– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments 67 (6): 459-472, 2012 © 2012 Accademia Italiana di Scienze Forestali doi: 10.4129/ifm.2012.6.02
GIANPIERO ANDREATTA (*)
INTERVENTI GESTIONALI ALL’INTERNO DELLA RISERVA NATURALE
“PINETA DI RAVENNA”: UN ESEMPIO DI SELVICOLTURA SISTEMICA
(*) Dottore Forestale; Primo Dirigente del Corpo Forestale dello Stato – Comandante Provinciale di Ravenna. Dal 2006 al 2008 Capo dell’Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Punta Marina Terme – Ravenna; [email protected]
1. IntroduzIone
La selvicoltura, considerata come disciplina che si occupa della gestione dei popolamenti forestali, è andata incontro, nel corso della sua storia, ad una sostanziale evoluzione che ha ri- guardato sia gli aspetti teorici di principio sia gli aspetti pratici della applicazione in bosco delle tecniche di intervento.
Dapprima si era affermata e consolidata la selvicoltura “produttiva” (o finanziaria) e, suc- cessivamente, la selvicoltura “naturalistica” (o selvicoltura su basi naturalistiche) sembrava rappresentare la tappa finale ed ottimale per la gestione delle formazioni boscate: all’attualità, le sempre più approfondite conoscenze nel set- tore dell’ecologia forestale e delle dinamiche degli ecosistemi, nonché la più attenta consi- derazione dell’importanza e della potenziale fragilità dei soprassuoli forestali hanno portato ad un ulteriore sviluppo nelle modalità di ap- proccio alle tecniche gestionali dei medesimi.
La selvicoltura “sistemica” considera il bosco non più come “oggetto” bensì come “soggetto”
della gestione; è il popolamento forestale, in- fatti, con le sue particolari esigenze e peculiari prerogative di sistema biologico complesso che viene messo al centro delle attività gestio- nali e non più, come in passato, le esigenze e le funzioni attribuite al medesimo dall’uomo (CIanCIo, 1994a; 1994b; 1996; 1997; 1999;
2000; 2002; 2003; 2005; 2006; 2009a; 2009b;
CIanCIo e noCentInI, 1996a; 1996b; 1996c;
CIanCIo et al., 1997; noCentInI, 2009). La selvicoltura sistemica si pone il fine di soddi- sfare in via prioritaria le specifiche necessità del bosco: questo attraverso un suo possibile mi- glioramento ecologico ottenuto sanando even- tuali fattori di disturbo e/o degrado ed inoltre, nella gestione del soprassuolo, assecondando le particolari necessità ecologiche ne garantisce crescita, sviluppo e perpetuazione. Le tecniche selvicolturali, sia nella loro pianificazione che realizzazione pratica, considerano il popola-
Il lavoro analizza molteplici interventi selvicolturali eseguiti all’interno di un popolamento forestale nell’ottica dell’applicazione dei principi della selvicoltura sistemica. Pone inoltre a confronto quali sarebbero state le modalità di impostazione e di realizzazione di interventi gestionali nel medesimo soprassuolo nel caso si fossero seguiti i principi sia della selvicoltura produttiva sia della selvicoltura naturalistica.
Parole chiave: selvicoltura sistemica; applicazione pratica.
Key words: systemic silviculture; practical application.
Citazione - andreatta G., 2012 – Interventi gestionali all’interno della Riserva Naturale “Pineta di Ravenna”: un esempio di selvicoltura sistemica. L’Italia Forestale e Montana, 67 (6): 459-472. http://
dx.doi.org/10.4129/ifm.2012.6.02
mento forestale quale sistema biologico com- plesso e secondo questa impostazione i beni ed i servizi fruibili dalla collettività divengono la conseguenza – e non il fine – dell’attuazione degli interventi gestionali.
In considerazione del fatto che i principi enunciati dalla selvicoltura sistemica si pon- gono in maniera decisamente innovativa ri- spetto al passato, osservazioni critiche vengono mosse sia alle fondamenta teoriche della me- desima (anfodIllo, 2009; PaCI, 2009) sia al fatto che i criteri gestionali trovino la loro vali- dazione esclusivamente negli enunciati teorici e che nella pratica siano poco rappresentate sia le proposte che gli esempi di applicazione in bosco.
Scopo del presente lavoro è quello di volersi porre come contributo alla tematica di discus- sione sopra esposta, proponendosi come espe- rienza di applicazione pratica della selvicoltura sistemica ed intendendo così arricchire la ca- sistica delle già numerose realtà di attuazione della medesima di cui il Piano di Gestione Naturalistica della Riserva Naturale Bioge- netica di Vallombrosa rappresenta l’esempio maggiormente conosciuto (CIanCIo 2009c).
A tal proposito vengono illustrati gli interventi gestionali eseguiti nella seconda metà del de- cennio scorso all’interno della Riserva Natu- rale Statale “Pineta di Ravenna”, impostati ed attuati sulla base dei principi della selvicoltura sistemica; si è inoltre ritenuto utile proporre un sintetico confronto su quali sarebbero state sia la diversa impostazione sia la differente realiz- zazione delle scelte gestionali nell’ottica della selvicoltura produttiva e della selvicoltura na- turalistica.
