FORESTE E CAmBIAmENTI CLImATICI:
ABBRACCIO AmOROSO O VELENOSO?
1. I ntroduzIone
La concentrazione in atmosfera di anidride carbonica (CO
2) è cresciuta da un valore pre-industriale di circa 280 parti per milione (ppm) a un valore di 390 ppm del 2010. Le analisi gassose delle carote di ghiaccio prelevate dagli scienziati ci dico- no che il valore attuale supera di molto il range naturale (da 180 a 300 ppm) dello stesso gas registrato negli ultimi 650 mila anni. Secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration degli USA, dal 1958 a oggi la concentrazione media annua di CO
2nell’atmosfera è aumentata di circa il 23%. Nell’ultimo decennio l’au- mento medio annuale è di 2,04 ppm l’anno.
Le attività umane sono alla base dell’aumento della concentrazione di CO
2e di altri gas atmosferici, quali metano (CH
4), biossido di azoto (N
20) e altri gas di origine industriale. Questi gas stanno aumentando il naturale effetto serra, legato alla capacità dei gas prima citati e del vapor acqueo di assorbire la radiazione ter- mica infrarossa emessa dalla superficie terrestre, dall’atmosfera e dalle nuvole, evi- tando che la stessa radiazione si allontani dall’atmosfera. Questi gas serra aggiunti- vi provengono principalmente dalla combustione delle fonti fossili di energia, che nel corso del 2010 ha rilasciato 30,6 miliardi di tonnellate (Gt) di CO
2equivalente in atmosfera, il 9% in più rispetto all’anno precedente. Ciò è “molto probabilmen- te” la causa dell’aumento di circa 0,8 °C della temperatura media superficiale glo- bale dell’atmosfera dall’inizio della rivoluzione industriale (1750, anno dell’inven- zione della macchina a vapore) a oggi.
Gli scienziati prevedono che le temperature globali continueranno ad aumen- tare nei decenni a venire, soprattutto a causa dei gas serra prodotti dalle attività umane. Le proiezioni del trend della temperatura dipendono dai differenti scenari
– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments 66 (6): 440-458, 2011 © 2011 Accademia Italiana di Scienze Forestali
(*) Dipartimento Conservazione della Natura, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale (ISPRA), Roma; tel. 06 50074824; lorenzo.ciccarese@isprambiente.it
di emissioni di gas serra e dall’integrazione dei fenomeni di feedback tra il riscalda- mento globale e il ciclo del carbonio. Il Quarto Rapporto di Valutazione del Grup- po intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC, 2007) indica che nel corso del 21° secolo la temperatura superficiale globale è destinata ad aumentare di altri 1,5-1,9 °C secondo il più basso scenario di emissioni di gas serra e 3,4-6,1 °C per quello più alto (S olomon et al., 2007).
L’IPCC (2011) ritiene “molto probabile” che la frequenza e l’intensità di alcu- ni eventi estremi (come uragani, alluvioni e ondate di calore) e la maggiore ampiezza delle fluttuazioni della temperatura intorno al valor medio (maggiori e minori estre- mi delle temperature giornaliere) siano legati all’influenza antropica e in particolare all’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera.
2. f oreste e cIclo globale del carbonIo
La biosfera terrestre ha un ruolo importante nel ciclo globale del carbonio (C) e nel cambiamento climatico. Ciò dipende dal fatto che essa immagazzina grandi quantità di C nella vegetazione (550 ± 100 Gt)
1e nel suolo (da 1.300 a 1.950 Gt nei primi 30 cm di profondità e circa 2.300 Gt nei primi 3 metri di profondità) (H ou -
ghton , 2007). Le foreste sono particolarmente importanti come serbatoio di C per- ché stivano molto più C per unità di superficie (fino a 250 tC/ha) rispetto ad altri tipi di ecosistemi e perché rappresentano il bioma più diffuso del pianeta: circa 3,9 miliardi di ettari, il 30 per cento delle terre emerse del pianeta.
Inoltre, la biosfera terrestre scambia enormi quantità di CO
2e altri gas con l’atmosfera, attraverso processi naturali e disturbi di varia natura, biotici e abio- tici. Le foreste fungono da fonti di C, aggiungendo CO
2nell’atmosfera, quando la respirazione totale e l’ossidazione delle piante, del suolo e della materia orga- nica morta superano la produttività primaria netta; viceversa, essi fungono da serbatoi di C, quando la rimozione di CO
2dall’atmosfera supera le perdite. Que- sto accade quando i terreni agricoli e i pascoli sono abbandonati e sono converti- ti naturalmente a foreste, quando sono realizzati interventi di afforestazione e riforestazione su terreni prima destinati ad altre forme di uso del suolo. Anche il restauro forestale (C Iccarese , 2011) porta a fissare quantità di C superiori a quelle emesse.
La deforestazione nei tropici e in Australia e la degradazione delle foreste nei tropici e nelle aree temperate da una parte e l’espansione della foresta nella zona temperata e parti della regione boreale dall’altra sono i principali fattori responsabili
1
Tale entità è dello stesso ordine di grandezza della quantità di carbonio presente in atmosfera (≈800
Gt).
