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MED Infrastructures Competitività logistica e sviluppo economico nei paesi del Mediterraneo. Marzo 2015

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June 2011

MED Infrastructures

Competitività logistica e sviluppo economico nei paesi

del Mediterraneo

Marzo 2015

(2)

Le analisi contenute nella ricerca non impegnano né rappresentano in alcun modo il pensiero e l’opinione dei Soci fondatori ed ordinari di SRM.

La ricerca ha finalità esclusivamente conoscitiva ed informativa, e non costituisce, ad alcun effetto, un parere, un suggerimento di investimento, un giudizio su aziende o persone citate.

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La riproduzione del testo anche parziale, non può quindi essere effettuata senza l’autorizzazione di SRM.

È consentito il riferimento ai dati, purché se ne citi la fonte.

Il presente studio è estratto da:

SRM, Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo. Rapporto Annuale 2014, Giannini Editore, 2014

Per maggiori informazioni consultare il sito www.srm-med.com

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Indice

1. Porti e logistica per le nuove sfide del Mediterraneo 3 2. La competitività del sistema portuale: tempi e costi 5 3. Le alleanze tra i mega carriers: rischi o opportunità? 7 4. Le Special Economic Zones come occasione di sviluppo 13

5. Conclusioni 17

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e sviluppo economico

nei paesi del Mediterraneo

1. Porti e logistica per le nuove sfide del Mediterraneo

Questo capitolo si propone di analizzare la competitività logistica dei paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. In quest’area, baricentrica per i flussi di merci che viaggiano lungo le rotte est-ovest attraverso il canale di Suez e per quelli in direzione nord-sud che utilizzano lo short sea shipping, il traffico marittimo è più che raddoppiato dal 2000 al 2013. Le stime dei più importanti istituti di ricerca confermano il trend di crescita anche per i prossimi anni. Questo lavoro si propone dunque di valutare la competitività logistica dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo anche alla luce dei driver che stanno plasmando il divenire dello shipping, il gigantismo navale e le grandi alleanze, nonché della politica di alcuni paesi di arricchire la propria offerta con le Zone Economiche Speciali.

L’Italia geograficamente si distende al centro del Mediterraneo e vanta eccellenze imprenditoriali nel settore dello shipping: nel segmento dello short sea detiene la leadership nel bacino così come la flotta ro-ro italiana sia cargo sia passeggeri – che è quella tipicamente utilizzata per il trasporto a corto raggio - è la prima al mondo. Il cluster marittimo-portuale italiano, a livello di broker, di agenti, di proprietari di naviglio e di società di logistica può schierare delle imprese di livello mondiale.

Nel segmento della movimentazione dei container invece, sebbene l’Italia sia ancora molto rappresentativa nell’area del Mediterraneo, negli anni ha visto modificare, in riduzione, la propria quota di mercato per l’accrescersi della forza competitiva degli altri paesi costieri, soprattutto della Sponda Sud ed Est, e della Spagna (Algeciras è il primo porto del Mediterraneo).

I motivi sono noti e riconducibili principalmente a minori costi operativi, a infrastrutture ampliate e tecnicamente avanzate e a maggiore efficienza per una burocrazia più snella e per una maggiore semplificazione amministrativa. Con riferimento al 2013 tra i best performer del Mediterraneo (in termini di crescita annua) figurano in particolare lo scalo marocchino di Tanger Med (+34%), quello greco del Pireo (+15,3%), Gioia Tauro (+13% sul 2012) e il porto turco di Ambarli (+9%).

Queste realtà hanno saputo fare meglio rispetto all’8% di crescita media registrata nell’area mediterranea.

Nei prossimi anni si giocheranno importanti partite logistiche che potrebbero aumentare o diminuire l’importanza della posizione strategica dell’Italia al centro del Mediterraneo. La crescita dimensionale delle portacontainer impiegate sulle principali rotte est – ovest, come prevedibile, ha dato ulteriore impulso alle attività dei terminal

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di transhipment del Mediterraneo. Tutto il sistema portuale dell’area, specialmente nelle sponde Sud-Est, è un grande cantiere. Almeno una decina sono i progetti in cui si intrecciano investimenti statali e di grandi gruppi privati: proprio l’afflusso di investimenti cinesi, russi, indiani e brasiliani sottolinea ulteriormente il valore strategico del Mediterraneo. Esemplare è il caso del terminal del porto del Pireo del quale la Cosco Pacific ha ottenuto la concessione trentennale e che è diventato il centro della distribuzione dei container cinesi diretti all’Europa meridionale e orientale.

Quote di mercato degli hub nel Mediterraneo

Graf. 1 – Fonte: SRM su Autorità Portuali, 2014

In Marocco, l’Agenzia nazionale dei Porti ha annunciato un piano di investimenti infrastrutturali di 560 milioni di euro per il periodo 2014-2018 per la realizzazione di una serie di grandi progetti infrastrutturali nei porti nazionali. Tanger Med è già oggi in grado di accogliere giganti da oltre 14 mila teu e soprattutto offre il vantaggio del basso costo della mano d’opera; è circondato da una zona franca di attività industriali e logistiche e con la realizzazione di Tanger Med 2, avrà una capacità di traffico nominale superiore agli 8 milioni di teu.