2. la rIserva naturale “PInetadI ravenna” 2.1. Cenni storici
La pineta demaniale di Ravenna è costituita da una fascia boscata della superficie comples- siva di circa 750 ettari che si estende per buona parte del litorale ravennate con una lunghezza prossima ai 30 chilometri; tale fascia è di mode- sta larghezza, variando infatti la sua profondità tra un minimo di 100 metri ad un massimo di
6-700 metri. L’origine della formazione boscata può considerarsi relativamente recente: il primo nucleo risale infatti all’anno 1882, quando fu- rono rimboschiti 37 ettari dei 117 circa dive- nuti demanio forestale dello Stato. È però nei primi anni del ‘900 – in applicazione della legge 411/1905 nota come legge “Rava” dal nome del senatore ravennate che ne fu promotore – che iniziò l’intensa opera di rimboschimento dei terreni dunosi relitti marini la quale andò a fis- sare le dune in prossimità del litorale e le pale- odune nelle posizioni più interne. Tale opera è proseguita – anche in conseguenza degli effetti della seconda guerra mondiale – sino agli anni
’50 e ’60 del secolo scorso. Nelle operazioni di messa a dimora furono impiegate piantine a radice nuda di pino marittimo (Pinus pinaster Aiton) nelle aree più prossime all’arenile, im- piantate spesso a ciuffi di 3-4 individui in con- siderazione delle difficili condizioni stazionali;
nelle zone più interne venne utilizzato il pino domestico (Pinus pinea L.) piantato singolar- mente in buche a radice nuda o in fitocella. Nel corso degli anni si sono poi insediate dapprima spontaneamente in maniera sporadica ed in seguito anche ad opera dell’uomo, le latifoglie tipiche della zona. La pineta ha avuto la sua fase di massima espansione nel 1937, quando raggiunse una superficie di 1.300 ettari circa ed una continuità lungo quasi tutto il litorale (sandrI, 1956; MAF-ASFD, 1959). Seguirono, in modo particolare a partire dal secondo do- poguerra, ripetuti momenti di decremento di superficie dell’area boscata: quello maggior- mente significativo iniziò a partire dagli anni
’60 quando, per dare impulso alle attività tu- ristico-ricreative sul litorale ravennate, svariate superfici vennero cedute o date in permuta, così da ridurre considerevolmente la superficie della pineta. Il passaggio alle regioni di gran parte del demanio forestale dello Stato, avve- nuto in applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977, non comportò significative variazioni. In conseguenza dell’e- spansione industriale e dei fenomeni di urba- nizzazione, nella società degli anni ’70 si erano andate sempre più accrescendo le esigenze di tutela e salvaguardia dell’ambiente: per garan- tire dette finalità ed attribuire un riconosci-
mento ufficiale alle funzioni ad esse collegate, con Decreto Ministeriale 13 luglio 1977 venne istituita la Riserva Naturale “Pineta di Ravenna”
che attualmente continua ad essere gestita dal Corpo Forestale dello Stato attraverso l’Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Punta Marina Terme, Ravenna; nell’ottica di tutela delle aree protette, vennero prescritte delle precise limita- zioni per quanto riguarda l’accesso e la raccolta dei prodotti del sottobosco.
Il complesso boscato risulta essere suddiviso in sette sezioni denominate rispettivamente, procedendo da Nord verso Sud, “Casalbor- setti” (140 ettari circa), “Staggioni” (207 ettari circa), “Piomboni” (148 ettari circa), “Ra- spona” (40 ettari circa), “Ramazzotti” (118 ettari circa), “Savio” (66 ettari circa) e “Ta- gliata”, in comune di Cervia (RA) e Cesenatico (FC), (30 ettari circa). Ognuna delle suddette sezioni, limitrofe tra loro ma non direttamente confinanti per soluzioni di continuità costituite da centri abitati, corsi d’acqua, porti, ha vissuto differenti vicende storiche e gestionali le quali hanno portato nel corso degli anni ad una no- tevole variabilità nella composizione specifica, nella struttura sia orizzontale sia verticale, nella presenza o meno del sottobosco: ciò ha fatto sì che, pur ricompresi nella denominazione di Riserva Naturale “Pineta di Ravenna”, siano presenti popolamenti forestali assai diversi tra loro. Si può affermare che le sezioni Casalbor- setti, Staggioni e Piomboni sono quelle che presentano un maggior grado di evoluzione, composizione specifica mista con significativa presenza di latifoglie (ad eccezione delle zone più prossime alla battigia dove si mantiene la presenza del pino marittimo pressoché in purezza), buona consistenza del sottobosco;
la sezione Raspona, molto prossima al centro abitato di Punta Marina Terme, evidenzia una presenza pressoché uniforme di pino marit- timo allo stato adulto con presenza assai ridotta del sottobosco ad eccezione del rovo; nelle se- zioni Ramazzotti e Savio sono presenti giovani fustaie pressoché pure di pino marittimo con presenza di fitto sottobosco diversificato a li- vello specifico; la sezione Tagliata è costituita da una fascia di pineta pura di pino domestico a densità colma (in alcuni tratti addirittura ec-
cessiva) con assenza totale di sottobosco, per- tanto a basso livello di naturalità e fortemente antropizzata in conseguenza dell’ubicazione tra gli stabilimenti balneari e l’abitato di Pina- rella di Cervia.
