• Non ci sono risultati.

1. METODOLOGIE PER LO STUDIO DELLE CELLULE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "1. METODOLOGIE PER LO STUDIO DELLE CELLULE"

Copied!
40
0
0

Testo completo

(1)

1

Strutture bioartificiali e biomimetiche Step del corso:

1. Metodologie per lo studio delle cellule

2. Materiali da utilizzare: polimeri biodegradabili (sintetici e naturali), idrogeli, materiali biomimetici 3. Ottenimento delle strutture di supporto

4. Valutazione della struttura per verificare se risponde ai nostri requisiti

1. METODOLOGIE PER LO STUDIO DELLE CELLULE

A. TEST IN VITRO Si utilizzano:

- Cellule primarie: isolate da un paziente tramite biopsia cioè da un campione di tessuto prelevato. Sono prive di manipolazione genetica quindi sane o meno in base alle condizioni del paziente e forniscono parametri biologici molto più realistici.

Presentano però problemi di reperibilità e riproducibilità.

➔ Analisi di uno specifico stimolo

- Cellule immortalizzate: derivanti da una cultura di cellule primarie isolate da un tumore o da manipolazione genetica.

Presentano alterazioni nei parametri della crescita e della proliferazione cellulare.

Sono tutte uguali quindi standardizzate → riproducibilità e reperibilità.

➔ Utilizzate come screening di base

Valutazione di:

➢ Citotossicità: capacità di un materiale o di una sostanza di provocare un effetto tossico sulle cellule andando a modificare la normale morfologia o la funzionalità di tali cellule.

TEST DI CITOTOSSICITA’ INDIRETTA: verifico se il materiale rilascia sostanze a basso peso molecolare, derivanti dal processo di produzione, di lavorazione, da contaminazione o da degradazione/corrosione del materiale stesso. La citotossicità può essere anche causata da errata sterilizzazione quindi va valutata prima e dopo questo processo.

Questo test permette di valutare quindi questi possibili danni biologici provocati da sostanze rilasciate dai materiali tramite l’osservazione degli effetti che queste producono su cellule coltivate in vitro.

Metodo di eluizione.

- Il materiale (scaffold) viene messo a contatto con un terreno di cultura per tempi prestabiliti (3/7 giorni)

- Si preleva il terreno di cultura che prende così il nome di eluato contenente le eventuali sostanze tossiche rilasciate - Lo metto in multi-pozzetti triplicati in modo da aumentare la numerosità dei campioni (più dati di studio)

- Questi eluati ottenuti vengono utilizzati per coltivare cellule e in base alle reazioni delle cellule si valuta la citotossicità La si definisce INDIRETTA in quanto le cellule non entrano in contatto direttamente con il materiale ma con il terreno precedentemente messo a contatto con questo.

➔ Valuto la vitalità Devo tener conto di:

 Tipo di cellule

 Caratteristiche del materiale (poroso o compatto)

 Tempo di eluati (bastano 7 giorni)

 Tempo di cultura (24 ore bastano per vedere se le cellule stanno male)

➢ Citocompatibilità: si parla di questa quando il materiale non provoca non effetto tossico non inducendo una variazione della normale morfologia e fisiologia delle cellule.

Valuto 3 parametri:

a. Vitalità → saggi specifici

b. Funzionalità → ad esempio per gli osteoblasti con osteocalcina cioè quanta di questa sostanza è stata depositata dalle cellule

c. Morfologia → microscopia:

 Ottica: ogni materiale ha un colore con cui viene riconosciuto

 Elettronica: blocco tutto le cellule con gluteraldeide e osservo la morfologia

 Fluorescente: cellule in relazione con altre componenti; posso vedere anche la distribuzione di cellule vive e morte.

TEST DI CITOCOMPATIBILITA’ DIRETTA: si ha il contatto diretto cioè il materiale da testare viene messo in un pozzetto di coltura, avviene la semina diretta delle cellule da analizzare e si coltivano per un periodo più lungo del metodo indiretto perché le cellule necessitano tempo per adattarsi.

Poi analizzo la citocompatibilità tramite saggi specifici e osservazioni microscopiche.

➔ Valuto la vitalità e la funzionalità Devo tener conto di:

 Morfologia cellulare

 Materiale perché le cellule devono aderirvi

 Tempo di cultura più lungo

 Fenotipo cellulare

➔ Il metodo indiretto e quello diretto sono complementari l’uno all’altro e vengono fatti di seguito: se si ha la conferma che il materiale non sia citotossico allora si valuta citocompatibile.

(2)

2

Utilizzo poi dei saggi specifici:

▪ SAGGIO MTT: i mitocondri scindono l’anello tetrazolico della molecola di MTT per dare un sale di formazione violetto, tale sale è impermeabile alle membrane cellulari e si accumula nelle cellule e lì vi si accumula

consentendo di visualizzare la distribuzione cellulare → quantità di questo sale (formazano) è quindi proporzionale al numero di cellule vive.

Dopo che le cellule sono state in incubatrice aggiungo un solvente in modo da far sciogliere il sale che si è formato, il terreno di cultura diventa quindi viola e poi la quantificazione poi avviene tramite spettroscopio con il quale misuro l’assorbanza di una specifica lunghezza d’onda.

▪ SAGGIO ALAMAR BLUE: si verifica una reazione redox in questo caso e successivamente viene letta la relativa assorbanza per quantificare la reattività cellulare. Sapendo il numero di cellule nel pozzetto si va a verificare la relativa fluorescenza del pozzetto e creo un grafico che mette in relazione l’assorbanza con il numero di cellule utile.

Sono entrambi saggi colorimetrici.

Il vantaggio dell’Alamar è che dopo il test le cellule rimangono vitali all’interno del pozzetto → possiamo mantenerle in cultura e permetterci di fare una valutazione della crescita cellulare nel tempo.

TEST IN VITRO

PRO CONTRO

Risultati sulla sensibilità ai materiali tossici Parzialità dei modelli, analisi di un aspetto alla volta

Economici Risposta non direttamente trasferibile sull’uomo

Tempi contenuti Ipersensibilità dovuta all’accumulo di metaboliti e sostanze tossiche

Standardizzabili Non si ha tutto il sistema di contorno presente nel nostro organismo (es. sistema linfatico)

B. TEST IN VIVO

Ci sono delle regole di base riguardo alla sperimentazione animale:

- Condizione degli animali durante la sperimentazione - Tipologia dei materiali utilizzati

- Tipo di animale utilizzato

➔ Ho varie norme sia nazionali che comunitarie

Si possono fare diverse tipologie di test:

➢ TEST NON FUNZIONALI → INTERAZIONE MATERIALE-TESSUTO

 Prendo dei campioni di forma arbitraria (solitamente dischetti)

 Si impiantano nei tessuti molli dell’animale attraverso interventi poco invasivi

 Breve durata (da qualche giorno a qualche settimana a seconda del modello di animali utilizzato)

 Si osservano le interazioni locali e sistemiche, come il materiale si integra nel tessuto in cui viene impiantato

→ infiammazione acuta sotto le 12 settimane, infiammazione cronica sopra le 12 settimane

➢ TEST FUNZIONALI → FUNZIONALITA’ DELL’IMPIANTO, CARICHI MECCANICI E CONDIZIONI ANALOGHE A QUELLE DELL’UOMO

 Animale deve essere adeguato alla specifica applicazione dell’impianto

 Dispositivo deve essere di dimensioni adeguate all’animale utilizzato

 Il dispositivo viene quindi impiantato nell’animale a svolgere la funzione prevista in condizioni analoghe a quelle dell’uomo

 Lo studio ha durata maggiore, più costoso e più complesso

➢ TEST DI IMPIANTO → BIOCOMPATIBILITA’

 Prendo dei dischetti di materiale, si sterilizzano e si impiantano nell’animale in condizioni il più simili a quelle che poi saranno per l’uomo (animale scelto in base alle dimensioni dell’impianto e della durata del test)

 Impianto lasciato per un periodo prestabilito

 Viene poi estratto insieme ai tessuti circostanti per valutare la presenza di risposta infiammatoria, cambiamenti fisiologici o degenerazione del tessuto

 Viene utilizzato un controllo: materiale di biocompatibilità nota che serve come confronto con il materiale testato, se l’animale ha dei problemi con il controllo allora qualcosa è andato storto

 In questi test bisogna minimizzare l’effetto del movimento relativo tra tessuto ed impianto

 Vengono poi fatte delle analisi istologiche su ciò che ho prelevato post impianto nelle quali si valuta la distanza dell’interfaccia tessuto/impianto, l’estensione della capsula fibrotica e dell’infiammazione, la degenerazione del tessuto, il numero e la distribuzione delle cellule infiammatorie.