2Alla fine di novembre 2011, la FAO ha reso noto i dati di uno studio basato su immagini satellitari, da
cui risulta che dal 1990 al 2005 sono stati deforestati mediamente 14,5 mha l’anno, in parte compensate
dalla realizzazione di 9,6 mha di nuove foreste l’anno. Secondo lo stesso studio la superficie forestale
alla fne del 2005 era pari a 3,67 miliardi di ettari.
delle emissioni e degli assorbimenti di gas serra, rispettivamente. Secondo il Forest Resources Assessment della FAO, nel periodo 2000-2009 la deforestazione (circa 13 mha/ anno)
2e la degradazione forestale hanno comportato un rilascio in atmosfera di circa 1,3 GtC, pari a circa il 12% del totale delle emissioni antropogeniche di gas serra ( van der W erf , 2009). La misura in cui l’espansione delle aree forestali e l’au- mento della densità di biomassa nelle foreste boreali e temperate siano in grado di compensare la perdita di C a causa della deforestazione tropicale e il degrado fore- stale tropicale e di altre regioni del pianeta rimane ancora un motivo di discordanza tra le osservazioni in campo e le stime basate su modelli top-down (H oughton , 2007; R eIch , 2011).
3. I l ruolo delle foreste nelle strategIe dI mItIgazIone
deI cambIamentI clImatIcI
La rilevanza sia delle emissioni sia degli assorbimenti di gas serra legata agli ecosistemi forestali e la capacità delle attività umane di determinare la direzione e la dimensione dei flussi di C sono state riconosciute dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC, 1992) e il susseguente Protocollo di Kyoto (1997), i quali comprendono la selvicoltura e le attività sugli ecosistemi terre- stri – compendiate nell’espressione land use, land-use and forestry (LULUCF) – nelle strategie di risposta al cambiamento climatico (Box 1).
Ci sono cinque opzioni fondamentali per sequestrare C negli ecosistemi terre- stri e ridurre le emissioni nette di gas serra attraverso le attività LULUCF:
– fornitura di energia rinnovabile;
– sostituzione di prodotti a più alta intensità di C;
– riduzione delle emissioni di gas serra diversi dalla CO
2(ad esempio, CH
4di pro- venienza agricola: risaie, zootecnia);
– conservazione ed espansione degli stock di C già esistenti;
– espansione della superficie forestale.
N abuurs et al. (2007), citando studi regionali bottom-up, hanno stimato che la selvicoltura possa avere un potenziale “economico” di mitigazione dell’effetto serra, a un prezzo di 100 US$/tCO
2eq, compreso tra 1,3 e 4,2 GtCO
2eq/anno (media 2,7 GtCO
2eq/anno) al 2030. Invece, studi basati su modelli top-down di scala globale prevedono un potenziale di mitigazione molto superiore, pari a 13,8 GtCO
2eq/anno nel 2030, a prezzi inferiori o uguali a 100 US$/tCO
2eq, secondo una moltitudine di fattori, inclusi quelli di natura economica, sociale, climatica, biologica.
Il P rotocollo dI K yoto (1997) contempla anche una serie di attività LULUCF che i Paesi possono impiegare per raggiungere gli obiettivi di riduzione o contenimento delle emissioni di gas serra (S chlamadInger et al., 2007). Specificata- mente, per il periodo 2008-2012, così come deciso nelle diverse Conferenze delle Parti da Kyoto a marrakech (UNFCCC, 2002), il Protocollo di Kyoto stabilisce che gli inventari nazionali dei gas di serra debbano essere integrati dalle:
– variazioni degli stock di C e delle emissioni di gas serra diversi dalla CO
2tra il
Box 1
La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (United Nations Framework Convention on Climate Change – UNFCCC) rappresenta la prima risposta politica della comunità internazionale al problema dei cambiamenti climatici. L’UNFCCC ha definito un quadro operativo basato su tre linee d’azione per pervenire a una “stabilizzazione della concentrazione dei gas serra in atmosfera, per non causare pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico”: la riduzione dei consumi di combustibili fossili, il miglioramento dell’efficienza energetica, lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. Inoltre, l’UNFCCC ha contemplato, tra gli altri interventi, l’adozione di pratiche agronomiche e zootecniche che riducano le emissioni di CO
2e, soprattutto, di N
2O e CH
4come strumenti validi per mitigare l’effetto serra. Infine, l’UNFCCC ha riconosciuto che le attività di utilizzo dei suoli agricoli e forestali, definite Land Use, Land-Use Change and Forestry (LULUCF), hanno un ruolo specifico nella riduzione della concentrazione di gas di serra in atmosfera, che deriva dalla capacità delle piante di assorbire CO
2e fissarla per periodi più o meno lunghi nella biomassa viva e morta e nel suolo, di produrre biomassa in sostituzione di fonti fossili di energia e di materiali energy-intensive, quali acciaio e cemento. I sistemi di monitoraggio e le modalità di reporting relativi all’UNFCCC sono descritti da B yrne e C Iccarese (2010). L’UNFCCC, entrata in vigore nel 1994 e approvata da ben 192 Paesi, è stata integrata nel dicembre del 1997 dal protocollo di Kyoto, il trattato che impegna 40 Paesi industrializzati e con economia in transizione a contenere le loro emissioni di gas serra entro limiti ben definiti. Questi Paesi, elencati nell’Allegato dell’UNFCCC, si sono impegnati a ridurre le emissioni complessive di sei gas serra del 5,2% rispetto a quelle registrate nel 1990, entro il periodo 2008-2012 (conosciuto come “primo periodo d’impegno”). Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio 2005 ed è stato finora ratificato da 177 Paesi, tra cui un certo numero di Paesi industrializzati che totalizzano il 63,7%
delle emissioni al 1990 dei Paesi dell’Allegato I. Il Protocollo ha previsto tre strumenti di mercato (noti come “meccanismi flessibili”) a cui i Paesi possono ricorrere per raggiungere i loro target nazionali di riduzione delle emissioni di gas di serra in maniera efficiente. Essi sono:
– il Clean Development Mechanism (CDm), che consente ai Paesi dell’Allegato I di investire in progetti da realizzare nei Paesi in via di sviluppo, in grado di ridurre le emissioni di gas serra, ma anche di favorire in questi Paesi lo sviluppo tecnologico, economico e sociale;
– il Joint Implementation (JI) , che ammette la possibilità per i Paesi dell’Allegato I di realizzare progetti per la riduzione delle emissioni di gas serra in un altro paese dello stesso gruppo e di utilizzare i crediti derivanti, congiuntamente con il paese ospite;
– l’Emissions Trading (ET), che riconosce la possibilità di organizzare un
commercio di crediti di emissione tra i Paesi dell’Allegato I (per esempio tra un
paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra
superiore al proprio obiettivo e un paese che viceversa non sia stato in grado di
rispettare i propri impegni di riduzione).
