a carico del richiedente asilo.

Permessi speciali

Il decreto Sicurezza ha introdotto la possibilità di concedere un permesso di soggiorno temporaneo per casi speciali:

- permesso per cure mediche;

- permesso per calamità;

- permesso per atti di particolare valore civile;

- permesso per protezione sociale;

- permesso per vittime di violenza domestica;

- permesso per sfruttamento lavorativo;

Si tratta di una casistica più ristretta e specifica rispetto a quella della protezione umanitaria, tuttavia lascia forse troppe opzioni aperte, con il rischio che moltissimi casi "usciti dalla porta rientrino dalla finestra".

Quali sono i costi dell'accoglienza?

Mediamente 35 euro al giorno per gli adulti, 45 al giorno per i minori. Oggi la spesa è stata portata dal decreto Sicurezza a ad una cifra compresa tra i 19 e i 26 euro per gli adulti, si ipotizza quindi attorno ai 30-35 per i minori.

La spesa per le commissioni di asilo dal 2000 al 2016 è lievitata: si è passati da 214.460 euro del 2000 a circa 13.388.054 euro.

Conseguentemente, se si sommano tutti gli impegni finanziari assunti dal Ministero dal 2008 al 2016, l’importo complessivo risulta pari a 69.352.818 euro, e siccome le pratiche esaminate sono state 340.048, l’importo pro capite impegnato è stato di 203,95 euro.

Secondo la Corte dei Conti, gli impegni finanziari complessivi relativi alle spese per la prima accoglienza (nel cui ambito non sono state riscontrate contribuzioni, a vario titolo, da parte dei privati o organismi stranieri), sono stati pari complessivamente, nel 2016, a 1,7 miliardi, di cui: 1,29 miliardi per la prima accoglienza, 266 milioni per la seconda accoglienza e 111,5 milioni per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

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3 Siccome l'Unione europea ha contribuito a sostenere le politiche di accoglienza tramite le erogazioni effettuate, nel 2016, dall’agenzia “Frontex” per 8,1 milioni e dal Fondo asilo, migrazione ed integrazione (Fami) per 38,7 milioni, le stesse complessivamente rappresentano soltanto il 2,7% rispetto all’onere gravato sul bilancio dello Stato.

A ciò deve aggiungersi la stima delle mancate ricollocazioni di migranti negli altri paesi europei che, alla data del 15 ottobre 2017, ammonta a non meno di 762,5 milioni.

Per un totale di 2 miliardi e 400 milioni circa, che non tengono conto dei costi legali, le spese giudiziarie e il gratuito patrocinio automatico e l'avvocato d'ufficio.

Grazie alla passata legislatura FDI ha ottenuto con un emendamento che venissero rendicontati i soldi spesi per l'accoglienza.

II. REVISIONE ACCORDI DI DUBLINO Cosa prevede l'accordo di Dublino?

L’attuale regolamento di Dublino (604/2013) è il regolamento Ue che ha sostituito il precedente regolamento (343/2003) (a sua volta erede della Convenzione di Dublino, un trattato internazionale siglato nel 1990 ed entrato in vigore nel 1997) che «stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide». Il principio chiave è dettato dall’articolo 13: «Quando è accertato (...) che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale». In altre parole, la responsabilità dell’asilo è dello Stato di primo approdo.

I ricollocamenti.

Esiste una deroga a quanto previsto dall'accordo di Dublino, ma solo per casi specifici. La ricollocazione è stabilita nell’art. 3 della DECISIONE (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia. Ma riguarda solo una parte di chi ha diritto a protezione internazionale e in ogni caso non i migranti economici. Infatti in base alla Decisione del 2015

“è soggetto a ricollocazione chi appartiene a una nazionalità per la quale la percentuale di decisioni di riconoscimento della protezione internazionale, in base ai dati Eurostat, è pari o superiore al 75% delle decisioni sulle domande di protezione internazionale adottate in primo grado”.

Solo siriani, eritrei ed iracheni rientravano in questa percentuale a fine 2015, mentre oggi rientrano nella lista dei Paesi anche Yemen, Bahamas, Bahrein, Bhutan, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Se guardiamo alle nazionalità di arrivo in Italia nel 2015-2016, possiamo vedere che solo l’Eritrea rientrava tra i primi dieci Paesi per numero di richiedenti asilo nel nostro Paese, mentre ai primi posti provenienze non incluse come Nigeria, Pakistan, Gambia e Senegal. In

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4 pratica, stando ai dati dell’ultimo quadrimestre del 2017 dell’Eurostat (Asylum quarterly report), la ricollocazione riguarda solo eritrei e siriani, quindi meno dell’8% di chi è sbarcato in Italia. La stragrande maggioranza degli arrivi in Italia, insomma, è esclusa dal programma.