TECNICHE ISTOLOGICHE

 Si espianta il tessuto circostante assieme all’impianto e si fissa in formalina così da prevenire stress meccanico, la degradazione e migliorare la riproducibilità

(3)

3

 Si disidrata il campione dove l’acqua viene sostituita da paraffina in soluzione di etanolo a concentrazione crescente

 Si seziona il campione che successivamente viene reidratato per togliere la paraffina

 Procedo poi con la colorazione istologica per lo studio al microscopio; solitamente si utilizza la ematossilina che è basica e colora di blu le componenti acide, la eosina che colora di rosa le componenti basiche

TEST IN VIVO

PRO CONTRO

Risposta più completa dell’impianto Specie diverse hanno una risposta fisiologica diversa (risposte comunque simili)

Controllo più difficile dei parametri chimico-fisici Meno standardizzate

Tempo lungo e costi elevati

3. MATERIALI

❖ POLIMERI BIODEGRADABILI

 Origine sintetica e naturale.

 Abbiamo varie tipologie di polimeri

• Omopolimero: costituiti da un solo polimero; struttura può essere lineare, reticolata o ramificata (reticolazione = diverse cinetiche di degradazione)

• Copolimero: possono essere costituiti da 2 o più polimeri distribuiti in diversi modi (alternati, a grafting, a blocchi o random). A seconda della disposizione dei polimeri ho diverse caratteristiche sia come degradazione che come caratteristiche meccaniche.

• Blend: miscela macroscopicamente omogenea di due o più diversi polimeri, i due componenti del materiale sono fisicamente distinguibili e sono uniti tramite legami deboli e i costituenti sono separabili fisicamente.

• Rete polimerica interpenetrata: polimero costituito da 2 o più reti polimeriche che in qualche modo si intersecano l’una con l’altra, almeno parzialmente, su scala molecolare. Posso avere dei legami forti di unione e difficilmente riesco a distinguerle, le reti polimeriche non possono essere separate a meno che i legami chimici non vengano rotti.

• Rete polimerica semi-interpenetrata: polimero comprendente una o più reti polimeriche + uno o più polimeri lineari o ramificati caratterizzati dalla interpretazione su scala molecolare di almeno una delle reti con alcune catene lineari o ramificate. Le reti sono legate tra loro solo con legami deboli.

Requisiti di un materiale biodegradabile per la preparazione di scaffold o sistemi di delivery:

- Degradazione all’interno del corpo umano non deve dare una risposta infiammatoria non fisiologica - Accettabile shelf life

- I prodotti di degradazione non devono avere effetti tossici o devono essere smaltiti dal corpo - Il tempo di degradazione deve bilanciarsi con il tempo di rigenerazione del tessuto

- Le caratteristiche meccaniche e la loro variazione nel tempo devono essere adatte all’applicazione - Il materiale deve essere facilmente lavorabile

- Il metodo di sterilizzazione deve essere adeguato

Concetto:

- Biodegradabile: la biodegradazione è la degradazione del materiale a carico di agenti biologici

- Bioriassorbibile: il materiale va incontro a degradazione all’interno del corpo umano e i prodotti di degradazione sono smaltiti dal corpo umano attraverso vie fisiologiche (sono metabolizzati)

- Bioassorbibile: relativo ai polimeri che si dissolvono all’interno del corpo umano, il materiale si scioglie nei fluidi corporei e sono eliminati senza rotture di catene. In questo caso non ho perdita di peso molecolare come negli altri due casi.

Ho due tipi di degradazione:

- Idrolisi: polimeri di origine sintetica - Enzimatico: polimeri di origine naturale

Fattori che influenzano la degradazione idrolitica (dipende molto dalla reazione con l’acqua):

- Idrofobicità: più un materiale è idrofobico più l’acqua fatica ad entrare più la velocità di degradazione è lenta - Struttura alifatica: è maggiormente attaccabile dall’acqua

- Alto peso molecolare: catene più lunghe rallentano la velocità di degradazione

- Struttura porosa: la superficie a contatto con l’acqua aumenta e quindi la velocità di degradazione aumenta

- Alcuni materiali sono utilizzati al di sotto della Tg: sotto questa T ho le catene congelate in una posizione quindi ho bassa mobilità e ciò rallenta la cinetica di degradazione

- Il pH acido favorisce la degradazione

- Alcuni enzimi favoriscono la degradazione dei legami chimici

(4)

4

Ci sono due tipi di erosione:

- Erosione di massa: la forma della struttura rimane la stessa ma perdo in peso molecolare e di conseguenza in caratteristiche meccaniche. La forma è mantenuta finché le catene non sono ridotte in strutture tale che possono uscire dalla forma. Mi serve di più una erosione di massa nel caso voglia sostituire una superficie, in quanto mantiene sempre le stesse dimensioni ma nel mentre le caratteristiche meccaniche diminuiscono, però nel mentre il mio tessuto si sta rigenerando.

- Erosione di superficie: la forma va a ridursi di dimensione, il materiale va a degradarsi come una cipolla cioè strato per strato. La degradazione riguarda solo lo strato più superficiale quindi può essere utile in sistemi di rilascio di biomolecole o cellule.

Polimeri sintetici o naturali:

- Sintetici: ho una minore risposta immunologica in quanto non hanno componenti organici, inoltre mi permettono di funzionalizzare il polimero aggiungendo biomolecole.

➔ Versatilità: ho la possibilità di formare diversi tipi di polimeri con determinate caratteristiche

➔ Riproducibilità

➔ Facilità di lavorazione e ho a disposizione molte tecniche di lavorazione che non ho per i polimeri naturali

➔ Minori rischi immunologici

➔ Incorporazione di agenti bioattivi - Naturali:

➔ Degradabilità

➔ Idrofilicità: vantaggio perché porta ad una elevata velocità di degradazione

➔ Biocompatibilità: difficilmente portano a risposta infiammatoria non fisiologica

➢ ESTERI ALIFATICI: poli-lattidi, poli-glicolidi, poli-idrossi-butirrato, poli (- caprolattone)

• Poli-α- idrossiacidi: PGA, PLA, PGLA

- ottenuti mediante una sintesi ad anello aperto, andando a scegliere un iniziatore adeguato posso giocare sulla formazione di catene più o meno lunghe e con un certo peso molecolare, inoltre i gruppi terminali possono variare scegliendo opportunamente l’iniziatore

- vanno incontro ad erosione di massa come risultato di un processo di idrolisi

- la degradazione porta ad una diminuzione del peso molecolare: PGA e PDLA dopo qualche giorno, PLLA dopo qualche settimana → non si ha perdita di massa fino a quando le catene molecolari sono ridotte ad una dimensione che ne permetta la diffusione libera dalla matrice polimerica.

- problematica: se la degradazione avviene troppo velocemente ho un accumulo di prodotti acidi e se non vengono smaltiti ho una intensa reazione infiammatoria e si ha la formazione di un ambiente acido vhe può portare alla necrosi dei tessuti

- con questi polimeri ho una intensa interazione con l’ambiente biologico in quanto non ci sono gruppi funzionali sulle catene molecolari, questo è un limite all’adsorbimento di componenti bioattive sulla superficie.

-un'altra problematica: il tempo di degradazione può essere anche di 2 anni quindi devo migliorare le caratteristiche della cinetica di degradazione → allo scopo realizzo dei copolimeri con altri polimeri o con monomeri contenenti gruppi funzionali

→ ad esempio, i processi di idrolisi e degradazione sono più veloci se la %GA > %LA; il PGA e il PLA hanno idrofobicità e idrofilicità diversi ed il copolimero viene rotto dove c’è il PGA favorendo la degradazione.

Per studiare la cinetica di degradazione prendo il materiale e in laboratorio lo metto a contatto con un sistema che simula il tessuto biologico. Dopo un determinato tempo vado a pesare il provino per valutare la diminuzione del peso molecolare. Il provino prima di essere pesato viene disidratato, in questo modo peso solo il materiale e non anche l’acqua assorbita.

Un altro modo è studiare la diminuzione del peso molecolare ma serve anche una cromatografia; è molto più comodo il primo metodo.

Esistono anche altri copolimeri a triblocchi (o più) in cui ogni blocco ha una funzionalità diversa.

Esempio: triblocco PLA_PEG_PGA il quale presenta le proprietà meccaniche del PLA e l’idrofilicità del PEG.