2008 e il 2012 su foreste di nuova costituzione (afforestazione e riforestazione) e sulle aree deforestate dal 1° gennaio 1990 al 31 dicembre 2012;
– variazioni degli stock di C e delle emissioni di gas serra diversi dalla CO
2nelle superfici forestali sottoposte a gestione, fino a un tetto massimo specifico per ogni nazione che, in molti casi, è solo una frazione della presunta capacità fissativa;
– variazioni degli stock di C e delle emissioni non CO
2tra il 2008 e il 2012 sulle col- ture agrarie e pascolive soggette a gestione e sulle aree che vanno incontro a pro- cessi di rivegetazione, dal 1990 in poi.
Tabella 1 – Sintesi delle attività LULUCF nel primo periodo di adempimento (2008-2012) del Protocollo di Kyoto.
u
soInIzIaledelsuolou
sofInaledelsuoloForesta Coltura agraria Pascoli
Foresta Gestione forestale Deforestazione Deforestazione
Coltura agraria Afforestazione* Gestione di Gestione di pascoli e Riforestazione* coltura agraria
Pascoli Afforestazione* Gestione di Gestione di pascoli
e Riforestazione* coltura agraria
(*) Attività LULUCF ammesse anche come progetti Clean Development Mechanism (CDm). Nella tabel- la non è segnalata un’attività LULUCF, la rivegetazione, perché essa non è associata a una specifica cate- goria di uso del suolo. La rivegetazione può realizzarsi su aree agricole e pascolive, come pure su aree urbane e insediative, ma non su foreste.
Fonte: S
chlamadIngeret al. (2007) mod.
Infine, è possibile per un Paese dell’Allegato I contabilizzare i crediti di carbo- nio, fino a un limite massimo dell’1% delle emissioni totali nel 1990, derivanti dalle attività di afforestazione e riforestazione realizzate nei Paesi in via di sviluppo, secon- do le norme definite dal Clean Development Mechanism (CDm).
Le attività al punto 1 (articolo 3.3 del Protocollo di Kyoto) devono essere con- tabilizzate obbligatoriamente, mentre le attività ai punti 2 e 3 (art. 3.4 del Protocollo di Kyoto) possono essere contabilizzate su base volontaria. L’Italia, per il periodo 2008-2012, ha deciso d’includere la sola gestione forestale e di escludere la gestione dei suoli agricoli, dei prati e dei pascoli e la rivegetazione dalle attività opzionali pre- viste dal Protocollo di Kyoto. Detta esclusione è stata decisa per via dell’effettiva dif- ficoltà di avere dati e informazioni sufficientemente affidabili e consistenti per costru- ire i bilanci tra assorbimenti ed emissioni di gas serra (in sostanza i dati sulle variazio- ni del carbonio nel suolo) tra il 1990 (anno di riferimento) e il periodo 2008-2012.
Questa scelta è stata originata anche dal metodo di contabilizzazione prescritto per le
attività agricole e la rivegetazione: il metodo net-net accounting. Questo, per valutare
il carbon sink, confronta le variazioni degli stock di C ascrivibili alle attività LULUCF
nel corso del periodo d’impegno con quelle dell’anno di riferimento. In questo modo
un credito è prodotto se nelle zone interessate dall’attività c’è stato un assorbimento netto di emissioni. Viceversa, il metodo gross-net accounting (che nel primo periodo d’impegno del Protocollo di Kyoto sarà applicato al reporting per la sola gestione forestale) considera gli assorbimenti e le emissioni nel periodo 2008-2012, senza fare riferimento agli assorbimenti e alle emissioni di un anno (o di un periodo) base. Per usare una metafora finanziaria, con il metodo net-net accounting si compara il saldo medio delle entrate-uscite in un conto corrente bancario del periodo 2008-2012 con quello del 1990 (anno di riferimento). Viceversa, con il metodo gross-net accounting si compara l’ammontare di un conto corrente bancario alla fine del periodo (2012) con l’ammontare all’inizio dello stesso periodo (2008).