La Tunisia è una piattaforma ideale per i mercati del mondo arabo e del Maghreb grazie all’accordo di libero scambio con Marocco, Egitto, Giordania, Libia e Turchia. È prevista la realizzazione di un porto «acque profonde» a Enfidha, che potrà accogliere navi container di grandi dimensioni; il costo del progetto è stimato in circa 1,3 mld€.

Lo scalo è situato sul Golfo di Hammamet, dove sta sorgendo un importante polo

0%

20%

10%

20%

4%

8%

16%

8%

4%

9%

Tanger Med 10%

Gioia Tauro 12%

Port Said 14%

Algeciras Taranto 17%

1%

Damietta 3%

Valencia 17%

Malta 11%

Cagliari 3%

Pireo 12%

2013 2005

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industriale e logistico ed è già collegato all’asse stradale Tunisi-Sousse e a quello ferroviario Tunisi-Sfax. La Dpw (Dubai Port World) gestirà il nuovo porto di Enfidha con 5 km di banchine, per una capacità di 5 milioni di teu annui.

La più grande opera annunciata dall’Egitto è il raddoppio del canale di Suez (Suez Canal Corridor Project) che consentirà di evitare che in un tratto di 72 chilometri (sui 193 in totale) la navigazione resti a senso unico alternato; il costo del progetto è stato stimato in 4 miliardi di dollari e permetterà di raddoppiare il numero delle navi in transito ogni giorno. Nel settembre del 2014, erano stati già raccolti dagli istituti di credito egiziani, alla prima settimana di vendita, dei certificati d’investimento in obbligazioni emesse dalla Banca centrale del Cairo tutti i fondi necessari alla realizzazione della prima fase dei lavori, per un valore di circa 325 milioni di euro.

Il Rapporto in questa edizione ha focalizzato l’analisi su alcuni fenomeni internazionali che possono incidere sulla competitività logistico-portuale di un territorio, integrandola con informazioni sui progetti infrastrutturali più recenti che i paesi del Mediterraneo intendono portare avanti proprio per avvantaggiarsi delle nuove dinamiche di mercato.

Dopo aver approfondito e comparato la competitività portuale, in termini di efficienza delle procedure di import/export marittimo, dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, il Rapporto procede con l’analisi delle grandi alleanze tra carrier che stanno ridisegnando il mercato mondiale dei container e infine delle Zone Economiche Speciali che rispondono alla strategia messa in opera dalle principali realtà portuali mediterranee di accrescere la competitività dello scalo con importanti ricadute economiche sul territorio.

2. La competitività del sistema portuale: tempi e costi

Una delle criticità più rilevanti della portualità commerciale italiana riguarda la macchina amministrativa e burocratica che allunga i tempi di sdoganamento, movimentazione, imballaggio e consegna della merce con conseguenti incertezze in termini di tempi e costi. Ciò emerge anche dalle analisi della World Bank che nel Doing Business 2014 colloca l’Italia al 56° posto nel ranking mondiale per il commercio internazionale. Secondo questo studio, nei porti italiani le operazioni di preparazione dei documenti, trasporto interno e movimentazione, sdoganamento, ispezioni e movimentazioni al porto e al terminale richiedono in media complessivamente per le operazioni di esportazione 19 giorni e un costo di 1.195 dollari (in calo del 4% rispetto al 2012, calo che ha permesso ai porti italiani di diventare significativamente meno costosi rispetto a quelli francesi e spagnoli, dove i costi sono invece aumentati), mentre in Germania e nei Paesi Bassi richiedono rispettivamente 9 e 7 giorni e poco più di 900 dollari.

La World Bank rileva che un’operazione standard di esportazione in Italia costa più del doppio rispetto al Nord Africa (1.195 dollari contro i 595 del Marocco, i 625

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dell’Egitto e i 775 della Tunisia), risultando comunque più lenta (19 giorni rispetto a 11-12 in Marocco e Egitto e ai 13 della Tunisia). Dallo studio emerge che i Paesi più industrializzati risultano i più veloci nella gestione dell’interscambio e i Paesi a medio reddito del Mediterraneo risultano i più a buon mercato. L’Italia in generale risulta la terza più cara dopo Francia e Spagna tra gli otto Paesi considerati in diretta competizione per la gestione di flussi in transito nel Mediterraneo e la più lenta in assoluto. La Grecia che nel rapporto 2012 risultava lenta quanto l’Italia, ha ridotto i tempi di 4 giorni, mentre l’Italia di uno solo.

I dati analoghi sulle importazioni non cambiano significativamente i rapporti nei costi e nei tempi. In linea generale sono leggermente aumentati costi e tempi di gran parte dei nostri competitori diretti, mentre è leggermente migliorata l’efficienza italiana. Tuttavia le distanze rimangono consistenti. In particolare l’Italia evidenzia inefficienze nella fase di predisposizione della documentazione che assorbe più della metà del tempo complessivo (per polizza di carico, dichiarazione doganale, fattura commerciale e certificati di standard tecnici/sanitari servono complessivamente in media 11 giorni rispetto ai 4 della Francia e ai 5 della Spagna). Per la movimentazione delle merci all’interno della zona portuale, sia sui moli che nei passaggi successivi servono in Italia 6 giorni invece di 4-5 per i paesi più efficienti, mentre per la fase doganale in senso stretto, vengono impiegati 2 giorni per l’Italia invece di 1 per tutti gli altri Paesi considerati, ma in valore assoluto si tratta di un divario molto contenuto.