Il polietilen-glicole (PEG) viene utilizzato in quanto più idrofilico, solubile in acqua, assente da tossicità e più biocompatibile.

Il PLA invece è idrofobico, con una velocità di degradazione molto bassa, in vivo può richiedere anni.

• Il PCL (poli-capro-lattone) è un materiale facile da lavorare e presenta la possibilità di formare blend con altri polimeri. Ha una velocità di degradazione più lenta del PLA (2-3 anni) e viene utilizzato per sistemi a rilascio controllato di farmaci. La Tg è molto bassa (-60°C) quindi a temperatura corporea ho catene più mobili che favoriscono la degradazione. Anche il punto di fusione è molto basso quindi a 37° il materiale è in stato molto flessibile e questo limita le applicazioni strutturali.

(5)

5

➢ POLI-IDROSSI-ALCANOATI (PHA)

Polimeri prodotti all’interno di alcune specie organiche (batteri). La risposta in vivo di questi materiali non deve provocare una risposta immunitaria durante la degradazione.

• PHB (pol-idrossi-butirrato)

Si ottiene mediante sintesi chimica del β-butirrolattone o per estrazione dal batterio.

-Estrazione dal batterio: metto i batteri all’interno di un bioreattore che li fa fermentare e questi si nutrono di zucchero principalmente, i batteri ingrassano e alla fine della fermentazione, si hanno i batteri con dentro il PHB. Per estrarre questo devo lavare e raccogliere i batteri distruggendo la membrana. Il PHB viene estratto con un solvente e separato dalla restante biomassa, iniettando il solvente in acqua il PHB precipita come polvere bianca di purezza superiore al 98%. Questo è un processo deve essere fatto in modo molto accurato, se rimangono dei batteri posso avere risposta immunitaria nel paziente.

→ il tutto chiaramente ha un prezzo che fa aumentare il costo del materiale.

- è un materiale semi-cristallino con Tg= -50-20°C e Tm=180°C. Attualmente viene molto utilizzato in medicina rigenerativa poiché i prodotti derivanti dalla sua degradazione idrolitica di superficie sono fisiologicamente biocompatibili e ha velocità di degradazione minore rispetto ai poliesteri di sintesi.

-Copolimeri con HV (idrossi-valerato): in questo modo ottengo un copolimero (PHBV) e posso ridurre la cristallinità (aumento così la velocità di degradazione e ho zone meno organizzate all’interno quindi diminuisco le proprietà meccaniche), riduco anche il punto di fusione così ho un range di applicazioni superiore.

➢ POLICARBONATI ALIFATICI possono avere diverse strutture e una Tg = 40-60°C

• PTMC:

- bassa resistenza meccanica

- degradazione per erosione di superficie (in vitro per meccanismi idrolitici, in vivo enzimatici) -Tg molto bassa → a 37° ho già la transizione vetro-gomma → a T corporea è molto deformabile

➢ ELASTOMERI BIODEGRADABILI: sviluppati per superare problemi associati ai materiali termoplastici biodegradabili come le elevate proprietà meccaniche, la degradazione di massa e in alcuni casi i prodotti di degradazione acidi.

Hanno un’elevata deformabilità e la deformazione viene totalmente recuperata.

Sono il silicone e i poliuretani lineari a segmenti ad esempio.

o Poliuretani biodegradabili lineari a segmenti

- si formano con tre reagenti: macrodiolo, isocianato, estensore di catena - per renderli biodegradabili, lavoro sul macrodiolo (voglio un poliestere)

- isocianato può essere alifatico o aromatico (aromatici più stabili, se voglio renderlo biodegradabile uso alifatico)

Vengono utilizzati maggiormente sono HDI e BDI: non sono biodegradabili ma i loro prodotti di degradazione non scatenano reazioni infiammatorie non fisiologiche.

Per aumentare la cinetica di degradazione scelgo un isocianato biodegradabile, il più usato è la polilisina (LDI)

- estensore di catena solitamente è un butandiolo

• DegraPol (poliestere uretano) è formato da due poliestere dioli legati da un’unità di diisocianato Il segmento hard è costituito da un copolimero in caprolattone e poliidrobutirrato, l’amorfo in policaprolattone e poliglicoliche.

È formato da polimeri biodegradabili, i cui prodotti di degradazione non sono tossici e utilizzando diversi rapporti tra i segmenti hard e soft posso modificare le proprietà del polimero. (La parte amorfa è più attaccabile, deformabile e va incontro prima a degradazione mentre quella cristallina conferisce proprietà meccaniche e la sua organizzazione rende più lenta la sua degradazione)

In condizioni fisiologiche la degradazione del degrapol avviene per idrolisi del legame estere e il tempo di degradazione dipende dalla idrofobicità del materiale.

❖ MATERIALI POLIMERICI BIODEGRADABILI Possono essere di origine proteica o polisaccaride.

Vengono utilizzati perché meglio riconosciuti come self dall’organismo rispetto a quelli di sintesi.

Non hanno però caratteristiche meccaniche elevate per cui non sono sempre una valida alternativa.

➢ POLISACCARIDI: costituiti da diversi tipi di monosaccaridi e hanno diversi pesi molecolari, sono molecole lineari o ramificate.

Composizione dei monosaccaridi & condizioni ambientali → carica negativa, positiva o neutra Tipologie:

1. Neutri: cellulosa, destrano 2. Carica positiva: chitina e chitosano

3. Carica negativa: alginato, pectina, acido ialuronico, polisaccaridi con gruppi solfato (eparina e GAG)

(6)

6

2. POLISACCARIDI CARICHI POSITIVAMENTE CHITINA

 Polisaccaride naturale presente nei gusci dei crostacei, esoscheletro di insetti e alcuni funghi CHITOSANO

 Ottenuto per deacitazione (chitinina bollita in soluzione concentrata di idrossido di potassio)

 Alta compatibilità

 Si degrada in lisina

 I prodotti di degradazione possono essere utilizzati come nutrienti cellulari

 A pH fisiologico è un policatione (+) e forma gel con polianioni(-)

 Interagisce con sostanze cariche negativamente come proteine, polisaccaridi anionici, acidi nucleici

 Riduce la formazione di tessuto fibrotico, è emostatico e antibatterico

 Problema: solubilità in ambiente acido → spesso vengono utilizzati per inglobare cellule ma a pH troppo basso le cellule muoiono → modifico il chitosano per renderlo solubile in acqua

3. POLISACCARIDI CARICHI NEGATIVAMENTE ALGINATO

 Ottenuto da alghe

 Copolimero M+G e posso variare le caratteristiche del polimero In presenza di ioni divalenti

 Capacità dei cationi divalenti di far gelificare le molecole di alginato solo in corrispondenza dei blocchi G (acido guluronico)

 Può essere reticolato usando ioni carichi positivamente bivalenti (es Ca++, grado dipende dalla quantità di ioni calcio e di conseguenza varia la cinetica di degradazione)

 I cationi Ca++ si legano ai blocchi -GGGGG- perché vengono coordinati dai gruppi carbossilici di due catene parallele

 Si crea una struttura egg-box, alginato carico negativamente si lega con i cationi carichi positivamente.

PECTINA

 Estratta dalle pareti cellulari di alcune piante

 Alta affinità con acqua, biocompatibilità con tessuti biologici, prodotti di degradazione ben tollerati

 Anche in questo caso uso gli ioni Ca++ per la reticolazione: sottoposta a gelazione indotta da calcio derivanti da interazioni specifiche e forti tra ioni calcio e gruppi carbossilici di blocchi di galatturonato

 Grado di esterificazione (DE) delle unità di acido poligalattutonico (L'esterificazione è la reazione di preparazione di un estere a partire da un alcol ed un acido)

- rapporto tra l’acido galatturonico esterificato e non esterificato

→ DE > 50% → pectina alto metossile (HM pectin)

→ DE < 50% → pectina basso metossile (LM pectin)

ACIDO IALURONICO

 È un glicosamminoglicano (GAG) cioè un polisaccaride lineare, formato da unità ripetitive di disaccaridi:

N-acetilglucosammina, acido glucuronico.

