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N. 323 - 27 Gennaio 2022

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Academic year: 2022

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Roma al bivio: ma c'è una visione. Le interviste a Caterina Mangia e Eugenio Patanè. Gts Rail, da Vado Ligure 5 locomotive Alstom, investimenti per 30mln. Il primo scuolabus elettrico in Italia. Grandi investimenti per peggiorare il servizio? Anche no

N. 323 - 27 Gennaio 2022

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numero 322 - 20 Gennaio 2022

Il sito di “VisioneRoma” (un’associazione no profit dedicata ai temi della Capitale) ospita una lunga incontro-colloquio con Eugenio Pa- tanè, assessore alla Mobilità, intervistato an- che da Mobility Press.

Il filmato propone una discussione molto in- teressante, perché a confronto vi sono alcuni dei protagonisti delle vicende trasportistiche cittadine e l’assessore, che si sente “uno di loro” (anche perché ha vissuto esperienze di lavoro con molti degli intervenuti), e quin- di parla “a cuore aperto”. Il riconoscimento della competenza del neo-assessore è unani- me, e così della passione e dell’impegno che mette nello svolgimento del suo lavoro. Nel campo dei trasporti e della mobilità, Roma eredita problemi antichi, in parte aggravatisi – per una serie di motivi – negli ultimi anni:

trasporti e rifiuti (con intercambiabilità nel- la gerarchia) costituiscono i maggiori impegni della giunta Gualtieri nell’arco di legislatura, ma i trasporti hanno anche qualche motivo in più, cioè i due grandi appuntamenti costituiti dal Giubileo proclamato per l’anno 2025 e la candidatura per ospitare l’Expo 2030.

L’elenco dei problemi romani è lungo, e alcu- ni temi sono anche affrontati nell’intervista a Mobility. L’aspetto che forse più merita di es- sere sottolineato è il richiamo che Patanè fa della necessità di recuperare le competenze, un patrimonio che forse ha subìto conseguen- ze anche peggiori del complessivo degrado delle infrastrutture cittadine, esemplificato al massimo dallo stato della rete tramviaria (ma anche delle metropolitane, per non parlare dei bus, che però grazie a vari fondi sono in via di rinnovo), per il quale l’assessore propo- ne la cura drastica del rifacimento dell’intera rete dei binari.

La storia è scritta anche negli annali, ma in qualche maniera è significativo che a ricor-

darla sia proprio l’assessore Patanè, indice di una frequentazione anche delle vicende stori- che delle aziende romane. Il riferimento è al nome di alcuni dei tram che circolano a Roma, conosciutissimi come i “tram Stanga”, ma di cui forse molti ignorano l’origine del nome. Si tratta di convogli costruiti nelle storiche offi- cine padovane della Stanga, ma che adottano un sistema di articolazione delle casse bre- vettato da un ingegnere romano della Stefer, azienda romana di tramvie, ferrovie e metro- politane confluita poi prima in Acotral e poi in Atac.

Oggi – lamenta Patanè – Atac gestisce sei li- nee di tram a Roma, aspira ad averne altre quattro (tra cui quella importantissima de- nominata TVA, Termini-Vaticano-Aurelia, di attraversamento dell’intero centro cittadino), ma non ha una Divisione Tramviaria, dove rac- cogliere le migliori competenze in un settore che ha comunque bisogno di professionalità ed esperienze specifiche.

Un discorso più o meno analogo che riguarda Roma Metropolitane, società nata per svol- gere per conto di Roma Capitale le funzioni connesse alla progettazione e realizzazione delle linee metropolitane cittadine, diventata sostanzialmente una società di intermediazio- ne degli appalti e poi inopinatamente messa addirittura in liquidazione, col rischio di di- sperdere anche le preziose esperienze accu- mulate.

Solo il tempo dirà quanti progetti riuscirà a realizzare l’assessore Patanè e quale sarà l’as- setto della Roma dei trasporti al bivio della sua trasformazione, ma è innegabile che per- lomeno oggi ci sia una “visione”, quella in fondo reclamata dall’associazione che porta questo nome.

Editoriale

Roma al bivio: ma c'è una visione

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numero 322 - 20 Gennaio 2022

Caterina Mangia, responsabile della Comuni- cazione della Fit Cisl del Lazio ha recentemen- te pubblicato il libro documentario “Algorit- mo. Storie di lavoro fragile”. Un volume che racconta le storie dei lavoratori delle nuove piattaforme e l’incontro tra il sindacato e i la- voratori di frontiera. Il libro racconta le loro storie, denunce di abusi e violazione dei diritti sindacali e lo strapotere delle piattaforme re- golate da algoritmi che decidono l’organizza- zione del lavoro con turni spesso estenuanti.

Come nasce l’idea di questo libro?

L’idea di questo libro è nata quando sono sa- lita sul furgone ‘Pronto intervento diritti dei lavoratori’ con un gruppo di sindacalisti del- la Fit-Cisl Lazio, animati dalla pura voglia di incontrare e incoraggiare chi è sfruttato, ma al contempo impaurito all’idea di cambiare la propria condizione. Dall’iniziativa sono nati incontri, avventure e molti cambiamenti re- ali e positivi: le facce inizialmente diffidenti di molti lavoratori si sono trasformate, con il tempo, in volti familiari e amici. Mi sono detta che in un momento storico di disillusione, in cui la cronaca nera ha sempre la meglio sulla cronaca ‘bianca’, e su cui la pandemia è cadu- ta come un’ulteriore, pesante ombra, è dove- roso raccontare storie semplici e di speranza.