Le motivazioni di questo diverso grado di sviluppo raggiunto sono da attribuire a più fat- tori: prioritariamente alle condizioni ecologiche che hanno innescato i fenomeni di evoluzione del soprassuolo e che sono spesso legate a si- tuazioni microstazionali (come ad esempio la differenza di quota del suolo) ed a seguire alla tipologia degli interventi selvicolturali eseguiti, condizionati spesso dalle criticità legate alla stabilità meccanica del soprassuolo, ai danni arrecati al popolamento forestale dalle avver- sità meteoriche (nevicate, gelate, vento, siccità, incendi) ed alla pressione antropica esercitata differentemente nei riguardi non solo delle sin- gole sezioni ma assai spesso su porzioni diverse all’interno delle medesime.
All’attualità, seppur con diversi gradi di svi- luppo, la pineta demaniale si presenta nel suo complesso come un popolamento forestale in fase di transizione (ad eccezione della sezione Tagliata), insediato su terreni sabbiosi di scarsa evoluzione (sandrI, 1956), in gran parte costi- tuito da pino marittimo in purezza e con la pre- senza del pino domestico e delle latifoglie che si sono nel tempo affermate, ovvero farnia (Quer- cus pedunculata Ehrh.), leccio (Quercus ilex L.), pioppo bianco (Populus alba L.), frassino os- sifillo (Fraxinus oxyphylla Bieb.) (andreatta, 2003; 2008).
Sotto l’aspetto ecologico-vegetazionale, l’a- rea è da inquadrarsi nella zona fitoclimatica del Lauretum, sottozona fredda, tipo con siccità estiva del Pavari.
Vanno segnalate due particolari difficoltà stazionali – che in epoca passata hanno forte- mente condizionato l’esecuzione di interventi selvicolturali ed anche fatto dubitare sulla pos- sibilità di sopravvivenza nel lungo periodo della pineta medesima – ovvero la subsidenza e l’ero- sione del litorale con conseguente ingressione del cuneo salino (naCCarato, 1971; BeloGI
e BuCCerI, 2000): tali criticità hanno in alcuni casi comportato delle situazioni sfavorevoli per il normale sviluppo dell’ecosistema forestale.
2.2. Evoluzione delle funzioni del popolamento forestale
L’origine relativamente recente della pineta demaniale del litorale ravennate consente di poter effettuare un excursus storico dettagliato sulla evoluzione che nei diversi momenti hanno rivestito le funzioni attribuite al suddetto po- polamento forestale e di analizzare le modifi- cazioni intervenute sia sul territorio che nella società così da focalizzare l’obiettivo sui riflessi che le medesime hanno comportato sul ruolo della formazione boscata.
Dagli scritti e dalle relazioni presentate in Parlamento dal senatore ravennate Luigi Rava (promotore della legge 16 luglio 1905, n. 411 con la quale venne dichiarata l’inalienabilità dei relitti marini in provincia di Ravenna e la loro destinazione al rimboschimento) emerge chiaramente come le finalità che ispirarono la legge furono sostanzialmente di carattere economico-sociale. La funzione principale (e pressoché unica) riconosciuta alla formazione forestale che si andava impiantando era quella di “fissare” le dune per proteggere – nelle aree bonificate retrostanti – le colture agricole dai venti salmastri di origine marina.
Gli obiettivi che erano stati prefissati a partire dal 1905 vennero ben presto raggiunti tanto che già all’inizio degli anni ’30 si poteva affermare che la pineta demaniale era andata a “costituire una bellezza naturale di grandissimo pregio […]
fonte di salute e prosperità per il retroterra ra- vennate. [...] difendendo il retroterra della bassa pianura ravennate dai danni dei venti salati, e ga- rantendo per tale fatto lo sviluppo normale delle colture, [la pineta] costituisce un grande vantag- gio economico-sociale” (BenInI, 1931).
Con il passare del tempo e con l’affermarsi del soprassuolo adulto nelle zone rimboschite, alle iniziali funzioni di protezione esercitate dalla pineta a favore dei terreni retrostanti, si andò affiancando anche la funzione produt- tiva; il primo piano di assestamento (valido per il decennio 1950-1959) prevedeva infatti di attribuire notevole importanza alla produ- zione di pinoli, attività che nel corso degli anni – unitamente agli interventi di rimboschimento – sarebbe andata a costituire fonte di lavoro per un elevato numero di maestranze locali. Detta
produzione subì però un progressivo calo a partire dall’inizio degli anni ’60; infatti furono la galaverna e le gelate dell’inverno 1962/63 a determinare un’elevata moria di piante di pino domestico così da far entrare in crisi la produ- zione (JedlowskI, 1964).