Con la decisione n. 2015/1523, del 14 settembre 2015, si è stabilito che fossero ricollocati complessivamente 40.000 richiedenti, di cui 24.000 dall’Italia e 16.000 dalla Grecia;

Con la decisione n. 2015/1601 del Consiglio, adottata il 22 settembre 2015, è stata prevista la ricollocazione di ulteriori complessivi 120.000 richiedenti, di cui 15.600 dall'Italia, 50.400 dalla Grecia e 54.000 da ripartirsi con criteri proporzionali tra i due paesi. Entro i successivi due anni.

Durante la seduta plenaria dell’Europarlamento del 16 gennaio 2018 a Strasburgo, il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha dichiarato:

"Contrariamente a quanto ci dicevano le Cassandre, il ricollocamento sta funzionando. Più del 95% di quanti si sono registrati in Grecia e Italia sono stati ricollocati". Questo perché, come detto, solo una piccola parte di chi sbarca è eleggibile per la ricollocazione.

Infatti il successo decantato da Junker riguarda 11 mila persone dall’Italia e 21 mila dalla Grecia accolte in altri paesi dell’Unione.

Ma vediamo davvero come sono andate le cose.

Il programma ha incontrato subito forti resistenze da parte di molti Paesi che avrebbero dovuto partecipare ed è cominciato a ritmo lentissimo: a inizio del 2016, appena 257 migranti erano stati ricollocati dall’Italia e 157 dalla Grecia, lo 0,64 per cento del totale allora previsto.

Nei mesi successivi le cose sono migliorate. Un’accelerazione si è avuto nel corso del 2017, con una media di 2.300 trasferimenti mensili a partire da febbraio dello scorso anno, secondo i dati europei.

A settembre 2017, alla fine teorica del programma, 27.695 persone erano state ricollocate:

come si vede, numeri lontanissimi da quelli inizialmente previsti (98 mila), ma che si spiegano con le precisazioni fatte sopra.

Veniamo ai numeri di inizio gennaio 2018, i dati dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (IOM), che collabora al programma, dicono che un totale di 33.183 persone sono state ricollocate in 24 Paesi, e di queste 21.716 venivano dalla Grecia e 11.467 dall’Italia.

Quasi un terzo del totale (10.265) sono state accolte dalla Germania, con la Francia seconda a distanza (4.859).

Gli effettivi ricollocati dall'Italia sono al gennaio 2018 solamente circa 11.000, a luglio 2018 solo 12.692.

Cosa prevede la bozza di riforma dell'accordo di Dublino?

Da anni in Europa si discute della revisione del trattato di Dublino, ma con grandi difficoltà.

È però fondamentale ricordare che i ricollocamenti, in ogni caso, non riguardano i migranti economici. Quindi molto rumore per nulla perché, in ogni caso, la discussione in Europa riguarda solo l’8% di chi è sbarcato in Italia.

Secondo il primo testo di riforma elaborato dalla Commissione Ue, la quota di richiedenti

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5 asilo accettabili da un singolo paese deve essere proporzionata a un doppio criterio (Pil e popolazione, con incidenza del 50% ciascuno). Se un Paese supera del 150% la sua

“capienza”, ogni nuova richiesta deve essere reindirizzata in automatico ad altri paesi. Se questi ultimi rifiutano, scatta una penale di 250mila euro per ogni richiedente asilo che viene respinto. A marzo la Bulgaria, presidente di turno del consiglio Ue, ha presentato una nuova bozza molto più penalizzante per l’Italia e le altre nazioni più esposte. I 5 paesi più penalizzati (Cipro, Grecia, Italia, Malta, Spagna) hanno quindi pubblicato a fine aprile un paper con 13 proposte per riequilibrare la proposta bulgara. A Lussemburgo, il 5 giugno è saltata l'intesa sulla riforma dell'accordo sulla bozza presentata dalla Bulgaria. Oltre all'Italia, anche se per ragioni diverse, avrebbero espresso obiezioni al testo Spagna, Germania, Austria, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica ceca. Nonostante il Trattato Ue consenta di prendere le decisioni in questo settore a maggioranza qualificata, in questa fase del negoziato sia la Commissione che la presidenza bulgara voleva un accordo unanime per evitare di creare ulteriori fratture fra gli Stati membri. Anche la Germania, dunque, si è arresa davanti al blocco dei paesi di Visegrad e dell'Europa del Sud. L’Italia e i Paesi del gruppo di Visegrad in questo momento vogliono la stessa cosa (respingere la proposta sul tavolo), ma con motivazioni diametralmente opposte. Secondo l'Italia, nella bozza di compromesso c’è troppa responsabilità a carico dei Paesi di primo ingresso e troppo poca solidarietà (posizione condivisa da Spagna, Grecia, Cipro e Malta). Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia (a cui si è aggiunta l’Austria) insistono invece sulla loro opposizione di principio alla possibilità che decisioni di politica comune Ue, prese a maggioranza qualificata (come prevede il Trattato), possano imporre a un Paese sovrano decisioni su chi ammettere sul proprio territorio. Francia e Germania voglio chiudere la discussione per fine giugno, quando ci sarà la riunione dei capi di Stato al Consiglio europeo. L’Austria, che guiderà il semestre Ue da luglio, ha già detto che vuole prima concentrarsi sulla dimensione esterna del fenomeno immigrazione. Servirà molto tempo per trovare un nuovo accordo, quindi. E poi il Consiglio dovrà anche sedersi al tavolo negoziale con il Parlamento europeo, che ha già approvato una proposta in cui sono previste le quote obbligatorie. Pensare di chiudere entro le prossime Europee (maggio 2019) sembra dunque impossibile.