Ho pensato a mio figlio e ai giovani, che han- no bisogno di sapere che il lieto fine, con la giusta dose di determinazione e tenacia, può esistere.

Un libro e un documentario che ricordano che dietro l’algoritmo ci sono persone, ma anche un’occasione per riflettere su chi ge- stisce l’algoritmo…

Da tempo la Fit-Cisl Lazio ribadisce che la nar- razione secondo cui algoritmo è sinonimo di modernità è fuorviante. In realtà, dietro l’al- goritmo si nascondono persone, ‘capi’, o an- che ‘padroni’, per usare un termine obsoleto:

persone con cui va necessariamente intavola- to un dialogo. Non è accettabile la frase ‘lo dice l’algoritmo’, che spesso viene utilizzata per dar forza a un’affermazione, o per impor- re ritmi di lavoro ottocenteschi: si tratta di effettuare una battaglia culturale, ancor pri- ma che sindacale o politica, per affermare che non si può affidare alla tecnologia un compito gestionale e decisionale che è e deve restare umano.

Nel documentario di Patrizia Santangeli emerge bene non solo il lato umano della questione ma anche l’idea che l’unione fra i lavoratori sia l’elemento vincente a difesa di tutti. Il diritto vince sull’algoritmo?

Non so se il diritto vincerà sull’algoritmo, ma credo di sapere che un gruppo unito e determi- nato di persone può perdere alcune battaglie, perdendo difficilmente la guerra. Di fronte a categorie di lavoratori impaurite e sfruttate il sindacato si è trovato spesso a ricordare un concetto molto semplice e, se vogliamo, an- tico: un lavoratore solo è debole, più perso- ne unite sono forti. Le aziende possono fare a meno di un singolo individuo, ma, come inse-

Intervista

Caterina Mangia: l'algoritmo non è la modernità.

Il compito gestionale e decisionale deve restare umano

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gna la dia- l e t t i c a s e r v o - p a - drone di H e g e l , sono co- strette ad a s c o l t a r e la voce di molti. Sono convinta che l’etimologia delle parole custodisca la loro essenza più profon- da: sindacato significa non a caso ‘vincere in- sieme’. In un momento di forte disgregazione dei legami sociali, non ci si può arrendere al

‘Divide et impera’: la vera reazione, il vero umanesimo, consiste nel ‘farsi degli amici’, nel coltivare le relazioni.

Automazione, algoritmi, piattaforme, smart working: il mondo del lavoro sta vivendo una vera e propria rivoluzione. Il rischio è che il lavoro umano venga riconosciuto e apprezza- to sempre meno

Personalmente credo che ci siano degli ambiti che non potranno mai essere sottratti all’u- mano. Resta il fatto che la digitalizzazione e tecnologizzazione del lavoro e della società sono potenzialmente pericolosi se trattati come Totem, come fini in sé, mentre se al ser- vizio di principi etici possono rappresentare una risorsa preziosa. L’onda dell’innovazione in sé non è né positiva né negativa, tutto sta a come decideremo di cavalcarla.

Come ci si confronta con strumenti di sorve- glianza dei lavoratori sempre più pervasivi?

Che cosa potranno fare le parti sociali e le forze politiche per mettere in campo prote- zioni efficaci?

Non dimenticando che i lavoratori sono perso- ne, non marchingegni. E’ nella valorizzazione, nel coinvolgimento, nel riconoscimento delle individualità che le competenze sbocciano. Si

dovrebbe passare da una cultura del ‘control- lo’ sociale a una cultura della partecipazione.

Il XII Congresso della Fit-Cisl del Lazio, che si è tenuto lo scorso 14 gennaio, è stato dedica- to proprio al tema della partecipazione: molti studi scientifici lo confermano, ma lo stesso buon senso dimostra che più i lavoratori sono soddisfatti, più le aziende sono sane. Tuttavia, ci vuole molto coraggio, nelle vite individuali così come nelle dinamiche collettive, per pas- sare dai più semplici modelli conflittuali a pa- radigmi inclusivi.

Ma affiancata al tuo libro abbiamo visto an- che una iniziativa interessante, aver aperto, nella vostra sede un punto di ristoro e sosta per rider e fattorini, con che gradimento?

Dopo aver incontrato numerosi lavoratori

‘nomadi’, senza un luogo di lavoro materia- le e senza un capo in carne ed ossa, Marino Masucci, Segretario Generale della Fit-Cisl Lazio, ha deciso di offrire a questa categoria di persone una sorta di ‘casa’, un luogo in cui rifugiarsi quando il maltempo, il senso di so- litudine, il bisogno di rifocillarsi prendono il sopravvento. Si tratta di un posto su strada come le antiche stazioni di posta, e non a caso si chiama ‘Stazione Lavoro’. E’ un posto in cui i sogni, le speranze, gli stati d’animo di molti la- voratori fragili trovano un ‘rifugio’ materiale.