La funzione produttiva venne sempre più messa in disparte anche in seguito all’affermarsi delle nuove esigenze della società, nate proprio negli anni ’60 del secolo scorso e fortemente legate allo sviluppo industriale di quegli anni.
La crescente industrializzazione dell’area ra- vennate e l’aumento del turismo di massa le- gato alle zone marine, fecero sì che alla pineta venissero attribuite funzioni prevalentemente igienico-sanitarie e turistico-ricreative con la cessazione pressoché totale di quelle produttive (naCCarato, 1971).
Nel secondo piano di assestamento della pi- neta (valido per il decennio 1970-1979) vennero prese in considerazione le esigenze – e le colle- gate funzioni – di conservazione naturalistica tanto che venne evidenziata la necessità di pro- cedere anche alla modifica dei trattamenti sel- vicolturali proposti. Da un’impostazione basata sulla massimizzazione della produzione (nelle pinete di pino marittimo e domestico taglio a raso con rinnovazione artificiale posticipata) si intendeva passare a criteri di gestione maggior- mente legati a indirizzi conservazionistici.
All’attualità, la pineta demaniale del litorale ravennate costituisce un ambiente di notevole importanza per molte specie sia vegetali che animali, essendo la medesima formata da un popolamento forestale che si sta evolvendo verso strutture più prossime alla naturalità e con un elevato indice di biodiversità (andre-
atta, 2003; 2008).
3. InterventIGestIonalIInaPPlICazIone
dellaselvIColturasIstemICa
Nel corso dei decenni, all’interno delle se- zioni della Pineta di Ravenna si sono succedute varie esecuzioni di interventi selvicolturali: nei primi anni questi sono stati legati alle attività di rimboschimento con finalità prettamente protettive e successivamente mirati ad assecon-
dare ed ottimizzare la funzione produttiva del soprassuolo derivante dalla raccolta dei pinoli.
Con l’istituzione della Riserva Naturale, nell’ot- tica di una accentuata gestione naturalistica, gli interventi selvicolturali si sono ridotti anche in conseguenza del manifestarsi in molteplici con- testi di criticità nella stabilità meccanica del po- polamento forestale in seguito agli effetti della subsidenza, dell’erosione costiera e dell’ingres- sione del cuneo salino.
Nella seconda metà del decennio scorso, anche per una rinnovata attenzione agli aspetti gestionali conseguente a studi condotti con finanziamenti legati a fondi europei (Progetti Life Natura), si è valutato di introdurre – con lo scopo di procedere ad un costante monito- raggio delle conseguenze delle attività selvicol- turali sul popolamento forestale – metodologie di intervento nella gestione del soprassuolo ispirate alla selvicoltura sistemica.
Come accennato nelle premesse, sulla base della conoscenza delle vicende storiche, il popolamento forestale è stato considerato, in qualità di sistema biologico complesso, quale
“soggetto” destinatario degli interventi gestio- nali. Il Selvicoltore si è posto “al servizio del bosco” per migliorare le condizioni ambientali – delle componenti sia vegetale sia animale – e per garantire uno sviluppo futuro in sintonia con le linee evolutive del popolamento mede- simo ed in equilibrio con le condizioni stazio- nali, attuando gli interventi selvicolturali nella ricerca di quel non sempre facile connubio tra scienza e arte che caratterizza la selvicoltura (dI
BerenGer, 1865).
Questi sono stati i principi ispiratori calati all’interno della realtà forestale caratterizzata – va evidenziato – da un certo grado di variabilità:
pur trattandosi infatti di complesso boscato che ha avuto comune origine ed iniziale sviluppo, assai differenti sono le condizioni all’interno delle diverse sezioni con, molto spesso, diver- sità evidenti all’interno delle sezioni medesime.
Nello specifico, il Selvicoltore si è posto nell’ottica di conoscere – attraverso l’analisi dello stato di evoluzione del soprassuolo, del grado di naturalità raggiunto, di eventuali fat- tori di criticità presenti – le necessità e le esi- genze ecologiche del popolamento forestale
per intervenire sulle medesime al fine di asse- condare il processo evolutivo del bosco inteso quale sistema biologico complesso.
Nel dettaglio, gli interventi eseguiti sono i seguenti:
- Sfolli
Gli interventi di rimboschimento di superfici libere da copertura arborea sono cessati ora- mai da anni, come accennato in precedenza.