Tempi medi impiegati per l’espletamento delle procedure di export

Graf. 2 - Fonte: World Bank, 2014

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

Egypt France Greece Italy Malta Morocco Spain Tunisia

Duration (days)

Documents Customs and control Ports and inland transportation and handling

12

10

16

19

11 11

10

13

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Dal punto di vista dei costi invece il divario è meno netto rispetto al resto dell’Europa ma maggiore rispetto al Nord Africa. La quota maggiore dei costi è rappresentata dalla movimentazione delle merci, nella quale c’è una forte componente del costo del lavoro. I costi italiani sono simili a quelli di altri Paesi europei, inferiori a quelli di Spagna e Francia. Nei costi amministrativi e doganali l’Italia ottiene risultati leggermente migliori rispetto a Grecia e Tunisia. Nell’insieme però i costi dei porti nord africani sono inferiori rispetto a quelli italiani, in particolare quelli di Marocco ed Egitto sono più bassi del 48-50%. La Francia e la Spagna mostrano costi superiori all’Italia, ma sono più competitive grazie a tempi di lavorazione quasi dimezzati.

Costi medi impiegati per l’espletamento delle procedure di export

Graf.3 - Fonte: World Bank, 2014

Considerato che l’export italiano nel 1° semestre del 2014 ha raggiunto i 197 mld€

crescendo dell’1,3% e che il 27% delle merci ha viaggiato su nave, si comprende come migliorare la qualità delle operazioni di esportazione marittima sia rilevante per la ripresa dell’economia del Paese.

3. Le alleanze tra i mega carriers: rischi o opportunità?

In base a stime fornite da Maersk Line il PIL mondiale nei prossimi anni è previsto in crescita di 3-4 punti percentuali e il traffico containerizzato potrà aumentare anche

0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600

Egypt France Greece Italy Malta Morocco Spain Tunisia

US$ cost

Documents Customs and control Ports and inland transportation and handling

625

1335

1040

1195

855

595

1310

775

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dell’11-12%. Parallelamente a un aumento costante dei commerci intra-asiatici, si assiste ai primi fenomeni di rilocalizzazione industriale, con molte produzioni europee che vengono spostate in Egitto o in Turchia dove sono più vicine ai mercati di consumo finale, contribuendo ad alimentare i traffici intramediterranei. Il mercato del trasporto marittimo containerizzato vede dunque una ripresa importante dei traffici, tuttavia l’incremento percentuale dell’offerta di stiva è ancora superiore rispetto alla crescita della domanda e ciò continua a mettere sotto pressione la redditività dei global carrier.

L’esigenza delle grandi shipping lines di contenimento dei costi ha originato due fenomeni che stanno forgiando il futuro del settore, ovvero il gigantismo navale e la concentrazione del mercato attraverso le grandi alleanze tra carrier. Esse quindi si propongono di migliorare la loro redditività con il conseguimento delle economie di scala e la razionalizzazione dei servizi di linea, che comunque hanno risvolti non banali, soprattutto in termini di capacità delle infrastrutture portuali.

Questa fase di consolidamento del settore si sta manifestando sotto forma di accordi operativi (Vessel Sharing Agreement) grazie ai quali alcune compagnie condividono le rispettive capacità di stiva.

Dal 2015 (antitrust permettendo) nel mercato opereranno quattro alleanze: 2M (accordo della durata di 10 anni fino al 2025 - formata da Maersk Line e Mediterranean Shipping Company), Ocean Three (CMA CGM, China Shipping Container Lines e United Arab Shipping Company), G6 (Hapag-Lloyd, NYK Lines, OOCL, Hyundai, APL e MOL) e CKYHE (China Shipping, K-Line, Yang Ming, Hanjin ed Evergreen). Queste alleanze saranno operative sulle rotte marittime intercontinentali est/ovest che collegano l’Asia con l’Europa e l’America con l’Europa.

Suddivisione della capacità delle 4 mega alleanze nelle principali rotte mondiali

32%2M

O3 19%

CKYHE 26%

G6 23%

Asia - North Europe

2M 39%

O3 27%

CKYHE 20%

G6 8%

Others 5%

Asia - Med

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Graf. 4 - Fonte: SRM su Drewry Maritime Research

L’obiettivo principale di tali accordi è il contenimento dei costi: Maersk Line, ad esempio, ha reso pubblico che con la 2M prevede nel 2015 di ottenere un risparmio pari a 350 milioni di dollari.

La concentrazione del settore non si manifesta soltanto con i Vessel Sharing Agreement ma anche con gli slot exchange ovvero accordi di cooperazione globale attraverso i quali due carrier che effettuano servizi di linea integrano i rispettivi network su alcune rotte strategiche. Nel settembre 2014 è stato annunciato l’accordo tra Hamburg Sud e UASC. Il primo avrà accesso alle rotte Asia-Nord Europa e Asia-USA operate da UASC, a partire rispettivamente da dicembre 2014 e gennaio 2015, mentre il liner arabo dalla metà del 2015 entrerà grazie al partner tedesco nelle linee effettuate per collegare Europa-East Coast del Sud America e Asia-East Coast del Sud America.