E’ un luogo fisico da contrapporre all’immate- rialità degli algoritmi e della digitalizzazione, un posto in cui si può far sindacato ma anche ridere, scherzare, ricaricare il telefono e tro- vare conforto umano. Un angolo prezioso in cui ‘restiamo umani’, che sta diventando pun- to di riferimento non soltanto per rider, dri- ver e fattorini, ma per l’intero quartiere e per chiunque ne abbia bisogno. La nascita della Stazione Lavoro è un piccolo-grande lieto fine e insieme un buon inizio.

Giulia Ratini

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“I trasporti come leva di sviluppo delle città?

E’ una realtà di cui non ci sarebbe neanche bisogno di discutere. Nel nostro colloquio, abbiamo ricordato la città di Lille, che sareb- be un interessante caso di studio: città gran- demente periferica del Nord-Ovest francese, con l’alta velocità è diventata un nodo fer- roviario di primaria importanza su una delle linee di maggior successo in Europa, ha poi sviluppato una rete di trasporti metropolitana ipermoderna, ed da lì è partita per scalare le classifiche di città tra le più interessanti d’Eu- ropa, diventando luogo di mostre, di musei, manifestazioni, e – particolare che non gua- sta - portando al primato in Francia (contro l’équipe milionaria della capitale Parigi) per- sino la squadra di calcio. Roma ovviamente non deve scalare alcuna classifica, ma sicura- mente deve porre rimedio agli errori compiuti nella gestione dei trasporti, con mancati inve- stimenti e ritardi accumulati in troppi settori”.

Eugenio Patanè è il nuovo Assessore alla Mo- bilità della giunta di Roma Capitale guidata da Roberto Gualtieri; è stato “traslocato” dalla Regione Lazio, dove era presidente della com- missione Lavori pubblici, infrastrutture, mobi- lità, trasporti. Nel suo curriculum, due gran- di passioni, la politica e i trasporti: trasporti di cui si occupa una vita, essendo diventato così – per unanime riconoscimento – uno dei pochi che realmente conoscono le problema- tiche della mobilità cittadina, e in grado di at- tingere anche all’esperienza di maestri come Walter Tocci o Mario Di Carlo, cui si devono le poche innovazioni vissute dal mondo dei tra- sporti romano. Dopo l’assessorato ai Rifiuti, i trasporti sono l’altra poltrona che “scotta”

nell’amministrazione cittadina, ma Patanè ha la grande occasione di sfruttare i fondi del PNRR e di dare una svolta alla politica della

città, soprattutto per affermare finalmente nei fatti quella “cura del ferro” (di cui lo stes- so Patanè è stato uno dei protagonisti), in una visione organica dello sviluppo del sistema dei trasporti cittadino.

Da dove cominciamo?

Dalla rete dei tram. I nuovi bus sono arrivati o arriveranno a breve, il servizio di Atac com- batte con le conseguenze della pandemia, ma va migliorando e ci saranno importanti novità anche nella gestione della società.

Per quanto riguarda – invece - la rete tram- viaria, paghiamo il prezzo di un patrimonio della città che è stato lasciato degradare, con più di vent’anni di mancanza di manutenzio- ne e mancato rinnovo dei mezzi, ed ora la si- tuazione non regge più. Siamo costretti a so- spendere il servizio del tram 8 per intervenire sull’anello del Casaletto, perché la situazione del manto stradale rischiava di creare danni persino al sottocassa.

I tecnici registrano ogni giorno problemi di usura eccessiva delle ruote e dei carrelli, la si-

Intervista

Eugenio Patanè: 3 anni per la nuova rete dei tram. Bus, treni, metro: la

Roma del Giubileo e del 2030

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numero 322 - 20 Gennaio 2022

tuazione dei binari l’abbiamo vista in occasio- ne delle interruzioni di cui si sono occupate le cronache. Insomma, è necessario intervenire e, visto che la città ha deciso di investire sui tram realizzando quattro nuove linee, l’inter- vento deve essere radicale, complessivo.

In che modo?

Dobbiamo rinnovare l’intera rete. In tre anni, dovremo rifare tutto l’armamento, andare avanti così è inutile, del resto l’ultimo inter- vento sui binari risale agli anni ’90 con i tram 8, per quanto riguarda i mezzi andiamo an- cora più indietro. Mettiamo a disposizione 65 milioni di euro e nel 2025 contiamo di avere l’intera rete rinnovata, dando alla città un’in- frastruttura moderna ed efficiente che varrà per i prossimi trent’anni.

Come sarà rifatta la rete?

Dovremo adattare le soluzioni allo stradario cittadino, ma l’intenzione è di puntare su una rete tramviaria all’altezza delle altre capitali europee.

Dove possibile le linee saranno senza catena- ria, con sedime a platea, ma soprattutto sui binari dovremo poter inserire convogli di 12 tonnellate per asse, quando oggi dobbiamo limitarci a 8. Vuol dire avere la possibilità di mettere in circolazione anche tram di 33 me- tri e più, ovviamente laddove la rete lo con- senta e non ci sono problemi di raggio di cur- vatura o altro.