All’interno della pineta sono però presenti ugualmente nuclei di rinnovazione naturale di pino marittimo su aree di pineta percorse da incendi di significativa estensione: per l’esattezza circa 6 ettari conseguenti ad un incendio sviluppatosi nel 1999 nella sezione Savio e circa 1,5 ettari nella sezione Ramaz- zotti per l’incendio sviluppatosi nell’anno 2000. L’anno successivo al passaggio del fuoco venne eseguito un intervento di rim- boschimento, ben presto soppiantato da una fitta rinnovazione naturale di pino marittimo favorita dalla disseminazione delle piante adulte risparmiate dal fuoco rimaste pre- senti nelle vicinanze e che si é affermata con notevole vigoria. Il Selvicoltore, di fronte a questa realtà, verificata l’età della giovane pi- neta, la densità (variabile, a seconda dell’af- fermazione della rinnovazione e dell’altezza raggiunta, da (3)-5-7-(9) individui per metro quadro a diverse decine – 20-30-(40) – sulla medesima superficie) ed il fatto che in pas- sato non siano stati eseguiti interventi selvi- colturali, ha valutato che l’esigenza del po- polamento forestale – al fine di favorire lo sviluppo ecosistemico del medesimo – fosse quella di una maggiore stabilità biologica e meccanica e di conseguenza ha ritenuto ne- cessaria l’effettuazione di un intervento di sfollo.
L’intervento è stato eseguito con attrezzi ma- nuali, selezionando e favorendo gli individui maggiormente vigorosi e di migliore porta- mento; la densità è stata lasciata leggermente superiore a quanto previsto dalla norma, prevedendo una presenza di 1 esemplare di pino per metro quadro se l’altezza raggiunta era superiore al metro e 1,5-2 esemplari per metro quadro nel caso di altezza inferiore, in quanto nella zona si sono verificati in pas-
sato attacchi di ruggine curvatrice dei getti di pino [Melampsora pinitorqua (Braun) Rostr.]
e riscontrata di recente la presenza del cimi- cione americano delle conifere (Leptoglossus occidentalis heidemann). Il materiale di ri- sulta non è stato asportato per non impove- rire il già poco sviluppato suolo sabbioso; è stato trinciato sul posto per diminuire il ri- schio incendi e per favorire nel contempo i processi di decomposizione.
- Diradamenti
Come già accennato in precedenza, all’in- terno del popolamento forestale sono pre- senti differenti realtà conseguenti alle con- dizioni microstazionali ed alle modalità ed alle tempistiche degli interventi selvicolturali eseguiti in epoca passata: gli ultimi rimbo- schimenti in ordine di tempo con l’impiego del pino marittimo sono quelli realizzati – nei decenni tra 1950 e 1970 – nella sezione Piomboni e successivamente nelle sezioni Raspona, Ramazzotti e Savio. Considerata la presenza delle condizioni di maggior criticità nelle sezioni Piomboni e Raspona, il Selvi- coltore ha ravvisato che la necessità primaria per la giovane fustaia coetanea di pino ma- rittimo fosse quella di poter disporre di un più adeguato spazio aereo per le chiome e di una maggior disponibilità delle risorse edafi- che. Al fine di assecondare questa esigenza, necessaria per il bosco, sono stati eseguiti interventi di diradamento selettivo secondo la definizione di Schaedelin (1934) perfezio- nata successivamente da Leibundgut (1984) (PIussI, 1985; 1995): in considerazione della peculiarità delle condizioni stazionali, si è ri- tenuto utile intervenire anche sul piano do- minato (situazione di norma non prevista nei diradamenti selettivi) per eliminare le piante che potessero esercitare – in un contesto ca- ratterizzato da assai scarse risorse edafiche ed idriche – concorrenza nei confronti del soprassuolo rimasto dopo l’esecuzione del
“solo” diradamento selettivo. Questo al fine di non attenersi scrupolosamente a modelli e/o schemi prefissati bensì per favorire i pro- cessi di dinamica evolutiva interpretando le necessità del popolamento forestale. Gli in- terventi sono stati eseguiti su una superficie
complessiva di circa 5 ettari ed hanno inte- ressato un soprassuolo di circa 50 anni di età, con una densità iniziale di circa 1.000-1.100 piante per ettaro, un’altezza massima di circa 14,5-15 metri ed una media dei diametri di circa 22 centimetri: con il diradamento è stata asportato circa il 20% del numero degli individui il che ha fatto scendere il nu- mero delle piante presenti a circa 800-850 per ettaro. Appare chiaro come la densità in relazione all’età ed alla struttura del sopras- suolo sia ancora eccessiva, ma si è ritenuto opportuno operare in maniera cauta per poter successivamente osservare la reazione ed il comportamento del popolamento fore- stale ed ottenere indicazioni fondamentali per procedere successivamente ai futuri tagli di diradamento. Il materiale legnoso è stato venduto all’imposto quale legna da ardere (riuscendo a soddisfare solo parzialmente le richieste presentate per l’acquisto da parte di privati cittadini); la ramaglia ed i cimali sono stati trinciati sul posto per diminuire il rischio incendi e per favorire i processi di decomposizione.