Per comprendere il ruolo attribuito al settore agricolo-forestale all’interno degli impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra dell’Unione Europea (UE) e dell’Italia in particolare, è utile ricordare innanzi tutto che il Protocollo di Kyoto prevede che l’UE riduca le proprie emissioni dell’8% rispetto ai livelli del 1990. Un anno dopo l’approvazione del trattato di Kyoto, il Consiglio dei ministri dell’Am- biente dell’UE approvò il cosiddetto Burden Sharing Agreement, l’accordo che ripar- tisce gli impegni di riduzione tra i Paesi membri. Esso stabilisce che l’Italia, nel periodo 2008-2012, debba ridurre le proprie emissioni del 6,5% rispetto ai livelli del 1990. Essendo il livello delle emissioni del 1990 pari 519,5 mtCO
2eq e il target per il nostro Paese, come media del quinquennio 2008-2012, pari a 485,7 mtCO
2eq, l’im- pegno era di ridurre le emissioni di 33,8 mtCO
2eq.
Per l’UE il ruolo attribuito al settore agricolo-forestale nell’orizzonte del primo periodo d’impegno è, nel complesso, piuttosto limitato. Per effetto delle regole e delle restrizioni introdotte dal Protocollo di Kyoto e dagli Accordi di marrakech (S chlamadInger et al., 2007), le attività LULUCF previste dagli articoli 3.3 e 3.4 del Protocollo di Kyoto nei Paesi dell’UE-15 – sulla base delle previsioni fatte dagli stes- si Paesi – dovrebbero generare circa 40,2 mtCO
2l’anno (EEA 2011), pari allo 0,9%
delle emissioni registrate nel 1990, o all’11,7% dell’impegno di riduzione dell’EU-15 (che prevede un taglio di 341 mtCO
2alle emissioni del 1990).
Nel caso dell’Italia, viceversa, il ruolo attribuito al settore agricolo-forestale è
di una certa rilevanza. Nel 2010, a causa dell’effetto congiunto della crisi economica,
dell’aumento della quota delle rinnovabili nei consumi energetici nazionali e del
miglioramento dell’efficienza energetica, il livello delle emissioni italiane è sceso a
493,6 mtCO
2eq., ossia 7,9 mtCO
2eq sopra la soglia media annua assegnata all’Italia
dal Protocollo di Kyoto nel periodo 2008-2012. La media delle emissioni nazionali di
gas serra dei primi tre anni del primo periodo d’adempimento 2008-2012 è pari a
508,8 mtCO
2eq, ossia 15,2 mtCO
2eq sopra il tetto massimo di 485,7 mtCO
2eq
previsto dal Burden Sharing Agreement. Questo significa che il nostro Paese è vicino
alla possibilità di rispettare il target previsto dal Protocollo di Kyoto per il quinquen-
nio 2008-2012. Quest’obiettivo appariva difficilmente raggiungibile fino al 2008,
prima che la crisi economica facesse sentire i suoi effetti sulla produzione e sui con-
sumi, e quindi sulle emissioni, che nel 2008 erano il 12% in più rispetto a quello del
1990. A questo punto, quindi, il ruolo che il settore forestale gioca in questa strategia
è rilevante sia in termini relativi sia assoluti: le variazioni degli stock di carbonio pre-
viste dall’uso delle attività LULUCF (nella sostanza le sole attività forestali, dal momento che quelle agricole non sono state selezionate dal Governo italiano) sono pari a circa 15 milioni di tonnellate di CO
2eq. Questa quantità è la somma del car- bon sink annuale derivante dalla gestione delle foreste esistenti al 1990 (10,2 mtCO
2eq) e da quello derivante dai bilanci delle attività di afforestazione, riforestazione e deforestazione. Il carbon sink stimato dal governo italiano corrisponde a circa l’11%
delle emissioni di CO
2eq del nostro Paese (EEA, 2011). I 10,2 mtCO
2di carbon sink della sola gestione forestale dell’Italia rappresentano ben il 25,3% del carbon sink di tutte le attività LULUCF dell’UE-15. In altre parole, il carbon sink derivante dalle foreste nazionali potrebbe essere sufficiente a coprire il 44% dei 33,8 mtCO
2eq, ossia la frazione di emissioni nazionali da tagliare rispetto a quelle del 1990. In comunicazioni ufficiali precedenti presentate dall’Italia all’UE (EEA, 2009) il contri- buto delle attività LULUCF era stato stimato in 25,3 mtCO
2eq.
L’ordinamento deciso a Kyoto e poi a marrakesh limita il potenziale reale di mitigazione globale delle attività LULUCF. In primo luogo, non sono contemplati i progetti che riducono la deforestazione e la degradazione forestale nei Paesi in via di sviluppo, che sono la fonte principale delle emissioni di gas-serra da attività LULUCF. Inoltre, essi non consentono ai Paesi di fare ampio uso delle opzioni di carbon sequestration offerte dalle attività LULUCF e di ridurre le emissioni nette di gas serra per adempiere gli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra. Come ricordato in precedenza, nel gruppo dei Paesi dell’UE-15 – che pure comprende Paesi “forestali” come la Finlandia, Svezia e Germania – il carbon sink è relativa- mente esiguo (Figura 1).