Diamo qualche dettaglio in più del “Piano Tram”

Entro il mese di marzo contiamo di indire la gara per 130 nuovi tram che faranno parte dell’accordo quadro: 50 serviranno a sostitu- ire i convogli esistenti, 80 saranno destinati sulle nuove linee. La gara sarà divisa in più lot- ti, il traguardo ultimo è sempre la data dell’8

dicembre 2024, data in cui si aprirà il Giubileo e il piano dovrà essere completato. In un anno e mezzo, però, contiamo di dare il via al pri- mo svecchiamento della flotta: i produttori ci assicurano una capacità di produzione di 6-7 tram al mese, se per agosto-settembre 2023 abbiamo i primi convogli, in 15 mesi dovrem- mo riuscire ad avere 90 nuovi tram, 80 da de- stinare alle nuove linee e 10 per sostituire le attuali motrici Stanga che risalgono al 1948.

Vorremmo che perlomeno nella parte anterio- re i nuovi tram abbiano una personalizzazione dedicata a Roma, e tutti dovranno essere pre- disposti per accogliere le batterie.

Arrivano nuovi bus e tram, ma dove si met- tono?

La questione dei depositi è diventata centrale, e anche lì dobbiamo rimettere mano a deci- sioni anche sbagliate delle precedenti giunte.

La soluzione non può certo venire da depo- siti antiquati come via Prenestina, puntiamo a riqualificare quello di Centocelle e abbiamo in mente di chiedere all’amministrazione lo spazio dell’ex Centro Carni nell’area Est del- la città, e chiedere a Ferrovie dello Stato di occupare un’area sistemata invece nella parte Ovest. Le aree saranno riqualificate, ma anche ri-valorizzate: bisognerà portarci tutti gli im- pianti per le ricariche elettriche, per le lavo- razioni, sarà un pezzo di città del futuro anche questo portato dai tram.

Un programma impegnativo e che coinvolge più soggetti

Per questo è stata istituita una cabina di re- gia cui partecipano il sindaco, gli assessori competenti, i vertici delle società come Fer- rovie dello Stato o degli enti coinvolti. Novità ci saranno anche nei rapporti con FS: non ci sarà la firma di un nuovo protocollo d’intesa, piuttosto la firma di vari accordi contrattuali, il rapporto con FS coinvolge anche le priorità

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su scala regionale, ma l’intenzione è di effet- tuare anche un check complessivo sulle aree a disposizione, vedremo che cosa si può re- alizzare per la localizzazione di hub merci o dei bus turistici, il Sindaco è molto impegnato anche su questo versante.

La cura del ferro rende inevitabile una do- manda sulla chiusura dell’anello ferroviario, anche perché si torna a parlare di rinvii Noi come Roma Capitale chiederemo che l’a- nello ferroviario sia completato definitiva- mente entro il 2025, cioè in tempo per la sca- denza del Giubileo. Vedremo e valuteremo le soluzioni più efficaci che si possono adottare per rispettare i tempi, ma Roma deve porsi l’obiettivo di sfruttare interamente il patrimo- nio della sua rete di binari, che del resto già oggi vede circolare sulle ferrovie regionali che insistono su Roma già quasi mille treni.

La novità – costituita anche dalla cabina di re- gia – è che si lavora con il coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali e con spirito colla- borativo, finalmente i fondi ci sono, trovere- mo il modo di spenderli.

Si parla di un nuovo tracciato tra Vigna Cla- ra e Val d’Ala. E poi c’è la stazione Pigneto:

quando finiranno i lavori?

Non è un nuovo tracciato perché sulla connes- sione c’è già un progetto di fattibilità tecnico – economica. Il collegamento tra la fermata Vigna Clara e la fermata Val d’Ala consente l’interscambio (grazie alla nuova stazione Tor di Quinto) con la ferrovia Roma – Viterbo, si- gnifica creare un nuovo percorso di penetra- zione nell’area urbana centrale, se immaginia- mo che la cura del ferro rinvigorisce davvero il funzionamento dell’intera rete con carat- teristiche di rete metropolitana, realizziamo quelle alternative di tracciato che caratteriz- zano tutte le grandi capitali europee.

Per quanto riguarda la stazione Pigneto, la

conclusione dei lavori è prevista entro il 2025 e questa data è confermata, dopodiché Pigne- to diventerà la terza stazione metropolitana di Roma, dopo Termini e Tiburtina.

Ma essenziali diventano soprattutto le funzio- ni di interscambio: una rete su ferro finalmen- te interconnessa consente di razionalizzare tutti i collegamenti della vasta area metro- politana, ad esempio le zone dei Castelli o della Ciociaria, o tutte le altre aree limitrofe da cui ogni giorno su Roma convergono quasi 600.000 persone, non bisogna dimenticarlo.

Un impegno massiccio che chiama in causa anche il Governo

Insieme al sindaco Gualtieri abbiamo avuto un incontro con il Presidente del Consiglio Draghi per esaminare il piano complessivo di investi- menti, che - alla fine - vale 11,7 miliardi di euro. Al governo abbiamo fatto solo due altre richieste: l’aumento della dotazione del Fon- do nazionale trasporti e il quadruplicamento della ferrovia Roma – Ciampino, un’opera che sarebbe essenziale per la rete trasportistica dell’intero Lazio, che presenta alcune proble- matiche ma su cui insisteremo, convinti che si tratti di un’opera davvero decisiva.

Rimangono due questioni, Atac e la Metro C.