Alphaliner, nel valutare il fenomeno delle alleanze, ha evidenziato il rischio che l’immissione di ulteriore sovraccapacità di stiva sulle principali rotte potrebbe

“stressare” il rapporto tra domanda e offerta mettendo a rischio la precaria ripresa del livello dei noli: al riguardo ha stimato che nei primi sette mesi del 2014 i volumi containerizzati trasportati sulla rotta Estremo Oriente - Mediterraneo hanno registrato una crescita del 7%, tuttavia le nuove alleanze armatoriali 2M e Ocean Three incrementeranno la capacità in misura pari a 14.000 TEU alla settimana nei servizi programmati per collegare l’Estremo Oriente con il Mediterraneo, con un aumento dell’11% rispetto alla fine del 2013. La maggiore crescita della capacità delle flotte di portacontainer sarà registrata dai servizi per il Mar Adriatico e il Mar Nero, regioni per le quali le due alleanze hanno previsto l’inaugurazione di nuove linee.

L’altra strategia perseguita dai grandi carrier per conseguire una migliore redditività è quella di utilizzare navi sempre più grandi, le cosiddette Triple-e (Economy of scale, Energy efficient and Environmentally improved)1.

1 Maersk Line a settembre 2014 ha annunciato un piano di investimenti di 3 mld$ all’anno per il periodo 2015-2019 per il rafforzamento della propria flotta.

2M 15%

O3 CKYHE 13%

34%

G6 32%

Others 6%

Asia - West Coast North America

2M 17%

O3 13%

CKYHE 30%

G6 36%

Others 4%

Asia - East Coast North America

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Sulla base di quanto riportato da Alphaliner, al 31 dicembre 2014 saranno operative già 96 navi di stazza superiore ai 13.300 teu per una capacità di oltre 1 milione e 423 mila teu; in orderbook, per il 31 dicembre 2017, compaiono ulteriori 85 unità per una capacità incrementale di 1 milione e 341 mila teu, corrispondente ad un aumento del 40,6% per questa categoria.

Le previsioni sulla flotta porta container ( 2014-2017)

Fleet as at: 31 Dec 2014 31 Dec 2017 Rise p.a.

(3 years)

TEU nominal ships teu ships teu teu terms

13.300-19.000 96 1.423.146 181 2.764.015 40,6%

10.000-13.300 163 1.957.768 194 2.285.496 12,8%

7.500-9.999 414 3.621.845 511 4.502.932 11,1%

5.100-7.499 504 3.105.240 516 3.180.270 1,8%

4.000-5.099 749 3.398.058 758 3.441.378 -0,2%

3.000-3.999 268 925.246 281 973.780 3,0%

2.000-2.999 658 1.671.591 728 1.838.478 2,5%

1.500-1.999 578 987.013 615 1.052.313 2,9%

1.000-1.499 688 801.338 721 837.620 1,7%

500-999 774 572.049 778 574.598 -0,5%

100-499 200 62.940 200 62.940 -2,2%

TOTAL 5.092 18.526.234 5.483 21.513.820 7,3%

Based on orderbook as at 01 September 2014

Rise p.a. represents the average per amnum growth during the three years 2014-2015-2016 Tab. 1 – Fonte: Alphaliner, 2014

Il trend di crescita delle dimensioni delle portacontainer e la tendenza verso alleanze più grandi ha comportato un’impennata delle attività di trasbordo e questa constatazione, secondo gli analisti della Drewry Shipping Consultants, vale ancora di più per quanto attiene gli hub del Mediterraneo.

I volumi di trasbordo presso i principali porti del bacino sono cresciuti oltre la media dell’8% in più nel 2013 rispetto all’anno precedente; alcuni scali dotati di collegamenti diretti con importanti vettori, quali Tanger Med (+38%) ed il Pireo (+19%), hanno oltrepassato in misura notevole tale cifra. Nel tentativo di valorizzare le economie di scala per tratte sempre più lunghe è prevedibile che i porti di transhipment del Mediterraneo Occidentale saranno utilizzati sempre più come porti di incrocio delle linee provenienti dall’Asia verso l’Europa, dove vengono utilizzate navi da oltre 15.000 TEU e di linee dal Mediterraneo verso il Nord America e l’Africa Occidentale dove vengono utilizzate navi con capacità compresa fra i 5 e 8.000 TEU, in logica di interlining. L’ingresso sul mercato delle navi giganti produce quello che viene chiamato il cascade effect. Le navi che svolgevano in parecchi itinerari ancora il ruolo di “navi madri” - vengono “a cascata” rese disponibili per servizi diretti su una molteplicità di itinerari che toccano i porti regionali.

A livello territoriale, le sempre maggiori quote di traffico e l’aumento delle dimensioni delle navi hanno richiesto negli ultimi anni prestazioni portuali sempre più

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impegnative in termini di infrastrutture e servizi. L’incremento dei costi del capitale investito per la nave e del valore della merce a bordo richiedono che le operazioni portuali siano sempre più veloci e affidabili in modo da poter permettere il maggior numero di giorni di navigazione alla velocità ottimale ed evitare eccessivi consumi di bunker. Gli effetti a catena sull’intero sistema logistico portuale riguardano aspetti relativi agli investimenti infrastrutturali e in sovrastrutture, alla tecnologia, ai modelli organizzativi interni e retroportuali, ma anche alla gestione dei turni e le modalità organizzative della forza lavoro, a cui viene richiesta una sempre maggior flessibilità per far fronte agli importanti picchi di lavoro. Alcuni terminal hanno subito il contraccolpo più negativo del gigantismo su due fronti: una maggiore pressione sui costi determinata da una richiesta più insistente delle compagnie di poter godere di tariffe minori e servizi migliori, un utilizzo meno efficiente delle risorse in seguito ai forti alti e bassi determinati dal gigantismo navale, che penalizza soprattutto i terminal meno flessibili sconvolgendo la loro programmazione.