4. e ffettI del cambIamento clImatIco sulle foreste
Il cambiamento climatico in atto sta alterando i processi delle piante forestali, la struttura, la funzione e la biogeografia degli ecosistemi (B orchert et al., 2005;
K ellomäKI et al., 2005; T huIller et al., 2005; K ellomäKI et al., 2008, m alhI et al., 2009; P hIlIPs et al., 2009; P hIllIPs et al., 2010; A llen et al., 2010; W ardle et al., 2011). Ciò avviene principalmente per effetto dell’aumento della temperatura, della maggiore ampiezza delle fluttuazioni della temperatura intorno al valor medio (mag- giori e minori estremi delle temperature giornaliere) (S Imolo et al., 2011), dell’inte- razione di tale aumento con i crescenti livelli di CO
2atmosferica, dell’alterazione del regime delle precipitazioni, della maggiore severità degli eventi meteorologici estremi come uragani, ondate di caldo, tempeste, alluvioni.
La trasgressione verso i poli e verso quote più elevate di diverse specie vegetali
(e animali) è stata collegata al riscaldamento globale in corso (A lados et al., 2004,
K ellomäKI et al., 2008; L enoIr et al., 2008; m alhI et al., 2009) e rappresenta l’im-
patto più visibile dei cambiamenti climatici sulle foreste. Gli scienziati ritengono che
a ogni grado centigrado d’aumento della temperatura media dell’atmosfera occorra
una migrazione in zone ecologiche di circa 125 km a nord e di 125 m a quote più ele-
vate, alla ricerca di condizioni climatiche più adatte. Gli ecosistemi mediterranei,
come la macchia e la gariga, sono particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici in corso, dove gli aumenti della temperatura e della siccità favoriscono l’evoluzione verso la prateria o il deserto.
I cambiamenti climatici stanno anche alterando le fasi fenologiche di molte specie, a cominciare dall’anticipo della schiusura delle gemme e dal posticipo della caduta delle foglie e dell’inizio della dormienza.
Variazioni dell’abbondanza di alcune specie, inclusa la scomparsa di un numero (anche se molto limitato) di specie, e variazioni della composizione della comunità sono state attribuite ai cambiamenti climatici avvenuti negli ultimi due decenni.
L’allungamento della stagione di crescita ha contribuito a un aumento della produttività primaria netta (PPN) delle foreste nelle regioni boreali e temperate, mentre le condizioni più calde e più secche sono finora state, pur parzialmente, responsabili della ridotta produttività forestale, dell’aumento della frequenza e della severità degli incendi boschivi e dei maggiori danni da parassiti e da patogeni nel bacino del mediterraneo. Nel periodo 2000-2009 Z hao e R unnIng (2010) hanno registrato una riduzione della PPN pari a 0,55 GtC a livello globale, equivalente allo 0,10% della PPN globale. Gli scienziati hanno attribuito questo declino a una ten- denza alla siccità nell’emisfero sud del mondo, dove la PPN è diminuita da 1,83 GtC
Figura 1 – Carbon sink e carbon source stimato (2008 e 2009) e previsto (2008-2012) dalle attività LULUCF nei Paesi europei.
Nota: Un valore positivo indica che il Paese ha o si attende un carbon sink dalle attività LULUCF. I valo- ri riportati in Figura prendono in considerazione i cap per l’attività di “gestione forestale” assegnati a ogni singolo Paese dagli Accordi di marrakesh. Questi valori non implicano in alcun modo che il Paese intenda utilizzare i removal units (RmUs, ossia i crediti LULUCF) per raggiungere i propri impegni di Kyoto. Il valore del carbon sink stimato per gli anni 2008 e 2009 potrebbe variare nei prossimi anni, anche per effetto di una maggiore accuratezza e recisione delle stime.
Fonte: AEA, 2011.
(0,34%), in parte bilanciata da un aumento di 1,28 GtC (0,24%) della NPP nell’e- misfero settentrionale.
Le proiezioni per il 21° secolo suggeriscono che il clima cambierà più veloce- mente rispetto a qualsiasi altro periodo degli ultimi 10 mila anni. Per l’Europa gli scienziati prevedono che le temperature medie possano aumentare molto di più rispetto all’aumento medio della temperatura registrato nel 21° secolo (C hrIstensen
et al., 2007). È molto probabile che il riscaldamento maggiore avvenga nel nord Europa in inverno e nel mediterraneo in estate. I climatologi presumono che le pre- cipitazioni possano aumentare in modo particolare nel nord Europa e che viceversa diminuiscano nella maggior parte del mediterraneo. Nell’Europa centrale sono attendibili un aumento delle precipitazioni in inverno e una diminuzione in estate. I rischi di siccità estiva sono destinati ad aumentare in Europa centrale e nel bacino del mediterraneo, dove le precipitazioni estive potrebbero diminuire fino all’80%. È molto probabile che la durata della stagione nevosa si accorci e che la profondità della neve tenda a diminuire nella maggior parte d’Europa (K ellomäKI et al., 2010).
Una moltitudine di studi basati su ricerche sperimentali in campo, su model- li ecologici calibrati su diversi scenari di cambiamento climatico e su processi fisio- logici afferma che le risposte degli ecosistemi forestali agli scenari climatici formu- lati per l’Europa possono essere considerevoli (S haver et al., 2000; K ellomäKI , 2001; B lennoW e S allnäs , 2002; A sKeev et al., 2005; K ellomäKI e L eInonen , 2005; m aracchI et al.; 2005, E ggers et al., 2008; L Indner et al., 2010; EEA, 2011; m Ilada , 2011). Gli impatti dei cambiamenti climatici sulle specie e sugli ecosistemi si manifesteranno in misura crescente nel corso dei prossimi decenni, con possibilità di sopravanzare anche gli impatti di altri fattori di pressione come la trasformazione di uso del suolo, le specie aliene invasive, i patogeni e i parassiti (S ala et al., 2000; T huIller , 2007).