Per quanto riguarda Atac, continua ovvia- mente il piano di rinnovo degli autobus, ed entro il 2022 sostituiremo tutti i 500 autobus a metano della fornitura che risale al 2004, con acquisti sulla base delle gare Consip ma anche cercando di introdurre contratti di full service. Rimangono poi i problemi sul fronte societario, dato che si è deciso – forse non opportunamente – di sottoporre la società all’amministrazione controllata da parte del Tribunale fallimentare.

In Giunta ho già espresso il mio orientamento affinché la rata in scadenza a fine anno ven- ga pagata e non vengano chieste al Tribuna-

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le ulteriori proroghe: la rata è di 170 milioni, attualmente ne abbiamo 86, dovremo trovare gli altri 84. Atac è una società in amministra- zione controllata, e – al di là della valutazione dell’opportunità o meno di operare nel pas- sato tale procedura – la scelta di soddisfare i creditori non è solo un elemento di serietà amministrativa, è anche una forma di rispetto verso i fornitori, che hanno evitato di pena- lizzare Atac con ricorsi legali e di cui l’azienda avrà ancora bisogno per crescere nel futuro.

La Metro C

Per la Metro C, potrei rispondere con una bat- tuta che viviamo come se non ci fosse un do- mani, anche se in realtà non è vero. La Metro C si porta dietro, in realtà, il problema di Roma Metropolitane: società anch’essa sciolta forse

troppo frettolosamente e non opportunamen- te, e che invece sarebbe stato necessario ri- lanciare, evitando di ridurla ad una società di intermediazione che – in pratica - gestisce gli appalti e i progetti, e recuperandone invece il ruolo di struttura specializzata cui affidare tutti i compiti di ingegnerizzazione, proget- tualità e programmazione dell’intera rete di infrastrutture della città, valorizzando così anche le grandi professionalità che già esisto- no.

Un recupero di competenze che dovrebbe ri- guardare anche Atac

Sicuramente: oggi noi abbiamo i tram “Stan- ga”, che si chiamano così perché costruiti in un’officina padovana che sfruttò il sistema di articolazione delle casse brevettato da un in-

gegnere della Stefer, ante- signana dell’Atac attuale.

La necessità di recuperare alle strutture pubbliche la capacità di programmazio- ne e di progetto riguarda non solo le Agenzie regio- nali o comunali, ma anche le stesse aziende, che non possono essere solo un aggregato burocratico: è assurdo, ad esempio, che una città come Roma che aspira ad avere sessanta chilometri di linee di tram non abbia una Divisione Tramviaria, dove racco- gliere le migliori profes- sionalità del settore.

Ma torniamo a Roma Me- tropolitane e alla Metro C Per salvare Roma Metro- politane, occorre ripor- tarla in bonis, operazione

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FR8 ROMA VITERBO

ROMA LIDO La Giustiniana (FR3) La Storta - Formello Cesano Olgiata

Grottarossa Bracciano

Vigna di Valle Anguillara

Saxa Rubra Centro Rai Labaro La Celsa Prima Porta La Giustiniana Sacrofano Montebello Oriolo

Manziana - Canale Monterano

San Filippo Neri Ottavia Ipogeo degli Ottavi

Due Ponti Morolo Magliano Romano Morlupo Castelnuovo di Porto Riano GROSSETO

Gemelli Monte Mario

Torre In Pietra - Palidoro Ladispoli - Cerveteri Marina Di Cerveteri S. Severa S. Marinella CIVITAVECCHIA

Aurelia Maccarese - Fregene

FIUMICINO AEROPORTO Ponte Galeria

Muratella Magliana

Villa Bonelli

Parco Leonardo Fiera di Roma

Lido Centro Lido Centro Stella Polare

Castel Fusano CRISTOFORO

COLOMBO Lido Nord

Tor di Valle Vitinia Casal Bernocchi Centro Giano Acilia Ostia Antica

PORTA S. PAOLO/

PIRAMIDE

EUR Magliana Basilica S. Paolo

Pomezia - S. Palomba Campoleone Torricola

Aprilia Campo di Carne Padiglione Lido Di Lavinio Villa Claudia Marechiaro Anzio Colonia Anzio

MINTURNO - SCAURI Itri

Priverno - Fossanova Sezze Romano LATINA Cisterna Di Latina

NETTUNO TERRACINA

Casabianca S.Maria delle Mole Pavona Cancelliera Cecchina

S.Eurosia S.Gennaro Lanuvio

VELLETRI ALBANO LAZIALE

Castel Gandolfo Villetta Acqua Acetosa (FR4)

Sassone Pantanella

Marino Laziale CASERTA Colle Mattia

FRASCATI Tor Vergata Colonna Galleria Ciampino

Capannelle Prenestina

Tor Sapienza La Rustica Città Togliatti Serenissima Fidene Nuovo Salario Settebagni

Val D’Ala

Ostiense (FR) San Pietro

Appiano Proba Petronia Valle Aurelia Balduina

Trastevere Quattro Venti

Nomentana

Euclide Acqua Acetosa

Campi Sportivi Monte Antenne

Tor di Quinto

TIBURTINA (FS)

FLAMINIO TERMINI (FS)

Tuscolana

FARA SABINA Piana Bella di Montelibretti Monterotondo - Mentana

Poggio Mirteto Gavignano Sabino

Gallese In Teverina Civita Castellana - Magliano Collevecchio - Poggio Sommavilla Stimigliano

