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CAMBIAMENTI CLIMATICI E FORESTE:INDAGINI DENDROECOLOGICHENELLE ANDE CILENE CENTRO MERIDIONALI

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– I.F.M. n. 5 anno 2008

MARCO MARCHETTI (*) - CLAUDIA COCOZZA (*) - BRUNO LASSERRE (*) FABIO LOMBARDI (*) - ROBERTO TOGNETTI (*)

CAMBIAMENTI CLIMATICI E FORESTE:

INDAGINI DENDROECOLOGICHE

NELLE ANDE CILENE CENTRO MERIDIONALI

L’Università degli Studi del Molise, nell’ambito del Progetto di Internazionalizzazione del MIUR Ciclo del Carbonio ed altri gas serra in ecosistemi forestali, naturali ed artificiali dell’America Latina: analisi preliminare, studio di fattibilità e comparazione con ecosistemi italiani, ha effettuato una spedizione in Cile, nello scorso febbraio 2008, per intensificare la cooperazione scientifica con partner accademici cileni ed argentini, realizzando campionamen- ti in ambito forestale lungo un transetto latitudinale nel territorio cileno.

L’esplorazione ha avuto inizio dall’estremo sud del Cile, in Terra del Fuoco, presso il Parco Etnobotanico di Omora. In tale realtà sono stati individuati popolamenti forestali vetusti a prevalenza di Nothofagus betuloides (coigüe), dove sono stati effettuati campiona- menti dendro-cronologici su piante vive e sul legno morto in stadi decompositivi differenti, con l’obiettivo di valutare la progressione temporale della decomposizione.

Successivamente, la spedizione ha fatto tappa presso il Parco Nazionale di Torres del Paine, dove sono stati effettuati carotaggi dendro-cronologici, continuando poi le attività di campionamento verso nord, nell’ambito di tre aree vulcaniche disposte a ridosso della Cordi- gliera delle Ande: Villarica, Lonquimay e Chillan.

Tali campionamenti permetteranno di studiare gli effetti delle eruzioni sui tassi d’ac- crescimento della vegetazione arborea e sull’efficienza fotosintetica in condizioni atmosferi- che non ordinarie, ipotizzando forti cambiamenti climatici su scala locale relativi agli anni successivi alle eruzioni.

Le analisi in corso hanno già evidenziato una riduzione degli accrescimenti arborei negli anni successivi alle eruzioni, probabilmente a causa della riduzione della temperatura dell’aria e dell’incremento dell’umidità atmosferica indotto dai vapori e dalle ceneri emesse.

La spedizione effettuata ha evidenziato l’importanza della cooperazione internaziona- le, che può consentire il confronto con aree forestali remote, talvolta caratterizzate da condi- zioni di maggiore naturalità rispetto a quelle europee e mediterranee.

Parole chiave: cooperazione internazionale; cambiamenti climatici; foreste; transetto latitu- dinale.

Key words: international cooperation; climate change; forests; latitudinal transect.

(*) Gli Autori fanno parte del Laboratorio Eco.Geo.For., Dipartimento di Scienze e Tecnolo-

gie per l’Ambiente e il Territorio, Università degli Studi del Molise, Contrada Fonte Lappone, 86090 -

Pesche (IS); e-mail: marchettimarco@unimol.it

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I NTRODUZIONE

L’Università degli Studi del Molise è titolare del Progetto di Interna- zionalizzazione del MIUR - Cile-Argentina-Italia su Ciclo del Carbonio ed altri gas serra in ecosistemi forestali, naturali ed artificiali dell’America Lati- na: analisi preliminare, studio di fattibilità e comparazione con ecosistemi italiani, che vede coinvolti anche il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricer- che) - IBAF (Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale) e l’Univer- sità di Concepción del Cile, l’Istituto di Ricerche Forestali Cileno e l’Uni- versità Cattolica Argentina di Buenos Aires. Nell’ambito di tale progetto, il laboratorio di Ecologia e Geomatica Forestale del Dipartimento S.T.A.T. di Pesche (IS) ha avuto l’opportunità di effettuare una spedizione scientifica in Cile nel mese di febbraio 2008, supportato da partner scien- tifici cileni.

Obiettivo del viaggio è stato l’intensificazione dei rapporti e della coo- perazione scientifica con partner accademici cileni ed argentini, e la realiz- zazione di campionamenti in ambito forestale lungo un transetto latitudina- le sud-nord nel territorio cileno.