La crescente necessità di avere sistemi terminalistici affidabili ed in grado di effettuare gli ingenti investimenti tecnologici necessari per continuare ad avere alti livelli di produttività ha spinto le principali compagnie marittime ad avviare forme di integrazione verticale del servizio, sia attraverso acquisizioni di società terminalistiche sia attraverso lo sviluppo di nuovi terminal container. È questo il caso di APM Terminal del Gruppo Maersk, di MSC e di COSCO in particolare, che detengono la maggioranza del capitale azionario in decine di terminal localizzati nelle principali realtà mondiali ed hanno una quota del mercato delle operazioni terminalistiche container su scala mondiale pari al 5,8%, 2,5% e 1,8%, rientrando fra i primi sei gruppi terminalistici mondiali.

In sintesi gli effetti di questa tendenza alle alleanze e al gigantismo possono essere di seguito elencati:

 Una maggiore selezione dei porti

 Una maggiore pressione sui terminal in termini di richiesta di qualità del servizio

 Una minore regolarità nelle operazioni di handling

 Un forte impatto sui servizi di trasferimento delle unità di carico alle destinazioni inland

 Un aumento del transhipment

 Un aumento dei noli con una riduzione dei margini dei grandi operatori logistici (che in questi anni sono stati i maggiori beneficiari della competizione tra compagnie)

 Un’ulteriore concentrazione delle compagnie marittime e dei servizi tramite Alleanze o fusioni o pool management (nel settore delle cisterne e delle gasiere, v. Mitsui Osk Line)

 Un altro passo in avanti del gigantismo.

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Per fronteggiare le dinamiche connesse all’evoluzione dello shipping, i governi dei paesi della sponda Sud stanno investendo molto nelle infrastrutture portuali.

La Tunisia nel settembre 2014 ha dato il via al progetto che era stato presentato già nel 2008 ma rimasto in sospeso per effetto della rivoluzione tunisina e per il periodo di crisi vissuto negli anni scorsi dai principali porti di trasbordo, del nuovo porto in acque profonde di Enfidha. Esso costerà almeno 1,3 miliardi di euro e avrà un’estensione di 1000 ettari, più 3000 ettari di retroporto, fondali di 17 metri (in grado di ospitare le navi più grandi in circolazione), 5 km di banchine, di cui 3,6 dedicati ai container e 1,4 alle rinfuse. Una volta completato avrà una capacità di 5 milioni di teu e 4 milioni di tonnellate di rinfuse solide. Con queste ambizioni il governo tunisino vuole giocarsi di nuovo la carta di una grande offerta portuale nel Mediterraneo, dopo la crisi nel settore e l’instabilità post-rivoluzione. I lavori, secondo il governo, partiranno nel 2015 per durare non più di cinque anni. Per velocizzare le procedure verrà creato un ente pubblico che ne supervisionerà la realizzazione. Il porto integra il Parco industriale di Enfidha, che comprende anche un aeroporto, e sorge su migliaia di metri quadrati. Il Parco già offre, a imprese e industrie mondiali, aree attrezzate e opere di urbanizzazione.

In Marocco è in fase avanzata il progetto di realizzazione di Tanger Med 2 il cui investimento complessivo è stimato in 6 miliardi di euro, di cui oltre la metà conferiti dallo Stato marocchino e dalla Tanger Mediterranean Special Agency (TMSA). Il governo di Casablanca unitamente all’Arab Fund for Economic & Social Development (FADES), ha lanciato la seconda fase del progetto Tangeri Med 2 che porterà lo scalo marocchino a movimentare oltre otto milioni di TEU all’anno, contro i tre milioni attuali. Il valore complessivo di questi nuovi accordi ammonta a 1,5 miliardi di dirhams (circa 132 milioni di euro) per la costruzione delle infrastrutture portuali. Nel 2010 il Fondo arabo aveva già partecipato con 1,4 miliardi di dirham al finanziamento della prima tranche di lavori di Tanger Med 2; nello stesso periodo anche la BEI (Banca Europea degli Investimenti), ha firmato con la Tanger Mediterranean Special Agency un contratto per la concessione di un prestito a lungo termine di 200 milioni di euro.

Le prospettive di crescita dell’area, d’altro canto, risultano anch’esse fondamentali per rendere conveniente l’approdo dei grandi operatori marittimi internazionali, attirati dalle delocalizzazioni degli insediamenti di alcune tra le più importanti multinazionali. Com’è avvenuto per la localizzazione di alcuni impianti di assemblaggio dell’industria automobilistica nei pressi dello scalo di Tangeri: ciò ha aiutato lo sviluppo di una rotta in grado di far arrivare i pezzi meccanici dall’Estremo Oriente, che permetta di portare le auto assemblate in Europa.

Tra i principali scali dell’area attualmente in esercizio, spazio particolare lo trovano anche quelli egiziani che, forti della prossimità al Canale di Suez, risultano essere un passaggio obbligato per tutte le navi che transitano sulla rotta Europa-Far East. Tra questi vanno ricordati: Alexandria, Damietta e Port Said.