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AVEZZANO VITERBO

VITERBO PORTA FIORENTINA

PignetoC

Villa Senni Pineto

Vigna Clara

Capolinea Fermata intermedia Linea ferroviaria Prolungamento oltre i limiti della mappa Percorso opzionale

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non semplice perché tutto è bloccato dalla risoluzione del contenzioso, che ammonta a 734 milioni di euro ed è quasi tutto a carico dei costruttori della linea C. E’ una questio- ne complessa cui stiamo lavorando, perché gran parte di questi soldi potrebbero essere trasferiti alle spese per il progetto comples- sivo dell’opera, ma è ovvio che la necessità è innanzitutto ripartire. Per quanto riguarda la Metro C, la certezza è che apriremo le stazio- ni Amba Aradam e Colosseo entro il 2024, e saranno stazioni di cui si parlerà anche per la loro bellezza.

Per il dopo, attualmente disponibile c’è il fon- do nazionale di 3,7 miliardi di euro per le nuo- ve metropolitane, di cui 1 miliardo e mezzo è destinato a Roma. Contiamo di investire 600 milioni (più altri 100 che ci sono già) per por- tare la metropolitana fino a piazza Venezia, chiudendo quella che potremmo definire la prima fase del progetto. Per i rimanenti 900 milioni, l’idea è di aprire un primo lotto co- struttivo per portare la linea alla Farnesina, partendo però proprio da lì.

L’impressione è di una grande chiarezza di idee, ma soprattutto di una ferma volontà

Alla fine, i trasporti sono la mia vita, mi avvi- cino ancora alle questioni con una curiosità che definisco infantile, mi piace confrontarmi nei colloqui anche con gli operai che lavora- no alle fosse, spesso dicono verità molto me- glio degli esperti. Però la cosa che ritengo più importante è che a Roma si è ritornati a pro- grammare, a immaginare il futuro. Dimostran- do anche tutto l’impegno per far funzionare quello che c’è: ricordiamo solo la rimessa in servizio del tram 2 che era stato sospeso per mancanza di manutenzione o i 485 milioni di euro che investiremo per effettuare le revi- sioni e la manutenzione sulle metropolitane A e B, che erano a rischio di essere fermate.

Tre anni possono essere lunghi, ma se tutte le istituzioni continueranno a collaborare come stanno facendo finora, possiamo dire che il si- stema trasportistico di Roma nel 2025 avrà un nuovo volto, e nel 2030 potrà ambire a fare concorrenza alle grandi capitali europee.

Antonio D’Angelo

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numero 322 - 20 Gennaio 2022

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News

Gts Rail, l’operatore intermodale ferrovia- rio, investe 30 milioni in rotabili e supera i 130 milioni di fatturato. Ancora numeri in crescita, dunque, per il gruppo barese che chiude il 2021 con un aumento con- solidato del fatturato del 18% e 124 mila spedizioni.

Il risultato, supportato anche dall’ope- razione di apertura del capitale al fondo infrastrutturale Marguerite, avvenuta nel settembre 2021 per una quota del 25%

(la famiglia Muciaccia controlla il 75%), è accompagnato da un aumento di capitale che consentirà investimenti per 150 milioni nei prossimi 5 anni. Inoltre, l’azienda punta alla quotazione in Borsa nel 2027.

Il gruppo lavora sempre di più all’integrazio- ne tra ferrovia e intermodalità con un nuovo approccio alla sostenibilità. La mancanza di autisti di mezzi pesanti e l’impennata del co- sto del petrolio stanno spingendo sempre di più le aziende a rivedere la propria posizio- ne logistica di lungo termine. Ed è in questo contesto che si inseriscono i due investimenti per complessivi 30 milioni: 5 locomotive 494 Alstom con ultimo miglio che usciranno dallo stabilimento di Vado Ligure e in consegna a

partire da maggio 2022 con relativo contratto di manutenzione per 10 anni; 100 carri ferro- viari da 90’ dalla Walbo la cui consegna ini- zierà dal prossimo luglio.

Alessio Muciaccia, ad di Gts – “Siamo estre- mamente soddisfatti dei risultati prodotti, soprattutto perché realizzati in un periodo di grande difficoltà come quello che stiamo vi- vendo.

Il marchio Gts si sta consolidando sempre più in Italia e in Europa e speriamo che questi investimenti e quelli futuri potranno dare il nostro concreto contributo allo sviluppo fer- roviario del vecchio continente.

La ferrovia non solo è tornata prepotentemente di moda, ma si sta imponendo come model- lo di sviluppo per il prossimo futuro.

Puntiamo a fare di Gts un cam- pione del Made in Italy, e i nu- meri ci stanno dando ragione”.

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numero 322 - 20 Gennaio 2022

12-14 OTTOBRE 2022

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“Il nostro obiettivo è raggiungere una mobilità sempre più sostenibile con un approccio tec- nologicamente avanzato e totalmente perso- nalizzato”. Con questo claim l’azienda Costa &

Zaninelli con sede a Castellucchio (Mantova), azienda certificata ISO 9001 offre la propria esperienza più che trentennale nella vendita e assistenza di carrelli elevatori. Attraverso la partnership con CZ Logistic Service offrire an- che un servizio a 360 gradi per la vendita e as- sistenza di batterie trazione e veicoli elettrici ad uso industriale e stradale di propria produ- zione. Da circa dieci anni progetta e produce i propri mezzi elettrici: furgoni, trattori, ca- mion e, da qualche tempo, anche scuolabus.