- Sottopiantagioni e rinfoltimenti
Il Selvicoltore si è posto ad esaminare la delicata questione delle modalità di rinno- vazione del popolamento forestale: come sopra richiamato, i diversi gradi di evolu- zione raggiunti da differenti porzioni della pineta in conseguenza di più fattori quali vicende storiche (epoca dell’impianto, danni causati dal secondo conflitto bellico mon- diale), modalità di preparazione del terreno (in alcuni contesti “spianato” in altri si è mantenuto l’andamento naturale con i rilievi dei cordoni dunosi), interventi selvicolturali condotti in passato, effetti del cuneo salino e della subsidenza, già evidenziano come il soprassuolo tenda ad evolversi dall’attuale pineta (pura in molti contesti, mista in altri) verso una situazione di maggiore naturalità costituita dal bosco misto e/o dalla lecceta pura. La dinamica evolutiva è favorita, quale fattore principale, dall’andamento del ter- reno: in particolare sui relitti dei cordoni dunosi si va ad insediare la vegetazione più xerofila (la lecceta) mentre nelle zone inter-
dunali più basse si viene a trovare il bosco misto di farnia, pioppo bianco, frassino os- sifillo. Nell’ottica di voler e dover favorire l’ecosistema, dove non sono ancora presenti le condizioni favorevoli alla rinnovazione naturale del bosco misto – dovute essenzial- mente allo scarso o del tutto nullo numero di individui che possono produrre seme – e nell’ottica di favorire l’evoluzione quanto più naturale possibile del popolamento fore- stale, ossia una composizione specifica pura o mista a seconda delle condizioni microsta- zionali sopra evidenziate ed una disetaneità diffusa o una coetaneità per piccoli gruppi, è apparsa soluzione ottimale procedere ad in- terventi di sottopiantagione e rinfoltimenti.
Non si è ritenuta tale tipologia di intervento quale forzatura nei confronti dei parametri che favoriscono la dinamica evolutiva bensì un assecondarne le modalità diminuendo i fattori di criticità (assenza di portaseme) molto evidenti in un giovane soprassuolo di origine artificiale. Sono state interessate dagli interventi in particolar modo le sezioni Ca- salborsetti e Raspona – dove il popolamento forestale è più maturo e la composizione specifica è pressoché in purezza di pino ma- rittimo – per una superficie complessiva di circa 6 ettari. Gli interventi sono stati ese- guiti impiegando in particolar modo nelle piccole radure e dove la copertura si pre- sentava meno densa piantine in fitocella di leccio e farnia (cresciute, da ghiande raccolte in loco, presso il vivaio forestale del Corpo Forestale dello Stato - Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Pieve Santo Stefano - AR) anche in considerazione del fatto che il pioppo bianco ed il frassino meridionale hanno un buon grado di rinnovazione natu- rale quando vi siano le condizioni ideali di suolo e di illuminazione.
- Interventi di potatura
Un significativo intervento che il Selvicol- tore ha ritenuto importante eseguire è stato quello della potatura delle chiome dei pini domestici adulti. Nei decenni passati, in par- ticolar modo nelle fasce ai lati di alcuni viali interni alla pineta, vennero messe a dimora piante di pino domestico che negli anni suc-
cessivi non sono state oggetto di interventi selvicolturali. La potatura delle parti secche della chioma (unita anche all’abbattimento di qualche pianta in soprannumero) ha dato modo al soprassuolo di modificare la strut- tura verticale e la profondità delle chiome.
In questa particolare circostanza il Selvi- coltore si è posto quale finalità ecologica dell’intervento quella di far giungere una quantità maggiore di luce al suolo per favo- rire sia i processi di decomposizione della lettiera che pedogenetici sia i processi di rinnovazione naturale che di diffusione delle specie arbustive. Ulteriore aspetto, di non secondaria importanza, è stato quello di of- frire spazio aereo maggiormente idoneo per il volo dell’avifauna ed anche dei chirotteri tipici degli ambienti forestali. L’intervento, eseguito mediante l’utilizzo di una piatta- forma aerea che ha richiesto particolare perizia e professionalità, ha riguardato es- senzialmente la sezione Piomboni e in parte la sezione Raspona per una lunghezza com- plessiva di circa 5 chilometri lineari andando ad interessare le fasce ai bordi dei viali con una profondità oscillante tra un minimo di pochi metri ed un massimo di 20-25 metri in quanto in alcuni casi i pini sono stati sosti- tuiti da altre essenze arboree ed in quanto la distanza sopra riportata coincide con il limite della messa a dimora di un tempo del pino domestico.
- Contenimento specie alloctone
All’interno del popolamento forestale, in varie sezioni della pineta, il Selvicoltore ha potuto constatare la presenza di essenze arboree parzialmente o del tutto estranee all’ambiente naturale: in particolare la pre- senza di pino silvestre (Pinus sylvestris L.) è stata quella che è stata affrontata per prima.