In relazione ai grandi investimenti infrastrutturali che i Paesi della Sponda Sud del Mediterraneo stanno pianificando e realizzando, in Italia attualmente la

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programmazione degli investimenti infrastrutturali è realizzata dalle singole Autorità Portuali nei loro Piani Operativi Triennali. In realtà è da tempo che si attende una riforma normativa che aggiorni e contestualizzi ai nuovi scenari economici i contenuti della legge 84/94. Se riguardo al segmento del trasporto dei container, il gigantismo solleva più di una preoccupazione per il rischio che non solo le grandi navi ma anche le nuove feeder di capacità superiore agli 8.000 teu non possano scalare i nostri porti, è altrettanto vero che nel segmento dello short sea shipping, il nostro Paese mantiene un’eccellenza assoluta nel Mediterraneo. Una visione di lungo periodo sul futuro della nostra portualità non dovrebbe quindi sottovalutare la strategicità di interventi infrastrutturali finalizzati ad incrementare i trasporti marittimi a corto e lungo raggio con il supporto di un’industria armatoriale che opera in prima linea sui mercati globali e che gode di prestigio internazionale. Ciò è ancor più vero se pensiamo che molte alleanze hanno aggiunto porti italiani in alcune rotte strategiche (tra tutte 2M e G6).

4. Le Special Economic Zones come occasione di sviluppo

Il processo di sviluppo economico che ha contraddistinto l’ultimo decennio del Medio Oriente e Nord Africa, ha visto l’affermarsi delle Free Zone2.

Con questo termine, o zona economica speciale, si intende un’area, all’interno di uno stato, in cui il governo fissa condizioni agevolate per l’esercizio dell’attività imprenditoriale, con l’obiettivo di attirare investitori esteri. I vantaggi offerti, di norma, sono: l’esenzione fiscale (spesso è totale per alcuni anni, e poi si trasforma in parziale) sul reddito societario e, talvolta, anche su quello personale; l’eliminazione dei dazi sulla riesportazione dei prodotti realizzati all’interno dell’area; la concessione di terreni e uffici a prezzi agevolati; la piena proprietà dell’impresa, senza obbligo di ricorrere a una joint venture con un partner locale, come succede nella maggior parte degli investimenti esteri nel resto del paese. A questo si aggiungono infrastrutture già pronte, servizi logistici e fornitura di elettricità, gas, acqua a prezzi agevolati.

L’Egitto3 ha iniziato la realizzazione delle Special Economic Zones (SEZ) agli inizi degli anni settanta, al fine di incrementare le esportazioni, attirare investimenti stranieri, offrire tecnologia avanzata ed a creare nuove ed ulteriori opportunità e posti di lavoro. Le SEZ sono situate nel territorio nazionale ma sono considerate, comunque, delle Aree “Offshore”. Gli investitori operanti in queste aree esportano più del 50% della loro produzione e godono di numerosi incentivi e garanzie, come ad esempio: esenzione da tutte le imposte e dazi doganali, esenzione dalle disposizioni previste dalla legge dell’importazione e dell’esportazione nonché la possibilità di

2 In questo paragrafo si utilizza l’espressione SEZ (Special Economic Zones) per indicare in modo ampio le aree in cui il governo fissa condizioni agevolate per l'esercizio dell'attività imprenditoriale, con l'obiettivo di attirare investitori esteri. Nelle legislazioni dei diversi Paesi esaminati possono essere denominate in modo differente.

3 ICE, Egitto. Zone Franche, marzo 2014.

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vendere una percentuale della produzione localmente pagandone i dazi doganali dovuti su tale produzione, oltre a limitate esenzioni dalle disposizioni previste ai sensi della Legge del Lavoro. Al fine di facilitare le procedure delle importazioni e delle esportazioni, le SEZ sono di solito ubicate nelle vicinanze dei porti e degli aeroporti. In Egitto sono di due tipi: Pubbliche e Private. Queste ultime possono essere decise dal

“Board” dell’“Investment Authority” (G.A.F.I. – General Authority for Investment and Free Zones), ma solo per un singolo progetto, mentre le zone franche pubbliche sono costituite con decreto del Consiglio dei Ministri su proposta del “GAFI”. Il “Board” è l’autorità’ suprema che controlla le Zone Franche e può stabilire per ogni zona franca pubblica un apposito “Board”, che così costituito stabilisce quali progetti saranno varati e appronta le necessarie infrastrutture. Le 9 zone speciali “pubbliche” sono le seguenti:

1. Nasr City 2. Alessandria 3. Port Said 4. Suez 5. Ismailia 6. Damietta

7. Media Production 8. Shebin El Kom 9. Qena Keft

La Tanger Free Zone (TFZ) in Marocco è una delle più importanti al mondo che interessa un porto. Nell’area sono ormai presenti 400 industrie francesi, spagnole, portoghesi, americane, giapponesi e tedesche, marocchine e di altri Paesi per un investimento complessivo ormai superiore ai 700 mln Euro. È composta da un’area industriale e di una zona logistica (MedHub). L’area industriale raggruppa un insieme di lotti di una superficie compresa tra i 1.000 e 20.000 mq e concentra attività polivalenti orientate all’esportazione nei settori automotive, aerospaziale, elettronico, tessile. Essa ha contribuito alla creazione di 40.000 posti di lavoro e ha realizzato un fatturato superiore a 1,2 mld€. La “Zone” non è sottoposta al regime di controllo del commercio estero e dei cambi e gode di un regime doganale speciale: è previsto, infatti, l’esonero da tutte le tasse che riguardano l’importazione, la circolazione, il consumo, la produzione e l’esportazione di merci. Inoltre, nell’area è in vigore un regime fiscale privilegiato, che prevede:

 nessun dazio doganale e procedure doganali semplificate;

 esenzione totale dell’imposta sul reddito delle società (IS) per i primi 5 anni, per passare a un tasso dell’8,75% nei 20 anni successivi;

 esenzione totale dell’imposta sul reddito (IR) per i primi 5 anni e riduzione dell’80% nei 20 anni successivi;

 nessuna limitazione per il rientro dei dividendi o dei capital.