III. CHIUSURA DEI PORTI

È possibile bloccare l’accesso ai porti delle navi delle ONG?

Sì. Lo stato costiero, nell’esercizio della propria sovranità, ha il potere di negare l’accesso ai propri porti a navi private (come ha ricordato anche l'ex ministro Frattini).

Le convenzioni internazionali sul diritto del mare non prevedono esplicitamente l’obbligo per gli stati di far approdare nei propri porti le navi che hanno effettuato il salvataggio, ma impongono e si fondano sull’obbligo di solidarietà in mare, per questo va considerato il caso specifico.

Esistono comunque una serie di norme internazionali che possono essere evocate da chi sostiene l'obbligo per l'Italia di accogliere le imbarcazioni con migranti a bordo. In particolare:

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-

L'art. 33 della convezione di Ginevra al comma 1 sancisce il principio del "non refoulement", cioè "Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche";

-

tale principio nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo è stato esteso ad ogni individuo anche a prescindere dal fatto che sia stato o no riconosciuto come rifugiato e che abbia o no presentato domanda di asilo (sentenza 23 febbraio 2012 - Ricorso n. 27765/09 - Hirsi Jamaa e altri c. Italia).

-

Ma il comma 2 specifica che il principio del comma 1 non si applica se un rifugiato debba essere considerato per seri motivi un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese.

-

Da aggiungere che il respingimento potrebbe violare gli artt. 2 (Diritto alla vita) e 3 Proibizione della tortura) della Convezione Europea dei Diritti Dell'Uomo, ma sempre nel caso in cui le persone a bordo abbino effettivamente bisogno di generi di prima necessità, cure mediche, ecc e che tali bisogni non possano essere soddisfatti per via del respingimento, e che la nave respinta finisca in un porto dove tali diritti umani siano minati, un c.d. porto non sicuro.

-

Da ultimo, secondo alcune interpretazioni i respingimenti indistinti sarebbero contrari all'art. 4 del protocollo 4 della Convezione Europea dei Diritti Dell'Uomo, "Divieto di espulsioni collettive di stranieri".

La questione è bilanciare il diritto della sicurezza dello Stato con i diritti umani dei migranti.

IV. LA POSIZIONE DI FRATELLI D'ITALIA

Basta con l'inganno dell'accoglienza dei profughi. Solo il 17% ha diritto a una forma di protezione internazionale, il restante 83% sono migranti economici. Per il 90% uomini in età da lavoro, non donne, bambini o nuclei familiari come è normalmente il caso di gente che scappa dalla guerra.

Accoglienza solo per i veri profughi. Abolizione dell'anomalia italiana della cosiddetta

"protezione umanitaria" in base alla quale viene concesso il permesso di soggiorno al 25%

di chi sbarca in Italia pur non avendone diritto in base alle norme internazionali (punto non previsto dall'accordo di programma).

Invertire il paradigma fino ad ora usato: chi giunge in Italia non deve più essere considerato un rifugiato fino a prova contraria, ma un clandestino fino a prova contrario (il reato di ingresso e soggiorno irregolare introdotto nel TU immigrazione con la legge n. 94 del 15 luglio 2009 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, è ancora esistente): chi arriva

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7 clandestinamente va quindi trattenuto in zone adeguate fino all'esame della domanda di asilo o al rimpatrio.

I clandestini devono essere trattenuti in strutture come i vecchi CIE (centri di identificazione ed espulsione), dai quali non possono uscire liberamente in attesa di essere rimpatriati.

Rendere effettive le espulsioni, vincolando i fondi della cooperazione internazionale e gli aiuti della UE alla sottoscrizione di accordi per il rimpatrio dei clandestini: niente fondi agli Stati che non collaborano.

Va bene rivedere l'accordo di Dublino, ma non è la soluzione al problema, perché in ogni caso riguarda solo l'8% di quelli che sbarcano in Italia.