 Ha comportamenti molto differenti in base alla sollecitazione a cui è sottoposto a causa della sua componente viscoelastica

 Si degrada molto velocemente → lo modifico Acido ialuronico modificato

Scopo:

- modificare la solubilità in acqua - aumentare il tempo di degradazione - modificare la funzionalità

Vado quindi a modificare l’interazione dell’acido con l’ambiente circostante - reticolazione per rallentare la cinetica di degradazione

(7)

7

- grafting di molecole (es se volessi andare a fare un rilascio di farmaco, lo carico in molecole laterali sulla catena)

- modifica della struttura

Tra tutte queste modifiche chimiche le più importanti sono quelle fatte dalla HYAFF, tramite una reazione di esterificazione dell’acido ialuronico con un alcool così da rendere il materiale più stabile e così che possa assumere diverse forme. > DE > stabilità > caratteristiche meccaniche

Insolubile in acqua ed è fragile allo stato rigonfiato Possibili lavorazioni:

- estrusione: fibre membrane - liofilizzazione: strutture porose - spray-drying: microsfere

➢ PROTEINE COLLAGENE

 Proteina più abbondante nei tessuti biologici

 Componente principale della ECM

 Esistono 18 tipi di collagene e ciascun tipo è caratteristico di un determinato tipo di tessuto

 in medicina rigenerativa utilizziamo il collagene di tipo 1 che viene preso da diverse specie animali come bovini, suini, equini → compatibilità biologica con il corpo umano, più economici ma non hanno determinate caratteristiche.

 Oltre dagli animali possiamo ottenerlo dal latte di animali transgenici, piante o lieviti → più simile a quello umano ma ho processi costosi e riesco ad estrarne quantità limitate

 Proprietà del collagene:

- solubile in soluzioni acquose -relativamente stabile -degradazione enzimatica -basse proprietà meccaniche

 Proprietà utili per applicazioni biomediche:

- biodegradabile con prodotti di degradazione non tossici -velocemente assorbito nel corpo umano

-rare reazioni allergiche, reazioni localizzate (rossore) -basso potenziale antigenico

 Reticolazione:

- controllo della reticolazione (per via chimica o fisica) → variazione delle proprietà meccaniche e biodegradazione

- reticolazione aumenta il tempo di degradazione e la resistenza meccanica -diminuisce la capacità di assorbire acqua

-reticolazione chimica: si ottiene con la formazione di legami covalenti all’interno della struttura, è una reticolazione forte.

Posso utilizzare ad esempio gluteraldeide che agisce sui gruppi NH2 residui della lisina presenti nel collagene. Legami forti = materiale resistente.

MA la gluteraldeide è tossica, può causare la morte cellulare se rimangono all’interno della struttura, non devono quindi rimanere dei residui.

-reticolazione fisica: ho delle interazioni elettrostatiche più deboli.

Per reticolare utilizzo una radiazione ultravioletta o un trattamento idrotermico in acqua ad alta temperatura, è una reticolazione più blanda però non uso reagenti tossici.

Trattamento idrotermico: T > 98° sottovuoto → rimozione acqua dalle molecole di collagene, formazione reticolazione intermolecolare

GELATINA (derivato da una parziale degradazione del collagene, lo uso perché costa meno)

 Non ha una tripla elica → peso molecolare più basso

 Solubile in acqua

 Degradazione rapida perché la gelatina si scioglie in acqua calda e solidifica a bassa T → questo può essere uno svantaggio perché se si scioglie, a basse T, all’interno del corpo umano potrebbe diventare un liquido → reticolazioni

 Basso livello di immunogenicità e citotossicità

 Basso costo

 Facilità di lavorazione

 La ottengo da: pelle di suino, ossa di suino, cavallo e bovino, pesce

 Differenze in fonti e processi di lavorazione → grandi effetti sui prodotti finali di gelatina

(8)

8

 Ho due metodi di ottenimento: acido e alcalino del collagene.

Prima del processo di estrazione devo fare un pre-trattamento e con questo ottengo gelatina carica

negativamente, con un punto isoelettrico più basso (punto isoelettrico = disponibilità di carica disponibile per la reticolazione della gelatina).

Con il processo acido ottengo una gelatina con natura elettrica alterata e un punto isoelettrico pari a 5 uguale a quello del collagene → posso utilizzare gli stessi processi di reticolazione

Questi tipi di gelatina sono stabili per 30 giorni.

 Reticolazione della gelatina consiste nella formazione di legami covalenti inter e intra molecolari, portando ad un aumento delle proprietà meccaniche e della stabilità in ambiente fisiologico.

Anche in questo caso ho metodi sia fisici che chimici, come per il collagene.

 Reticolazione di tipo chimico:

formazione di legami covalenti tra le catene macromolecolari: idrogeli stabili, proprietà fisico-chimiche controllabili

classificazione in base alla reazione di reticolazione:

- zero length -non-zero length 1. zero length Agente reticolante:

- catalizza il legame diretto tra le catene polimeriche - non è presente nella rete polimerica che si forma - viene rimosso al termine della reazione

- maggiormente utilizzati:

EDC reagisce con i gruppi residui aspartici e glutammici delle molecole di gelatina → si forma composto intermedio → attacco nucleofilo da parte dei residui della lisina della gelatina → formazione di legami ammidici tra le catene

NHS può essere aggiunta alla reazione per prevenire l’idrolisi del composto intermedio

Reazione EDC/NHS → alto grado di reticolazione, alta efficienza di reazione, condizioni di reazioni blande, biocompatibilità dell’idrogelo formato

2. non zero length Agente reticolante:

-eventualmente presente nella catena polimerica che si forma

-molti tipi di reticolanti → proprietà controllabili e versatili, reagiscono con le catene polimeriche → formazione di legami covalenti tra i gruppi amminici della gelatina

-maggiormente utilizzati:

aldeidi, isocianati, acrilammidi, epossidi

GTA molto utilizzata come reticolante per la gelatina.

Aggiunta nella soluzione di gelatina → reazione tra i gruppi amminici della gelatina e i gruppi carbossilici del GTA

→ formazione rete polimerica → GTA incorporata nella rete Efficiente reticolante, stabilità degli idrogeli ottenuti GENIPINA

Composto naturale estratto, usata nella medicina tradizionale cinese, elevato costo, usata come reticolante per la biocompatibilità.

Apertura ad anello della molecola di genipina per attacco nucleofilo del gruppo amminico → reazione a due stadi

→ legame covalente tra genipina e le catene polimeriche GELATINA METACRILATA (GelMA)

Sostituzione dei gruppi amminici e idrossilici della gelatina con gruppi metacrilici.

Modifica della gelatina con anidride metacrilica → aggiunta fotoiniziatore → irraggiamento UV → reticolazione Non zero length perché ho inserimento di gruppi metacrilici che vengono incorporati nella rete polimerica

 Reticolazione di tipo fisico:

a. Fascio elettrico ad alta energia: rottura macromolecole → formazione radicali liberi → possibile formazione di legami tra le catene

b. Plasma: se applicato ad una soluzione di gelatina → formazione di radicali liberi (idrossili) dopo la reazione di radicali ossigeno con l’acqua → formazione di legami di reticolazione tra le catene

(9)

9

c. Trattamento deidrotermico (DHT): applicazione per lungo tempo di alta T sottovuoto (T> 100°, P < 100 mTorr) → condensazione dell’acqua tra le catene polimeriche → formazione di reticolazioni

intermolecolari Condizioni generali:

- Non si utilizzano reagenti potenzialmente tossici e solventi

- raggi  o fascio elettronico: sterilizzazione della gelatina contemporaneamente alla reazione di reticolazione - rispetto ai metodi chimici ho minore grado di reticolazione e minori caratteristiche meccaniche

 Reticolazione di tipo enzimatico:

TG: enzima presente in molte piante e specie animali.

mTG: TG da batteri utilizzata nell’industria alimentare

permette la formazione di legami covalenti tra le catene di gelatina

TGA catalizza la reazione acil-transferasi tra i residui di glutammina della gelatina e tra i gruppi amminici primari della gelatina

Reticolazione è rapida a T = 35°

Citocompatibilità LA SETA

 Estratta da specie animali dotati di ghiandole che producono proteine (bachi da seta, ragno) e di un sistema di spinning che trasforma la massa di proteina in struttura fibrosa.

 La differenza tra le due specie è la tipologia di seta ottenuta: quella del ragno ha caratteristiche meccaniche più elevate

 La bocca del baco da seta contiene ghiandole che permettono la produzione delle proteine presenti nella seta, la bocca funziona come un estrusore ed estrude il filamento di seta che va a formare il bozzolo. I filamenti sono composti principalmente di due proteine: sericina (globulare) e fibroina; la sericina fa da collante tra due fibroine.

