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Un progetto per la cultura della popolazione

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Academic year: 2022

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Un progetto per la cultura della popolazione

Abstract

A project for the culture of the population

The major limitation of the decisions taken in the field of education on the first phase of the Covid-19 epidemic was not teachers’ lack of expe- rience on distance education and e-learning, but conceiving it as an imi- tation of face-to-face teaching practices. In this framework, informal ed- ucation has grown significantly for pupils belonging to favored social strata, while it has decreased for those of the most disadvantaged groups.

It is instead necessary to understand that we are facing a structural change, which must be governed on a pedagogical level.

Keywords: Covid-19, Italy, distance education, formal education, infor- mal education

Resumen

Un proyecto para la cultura de la población

La principal limitación de las decisiones adoptadas en el ámbito de la educación en la primera fase de la epidemia de Covid-19 no fue la falta de experiencia de los profesores en materia de educación a distancia y e- learning, sino el hecho de concebir las medidas a imitación de las prác- ticas de enseñanza presencial. En este marco, la educación informal ha crecido significativamente para los alumnos pertenecientes a los estratos sociales más altos, mientras que ha disminuido para los de los grupos menos favorecidos. Es necesario, pues, comprender que nos encontra- mos ante un cambio estructural, que ha de ser dirigido en un nivel peda- gógico.

Palabras clave: Covid-19, Italia, educación a distancia, educación for- mal, educación informal

Si ha l’impressione di una rinuncia a considerare con l’at- teggiamento critico (e spesso autocritico) che sarebbe necessa- rio aspetti del comportamento collettivo che confliggono con un Editoriale

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naturalismo buonista che si esita a contraddire. È difficile evi- tare questi pensieri all’inizio del secondo anno segnato dall’im- perversare del contagio e dalle sue angosciose conseguenze.

In Italia, come altrove, il governo nazionale e le autorità locali hanno stabilito regole di comportamento che impongono limiti agli spostamenti sul territorio, alle attività commerciali, a varie manifestazioni della vita sociale, all’educazione scola- stica. L’intento è, come sappiamo, quello di limitare le occasioni di contagio, rendendo meno probabile l’aggressione da parte del virus Covid-19. In una prima fase (da febbraio a maggio) le mi- sure adottate sono apparse efficaci, tanto che all’inizio dell’e- state 2020 è sembrato che i pochi casi di infezione che si conti- nuavano a contare fossero solo residui in esaurimento. Sono se- guiti mesi di diffusa inconsapevolezza, nei quali le cautele pre- cedentemente osservate sono state abbandonate, malgrado non pochi studiosi delle malattie infettive ponessero in guardia dalla possibilità, che poi si è puntualmente avverata, di una seconda fase del contagio. Purtroppo, all’inizio dell’autunno, le cicale hanno dovuto interrompere il loro canto scriteriato ed è stato ne- cessario assoggettarsi di nuovo a misure non troppo diverse da quelle che avevano mostrato pochi mesi prima di essere efficaci.

Questa volta la speranza è che le limitazioni siano sufficienti a frenare la pandemia fin a quando non si potranno cogliere gli effetti delle vaccinazioni avviate alla fine del 2020 per diventare una pratica estesa dall’inizio dall’anno successivo.

Il rapido richiamo alle vicende che hanno segnato il diffon- dersi della pandemia serve di premessa a considerazioni che non riguardano questioni epidemiologiche (né, del resto, potremmo farlo, perché non siamo competenti e finiremmo con l’essere coinvolti in cori e coretti di incompetenti che, con non molte eccezioni, dispensano la loro sapienza attraverso i canali della comunicazione sociale). Vorremmo trarre argomenti da espe- rienze che hanno coinvolto tutta la popolazione per rilevare l’impatto educativo derivato dalle condizioni di vita susseguenti al diffondersi della pandemia, o che forse è solo emerso, dopo precedenti fasi di latenza, nei rapporti fra le persone.