T huIller et al. (2005), in uno studio in cui è proiettata la distribuzione alla fine del 21° secolo di 1.350 specie vegetali europee riguardo a sette diversi scenari climatici, hanno dimostrato che molte specie potrebbero risultare gravemente minacciate e più della metà delle specie studiate potrebbero essere vulnerabili o minacciate entro il 2080. Le specie delle foreste di montagna potrebbero essere intaccate dai cambiamenti climatici (la perdita del 60% delle specie) a causa della limitata tolleranza degli habitat e della flora di montagna. La regione boreale è desti- nata a perdere alcune specie, pur guadagnandone altre per effetto della migrazione.
La regione mediterranea meridionale e gran parte della Pannonia saranno soggette alla perdita di un numero di specie maggiore rispetto a quello delle specie in arrivo.
Entrambe le regioni saranno caratterizzate da estati calde e secche e saranno invase da specie più tolleranti a condizioni climatiche più calde e siccitose. Gli impatti mag- giori si attendono nella fascia di transizione tra la regione mediterranea e le regioni Euro-siberiane. Per quanto riguarda le piantagioni forestali, la vulnerabilità delle piante aumenterà qualora esse siano realizzate al di fuori del loro range naturale (R ay
et al., 2002; f ernando e C ortIna , 2004).
La tundra e la taiga chiusa dovrebbero espandersi verso Nord su suoli nudi o
su aree occupate dalla tundra aperta, ammesso che ci sia disponibilità sufficiente di
umidità per sostenere la crescita delle piante nella allungata stagione di crescita (K ljuev , 2001; S hIyatov et al., 2005; P rIce and S cott 2006; K ellomaKI et al., 2008). Alcuni studi ritengono che la superficie forestale si contrarrà a sud dell’emi- sfero boreale (m etzger et al., 2004). Le foreste native di conifere dell’Europa occi- dentale e centrale potranno essere sostituite da boschi di latifoglie (m aracchI et al., 2005; K oca et al., 2006). La distribuzione di specie latifofoglie archetipali dell’Euro- pa, come la farnia (Quercus robur) e la rovere (Quercus petraea), sarà toccata solo marginalmente dai cambiamenti climatici (C huIne et al., 2005). Viceversa, la distri- buzione di altre specie, come il pino silvestre (Pinus sylvestris), l’abete rosso (Picea abies) e molte altre specie delle regioni temperata e boreale saranno significativamen- te influenzate dai cambiamenti climatici. La distribuzione di queste specie dovrebbe sostanzialmente contrarsi con il cambiamento climatico e migrare verso il polo. Esi- ste poi una terza categoria di specie la cui distribuzione sarà molto influenzata dai cambiamenti climatici: le specie autoctone mediterranee e temperate di conifere, come il larice europeo (Larix decidua), l’abete bianco (Abies alba), il pino nero (Pinus nigra) e il pino marittimo (Pinus pinaster). Queste specie potrebbero scomparire dalla maggior parte delle aree dove sono attualmente distribuite. In Europa, per alcune specie quali pino nero e pino marittimo si potrebbero creare nuovi areali di colonizzazione, anche scollegati da quelli attuali.
La biosfera terrestre è un fattore chiave della chimica dell’atmosfera e del clima. Le foreste, in relazione alla loro estensione, possono giungere a influenzare il clima d’una regione geografica. In più, tra il clima e le foreste e i cambiamenti clima- tici si possono originare complessi meccanismi biogeochimici che si rafforzano auto- nomamente, dando origine alle cosiddette retro-azioni o feedback (B ala et al., 2007;
B etts , 2007; B onan , 2008; E usKIrchen et al., 2010).
3In alcuni casi tali feedback possono amplificare l’effetto (feedback positivo), come nel caso dell’aumento delle emissioni di metano e altri gas-serra derivanti dal disgelo – a sua volta causato dal riscaldamento globale – delle torbiere permanentemente gelate della regione boreale, o delle emissioni di gas-serra da parte delle foreste tropicali a seguito di prolungati e intensi periodi di siccità (P hIllIPs et al., 2009; P hIllIPs et al., 2010). Secondo A rneth et al. (2010) i forzanti radiativi derivanti dai feedback tra la biosfera terrestre e l’atmosfera potranno toccare da 0,9 a 1,5 Watt m
−2K
−1prima della fine del secolo in corso, riducendo o annullando l’effetto raffreddante legato alla fertilizzazione car- bonica dei biota terrestri.