In particolare nella sezione Ramazzotti – su una superficie di circa 6 ettari – ed in mi- sura minore nella sezione Piomboni su una superficie di circa 3 ettari – al fine di un rie- quilibrio dell’ecosistema, oltre 200 piante di diverso diametro (tra i 15 ed i 30 centimetri) ed altezza (tra gli 8 ed i 15 metri), isolate o a gruppi di due o tre alberi sparsi all’interno del popolamento forestale, sono state abbat-
tute se cresciute in vicinanza di strade fore- stali e/o sentieri pinetali oppure cercinate nel caso fossero ubicate più all’interno nella formazione boscata in modo tale da non rap- presentare, in caso di caduta, pericolo per la pubblica incolumità. La scelta di non abbat- tere gli alberi bensì di procedere alla loro cercinatura è stata valutata positivamente per una duplice valenza, ovvero da un lato non arrecare danni al popolamento circostante (possibili in caso di abbattimento) e dall’al- tro di lasciare legno morto in piedi, aspetto di cui si evidenzierà l’importanza in seguito.
Nel corso di interventi più puntiformi e mirati, all’interno delle sezioni Piomboni e Raspona su superfici di poche centinaia di metri quadri, sempre nell’ottica di favorire le dinamiche evolutive dell’ecosistema, si è proceduto all’abbattimento di alcune decine di piante adulte di robinia (Robinia pseudoa- cacia L.) per eliminare la loro azione di con- correnza nei confronti di essenze tipiche del popolamento forestale in evoluzione, quali pini o specie quercine. Un’ulteriore azione mirata è stata quella di procedere all’abbat- timento di alcuni esemplari di cipresso co- mune (Cupressus sempervirens L.) presenti lungo alcuni dei viali interni alla pineta nella sezione Piomboni.
- Incremento della necromassa legnosa
Un significativo aspetto che è stato valutato dal Selvicoltore, nell’ottica del considerare il popolamento forestale quale sistema biolo- gico complesso, riguarda il ruolo del legno morto: sono molti gli studi che, anche nelle foreste italiane (wolInskI, 2001; noCen-
tInI, 2002; mason, 2002; 2003; la fauCI et al., 2003; taGlIaPIetra, 2003; marChettI
e lomBardI, 2006; BarreCa et al., 2008;
la fauCI e merCurIo, 2008; marzIlIano, 2009), evidenziano l’importanza ecosiste- mica della necromassa legnosa. Al fine di incrementare e favorire questa presenza – anche in considerazione del fatto che es- sendo la formazione boscata di origine re- lativamente recente non risulta esservi una notevole presenza di legno morto, in par- ticolar modo di grosse dimensioni, sia in piedi che a terra – nel corso dell’esecuzione
degli interventi di diradamento, gli alberi di maggior diametro che cadevano al taglio (in numero proporzionale di circa trenta piante ad ettaro) sono stati solamente sramati (la ramaglia è stata successivamente tranciata) ed il tronco intero è stato lasciato sul letto di caduta. Detti interventi è previsto prose- guano anche in futuro per fornire una conti- nuità nella decomposizione del legno morto e per favorire le faune saproxiliche. Inoltre, come già in precedenza accennato, anche nel caso del contenimento delle specie alloctone, sono state lasciate in piedi le piante cercinate di pino silvestre per costituire importanti ha- bitat per tutte le specie vegetali e animali le- gate al legno in decomposizione. Le superfici interessate dall’incremento della necromassa legnosa a terra e/o in piedi sono pertanto le medesime che sono state oggetto degli in- terventi di diradamento e del contenimento delle specie alloctone, per una superficie complessiva di circa 14 ettari nelle sezioni Piomboni, Raspona, Ramazzotti.
- Contenimento del rovo (Rubus ulmifolius Schott)
Nell’esaminare la componente arbustiva del sottobosco, il Selvicoltore ha potuto consta- tare un disequilibrio nell’ecosistema, ovvero come vi fosse in alcune aree della pineta una presenza sproporzionata nella composizione specifica del sottobosco costituito pressoché integralmente dal rovo. La diffusione di detto arbusto è stata agevolata in particolar modo dall’assenza di pascolatori (sia selvatici che domestici) all’interno del popolamento fo- restale, situazione che in molti casi ha favo- rito uno sviluppo eccessivo del rovo che ha occupato ampie superfici a discapito di altre specie arbustive, costituendo un ostacolo alla crescita delle giovani piante arboree in rinno- vazione. In aree delle sezioni Casalborsetti (4 ettari circa), Piomboni (1,5 ettari) e Raspona (2,5 ettari ) si è provveduto, mediante sfalcio con attrezzi manuali, ad eliminare il rovo for- nendo così spazio e luce alle piante arbustive presenti ma in gran parte soffocate e nel con- tempo predisponendo il suolo per gli inter- venti di diffusione di altre specie arbustive e per interventi di sottopiantagione e rinfolti-
mento. Questo intervento, a giudizio del Sel- vicoltore, si è reso necessario per sanare una criticità (assenza di pascolatori che ha deter- minato l’eccessiva e sproporzionata presenza del rovo) la quale ha impedito una normale dinamica di evoluzione della componente arbustiva condizionando conseguentemente anche il piano arboreo e lo stato erbaceo.