Bene il radicale cambio di rotta del nuovo Governo in tema di immigrazione che ha deciso di adottare la linea dura contro le ONG. Per anni gli italiani sono stati presi in giro dalla sinistra che ci ha raccontato che non c’era alternativa ad accogliere a casa nostra l’intera Africa. Non è vero. Ma servono soluzioni durature e definitive.

L'unica soluzione reale all'invasione è il blocco navale al largo delle coste libiche per impedire ai barconi di partire e la costituzione di zone sicure in nord Africa, anche attraverso una missione militare se necessario, dove vagliare le richieste dei richiede asilo e distribuirli equamente tra i 27 Stati membri della UE. Per questo Fratelli d’Italia presenterà in Parlamento una risoluzione per impegnare il premier Conte e il Governo a chiedere nel prossimo Consiglio europeo del 28 e 29 giugno una missione europea per istituire il blocco navale e gli hotspot in nord Africa (punti non previsti dall'accordo di programma grillo - leghista e mai citati da Conte).

Aquarius.

Felici che la Spagna abbia deciso di accogliere la nave, per fortuna per noi e purtroppo per gli spagnoli, hanno da poco un governo socialista che evidentemente vorrà fare la politica che ha fatto fin ora il PD in Italia: spalancare le porte a tutti gli immigrati. Con il governo di centrodestra la Spagna controllava i suoi confini, può essere un vantaggio per noi.

Ma la soluzione più forte contro le ONG non è tanto chiudere i porti, rischiando di mettere in pericolo anche delle vite umane, quanto piuttosto far entrare le navi, sequestrale e denunciare l'equipaggio per tratta di esseri umani e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Le leggi per farlo ci sono, se ne servono ulteriori facciamole. Perché un conto è l'equipaggio di una nave che trova causalmente una imbarcazione in difficoltà e giustamente la soccorre, portandola nel porto sicuro più vicino. Altra cosa è organizzarsi in modo scientifico per andare a recuperare le imbarcazioni da portare in Italia, facendo un vero e proprio servizio navetta. Questo non vuol dire rispettare il diritto del mare, come qualcuno vuole raccontarci, ma è favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. È qualcosa che non viene consentito da nessun'altra parte del pianeta.

Anche il Belgio ora sostiene il blocco navale: Il segretario di Stato belga responsabile delle Migrazioni, Theo Francken ha dichiarato dopo la riunione: "Mi aspetto una stretta sulla

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8 migrazione. Penso che sia positivo se l'Italia inizia rifiutare i migranti sulle proprie coste, e non li lascia più entrare in Sicilia". "Dal 2012 non possiamo più farli (i respingimenti), e finché è così, la situazione continuerà ad essere caotica. Dobbiamo rimandarli indietro. Quindi dobbiamo cercare di aggirare l'articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani. La giurisdizione dovrà seguire questa linea, perché altrimenti non ci sarà più la Corte europea.

Penso che alcuni non capiscano esattamente cosa sta accadendo in Europa. La gente deve lasciare le proprie torri d'avorio e guardare la realtà".

Il precedente del blocco navale - d'altra parte - lo troviamo anche nel governo di centrosinistra del '97 dell'allora premier Prodi, quando trovò accordo con il premier albanese Bashkim Fino per fermare, con un blocco navale della nostra Marina, quelli che non venivano considerati profughi ma immigrati non in regola, perciò da respingere. Italia non si limitò 'blindare' il canale d' Otranto, ma si impegnò ad inviare anche cibo e medicinali, a impegnarsi per la ricostruzione delle strutture statali, con l'obiettivo finale di ripristinare il funzionamento della vita civile, economica e politica del Paese.

Da ultimo, i vertici della guardia costiera libica plaudono alla posizione italiana. Formata da ex ufficiali operanti durante gli anni di Gheddafi, da milizie armate e da fazioni che hanno preso potere dopo la fine del rais, la guardia costiera locale si dice impotente nel poter fermare i flussi di migranti verso l’Italia. Ma alcuni portavoce hanno dichiarato di vedere nella mossa di Salvini un primo positivo passo in avanti: “La chiusura dei porti – afferma Ayoub Qasem, comandante della guardia costiera a Tripoli – Aiuterà nel nostro intento. Se l’Italia chiude i porti nel lungo periodo le partenze dalle nostre coste diminuiranno”. Qasem puntano il dito sulle politiche cosiddette “umanitarie”: più navi di recupero sono vicine alle coste, più i trafficanti di esseri umani sanno di poter avere gioco facile nell’organizzare le traversate. Il ragionamento è molto semplice: i libici non partono, a partire sono africani che provengono dalle nazioni sub sahariane che, una volta presenti in masso in Libia, creano maggiore caos e destabilizzazione vista la situazione del paese. In parole povere, a guadagnarci sono soltanto le milizie che organizzano i viaggi della speranza

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