 La sericina può dar luogo a reazioni infiammatorie in vivo → faccio un processo di sgommatura (utilizzo soluzioni acido o alcaline a T= 100°) che ne permette l’eliminazione → ottengo la sola fibroina

 La fibroina invece è biocompatibile con buone proprietà meccaniche e buona emocompatibilità

Può cambiare la sua struttura molecolare (polimorfismo): quando è all’interno della bocca del baco da seta si trova in configurazione silk1 ed è solubile in acqua, mentre quella estrusa dal baco è in configurazione silk2, più cristallina e più stabile e insolubile in acqua. In laboratorio possiamo ottenere una terza configurazione che è la silk3, rappresentante quella all’interfaccia tra aria e acqua.

 Dopo l’estrazione della fibroina posso lavorarla per ottenere polvere, film o dei gel.

❖ MATERIALI BIOMIMETICI

Biomimicry: imitazione della natura.

 ADESIVO DELLE COZZE

 Le cozze e le vongole rimangono attaccate allo scoglio grazie ad un adesivo. Questo adesivo è molto resistente in ambienti umidi e aggressivi → potremmo utilizzarlo nel corpo umano per attaccare due lembi evitando le suture ed è in grado di incollare materiali come il PTFE.

 Può essere estratto dalle cozze e dalle vongole ma è molto costoso (circa 200mila dollari al microgrammo) → imitazione della struttura chimica

 Adesivo contiene una proteina in grado di reagire con il ferro presente nel mare formando così un composto molto stabile e rendendolo molto resistente. In particolare, l’adesivo è composto da una parte basata su proteine che contengono un’alta concentrazione di DOPA che si indurisce a contatto con il ferro. → un gruppo di ricerca è riuscito a sintetizzare una molecola contenente la stessa proteina all’interno delle cozze.

 PELLE DELLO SQUALO

 La pelle dello squalo è molto ruvida e viene usata da asciutta come carta abrasiva in quanto ricoperta di piccole strutture a forma di V con allineamento preferenziale e forma scanalata → rugosità porta ad una riduzione dell’attrito.

→ lo squalo si muove molto velocemente perché l’acqua scivola bene sulla struttura (coefficiente idrodinamico molto basso)

 Questa struttura non promuove l’adesione di microorganismi sulla pelle → struttura diminuisce adesione batterica → mimesi → es cateteri prodotti con superficie micro-strutturata Sharklets per prevenire la sopravvivenza e la migrazione dei batteri → diminuzione cause di fallimento legate all’adesione batterica (CAUTI: infezione delle vie urinarie associate a cateteri)

 ALI DELLE FARFALLE e in generale colore delle ali e dei piumaggi

 Diverse specie animali creano il colore strutturalmente, spezzando le onde luminose e riflettendole selettivamente come un arcobaleno o un prisma di cristallo

 La colorazione delle ali della farfalla ha due fonti principali:

- pigmentazione chiamato colore chimico: i pigmenti trovati nelle farfalle possono produrre però solo gialli, arancio-gialli, rossi, neri, marroni

- struttura delle ali chiamato colore fisico o strutturale: i colori come blu, viola, verde, sono il risultato della micro e nano struttura delle ali

(10)

10

 EFFETTO LOTO

 Le foglie delle ninfee sono sempre pulite e le gocce d’acqua sono molto sferiche e rotolano sulla superficie: questo effetto è basato sulla rugosità superficiale causata da diverse microstrutture unite alle proprietà idrofobiche delle nano-strutture.

 Si è visto come queste foglie presentano una struttura gerarchica formata da protuberanze

ricoperte da filamenti di dimensioni nanometriche: la superficie è ricoperta da cuticule composte da asperità micrometriche rivestite da filamenti di cera nanometrici.

Le gocce su queste strutture non sono in grado di cambiare la loro forma sferica quindi rotolano sulla superficie portando via tutte le impurezze che trovano (non ho interazione con la superficie)

→materiali autopulenti

 GECO

 Ho una struttura gerarchica in cui si hanno questi filamenti nanometrici che permettono al geco di mantenersi stabile senza precipitare.

 Si è visto come l’adesione della zampa del geco con la superficie a contatto è dovuto solo a forze deboli di Van der Waal → molti punti di contatto con la superficie → riesco a sopportare pesi

 In California hanno realizzato un array di microfibre con un’elevata forza di attrito con capacità di sopportare carichi su di una superficie liscia. Il processo per la realizzazione di superfici polimeriche ricoperte da nanotubi di carbonio: i nanotubi imitano le migliaia di strutture microscopiche sulla zampa del geco, si allineano verticalmente e l’estremità dei nanotubi è un po’ arricciata per promuovere maggiori punti di adesione con la superficie. Quando il sistema viene tirato in basso in direzione parallela alla superficie rimane così attaccato.

❖ MATERIALI STIMULI-RESPONSIVE

Materiali funzionali: subiscono modifiche macroscopiche reversibili indotte da variazioni nell’ambiente circostante;

importante perché abbiamo macromolecole smart all’interno del nostro corpo.

Rispondono ad uno stimolo esterno (chimico o fisico) mostrando variazioni nel comportamento chimico o fisico.

Stimoli esterni possono essere: temperatura(!), pH, luce, campo magnetico o elettrico, glucosio, morfina, metalli, urea, anticorpi.

• Materiali T responsive

a. Transizione sol/gel: utilizzato per creare tessuti ingegnerizzati o per rilascio di farmaci o cellule.

b. Transizione idrofilo/idrofobico: utilizzato per colture cellulari Un materiale smart è caratterizzato da due temperature di transizione:

a) Lower critical solution temperature (LCST) alla quale si ha transizione sol/gel con aumento della temperatura

b) Upper critical solution temperature (UCST) alla quale si ha transizione sol/gel con abbassamento della temperatura

Syinthetic smart materials – T responsive

Gli idrogeli T responsive si trovano allo stato di sol a basse T e allo stato di gel ad alte T.

Esempio i copolimeri a blocchi PEO-PPO-PEO (polossamero).

Copolimeri N-isopropilacrilammide (poli NIPAAm)

 Soluzione acquosa di poli (NIPAAm) mostra una LCST = 32°C al di sopra della quale si ha la transizione coil-to-globule, ovvero da idrofobico a idrofilico.

 La LCST può essere controllata preparando copolimeri con monomeri aventi differente idrofobicità.

 T < LCST

idratazione delle catene e formazione di strutture lasse in H2O

 T > UCST → le catene formano strutture compatte e ho deidratazione

(11)

11

Natural smart materials – T responsive

 Soluzioni acquose derivanti da cellulosa (metil-cellulosa, idrossi-propil cellulosa)

termo-gelazione inversa: la cellulosa non è solubile in acqua, se si introducono gruppi idrofilici è possibile ottenere la solubilità e, per alcune combinazioni idrofobico/idrofilico, avere la transizione sol/gel.

 All’aumentare della T l’acqua diventa un solvente povero e prevalgono le interazioni polimero-polimero → formazione del gel

 Nei derivati della cellulosa, quando il bilanciamento idrofilico/idrofobico è ottimale → transizione gel/sol in acqua

 Principali fattori che influenzano la LCST per gli idrogeli a base di MC:

a. Ioni in soluzione: ioni salting-in → aumento della LCST, ioni salting-out → diminuzione di LCST b. Concentrazione di MC: aumento della [] → diminuzione della LCST

Anche la gelatina è un materiale T-responsive che subisce gelazione a bassa temperatura in acqua (gelazione termo-reversibile UCST), per riformazione della tripla elica (gelatina) o doppio filamento (polisaccaridi).

• Materiali pH-responsive

Sono di particolare interesse per le differenze di pH presenti nel corpo: eventi fisiologici o patologici.

Esempio 1: grande variazione del pH nel tratto gastro-intestinale: stomaco è acido (pH= 1-2), intestino alcalino → possibile utilizzo di sistemi sensibili al pH per evitare il rilascio di farmaci nello stomaco o estendere l’efficacia del farmaco all’intestino.

Esempio2: idrogeli sensibili al pH per il targeting di farmaci antitumorali. Significativo ambiente acido nel tessuto tumorale (pH 5-6) rispetto ai tessuti sani (pH 7.4) → possono liberare in modo efficiente il farmaco antitumorale nel sito target acido, riducendo al minimo la quantità di farmaco rilasciata altrove

I sistemi che rispondono a stimoli chimici mostrano principalmente cambiamenti nella reologia (=

viscosità) o proprietà fisiche. Si verifica per la presenza di ioni specifici o specie chimiche nell’ambiente circostante: questi ioni interagiscono selettivamente con le macromolecole del biopolimero e inducono diverse risposte.