L A PRIMA SPEDIZIONE , FEBBRAIO 2008

L’itinerario (Fig. 1) ha previsto l’esplorazione del Cile in senso latitu- dinale, dal profondo Sud, in Terra del Fuoco, all’estremo Nord, con tappa nel Deserto di Atacama, percorrendo la Regione dei laghi (Parco Nazionale di Torres del Paine) e le aree vulcaniche attive del Cile centrale. In partico- lare, il vulcano Villarrica, localizzato nell’omonimo Parco Nazionale, nella Regione di Magallanes; il vulcano Lonquimay, nel Parco Nazionale Con- guillio, presso la Riserva statale di Malalcahuello, nella regione meridionale cilena di Araucaria, ed il vulcano Chillan, nella Regione del Bío Bío.

L’esplorazione ha avuto inizio presso il Parco Etnobotanico di Omora, che ha recentemente siglato un protocollo di collaborazione con il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi (partner dell’Università degli Studi del Molise) e l’Università di Magallanes (Punta Arenas, Cile). Il Parco Etnobota- nico di Omora si trova nell’isola Navarino, in Patagonia, all’estremità meri- dionale del continente americano; più a sud, solo il mitico Capo Horn e poi l’Antartide. Quest’area protetta agli estremi confini delle terre emerse è nata per tutelare un ambiente caratterizzato da un’elevatissima biodiversità (C ERDA , 2005).

Di grande rilievo sono anche i valori antropologici legati alla presenza

dell’antica comunità indigena degli Yacan. L’isola è raggiungibile dall’Ar-

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gentina mediante la traversata via mare del Canale di Beagle, che collega l’Oceano Pacifico con l’Oceano Atlantico, in uno dei tratti di mare tra i più tempestosi della Terra. Nel Parco di Omora, territorio incontaminato e di elevato valore naturalistico, sono stati individuati popolamenti forestali vetusti a prevalenza di Nothofagus pumilio (lenga), Nothofagus betuloides (coigüe) e Nothofagus antartica (ñirre) (Fig. 2). Tali realtà, molto suggestive per la durezza del clima e la presenza costante di condizioni atmosferiche estreme, sono caratterizzate da venti impetuosi costanti, temperature mai elevate anche nei mesi estivi e precipitazioni abbondanti durante tutto l’an- no. Queste caratteristiche, di concerto con l’assenza di pressioni antropiche in un’isola dove sono praticate forme di allevamento e pesca non intensive, e abitata da duemila anime solo in un piccolo villaggio, Puerto Williams (la città più australe del mondo, già base militare cilena), hanno favorito la conservazione dei popolamenti forestali presenti sull’isola. Questi non sono stati mai gestiti tramite tecniche selvicolturali codificate, ma soggetti alla sola raccolta di legna da ardere, quasi esclusivamente prelevata dall’abbon- dante necromassa riscontrata al suolo. Unico impatto riscontrabile è l’effet-

Figura 1 – L’itinerario percorso dall’estremo sud della Terra del Fuoco al deserto di Atacama.

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to talora devastante dei castori, introdotti nel secolo scorso dal Canada, che favoriscono spesso la formazione di invasi d’acqua, apportando modifica- zioni al paesaggio forestale, che non sopravvive al ristagno d’acqua al suolo (A NDERSON et al., 2006).

Il Parco di Omora costituisce un laboratorio naturale che permette di studiare l’ecologia dei boschi più a sud del pianeta, includendo processi ed effetti del cambiamento climatico. In tali boschi è stato interessante rilevare quantitativi di legno morto al suolo superiori a quelli di massa viva, con valori spesso pari a 400 m

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/ha. La necromassa è principalmente caratteriz- zata da alberi schiantati a causa dei venti impetuosi, schianti favoriti dalla superficialità del suolo che non permette ancoraggi radicali solidi, ma anche a causa dell’elevata densità dei popolamenti, con piante spesso caratterizza- te da un’altezza elevata ed una chioma ridotta al cimale, che favorisce lo sradicamento causato dal vento.

In tali soprassuoli forestali sono stati effettuati carotaggi dendro-cro- nologici su piante vive in due siti localizzati a quote differenti, ed in uno di questi sono stati prelevati campioni di legno morto, da alberi schianta- ti, in stadi decompositivi differenti. L’obiettivo è quello di stimare gli anni trascorsi dalla morte del legno morto in foresta, la sua velocità di decom- posizione, il rilascio del carbonio in corso di decomposizione ed i tempi

Figura 2 – Le foreste vetuste dell’Isola di Navarino, Parco

Etnobotanico di Omora.

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massimi di permanenza in bosco dei materiali organici (L OMBARDI et al., 2008). Le analisi dei campioni, in corso presso i laboratori dell’Università degli Studi del Molise, sono condotte mediante tecniche dendro-ecologi- che (F RITTS , 1976) e per mezzo di analisi chimiche sulla presenza di car- bonio e azoto, lignina e cellulosa, in collaborazione con il WSL (Eidg.