L’intento è quello di diminuire l’inquinamento e al tempo stesso fornirvi un prodotto com- pletamente personalizzato.

Tra i mezzi che Costa & Zaninelli progetta e produce ci sono veicoli ad uso stradale, ad uso industriale e veicoli speciali, ma c’è una novità.

Di recente hanno iniziato ad esplorare un nuovo settore: quello del trasporto scolastico realizzando uno scuolabus che viaggerà tra i comuni nelle province di Mantova e Brescia, il

primo scuolabus elettrico in Italia.

“Questo per noi è stato un progetto molto importante e motivo di grande orgoglio, non solo perchè ci consente di contribuire a un trasporto più sicuro ed ecologico, ma perchè ci permette di mandare un messaggio chiaro anche ai più piccoli:un modo più verde è pos- sibile e attuabile nella quotidianità” si legge nel sito dell’azienda.

Inoltre, rispetto ai normali veicoli, gli elettri- ci hanno costi di esercizio molto convenienti.

Basti pensare al fatto che caricare la batteria del mezzo consente di risparmiare rispetto a quanto si spende per il carburante.

News

Scuolabus elettrico: il primo retrofit in Italia. Verso una mobilità

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numero 322 - 20 Gennaio 2022

Grandi investimenti per peggiorare il servizio? Anche no

Dibattito

Il vantaggio che ha la ferrovia sulle altre modalità di trasporto (auto e aerei) è soprattutto quello di essere arrivata prima. Quel mezzo secolo di anti- cipo maturato nella seconda metà dell’Ottocento si è rivelato decisivo per la sopravvivenza del tra- sporto su rotaia quando, un secolo più tardi, ha dovuto subire una concorrenza feroce e talvolta sleale. Subendo perdite non trascurabili (la ridu- zione delle reti in molte nazioni avanzate), ma alla fine individuando propri ambiti di competitività (le linee veloci, le aree metropolitane). E ponendo così le basi per l’attuale rilancio. Ciò è dovuto non tan- to al treno in sé, che pure ha conosciuto profonde trasformazioni dalle prime macchine a vapore ai Frecciarossa dei nostri giorni. Quanto piuttosto alle linee ferrate ed alle relative stazioni che, nella gran maggioranza dei casi, si trovano ancora nelle stesse posizioni individuate dai progettisti ottocenteschi.

Attorno a quelle stazioni si sono sviluppate le città che oggi conosciamo. Certo, la ferrovia ha costitui- to anche una barriera che può aver condizionato lo sviluppo urbanistico e condizionato la qualità della vita dei frontisti (oggi molto meno che in passato, quando le abitazioni contigue ai binari erano anne- rite dal fumo). Ma, comunque, i residenti avevano considerato prevalente il vantaggio di abitare vicino ad una stazione rispetto ai disagi.

Questo, almeno, fino a quando si è diffusa la mo- torizzazione individuale e molti hanno pensato di fare a meno del treno. Le attese ai passaggi a livello o il rumore al transito dei convogli sono allora di- venuti insopportabili a chi quel treno non usa mai.

E non considera come il fatto che una quota di altri concittadini continui ad utilizzarlo offre comunque il vantaggio di strade meno trafficate di cui godono anche i mancati utilizzatori.

Purtroppo, però, questa visione miope ed egoista ha contagiato molti amministratori locali che cre- dono di interpretare il “sentiment” dei loro eletto- ri, proponendo l’allontanamento delle stazioni dai centri abitati (a spese dell’erario nazionale, “ca va

sans dire”). Per molto tempo queste tendenze sono rimaste frustrate dal fatto che spostare un tracciato ferroviario, magari ponendo i binari sottoterra o tra le montagne circostanti, richiede ingenti spese fuo- ri portata non solo degli Enti locali, ma anche del Governo centrale. Le cose cambiano, però, quando si palesano alle viste consistenti finanziamenti, ma- gari di fonte europea, come per il PNRR.

Poco importa se quei fondi siano destinati a mi- gliorare le prestazioni del vettore ferroviario per renderlo più appetibile rispetto all’auto o all’aereo e favorire, così, il riequilibrio modale. L’occasione diventa irresistibile per realizzare i sogni localistici dei sindaci, anche a costo di trasformarli in incubi per gli utenti del treno.

Certo, non si deve pregiudizialmente opporsi al cambiamento, ma la saggezza imporrebbe di giudi- care volta per volta gli interventi preferibili.

Ad esempio, se si programma l’integrale ricostru- zione di una rete portante ad Alta Velocità – come ha fatto la Spagna negli ultimi venti anni – è chiaro che si possono ipotizzare nuovi tracciati e preve- dere il passaggio in sotterranea nei maggiori centri abitati. Strada percorsa dal governo iberico in mol- te occasioni, quasi sempre, però, senza allontanare i binari dal centro delle città, salvo rare eccezioni, come a Burgos. Questo potrebbe essere il caso del- la Alta Velocità tra Salerno e Reggio Calabria, ben- ché l’idea di costruire la nuova linea dentro e fuori la catena appenninica prefiguri costi esorbitanti ri- spetto al miglioramento dell’attuale linea costiera.