• Smart hydrogels

 Idrogeli che possono cambiare le caratteristiche se stimolati con stimoli esterni.

 Possono variare: lo stato fisico, la viscosità, l’affinità all’acqua e questi cambiamenti possono essere indotti da radiazione luminosa, campo elettrico, variazione di pH, campo magnetico e temperatura.

 Esempio: idrogelo che risponde in modo diverso in base al pH

Idrogelo anionico in soluzione acida respinge l’acqua e le molecole tendono ad avere più affinità tra di loro, idrogelo sembra quindi più solido per la vicinanza tra le macromolecole.

Se il pH invece è basico allora il materiale assorbe acqua e perde di caratteristiche meccaniche diventando più un solido viscoso.

Un idrogelo cationico invece lavora al contrario.

4. METODI PER OTTENIMENTO DI STRUTTURE TRIDIMENSIONALI

Produzione di un tessuto ingegnerizzato → identificare i requisiti richiesti → realizzazione

Requisiti e geometrie che può avere una struttura per permettere la rigenerazione di un tessuto sono:

1. Simil-spugna: struttura porosa con una caratteristica di flessibilità maggiore rispetto alle strutture rigide. La porosità è caratterizzata dalla dimensione dei pori e dalla interconnessione di essi per permettere la comunicazione.

2. Barrette o tubi: struttura con sezione circolare con due dimensioni preponderanti rispetto alla terza, un tubo potrebbe servire per rigenerare un vaso ematico.

3. Tessuto: rigenerazione di un tessuto come la pelle.

4. Pori o canali nella struttura con geometrie orientate o random, per favorire la migrazione delle cellule.

5. Controllo variabili spaziali e composizionali 6. Strutture composite a gradiente di composizione.

I tessuti non sono fatti di un solo tipo di cellule quindi nella produzione di uno scaffold è sempre importante pensare allo sviluppo di flussi ematici in grado di trasportare il sangue con nutrienti per le cellule. Non esiste uno scaffold che vada bene perfettamente per un tessuto, va ottimizzato in base alle esigenze.

Per esempio, uno scaffold di tessuto ingegnerizzato con struttura porosa viene immerso in un medium liquido di cultura cellulare per fornire ossigeno e nutrimento per le cellule che vengono seminate e che colonizzano la superficie, penetrando nello scaffold → i pori devono permettere la migrazione delle cellule con un buon apporto di gas e nutrienti per la sopravvivenza cellulare.

(12)

12

Mentre alcune cellule penetrano all’interno dell’EC, le cellule superficiali iniziano a proliferare → Attenzione! Se la struttura non è ben progettata le cellule superficiali bloccano l’ingresso dei nutrienti e la fuoriuscita dei rifiuti.

Scelta della migliore struttura per un determinato tessuto → 2 approcci differenti:

a. Approccio top-down: si parte da cellule e scaffold su cui si seminano le cellule; da qui si ha la proliferazione delle cellule e la deposizione di matrice ECM, accompagnata dalla contemporanea degradazione dello scaffold.

b. Approccio bottom-up: si parte da cellule e strutture di un materiale assemblabili. Le tecniche di semina delle cellule sono incapsulamento, printing, aggregazione e creazione di foglietti, a questo punto vanno correlate al materiale tramite assemblaggio che può essere random, direzionato o a layer sovrapposti.

Tecniche di fabbricazione:

a. Tradizionali: utilizzano dei metodi consolidati che si basano sull’analisi di parametri quali solvente, temperatura, pressione e strumentazioni note.

b. Additive manufacturing

(13)

13

1. NON WOVEN / FIBER BONDING

 Approccio consolidato, basato sull’assemblaggio di fibre disorientate.

 Gli scaffold ottenuti con questa tecnica hanno un basso spessore e la superficie risulta facilmente colonizzabile dalle cellule

 Le caratteristiche di permeabilità sono dovute ai pori derivanti dalla disorganizzazione delle fibre compattate tramite calore e pressione.

 È possibile unire le fibre di un polimero biodegradabile di sintesi (PGA) secondo due approcci:

a) Si mettono in soluzione il polimero desiderato + un secondo polimero (es PLA con un punto di fusione più basso).

Si riscaldano ad una T > della T di fusione del PLA e < della T di fusione del PGA → evaporazione del solvente ed adesione delle fibre. Infine, si elimina il PLA con un solvente.

b) Si spruzza una soluzione (atomizzazione spray) su un polimero in soluzione, ad esempio il PLA, sulle fibre di un altro polimero, ad esempio PGA. Si ha poi l’evaporazione del solvente, quindi il PLA funge da collante tra le varie fibre.

I vantaggi di questa tecnica sono la buona interconnessione e l’elevata porosità, il controllo del diametro delle fibre e la possibilità di usare diversi polimeri, biodegradabili o no. Gli svantaggi sono l’utilizzo del solvente che può rimanere intrappolato nello scaffold e dare problemi di tossicità alle cellule, le alte temperature di processo che impedisce di incorporare molecole attive nello scaffold, il basso spessore del tessuto non tessuto con basse proprietà meccaniche.

2. EVAPORAZIONE DI SOLVENTE O RILASCIO DI PARTICELLE (solvent casting/ particulate leaching) 1- Il materiale viene disciolto in un solvente opportuno

2- Aggiungo l’agente porogeno (possibilmente solubile in H2O → NaCl) e per compressione li annetto allo scaffold (posso ottenere dischi a spessore variabile)

3- Evaporazione del solvente

4- Estrazione dell’agente porogeno per immersione in acqua

La porosità dipende dalla concentrazione di agente porogeno mentre la dimensione dei pori dalla granulometria dell’agente porogeno.

 diversa morfologia superficiale lato aria e lato stampo

 i pori non sono sferici e ho bassa interconnessione

Altri agenti porogeni:

Particelle di paraffina (solubili in idrocarburi) per creare scaffold in PLLA o PLGA.

- Ottenimento delle particelle di paraffina parte da un’emulsione con piccole gocce di paraffina liquida in sospensione in acqua a 60°C, queste vengono poi raffreddate e filtrate per ottenere particelle con dimensione 200-400 µm.

Particelle di gelatina (solubile a T > 32°C) usate per creare scaffold in PD, L-LA.

- Ottenimento delle particelle da un’emulsione di gelatina disciolta in acqua con olio di semi di soia a 60°C, questo viene fatto raffreddare e poi viene filtrato, si ottengono particelle con dimensione 200-400 µm.

L’utilizzo di paraffina e gelatina → necessità di setacciare le particelle selezionando l’intervallo di dimensione adeguato a una applicazione. Successivamente le microsfere devono essere compattate in uno stampo per poi essere fuse per azione di temperatura e/o vapore. Le particelle devono aderire tra loro prima dell’aggiunta della soluzione polimerica.

L’adesione delle particelle di agente porogeno è diversa per paraffina e gelatina:

- Le particelle di paraffina aderiscono tra loro per calore, con parziale fusione dello strato più esterno delle particelle → valutazione del tempo e della temperatura richiesti per una buona adesione → prove tra 40 e 50°C, aumentando il tempo in stufa.

- Particelle di gelatina → mantenimento delle particelle in un ambiente a T e umidità controllate

A questo punto è possibile versare la soluzione polimerica nello stampo Dissoluzione dell’agente porogeno

Creazione di una struttura a pori aperti ed interconnessi

(14)

14

☺ possibilità di ottenere strutture 3D a parete sottile (2-3 mm) con adeguata interconnessione tra i pori, ottenibile con tecniche alternative (senza NaCl)

 alto spessore dello scaffold con difficoltà a rimuovere le particelle di agente porogeno dalla matrice (utilizzando la gelatina non si hanno problemi nel caso in cui rimangano particelle nello scaffold perché essa favorisce l’adesione cellulare senza prodotti tossici mentre la paraffina va completamente eliminata)

3. GAS FOAMING

 Obiettivo: eliminare l’impiego di solventi organici ma questo impedisce l’introduzione di cellule o biomolecole attive durante la preparazione dello scaffold per via dello sviluppo di gas durante la sintesi.

 1. Primo metodo: parte dalla soluzione del materiale in cui viene iniettato gas in pressione, la pressione diminuisce poi fino a diventare pari a quella atmosferica per la solubilità del gas nel polimero → formazione di bolle nel gas all’interno del polimero → porosità

 2. Secondo metodo: applicabile solo ai poliuretani (preparazione di schiume poliuretaniche)

Durante il processo si ha produzione di gas. Si parte da una miscela di reazione a cui si aggiungono catalizzatore di reazione, acqua e agente porogeno → ottengo schiuma poliuretanica con CO2 di scarto.