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Condividiamo l’auspicio che il contagio sia quanto prima superato e che la vita sociale possa riprendere in condizioni di sicurezza. Non vorremmo, tuttavia, che la ripresa di normalità faccia perdere di vista i non pochi segnali negativi che si sono potuti osservare nel profilo della popolazione. Per non incorrere nelle stesse generalizzazioni che hanno caratterizzato larga parte dei mezzi di comunicazione e molto del linguaggio poli- tico, diremo subito che non abbiamo dati a sostegno di ciò che stiamo per rilevare, e non sappiamo quale parte della popola- zione abbia dato di sé il misero spettacolo che abbiamo potuto osservare proprio quando sarebbe stato più necessario che tutti assumessero comportamenti composti. Abbiamo dovuto invece assistere alle sguaiate esibizioni di chi si è dimostrato incapace di controllarsi in modo responsabile. Certo, è vero anche il con- trario, e cioè che tanti si sono spesi con generosità per alleviare in un numero crescente di persone le sofferenze derivanti dal male e quelle che inevitabilmente sono state generate dal peg- giorare delle condizioni della vita quotidiana.

Si sono lette e ascoltate le lamentele dei privilegiati che avrebbero voluto trascorrere il loro tempo godendo dei vantaggi che la ricchezza può dare: le stucchevoli proteste di chi non po- teva raggiungere i paradisi dello sport invernale si sono mesco- late alle voci dolorose delle migliaia di concittadini che ogni giorno soccombevano alla furia del morbo e al pianto dei loro cari. Contraddizioni analoghe hanno attraversato in varia misura i diversi campi della vita sociale: molti hanno perso la loro fonte di sostentamento, ma molti hanno visto crescere le loro oppor- tunità di guadagno. Chi è stato più capace di alzare i toni del suo disagio ha ottenuto un sostegno, ma ciò avveniva mentre diven- tavano sempre più lunghe le code di chi sperava in una minestra calda.

La pandemia ha prodotto sconquassi in tutti i settori della vita sociale, ivi compresa l’educazione. E anche nell’educa- zione non sono mancate le contraddizioni. Nella prima come nella seconda fase del contagio importanti decisioni sono state giunte in ritardo, ed altre sono state assunte senza essere consa-

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pevoli degli effetti che avrebbero prodotto, oppure senza predi- sporre parallelamente provvedimenti che avrebbero contribuito a migliorare le condizioni di intervento o sistemi informativi che avrebbero potuto in tempi brevi segnalare se gli intenti perse- guiti fossero stati conseguiti, e in quale misura. Tralasciamo di richiamare le inconcludenti diatribe che hanno riguardato gli orari delle lezioni (che poi il più delle volte non ci sono state), il disegno dei banchi (che raramente sono stati usati) o i mezzi di trasporto (a volte sovraffollati, altre semideserti). Riflettiamo, invece, sulla principale risposta didattica alla stasi delle attività che si è verificata quando, piuttosto bruscamente, si è dovuto prendere atto che l’epidemia non sarebbe stata qualcosa di tran- sitorio, ma con essa si sarebbe dovuto convivere per un tempo indefinito, ma certo non breve.

Il richiamo, come è evidente, è alla sostituzione delle con- suete attività centrate sull’interazione diretta fra insegnanti e al- lievi con la trasmissione tramite la rete dei messaggi di istru- zione. In sé, nella particolare condizione in cui le scuole opera- vano (o, meglio, non operavano) l’istruzione a distanza poteva rappresentare un’alternativa, ma a condizione che si fosse con- sapevoli dei cambiamenti che si stavano per introdurre nel rap- porto educativo, nell’attività dei docenti e in quella degli allievi.

In altre parole, non bastava installare nelle scuole risorse tecno- logiche e fornire l’indicazione di utilizzarle per insegnare a di- stanza perché insegnanti in genere diffidenti nei confronti di tale pratica didattica si acconciassero a diventare responsabili di un cambiamento che investiva la percezione dei loro compiti e sup- poneva che fossero in grado, solo perché le circostanze lo ri- chiedevano, di modificare sostanzialmente i loro stili professio- nali.

Il limite delle decisioni assunte in occasione del primo dif- fondersi del contagio fra la fine dell’inverno 2020 e la prima parte della primavera non è stato tuttavia la diffusa mancanza di esperienza sull’istruzione a distanza da parte degli insegnanti te- nuti a praticarla, ma l’aver ritenuto che si trattasse semplice- mente di dar vita ad un processo imitativo, proponendo a di-

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che si seguivano in precedenza. Ci sono stati, è vero, insegnanti che si sono impegnati per corrispondere al meglio alle nuove consegne, con esiti quando più, quando meno soddisfacenti, in- ventando o orecchiando soluzioni che avrebbero potuto trovare sostegno teorico e pratico in precursori lontani (come J.-J. Rous- seau) e in modelli che si sono progressivamente affermati in va- rie parti del mondo nel corso degli ultimi due secoli. Altri inse- gnanti hanno interpretato l’istruzione a distanza in modo poco più che organizzativo, non spingendosi molto oltre l’indica- zione di testi da leggere e di esercizi da svolgere.