Nella foresta boreale, i flussi di CO
2dal suolo verso l’atmosfera dovrebbero aumentare con l’aumento della temperatura e della concentrazione della CO
2atmo- sferica (N IInIsto et al., 2004), anche se alcuni autori sono in disaccordo (F ang e m oncrIeff , 2001; Å gren e B osatta , 2002; H yvönen et al., 2005). Un’altra conse- guenza dei cambiamenti climatici sarebbe una diversa allocazione del C al fogliame (m agnanI et al., 2004; L aPenIs et al., 2005; T ognettI e m archettI , 2006). In gran
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Un tipico esempio di feedback è rappresentato dalla variazione dell’albedo, il fenomeno che
conduce alla riflessione della radiazione solare diretta a causa, per esempio, della massa glaciale. Un
aumento della massa glaciale amplifica il raffreddamento, il fenomeno inverso amplifica il riscaldamento.
parte dell’Europa l’efficienza d’uso dell’acqua da parte delle piante forestali potreb- be aumentare a causa dell’effetto fertilizzante conseguente l’accresciuta concentra- zione di CO
2atmosferica. In alcune aree, tuttavia, aumentando la superficie fogliare e la relativa evapotraspirazione degli ecosistemi forestali, si potrebbe verificare un aumento del flusso di vapor acqueo. B roadmeadoW et al. (2005) ritengono che dob- biamo attenderci impatti negativi della siccità sulle foreste decidue. Lo stress idrico nella regione mediterranea potrà essere parzialmente compensata da un aumento dell’efficienza d’uso dell’acqua (m agnanI et al., 2007), dalla crescente concentrazio- ne di CO
2atmosferica (W IttIg et al., 2005) e da un aumento dell’indice di area fogliare (K ull et al., 2005).
La deposizione azotata e le mutate condizioni climatiche potrebbero esaltare il potenziale invasivo di alcune specie esotiche e creare circostanze più favorevoli per alcune specie rispetto ad altre, determinando nel complesso una profonda alterazio- ne delle interazioni all’interno delle comunità vegetali e portando a nuove forme di dominanza e di funzionamento degli ecosistemi (T huIller et al., 2007). I disturbi abiotici per le foreste potrebbero in generale aumentare, anche se gli impatti saranno diversi da regione a regione e in relazione ai diversi sistemi di gestione forestale (K ellomäKI e L eInonen , 2007). Secondo diversi studi (B arthod , 2003; N Ilsson et al., 2004; S chumacher e B ugmann , 2006) non si prevedono aumenti sensibili dei danni da vento sugli ecosistemi forestali. L’aumento della temperatura potrebbe impedire alle piante di completare la loro richiesta di freddo, ridurre il processo d’indurimento al freddo (cold-hardiness), aumentare la perdita degli aghi e diminuire la fruttificazione. I danni da freddo saranno minori nella stagione invernale, mentre saranno invariati quelli da gelate primaverili e più severi quelli da gelate autunnali, proprio a causa del ritardo dell’hardening.
Temperature crescenti e precipitazioni ridotte, combinate all’abbandono delle aree rurali e della gestione forestale, potrebbero avere l’effetto di aumentare la fre- quenza e la severità degli incendi nella regione mediterranea (P ausas e a bdel
m alaK , 2004; m oreno , 2005; P ereIra , 2005; S chröter et al., 2005; m orIondo et al., 2006). La migrazione della vegetazione indotta dal cambiamento climatico, asso- ciata alla variazione delle caratteristiche del combustibile, come ad esempio la domi- nanza dello strato arbustivo su quello arboreo (m ouIllot et al., 2002; L Indner et al., 2007), possono accrescere la diffusione del fuoco. Viceversa S chröter et al.
(2005) ritengono che la fertilizzazione carbonica potrebbe diminuire i rischi d’incen- dio, poiché l’aumento dell’efficienza di uso dell’acqua da parte della vegetazione porterebbe a una diminuzione della richiesta di acqua e una maggiore disponibilità di umidità nella lettiera e nel suolo.
5. c onclusIonI
Le regole che consentono l’inclusione delle attività LULUCF nelle strategie di
lotta ai cambiamenti climatici presentano indubbiamente dei limiti, tra cui una com-
plessità eccessiva e un costo elevato del monitoraggio e del reporting delle emissioni
e degli assorbimenti di gas-serra e il paradosso di non contemplare le attività che evi- tano la deforestazione nei Paesi in via di sviluppo, la principale fonte di emissioni LULUCF (S chlamadInger et al., 2007; J acKson et al., 2008). I negoziati in corso in ambito UNFCCC per un accordo post-2012 forniscono un’importante occasione per ridefinire e allagare la lista delle attività LULUCF eleggibili. La Conferenza delle Parti UNFCCC svoltasi a Durban a fine 2011 ha adottato un documento di decisio- ne (Decision -/CmP.7, http://unfccc.int/files/meetings/durban_nov_2011/deci- sions/application/pdf/awgkp_lulucf.pdf) riguardo alle modalità di contabilizzazione dei bilanci legati alla gestione forestale, la trasparenza e l’affidabilità del monitorag- gio, del reporting e della verifica degli inventari LULUCF, l’inclusione dei bilanci di gas-serra nei prodotti legnosi e delle emissioni legate ai disturbi naturali di force majeure. È in discussione anche la possibilità di includere nuove attività LULUCF, come per esempio quelle sulle zone umide. L’UNFCCC sta anche tentando di esten- dere il CDm ad altre attività LULUCF, quali quelle che intendono ridurre le emis- sioni da deforestazione e degradazione forestale (REDD). Le opportunità per attuare le politiche REDD includono la semplificazione delle procedure; la certezza di avere per il futuro impegni internazionali di riduzione dei gas-serra; la riduzione dei costi di transazione; l’affidabilità tra i potenziali acquirenti, gli investitori e i partecipanti al progetto; la definizione di regole di partecipazione agli utili per le comunità indi- gene o i proprietari forestali locali; il monitoraggio e la verifica dei crediti; e la tutela della biodiversità.