Forschungsanstalt fur Wald, Schnee und Landsschaft) di Birmensdorf (Zuri- go, Svizzera).

La produttività primaria netta (NPP), la produzione netta dell’ecosi- stema (NEP) e le riserve di carbonio variano molto nelle foreste durante il corso della successione secondaria. Molti di questi cambiamenti sono dovu- ti alle interazioni fra gli alberi e la necromassa. Dopo un disturbo naturale, la NPP tende ad essere bassa, ma la necromassa (tronchi, rami, e radici) può essere sia elevata (es. dopo schianti da vento) sia molto ridotta (es.

rimozione totale degli alberi) (S CHULZE et al., 2005; F RANKLIN et al., 2002).

Nel caso di grandi quantità di necromassa riscontrabili a causa di disturbi, gran parte della riserva di carbonio dell’ecosistema è rappresentata dal legno morto. Inoltre, la NEP in questi casi può impiegare decadi per passa- re da source (azione negativa) a sink (azione positiva) di carbonio.

A prescindere dal disturbo, quando il lascito di necromassa si decom- pone e la NPP aumenta, l’ecosistema entra in un periodo in cui può occor- rere un significativo uptake di carbonio (F IELD e K ADUK , 2004). Questo è il periodo in cui le foreste recuperano molto del carbonio perso associato ai disturbi. Con il maturare del popolamento, molta della NPP che era alloca- ta ad incrementare la biomassa viva è rivolta alla compensazione di perdite per mortalità. Ciò può estendere il periodo di NEP positiva, poiché la necromassa formata recentemente è accumulata nella fase vetusta e/o persi- stente della successione. Idealmente, quando le foreste si avvicinano agli stadi più tardivi della successione, la NPP è allocata interamente nel ripri- stino delle diminuzioni per mortalità ed equivale alle perdite per respirazio- ne eterotrofica. In realtà, anche in foreste molto vetuste, ciò può accadere solo su vaste superfici e nel lungo periodo. Per piccole aree e su base annua, la variazione in mortalità, la rigenerazione degli alberi e la decompo- sizione introducono cambiamenti sostanziali in NEP, indipendentemente dalla variabilità climatica (C AO e W OODWARD , 1998).

Lo scopo delle ricerche condotte nei boschi in Terra del Fuoco (e nelle

altre realtà cilene) è di studiare i legami fra un processo chiave dell’ecosistema

(decomposizione della necromassa) ed i tratti delle comunità presenti (tipolo-

gie forestali) in contesti climatici distinti. I dati raccolti saranno comparati

con i risultati ottenuti in lavori già svolti dal laboratorio Eco.Geo.For. alle

nostre latitudini, in particolare in ambito appenninico (L OMBARDI et al.,

2008), per chiarire la capacità di tali ecosistemi di immagazzinare carbonio

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atmosferico. A prima vista, anche alla relativamente piccola scala spaziale del nostro studio, le foreste delle alte latitudini possono mantenere caratteristi- che strutturali simili a quelle di foreste vetuste temperate.

Terminate le attività di campionamento presso le isole della Terra del Fuoco, la spedizione ha fatto tappa nell’estremo sud del continente america- no, presso il Parco Nazionale di Torres del Paine (Fig. 1), una delle aree pro- tette più affascinanti del continente sudamericano. Tale area è considerata ancora appartenente al profondo sud cileno, essendo separata orograficamen- te dal resto del paese dal sistema di ghiacciai più esteso al mondo dopo l’An- tartide e la Groenlandia, il Campo de Hielo, esteso circa 16.800 km².

In tale Parco, in ecosistemi forestali analoghi a quelli investigati in Terra del Fuoco e localizzati ai margini delle lingue glaciali discendenti dal Campo de Hielo, sono stati effettuati carotaggi dendro-cronologici. L’obiet- tivo preposto è quello di correlare le informazioni ottenute dagli accresci- menti arborei in Terra del Fuoco con quelle di realtà forestali localizzate più a nord, allo scopo di creare un transetto latitudinale lungo il Cile.