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La zona franca Tanger Automotive City (TAC) è una piattaforma dedicata al settore automobilistico ed è stata decisa per portare a regime la produzione dello stabilimento Renault di Tangeri, e poter passare nel minor tempo possibile, dalle attuali 100.000 autovetture all’anno alle 300.000 previste. Il complesso industriale Renault-Nissan è il più importante investimento nel bacino del Mediterraneo per un valore pari a 1 mld€4, che ha consentito di creare 6.000 posti di lavoro diretti e 30.000 indiretti. Il 93% della produzione è esportata.

La prossimità dei subfornitori, così come la possibilità concessa loro di produrre in regime di free zone (esonero totale per 5 anni dalle imposte e 8,75% per 20 anni, oltre a esonero da TVA, ecc..) ha consentito al Marocco di posizionarsi nell’industria automobilistica, al secondo posto fra i produttori in Africa dopo la Repubblica Sudafricana.

In Tunisia è prevista una legislazione sugli investimenti esteri riformata più volte durante il decennio duemila e che offre notevoli vantaggi alle imprese estere tra i quali alcuni incentivi fiscali, di cui i più importanti:

a) Esenzione totale per i primi 10 anni per:

 Redditi da esportazione

 Progetti di sviluppo agricoli

 Progetti di sviluppo regionale

b) Riduzione del 50% della base imponibile per:

 Redditi da esportazione a partire dall’11° anno e per un periodo illimitato

 Progetti di sviluppo regionale per ulteriori 10 anni c) Riduzione del 10% della base imponibile per:

 Progetti nel settore dell’educazione, dell’insegnamento e della formazione professionale

 Progetti nell’ambito della protezione ambientale d) Fino al 35% di deduzione sull’imposta per gli utili reinvestiti e) L’esenzione dai dazi e dell’IVA per tutte le attrezzature importate

Per i progetti d’investimento promossi da piccole e medie imprese o diretti a favorire trasferimenti di tecnologia, ricerca e sviluppo, protezione dell’ambiente, risparmio energetico, produzione e commercializzazione di energie rinnovabili e geotermia, possono essere concessi degli specifici vantaggi aggiuntivi.

Ulteriori vantaggi sono previsti a favore delle società totalmente esportatrici e di quelle che operano nelle zone franche.

In Tunisia esistono due zone franche (Parchi di Attività Economiche), a sud di Zarzis e nella zona a nordorientale di Biserta (60 Km da Tunisi).

Gli investimenti nelle zone possono essere realizzati da persone fisiche, residenti o non residenti, nei settori industriale, commerciale e dei servizi orientati totalmente verso l’esportazione.

4 ICE, Tanger Med, 2014.

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Il vantaggio reale che tali zone offrono è rappresentato dal pacchetto di servizi amministrativi e commerciali interamente gestiti dall’autorità locale.

Le imprese con sede nelle zone franche non sono soggette che al pagamento di:

 imposte e tasse concernenti i veicoli turistici;

 dazio unico compensativo sui trasporti terrestri;

 contribuzioni a regime legale della previdenza sociale;

 tassa sulle società dopo l’undicesimo anno, calcolato a partire dalla prima esportazione.

Gli investimenti realizzati dalle imprese con sede nelle zone franche danno diritto a una deduzione di utili o profitti investiti nella sottoscrizione del capitale iniziale della società o nel suo aumento e di utili o profitti netti soggetti alle imposte sui guadagni delle persone fisiche o all’imposta sulle società. Il personale straniero così come gli investitori e i loro rappresentanti stranieri incaricati della gestione dell’impresa beneficiano:

 del pagamento di un’imposta forfetaria sui redditi al tasso del 20% del reddito lordo;

 dell’esonero dai dazi doganali, dalle tasse di effetto equivalente, dalle tasse esigibili all’importazione degli effetti personali e di un veicolo turistico per ogni persona.

Nella zona franca di Zarzis sono presenti le grandi compagnie che operano nel settore del trasporto degli idrocarburi e dell’ingegneria petrolifera. Per rispondere alle richieste sempre più numerose degli investitori, è stato programmato un ampliamento dell’area.

La zona franca di Biserta ha raggiunto un buon livello di sviluppo. Il 90% degli investimenti sono di provenienza estera e si sono moltiplicati nel corso di cinque anni, passando da 7 milioni di dollari a circa 80 milioni di dollari.

In Italia, anche in relazione alle esperienze di successo dei Paesi nord africani, c’è un dibattito molto acceso in merito alla possibilità di creare SEZ, in particolare nel porto di Gioia Tauro, per rafforzare la competitività dello scalo e per le favorevoli ricadute economiche che potrebbe avere sul territorio.