Ma, se la prima scelta dovesse, anche solo in parte, prevalere, si potrebbero accettare nuove stazioni raggiungibili in auto o in bus, a servizio di aree ora non servite, come nel Vallo di Diano, sull’esempio di quanto già a venuto con qualche successo nel caso della Mediopadana. Dove, però, la stazione storica a Reggio Emilia continua a funzionare.

Se si trattasse di allontanare treni merci pesanti, ru- morosi e talvolta pericolosi, dalle zone urbanizzate, nulla osterebbe a progettare itinerari periferici de-

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dicati, come è avvenuto da tempo negli Stati Uniti, dove però il trasporto passeggeri è marginale.

Da noi si vedono poche situazioni assimilabili, salvo forse sulla nuova linea del Brennero, con la circon- vallazione ferroviaria di Trento, fermo restando che la stazione viaggiatori deve restare dov’è per ser- vire la città. Se si tratta di raddoppiare un tracciato sinuoso che scorre in mezzo alle abitazioni di molte cittadine costiere, come nel caso del Ponente ligu- re, è lecito prefigurare nuovi percorsi, magari sot- terranei, purché le stazioni siano ragionevolmente vicine ai centri storici, come è avvenuto, pur con qualche criticità, a Sanremo. Ma evitando, nel li- mite del possibile, gli scempi già occorsi ad Impe- ria, con la nuova stazione in mezzo al nulla, e che rischiano ora di riprodursi ad Albenga, dove la pur tardiva presa di coscienza di associazioni locali e di organizzazioni sindacali, come l’Orsa, chiede ades- so una modifica del progetto, salvaguardando per quanto possibile la capillarità del servizio.

Ma se si tratta di intervenire su linee già esisten- ti, a doppio binario ed elettrificate, per velocizzare e potenziare il servizio, come nel caso della linea Adriatica, non si vede perché si debbano buttare miliardi di euro per blandire le velleità urbanistiche di certi amministratori, senza ottenere grandi risul- tati in termini di appetibilità del treno. O, magari, addirittura peggiorandola. Se si tratta di eliminare passaggi a livello pericolosi e penalizzanti, si pro- ceda pure con adeguati sottopassi e sovrappassi.

Soprattutto ciclopedonali, visto che proprio la bar- riera ferroviaria, in molti casi, ha frenato l’aggres- sione del traffico alle spiagge, con corollario di par- cheggi contigui ai bagni. Se si pensa di interrare le stazioni e parti del tracciato in ambito urbano, se ne valuti la fattibilità, a condizione che almeno una parte delle spese vengano sostenute dagli Enti pro- ponenti, che potrebbero poi rifarsi con gli oneri di urbanizzazione e la crescita del valore degli immo- bili. Possibilmente evitando mediocri realizzazioni, come quella di Busto Arsizio, dove la stazione di Trenord venne interrata una ventina di anni fa, in occasione dell’apertura del raccordo per Malpen- sa, senza apprezzabili ricadute sulla città. Ma con il risultato di creare una stazione buia e percepita

dagli utenti come insicura (la manutenzione costa, specie sottoterra, la sorveglianza anche).

E, se si propone – come ultimamente hanno fatto i sindaci della costa marchigiana, da Pesaro a Fano – di spostare ferrovia e relative stazioni “a monte dell’autostrada” (ossia a chilometri dal centro cit- tadino), l’ipotesi andrebbe rispedita al mittente. A meno che non sia accompagnata dall’impegno vin- colante - come sostenuto da Cgil e Cisl locali - di trasformare l’attuale sedime in una “metropolitana leggera” (su rotaia, però, non fidiamoci di presunte busvie!) a servizio capillare dell’abitato. Cosa che in Liguria era stata pure ventilata, ma è rimasta poi sulla carta. Altrimenti il risultato finale sarà disa- stroso. Attualmente tra Milano e Pesaro occorrono meno di tre ore con i treni più veloci. Un tempo certamente allettante rispetto alla parallela au- tostrada, Anche perché si scende non lontano dal centro ed a pochi minuti dalle principali destinazio- ni cittadine. Cosa succederebbe se si guadagnasse una manciata di minuti sul percorso ferroviario, per poi perdere tempo e soldi alla ricerca di un taxi o nell’attesa di una saltuaria corsa di bus? Come già succede, ad esempio, proprio ad Imperia, dove sia i pendolari che i turisti si sono rarefatti.

E allora, il PNRR costituisce un’occasione irripeti- bile. Le risorse economiche sono ingenti, ma non illimitate. L’obiettivo – ambiziosissimo – è quello di trasferire passeggeri e merci dalla strada alla rotaia, fino a raggiungere quote modali del 30 per cento (o addirittura del 50!) entro la metà del secolo, con conseguenti benefici ambientali, di sicurezza, di rie- quilibrio dei territori. Non possiamo permetterci di sprecare montagne di denaro in interventi faraoni- ci, in cattedrali nel deserto, in opere magari anche interessanti sotto il profilo urbanistico (sempreché non spianino la strada ad ulteriori lottizzazioni e colate d’asfalto di cui non sentiamo il bisogno), ma che non migliorano la fruibilità del vettore che do- vrebbe essere protagonista del cambiamento. Os- sia del treno.

Massimo Ferrari Presidente Assoutenti/Utp – Segretario AEC

Lombardia

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