Tale transetto è stato integrato con ulteriori campionamenti effettuati verso Nord, nell’ambito di tre aree vulcaniche disposte a ridosso della Cor- digliera delle Ande (Fig. 1). La prima è localizzata nei pressi del vulcano Villarica, nell’omonimo Parco Nazionale; un’area terribilmente soggetta alle calamità naturali, in primis le frequentissime eruzioni del vulcano (O RTIZ et al., 2003), che impongono severi piani di evacuazione ed una preparazione attenta della popolazione a tali eventi, ma anche soggetta ad incendi fore- stali devastanti, in particolare nella stagione estiva che in queste aree è spes- so torrida. Il Parco si estende per circa 63.000 ha ed è caratterizzato dalla presenza di boschi di Araucaria auracana e Nothofagus pumilio alle quote più alte e Nothofagus alpina, Podocarpus salignus e Nothofagus dombeyi alle quote più basse. Boschi che rappresentano l’habitat ideale per puma, con- dor, guanachi, huemules, volpi grigie e rosse, nutrie, poiane di Harris, gri- gione minore, moffette e cercopitechi di Hoest.

In questo contesto si è campionato, prelevando carote da alberi vivi, in una realtà forestale particolare, caratterizzata da una densità molto ridot- ta, in cui dominano pochi individui monumentali di Nothofagus dombeyi, che dalle prime analisi dei dati risultano caratterizzati da un’età talvolta superiore ai 500 anni. In tali soprassuoli è emersa anche una gestione fore- stale caotica e poco edificante, considerati i vincoli di protezione, e tenendo conto che è molto diffusa la presenza di piante monumentali tagliate e lasciate depezzate al suolo.

Più a Nord, presso il vulcano Lonquimay (Fig. 3), nella Riserva statale

di Malalcahuello, nella regione meridionale cilena di Araucaria, l’attenzione

è stata posta su esemplari monumentali di Araucaria araucana (Fig. 3), coni-

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fera nativa del Cile ed Argentina ed albero nazionale del Cile, da cui la Regione prende il nome. Tale specie è diffusa sui pendii delle Ande cilene ed argentine, oltre i 1000 m, in aree dove spesso si verificano abbondanti precipitazioni nevose. Il peso della neve spesso rompe i rami più vecchi e l’albero mantiene una piccola chioma di rami nuovi sopra un tronco a colonna; un portamento abbastanza differente dalla forma conica che assu- me nei giardini temperati dove è spesso usata come pianta ornamentale.

I popolamenti di Auracaria analizzati sono spesso radi, insistenti su suoli caratterizzati da ceneri derivanti dalle attività esplosive del vulcano, di cui l’ultima verificatasi nel dicembre del 1988. In tali foreste, localizzate in un’area disabitata ed incontaminata, degna di interesse è la presenza di individui pluri-centenari, anche con età superiore ai 500 anni, confermata dai primi risultati delle analisi dei campioni.

Presso il vulcano Chillan, nella Regione Bio Bio, sono stati campionati esemplari di Nothofagus betuloides, in un’area privilegiata per quanto riguarda le sue risorse naturali, caratterizzata da boschi millenari, terme naturali con acque provenienti da campi geotermici del Vulcano Chillán, vegetazione abbondante e natura incontaminata.

I campionamenti a ridosso delle tre differenti aree vulcaniche attive permetteranno, oltre l’integrazione del transetto latitudinale, anche di stu- diare gli effetti delle eruzioni vulcaniche sui tassi d’accrescimento della vegetazione arborea e sull’efficienza fotosintetica in condizioni atmosferi- che non ordinarie (B ATTIPAGLIA et al., 2007). Si ipotizzano forti cambia- menti climatici su scala locale relativi agli anni successivi alle eruzioni, sia

Figura 3 – Esemplari di Araucaria araucana, albero nazionale del Cile. A destra, il vulcano Lonquimay.

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per gli effetti meteorologici indotti dalle eruzioni che per le modificazioni indotte sulla composizione chimica dell’atmosfera. Tali condizioni, localiz- zate nel tempo e nello spazio, potrebbero designare uno scenario futuro al quale le specie arboree potrebbero adattarsi a causa dei cambiamenti clima- tici indotti dalle attività antropiche. Come rispondono queste specie al cam- biamento globale?

P RIMI RISULTATI E PROSPETTIVE

Un’altra spedizione sarà effettuata nel dicembre 2008. Intanto, le ana- lisi dendro-cronologiche in corso hanno già evidenziato, in particolare per il vulcano Lonquimay, una riduzione degli accrescimenti arborei negli anni successivi alle eruzioni storicamente datate, probabilmente a causa della riduzione della temperatura dell’aria e dell’incremento dell’umidità atmo- sferica legati alla copertura nuvolosa indotta dai vapori e dalle ceneri emes- se. Le differenti condizioni climatiche, ma soprattutto la mutata composi- zione elementare dell’aria, possono avere ripercussioni sugli accrescimenti annuali e sulla tipologia d’elementi presenti nelle cerchie annuali degli anni delle eruzioni (B ATTIPAGLIA et al., 2007; D’ ARRIGO et al., 1999). Per approfondire questi aspetti sono in corso analisi in collaborazione con il WSL, che permetteranno di individuare la composizione elementare dei sintetizzati del cambio negli anni delle eruzioni, ma anche la stima dei tassi fotosintetici e la conduttanza stomatica, mediante analisi isotopiche su ele- menti quali l’ossigeno ed il carbonio (A NDERSON et al., 1998).