Contship (azionista di Medcenter Container Terminal insieme a MSC e APM Terminals), lavora a questo progetto già dal 2011, avendo individuato l’istituzione di una SEZ, ovvero un’area di esenzione fiscale che favorisca l’insediamento di nuove attività produttive, sul modello internazionale (ce ne sono già 70 attive in territorio europeo) quale soluzione ideale per attirare investimenti internazionali e dotare finalmente Gioia Tauro di una vera e attiva area retro-portuale. Attualmente nel porto calabrese esiste una zona franca di tipo 2, istituita nel 2003, che però non ha raggiunto l’obiettivo di attrarre investimenti stranieri, anche perché prevede soltanto esenzioni temporanee dei dazi doganali. Una SEZ invece è un’area dove imprese di lavorazione possano insediarsi per trasformare i semi-lavorati che arrivano in porto e

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dallo stesso porto poi possano ripartire per le loro destinazioni finali sui mercati di consumo europei. In questo modo sarebbe possibile rendere appetibile il porto e garantire valore aggiunto per il territorio di Gioia Tauro.

Certamente il progetto è ambizioso prevedendo per le aziende che si insedieranno nella SEZ e vi rimarranno per almeno 5 anni l’esenzione dalle imposte sui redditi (IRES) per 8 anni, dall’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) per 5 esercizi, dall’IMU e dalla TARSU per 5 anni e la riduzione dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente a carico delle aziende per i primi 5 anni. Nella SEZ le imprese beneficeranno inoltre dell’esenzione completa delle imposte doganali e IVA di importazione, di esportazione, consumo e di circolazione per tutti i prodotti che entrano, vengono lavorati e quindi esportati attraverso la zona speciale.

L’iter del progetto è lungo e complesso in quanto dovrà essere discusso dal Governo italiano e anche dalla Commissione Europea, in particolare dalla DG Comp, chiamata a verificare che tali agevolazioni non costituiscano un illecito aiuto di stato.

Se è vero che un regime fiscale agevolato può essere un elemento di appeal per le imprese straniere che intendano insediarsi in un territorio, è altrettanto vero che esso da solo non è sufficiente: occorre anche una burocrazia snella e procedure amministrative semplificate che favoriscano gli investimenti. I progetti di istituzione di nuove SEZ in Italia dovrebbero essere affiancati quindi da una revisione della normativa.

5. Conclusioni

I grandi investimenti infrastrutturali e la crescita che sta caratterizzando i paesi che si affacciano sulle sponde Sud ed Est del bacino del Mediterraneo, nonostante i conflitti che ancora fortemente interessano alcuni di essi, hanno influenzato e continueranno a sortire effetti sulla struttura stessa degli scambi internazionali. I grandi terminal portuali in costruzione o in fase di potenziamento, con una capacità già oggi pari a circa la metà rispetto a quanto movimentato in Europa, sono del resto una prova evidente degli enormi cambiamenti che queste nuove aree possono portare.

L’ingresso dei paesi del Mediterraneo meridionale nelle organizzazioni internazionali ha incentivato la delocalizzazione in queste aree di molte attività produttive rendendo ancor più concrete le possibilità di crescita dei porti nordafricani.

Sulla sponda Nord continua a rafforzarsi il ruolo della Spagna i cui porti, Algeciras e Valencia, mantengono la leadership nel Mediterraneo nel segmento dei container; ad Est prosegue la ripresa del porto greco del Pireo che, divenuto hub di riferimento della Cosco nel Mediterraneo, vanta una crescita significativa.

In tale scenario non si possono che aprire alcuni interrogativi per la portualità italiana: l’opportunità di attrarre i traffici crescenti nell’area Med si fa sempre più difficile da cogliere, nel segmento del transhipment, considerato che le merci stanno

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viaggiando su navi sempre più grandi che scalano sempre meno porti che sono però molto attrezzati in termini di infrastrutture e sovrastrutture. In questa direzione occorre tener conto dell’esigenza di rafforzare i nostri principali hub in modo da consentirgli di conservare le attuali quote di mercato. D’altro canto, però, lo sviluppo transhipment in altri porti del Mediterraneo, potrebbe alimentare traffico su navi feeder diretti verso i porti regionali italiani. In questo senso occorre tener conto delle criticità emerse per i nostri scali in termini di tempi e costi per le procedure di import/export marittimo e che inevitabilmente compromettono la competitività delle imprese italiane.

Nel segmento dello short sea la partita per i porti italiani è tutta da giocare considerato che il nostro paese è leader nel Mediterraneo e si avvale di imprese di prestigio internazionale: in questa direzione non possono essere sottovalutate le esigenze di integrazione logistica tra i porti e i retroporti per superare gli annosi colli di bottiglia che impediscono alle merci di conseguire in tempi certi i mercati di consumo finale.

L’esperienza dei paesi del South e Eastern Med, ma anche di alcuni paesi europei come Spagna e Grecia hanno evidenziato come, in un momento storico di scarsità di risorse pubbliche, risulti essenziale per competere in un mercato in continua evoluzione, favorire la partecipazione di capitali privati. Nel nostro paese sembra essenziale superare i vincoli di una burocrazia e di una giustizia amministrativa che rendono i tempi incerti e quindi difficile investire.

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Med Business

& Trade Indicators Italy—Med Area

June 2011

www.srm-med.com

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