Sembra quindi che la comunità globale voglia procedere da un approccio limi- tato del primo periodo d’impegno del Protocollo di Kyoto al cosiddetto full carbon accounting, ossia verso l’inclusione delle emissioni e degli assorbimenti di tutti i pool di carbonio, di tutte le aree gestite, senza interruzione temporale. La scelta di proce- dere verso il full carbon accounting, pur logico per il rispetto dell’integrità dell’atmo- sfera, proprio per via degli elementi distintivi del settore LULUCF rispetto alle poli- tiche di mitigazione (la saturazione, la non-permanenza e il grado di controllo da parte dell’uomo), contiene il rischio di condizionare la capacità dei Paesi di rispon- dere agli impegni di riduzione dei gas-serra, in quanto le attività territoriali potreb- bero diventare una fonte netta di carbonio verso l’atmosfera piuttosto che di carbon sink. Questo rischio è reso ancora più evidente dalle indicazioni della ricerca (alcune delle quali riportate anche nei paragrafi precedenti) secondo cui la biosfera potrebbe diventare un carbon source nei prossimi 50-100 anni, qualora venga preso in conside- razione l’effetto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi terrestri (C ox et al., 2000;
F ung et al., 2005). In altri termini, più caldo diventa il pianeta, maggiori sono le pro- babilità che i pool di C (i suoli, la biomassa viva e quella morta) diventino instabili ed emettano grandi quantità di CO
2e altri gas-serra.
Finora, però, le politiche europee non hanno incentivato adeguatamente il set-
tore forestale a svolgere un ruolo più incisivo nella lotta ai gas serra e non hanno colto
l’opportunità di valorizzare il potenziale di compensazione del carbonio da parte delle
foreste. Al momento, quando siamo prossimi alla fine del primo periodo d’impegno
del Protocollo di Kyoto, manca la creazione d’un quadro istituzionale in grado di
riconoscere ai proprietari e ai gestori forestali italiani un premio economico per il
ruolo di assorbimento dei gas-serra legato alle attività forestali. Infatti, i crediti LULUCF compaiono nei conti nazionali di gas serra e servono ad aiutare gli Stati membri (Italia inclusa) a rispettare gli impegni di abbattimento dei gas serra a livello nazionale, senza alcun riconoscimento – in forma diretta o generalizzata – ai proprie- tari e ai gestori forestali.
Inoltre, l’UE non ha mostrato una politica coerente per quanto riguarda l’uso dei sink forestali. Ciò è dimostrato anche dalle scelte divergenti fatte dagli Stati membri rispetto all’elezione della gestione forestale secondo l’art.3.4 del Protocollo di Kyoto. Tali incongruenze possono anche essere correlate con interessi divergenti tra le diverse direzioni UE (in particolare quelli per l’agricoltura e per l’ambiente), nonché tra i rispettivi ministeri a livello nazionale. Inoltre, mentre permane la deci- sione dell’UE di escludere i crediti di carbonio LULUCF nell’ETS, il commercio dei crediti LULUCF sul mercato ufficiale delle emissioni non sarà fattibile nel prossimo futuro. Il mercato volontario del carbonio può offrire una possibilità per la commer- cializzazione del servizio di sequestro di carbonio da parte delle aziende forestali.
Tuttavia, a causa dei bassi prezzi unitari del carbonio, questa possibilità può essere considerata come un’opportunità di reddito aggiuntivo piuttosto che un incentivo a privilegiare la funzione di sequestro del carbonio come prodotto principale. Due problemi restano da risolvere: i costi di transazione elevati associati alla verifica di monitoraggio, certificazione e commercializzazione delle quote di carbonio e la man- canza di trasparenza del mercato in termini di qualità e affidabilità dei certificati di carbonio volontari, che alla fine potrebbe fiaccare la fiducia dei partecipanti al mer- cato in questo tipo di prodotto (C Iccarese et al., 2011).
Nondimeno, è necessario che il settore forestale sia attivamente informato e consideri con attenzione le opportunità e gli effetti associati con le politiche di lotta ai cambiamenti climatici, tenendo presente che il carbon sink è solo uno dei servizi eco- sistemici offerti dalle foreste, che si aggiunge a quelli di produzione di legna da opera e da ardere, di prodotti non legnosi e di una serie numerosa di servizi ecosistemici.
Oltre alla mitigazione, l’UNFCCC contempla anche l’adattamento
4tra gli interventi di lotta ai cambiamenti climatici, i quali faranno sentire i loro effetti, anche se le emissioni nette globali di gas-serra dovessero stabilizzarsi o contrarsi entro la metà del secolo in corso. Rispetto alle azioni di adattamento il settore forestale è inte- ressato per due aspetti:
-– il contributo che gli interventi forestali possono dare alle comunità per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici;
-– gli interventi necessari per ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici sul settore.
Riguardo al primo aspetto, le foreste e la selvicoltura possono ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici fornendo protezione alle colture e agli animali, riducendo i fenomeni erosivi e gli effetti degli eventi climatici estremi come alluvioni e tempeste, migliorando le caratteristiche fisiche e chimiche dell’acqua, concorrendo alla costru-
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