Gli agenti rigonfiati che possono essere introdotti sono composti a base di acido carbossilico che reagisce con il calore, con rilascio di CO2 e acqua.

Per selezionare l’agente più adeguato si analizzano la temperatura di reazione in base a quella di fusione del polimero e la tossicità.

➔ Ottengo pori di dimensione 100-500 µm fino a 1200 µm in base all’agente scelto e una struttura con porosità del 40-50%.

☺ possibilità di orientare i pori secondo la direzione di estrusione

 bassa porosità, pori sono scarsamente interconnessi.

 3. Terzo metodo: utilizza un composito di polimero e sale, con sviluppo di gas dalle particelle di sale e creazione di microporosità.

4. FREEZE-DRYING (LIOFILIZZAZIONE)

 Processo di essicazione

- Conversione di soluzioni in solidi con sufficiente stabilità per la distribuzione e l’immagazzinamento - Applicazione: alimentare, farmaceutica

 Fasi del processo:

1. Soluzione raffreddata a bassa T (-70 - -80°C) tramite azoto liquido

2. Campione congelato posto nella camera a bassa pressione (pochi millibar) mediante vuoto parziale per cui ho la sublimazione del ghiaccio che diventa gas

→ prodotto finale è una polvere, per ottenere una struttura solida si prende la soluzione polimerica, la si congela e liofilizza per dare coesione al materiale → ciò da origine a una porosità nella struttura con dimensione dei pori regolata tramite pressione di liofilizzazione e temperatura di congelamento.

Nessuna tecnica tradizionale è in grado di realizzare scaffold con:

- Porti con alta interconnessione

- Morfologia dei pori regolare e riproducibile

- Differente microstruttura in funzione dell’applicazione - Ottenimento di scaffold multistrato 3D

Limitazioni delle tecniche tradizionali:

- Complessità nello sviluppo dei processi - Stretto intervallo dei materiali utilizzabili - Morfologia dei pori non sempre ottimizzabile - Bassa interconnessione dei pori

- Utilizzo di solventi potenzialmente tossici

- Temperatura, pressione → difficoltà a inglobare cellule o biomolecole attive durante il processo

➔ Sviluppo di nuove tecniche per la preparazione di scaffold:

- Metodi avanzati - Additive manufacturing

a. COMPUTER AIDED MANUFACTURING a) Substrative manufacturing:

- Genero un modello 3D - Genero un programma CNC

- Lavoro il materiale asportando il materiale in eccesso - Se possibile, riciclo lo scarto

b) Additive manufacturing

(15)

15

- Genero un modello 3D

- Mediante software realizzo strati sottili della struttura 3D

- Mediante tecnologie ad hoc costruisco la struttura strato per strato

Le tecnologie computer-aided si basano su di un modello CAD, ottenibile da immagini CT o MRI, convertito in STL trasferibile alla macchina.

3D PRINTING: si basa sulla stampa di un binder (legante, agglomerante) attraverso un ugello su uno strato di polvere di materiale, senza utilizzo di altri utensili.

- Oggetto viene costruito sequenzialmente strato su strato a temperatura ambiente

- È possibile incorporare agenti biologici come cellule e fattori di crescita se il legante non è tossico (acqua) Nel dettaglio:

- Dall’ugello vengono erogate gocce di un legante liquido (solvente o soluzione di solventi) a bassa viscosità su un letto sottile di polvere

- Le gocce si legano alla polvere, la compattano e formano uno strato 2D

- Dopo aver stampato uno strato e averlo fatto asciugare, si abbassa la piattaforma a una distanza fissata e viene quindi depositato un altro strato di polvere e viene ripetuto il processo

- Dopo aver completato la stampa di tutta la struttura si elimina la polvere in eccesso È possibile creare strutture in:

- Silicone - PCL - PLGA

- Polveri di idrossiapatite

Per la rigenerazione di tessuto osseo si utilizzano scaffold realizzati mediante 3D printing

FUSE DEPOSITION MODELLING (FDM)

 Questa tecnica utilizza un filamento di materiale termoplastico che viene portato a rammollimento ed estruso mediante estrusore collegato ad un PC per formare oggetti 3D.

 Il materiale esce dall’estrusore allo stato rammollito e solidifica

 Lo strato successivamente depositato, che è il substrato per lo strato successivo, deve essere mantenuto ad una temperatura inferiore a quella di solidificazione per assicurare una buona adesione tra i piani

 Parametri di processo:

- direzione di deposizione degli strati

- angolo di orientamento dei filamenti nel reticolo

(16)

16

 Porosità realizzata lasciando canali vuoti che risultano interconnessi tridimensionalmente

 La morfologia dei pori varia all’interno della struttura dello scaffold con pori totalmente interconnessi

➔ È possibile quindi fabbricare scaffold con forma e dimensione dei pori definiti impostando i parametri di processo della macchina FDM controllata dal computer

 Processo altamente riproducibile

 Limiti di questa tecnica:

- Utilizzo di un filamento di materiale

- Effetti che la temperatura ha sul materiale di base

 Utilizzata per scaffold in PCL con buone caratteristiche meccaniche (resistenza e deformabilità) e facilità di lavorazione su cui possono aderire condrociti umani per la rigenerazione di cartilagine

TECNOLOGIA FDM-LIKE: 3D DEPOSITION (3DF)

 Utilizza un polimero rammollito che viene estruso da un pistone → vantaggioso rispetto alla tecnica precedente perché se si parte da un filamento già estruso è possibile che il materiale si degradi con perdita di PM

 Questa tecnica applica un solo processo di estrusione → maggiore sicurezza sul PM e le caratteristiche di degradazione

TECNOLOGIA FDM-LIKE: PRECISION EXTRUDING DEPOSITION (PED)

 Utilizza un materiale di base in forma di granuli evitando alcuni passaggi necessari per la FDM con filamento

 Ho un mini-estrusore montano su un sistema di posizionamento ad alta precisione

 La pressione data da una vita rotante forza il materiale in una camera e poi attraverso l’ugello

 Generalmente utilizzata per scaffold per tessuti ossei in PCL/HA su cui si seminano cellule osteoblastiche, con porosità molto ridotte grazie alle dimensioni dell’ugello

STEREOLITOGRAFIA (SLA)

 Reticolazione selettiva di un liquido foto-polimeralizzabile mediante un fascio laser collegato a un computer che si muove secondo un modello CAD

 Il laser scansiona gli strati sulla superficie della resina, i primi strati sono attaccati alla piattaforma mentre gli strati successivi vengono reticolati abbassando la piattaforma

 Il processo avviene utilizzando una vasca piena di polimero allo stato liquido contenente fotoiniziatore → il laser reticola alcune zone scelte del polimero

 Questa tecnica richiede strutture di supporto da aggiungere al modello per prevenire eventuali cadute di parti sospese o non collegate sul fondo della vasca

 Dopo il completamento dell’oggetto, questo viene sollevato e vengono rimosse manualmente le eventuali strutture di supporto

 Si utilizzano i laser UV per la fotopolimerizzazione

 Applicata su resine epossidiche o acrilati non biodegradabili

 È possibile creare scaffold in PDLLA mediante stereolitografia: si modifica chimicamente la struttura del polilattico per renderla reticolabile con fascio laser, questo consente di ottenere strutture altamente riproducibili con pori molto regolari.