Una linea virtuosa avrebbe comportato un impegno collet- tivo spinto in due direzioni:

a) la prima avrebbe richiesto che agli insegnanti fosse of- ferta la possibilità di confrontare l’esperienza didattica della quale già disponevano con le esigenze che si sarebbero manife- state in un rapporto con gli allievi che richiedeva il trasferimento del messaggio di istruzione tramite risorse tecnologiche;

b) l’altra direzione era più impegnativa sotto il profilo in- terpretativo. La didattica elabora soluzioni che non sono neutrali rispetto alle condizioni di intervento. Le pratiche scolastiche più diffuse sono funzionali ad una divisione del lavoro educativo che distingue tra aspetti informali e aspetti formali: gli aspetti informali sono quelli che derivano dalle esperienze d’ambiente, mentre quelli formali sono lo scopo dell’educazione scolastica.

O, almeno, così è stato fino a non molti decenni fa. Suc- cessivamente, e proprio in concomitanza con la diffusione di nuovi mezzi per la comunicazione, la differenza si è attenuata, è cresciuta la rilevanza dell’educazione informale ed è venuto regredendo lo spazio di quella formale. Di conseguenza, le op- portunità educative degli allievi appartenenti a strati sociali fa- voriti si sono accresciute, mentre il contrario è avvenuto per quelli di condizione più modesta. In particolare, mentre gli al- lievi di condizione favorita hanno potuto fruire di un ricco e va- rio scambio verbale all’interno delle rispettive famiglie e nel contesto di vita, lo stesso non può dirsi per gli altri, che si sono dovuti accontentare delle esperienze povere di interazione con-

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Gli effetti dell’immersione in contesti verbali scadenti, e che generalmente non sono stati rivolti ad incrementare l’offerta educativa, ma ad ottenere vantaggi di mercato, sono sotto gli occhi di tutti, e gli insegnanti ne sono generalmente consape- voli. Bambini e ragazzi trascorrono tempi crescenti fruendo di emissioni che fanno del linguaggio un uso limitato, che ridu- cono il lessico all’essenziale ed aggirano le asperità grammati- cali e sintattiche. Nello stesso tempo l’uso improprio di risorse digitali riduce a momenti marginali pratiche che, apparente- mente strumentali, sono anche, e forse più, coerenti con la ne- cessità di favorire un’interazione profonda della lingua parlata e scritta.

Sarebbe stata prova di saggezza (non solo in Italia) cogliere l’esigenza di riorganizzare, sia pure in modo transitorio, l’of- ferta di educazione tenendo conto dei cambiamenti già interve- nuti o in corso: non si trattava di temporeggiare aspettando il passaggio dell’uragano, ma di capire che ci si trovava di fronte a un cambiamento strutturale, che doveva essere governato sul piano pedagogico. Ci si sarebbe accorti che sarebbe stato neces- sario intervenire non solo per modificare la proposta educativa rivolta ad allievi nell’età dello sviluppo, ma che il problema della revisione dei profili culturali riguardava in misura cre- scente la popolazione adulta. Ci auguriamo che presto tutti gli allievi possano fruire nuovamente di un rapporto soddisfacente con i loro insegnanti, e che l’educazione scolastica torni a di- stinguersi per la possibilità di incrementare i processi di socia- lizzazione in un quadro di appagante affettività, ma ciò suppone che si individui la connessione strutturale tra il formale e l’in- formale. E questo potrebbe essere uno degli obiettivi più impor- tanti che il ricorso all’istruzione a distanza potrebbe favorire.

C’è stata, negli anni Sessanta, una esperienza sulla quale conviene riflettere: quella promossa dal Maestro Manzi tramite un programma per la TV che coinvolse allievi di tutte le età.

Allora si trattava di imparare a leggere e a scrivere; oggi il pro- blema è radicare le esperienze in un sostrato colto.

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