La spedizione effettuata evidenzia l’importanza della cooperazione internazionale, dando l’opportunità di interagire con realtà accademiche differenti, in forte crescita culturale e stimolanti da un punto di vista scien- tifico, peraltro in sinergia con istituti di ricerca nazionali (es. CNR-IBAF) ed europei (es. WSL di Zurigo). Inoltre, tale cooperazione permette la pro- grammazione di elaborati scientifici di ampio respiro, consentendo il con- fronto con aree remote e relativamente più vicine a condizioni di naturalità rispetto alla realtà europea e mediterranea.

Questo lavoro ha offerto un resoconto di aspetti scientifici, culturali

ed ambientali di un territorio vasto e scarsamente abitato, caratterizzato da

paesaggi sub-polari, in transizione fino a quelli più tipicamente tropicali. Lo

studio dendrocronologico delle componenti vitali e della necromassa in for-

mazioni persistenti ed in boschi vetusti può rivelare il ruolo dei disturbi,

della competizione e del clima nella strutturazione della foresta. Diversi

quesiti sono aperti, soprattutto sulle possibili analogie nell’evoluzione dei

cambiamenti con la nostra realtà mediterranea: a questi si cercherà di

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rispondere sulla base dei dati raccolti, creando prospettive per ricerche future. Quali sono gli attributi strutturali e la storia delle foreste vetuste e dei boschi persistenti nella Patagonia Cilena e in Italia? Quali sono i pro- cessi che determinano la loro organizzazione strutturale? Sono, tali ecosi- stemi forestali, stabili nel tempo e come la scala spaziale influenza la nostra valutazione della stabilità? Se può aver senso, come possono essere con- frontati i boschi della Patagonia con omologhe strutture forestali dell’Emi- sfero Nord? Un aiuto nel rispondere a tali quesiti potrebbe derivare dalla prosecuzione degli studi nella seconda spedizione di dicembre 2008, lungo il transetto latitudinale in terra Cilena, proseguendo le analisi sulle forma- zioni forestali fino a raggiungere il Deserto di Atacama (nord del Cile), e confrontando i risultati con quelli ottenuti campionando boschi vetusti e formazione persistenti lungo la Penisola Italiana (P IOVESAN et al., 2005).

R INGRAZIAMENTI

I campionamenti effettuati nelle diverse aree indagate sono stati resi possibili dalla gentilissima ed efficiente collaborazione del CONAF - Corpo- racion Nacional Forestal del governo cileno, che ringraziamo sentitamente.

SUMMARY Forests and climate change:

dendroecological surveys in the South-Central Chilean Andes

Last February 2008 the University of Molise, partner of the MIUR International Project Ciclo del Carbonio ed altri gas serra in ecosistemi forestali, naturali ed artificiali dell’America Latina: analisi preliminare, studio di fattibilità e comparazione con ecosistemi italiani, has realized a scientific expedition in Chile, in order to intensify the scientific cooperation with Chilean and Argentinean Academic partners. Forest sampling was realized along a latitudinal transect in Chile.

The exploration started from the extreme south of Chile, in Tierra del Fuego, in particular in the Omora Etno-Botanical Park. In this park, old-growth forests dominated by Nothofagus betuloides (coigüe) were investigated. Living and dead downed trees were sampled using dendrochronological methods, in order to evaluate the wood decay progression.

Afterwards, the expedition stopped over the Torres del Paine National Park, where dendro-ecological sampling activities where realized with the aim of integrate the latitudinal transect along Chile.

The sampling activities proceeded towards the north, within three volcanic areas located nearby the Andean Cordigliera: Villarica, Lonquimay e Chillan.

Particularly, dendrochronological investigations on volcanic areas will allow studying the impact of volcanic eruptions on tree growth and on primary productivity, resulting in strong climatic changes on the local scale following each eruption.

Data analyses have already shown a significant decrease in ring width following

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each eruption, probably due to an increase in relative humidity and a decrease in temperature caused by volcanic ashes and aerosols in the atmosphere.

This expedition showed the importance of the International cooperation, which could facilitate the comparison with remote forest areas, characterized often by higher near to nature conditions, especially if related with the European and Mediterranean forest areas.

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