(17)

17

MICRO-STEREOLITOGRAFIA

 Utilizzata per disegni più fini. Il fascio laser viene focalizzato più precisamente per ridurre la dimensione dello spot a pochi millimetri di diametro per solidificare, reticolando, uno strato più sottile di materiale (spessore 1-10 µm)

 Le strutture ottenute sono più precise rispetto a quelle ottenute mediante fotolitografia tradizionale

 Questa tecnica utilizza un sistema di lenti per focalizzare il fascio laser, con dimensioni ridotte per reticolare una porzione di polimero minore, con dettagli più precisi

 Esempio: creazione di un anello da mettere attorno alla cornea per richiamare cellule in grado di riformare la stessa cornea TWO PHOTON LITOGRAPHY

 Ulteriore miglioramento della SLA

 Non si utilizza un solo protone perché richiederebbe un’energia troppo elevata

 L’assorbimento simultaneo di due fotoni alla stessa o a diversa frequenza è usato al fine di eccitare una molecola dal livello

fondamentale al livello elettronico di energia superiore: la differenza di energia tra i livelli è uguale alla somma delle energie dei due fotoni

 La polimerizzazione a due fotoni usa speciali molecole di iniziatore che iniziano le reazioni di polimerizzazione se attivate appunto da due fotoni simultaneamente

 L’intensità del campo laser può essere regolata in modo che questo evento si verifichi solo in una piccola regione vicino al focus, ovvero il punto di applicazione (spot) → polimerizzazione estremamente localizzata con risoluzione di decine di nanometri

 Uso un laser focalizzato su una resina fotopolimerizzabile dau un sistema di lenti

ELETTROSPINNING

 Tecnica che permette di ottenere matrici aventi fibre micrometriche e nanometriche dovute all’uso di campo elettrico

 L’orientamento nanometrico che viene dato alla struttura è funzionale alla cultura cellulare per promuovere l’adesione delle cellule

 Le componenti principali del set-up sono:

- Una fonte di potenziale [kV]

- Un capillare metallico (spinneret) - Un collettore (sistema di raccolta)

➔ Set-up sperimentale semplice e a basso costo

 Sulla superficie della goccia di materiale polimerico si formano cariche dello stesso segno che danno luogo a forze di repulsione elettrostatica

 Quando queste forze sono tali da superare la tensione superficiale della goccia si forma un getto polimerico

 Vi è quindi una prima zona in cui si forma il cono di Taylor dove la fibra viene stirata → in questo tratto il solvente dovrebbe evaporare per averne una quantità ridotta nella fibra che altrimenti collasserebbe su sé stessa con creazione di una matrice irregolare.

 Una volta formato, il getto è attratto verso il collettore a causa del campo elettrico con accelerazione che aumenta notevolmente

 Il getto durante la distanza tra spinneret e collettore attraversa una zona di instabilità nella quale è allungato in modo da permettere la formazione delle nanofibre che verranno poi depositate sul collettore che svolge la funzione di sistema di raccolta.

 I parametri di processo possono variare in base al materiale e alla geometria mentre altri non sono controllabili

I parametri:

- Legati allo strumento: dimensione dello spinneret, voltaggio, forma del collettore - Legati al processo: voltaggio, distanza tra collettore e spinnet, movimento dello schermo e del collettore, potenza

- Legati alla soluzione polimerica: peso molecolare, materiale polimerico, solvente, rapporto polimero/solvente, costante dielettrica, viscosità, tensione superficiale, volatilità, conducibilità della soluzione

- Poco controllabili: temperatura, umidità e velocità dell’aria → influenzano però molto il risultato cioè la deposizione delle fibre

I parametri del processo si differenziano per diversi componenti del set-up e sono:

- Concentrazione della soluzione polimerica (viscosità): un’alta concentrazione fa diminuire i difetti (beads) e aumentare il diametro delle fibre che si creano. Oltre un certo valore di concentrazione non è possibile però fare elettrospinning.

- Differenza di potenziale che determina l’attrazione della fibra verso il collettore, influenzando l’ottenimento delle fibre. Sotto un certo valore non si ha getto polimerico, sopra si ha recessione del cono di Taylor.

- Distanza spinneret-collettore che determina la zona di accelerazione rapida: è necessario un valore sufficiente per far evaporare il solvente, in quanto la fibra si forma senza solvente. Al di sopra o al di sotto di un certo intervallo ho la formazione dei beads.

Variando la distanza è possibile ottenere una diversa forma delle fibre, cilindriche o a nastro.

- Portata: determina il bilanciamento tra soluzione in arrivo dalla siringa e soluzione elettrofilata. Sotto un certo valore si ha ritiro del cono di Taylor in uscita dalla siringa e formazione dei beads ma oltre un certo valore si hanno grandi beads per gocciolamento del solvente che non è completamente evaporato. La portata fa crescere il diametro delle fibre.

(18)

18

- Volatilità del solvente: se il solvente è volatile si ha una corretta quantità di evaporazione tra spinneret e collettore, se la volatilità è alta si possono formare pori sulle fibre. Due esempi di solventi sono THF (tetraidrofurano) molto volatile e DMF

(dimetilformammide) poco volatile.

Per questa tecnica è possibile utilizzare diverse tipologie di collettore al fine di ottenere una diversa morfologia delle strutture elettrofilate o una differente orientazione delle fibre:

- Collettore piano → strutture piane con orientazione random delle fibre

- Collettore cilindrico → strutture tubolari con orientazione random delle fibre PERO’ oltre una certa velocità di rotazione del collettore → allineamento delle fibre

- Collettore a disco → deposizione di fibre parallele sullo spessore del disco che ruota - Collettore da due piastre in parallelo → fibre direzionate in modo funzionale Utilizzi:

- Produzione di scaffold per ingegneria dei tessuti per creare membrane porose per la pelle - Strutture tubolari per vasi sanguigni e rigenerazione di nervi

- Scaffold 3D per la rigenerazione di osso e cartilagine Vantaggi:

- Semplicità di produzione - Basso costo

- Continuità del processo - Bassa richiesta di materiale

- Applicabile ad un ampio range di materiali polimerici

- Ottenimento di fibre a dimensioni variabili da nanometri a micrometri e controllabile il tutto tramite i parametri di processo Svantaggi:

- Instabilità del getto

- Possibile impiego di solventi tossici

CELL SHEET ENGINEERING

Per alcune applicazioni è stato introdotto l’approccio scaffold free per la produzione di tessuti funzionali: si sfrutta la capacità delle cellule di sintetizzare la matrice del tessuto senza l’utilizzo di scaffold.

Ci sono due diversi filoni di sviluppo:

- Self-organization con processo termodinamico in cui si ottiene ordine quando l’energia o le forze esterne sono un input nel sistema, questo viene utilizzato per cell sheet o aggregate engineering.

a. Processo di cell sheet engineering: si mettono le cellule in un contenitore con mezzo di coltura e un materiale in grado di stimolare la proliferazione; dopo qualche giorno, si forma un layer cellulare che viene successivamente staccato e utilizzato per ricoprire un tessuto danneggiato, per formare strutture stratificate o arrotolate.

b. Aggregate engineering: cellule vengono messe in rotazione (in contenitori che ruotano su diversi assi) per promuovere l’aggregazione. L’aggregato viene messo in uno stampo per dare la forma, oppure direttamente sul tessuto danneggiato.

- Self assembly con processo termodinamico in cui si ottiene ordine spontaneamente dal disordine, senza input esterni, per il principio di minimizzazione dell’energia libera.

Questo processo inizia con la semina di un’alta densità di cellule su substrato non adesivo, si ha quindi minimizzazione

dell’energia libera mediante legami tra i recettori di adesione delle cellule, con migrazione di queste e produzione di ECM. Dalla matrice si ha quindi maturazione del tessuto.

- Distacco del foglietto:

Se abbiamo una cellula che aderisce al nostro substrato, le cellule hanno delle proteine di membrana che vanno ad ancorarsi al nostro materiale di supporto, queste cellule aderiscono al fondo del pozzetto, nel momento in cui voglio togliere queste cellule uso degli enzimi (come la tripsina) che vanno a rompere le proteine di membrana che hanno permesso la formazione di un legame stabile → in questo modo però vado a perdere del materiale creato dalle cellule.

Riferimenti

Documenti correlati

Questa corte ha statuito che &#34;Le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula &#34;per ricevuta&#34;, costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna

Le cellule di Leydig sono cellule secretorie degli ormoni steroidei, il cui prodotto principale, il testosterone, esercita effetti sia in sede locale (sullo

Le cellule staminali mesenchimali (MSCs) sono cellule clonogeniche multipotenti, che hanno la capacità di differenziare e contribuire alla rigenerazione di tessuti

¾ Ciascuna cellula figlia riceve una copia dei cromosomi presenti nella cellula madre. presenti nella

Calcolare il calore specico del piombo sapendo che un campione di 150 g di piombo alla temperatura di 100°C viene immerso in 50 g di acqua alla temperatura di 22°C e che la

Dopo aver risposto alla prima domanda, stampate il disegno su carta o cartoncino, ritagliate i vari pezzi e ricostruite il puzzle quadrato di Aurelia usando i cinque pezzi

I prezzi e le indicazioni di vendita dei prodott i riportati nel volantino sono praticati nel periodo indicato, nei quantitativi complessivamente disponibili e sino ad

Chi è già iscritto all'Albo come pubblicista e svolge attività giornalistica da almeno tre anni, con rapporti di collaborazione coordinata e continuata, con una o più testate