- Diffusione specie arbustive
Analizzando le varie componenti dell’ecosi- stema forestale (arborea, arbustiva, erbacea), al Selvicoltore è apparso come vi fosse una particolare differenziazione nella compo- nente arbustiva tra varie aree della pineta: in alcune zone è stata riscontrata una notevole presenza di varie specie di arbusti, in altre una notevole scarsità, in altre ancora la pre- senza del solo rovo di cui si è già trattato in precedenza. Le motivazioni della scarsa pre- senza della componente arbustiva sono le- gate essenzialmente a due fattori di criticità per il soprassuolo che limitano la dinamica evolutiva naturale: l’eccessiva densità della copertura arborea e l’eccessiva presenza del rovo. Al fine di migliorare a livello di ecosi- stema l’importante presenza degli arbusti, il Selvicoltore ha ritenuto necessario eseguire nelle aree a scarsa presenza dei medesimi – anche nelle superfici liberate dal rovo – in- terventi di diffusione mediante la messa a di- mora di piante arbustive presenti in maniera significativa in altre sezioni della pineta. Le aree oggetto degli interventi, per una su- perficie complessiva di circa 10 ettari, sono state individuate all’interno delle sezioni Ca- salborsetti (4,5 ettari), Piomboni (3 ettari) e Raspona (2,5 ettari) e coincidono con quelle dove sono stati eseguiti gli interventi di elimi- nazione del rovo e di diradamento ed inoltre con quelle dove vi era una evidente scar- sità di arbusti, presenti in misura maggiore nelle sezioni Staggioni, Ramazzotti e Savio.
In particolare sono state diffuse la canna di Ravenna [Erianthus ravennae (L.) P. Beauv.]
negli ambienti più xerici del popolamento forestale ed il pungitopo (Ruscus aculeatus L.), nelle zone boscate caratterizzate da una maggiore umidità: le piante utilizzate per incrementare la presenza di arbusti sono
state prelevate all’interno della pineta dove la presenza delle medesime risultava più ab- bondante (canna di Ravenna) oppure prele- vate dalla vicina pineta comunale di San Vi- tale (pungitopo). Sono stati inoltre eseguite piantagioni di giovani esemplari di specie arbustive quali ginepro comune (Juniperus communis L.), fillirea sottile (Phyllirea angu- stifolia L.), ligustro (Ligustrum vulgare L.), rosa canina (Rosa canina L.), prugnolo (Pru- nus spinosa L.), lentaggine (Viburnum tinus L.) i cui semi sono stati raccolti in loco e suc- cessivamente inviati per la germinazione e la successiva crescita presso il vivaio forestale del Corpo Forestale dello Stato – Ufficio Territoriale per la Biodiversità di Pieve Santo Stefano (AR). Le piantine, di due o tre anni, sono state messe a dimora in ordine sparso all’interno della zona boscata dove risultava più scarsa la presenza di arbusti.
4. ConsIderazIonIConClusIve
La selvicoltura sistemica ha portato un so- stanziale ed innovativo contributo riguardo le modalità di impostazione degli interventi gestionali da realizzare all’interno dei popola- menti forestali: non sono più le funzioni attri- buite dal Selvicoltore alle formazioni forestali ad indirizzare l’esecuzione delle attività selvi- colturali bensì è il Selvicoltore che si pone quale interprete delle necessità del bosco considerato quale sistema biologico complesso che diviene così soggetto e non più oggetto della gestione.
I beni ed i servizi sono la conseguenza e non il fine delle attività gestionali: ciò appare come un radicale mutamento di posizione rispetto alle affermazioni del passato.
Nel caso dei molteplici interventi selvicol- turali realizzati all’interno della Riserva Natu- rale “Pineta di Ravenna”, ispirati ed eseguiti secondo i principi della selvicoltura sistemica, i medesimi risultano essere assai differenti ri- spetto alle attività che sarebbero state realizzate nel caso si fossero applicati i principi della sel- vicoltura produttiva oppure della selvicoltura naturalistica.
La selvicoltura produttiva ha rappresentato
il primo momento di una gestione forestale pianificata nel tempo e nello spazio: le finalità ed i principi ispiratori sono quelli di ricavare dai popolamenti forestali la massima quantità di produzione di materiale legnoso (e non) costante nel tempo (si tralascia, per necessa- ria brevità e per evitare omissioni, la citazione degli Autori che hanno apportato in letteratura il Loro contributo). Le tecniche selvicolturali, al fine di perseguire tali obiettivi, assoggettano di norma le formazioni boschive a regole rigide e fortemente schematiche, molto spesso in con- trasto con le tendenze naturali delle formazioni medesime. Nel caso della Riserva Naturale
“Pineta di Ravenna”, le finalità gestionali e le funzioni attribuite alla formazione boscata sa- rebbero apparse molto chiare: la massimizza- zione dei prodotti, ovvero del materiale legnoso (nelle superfici a pino marittimo) e dei pinoli (nelle superfici a pino domestico). Nell’ottica produttiva, si sarebbe dovuta definire la durata del turno (commerciale o economico), al ter- mine del quale dare inizio ai processi di rinno- vazione, essenzialmente artificiale posticipata.
Nel caso della produzione di materiale legnoso – prevalentemente di pino marittimo – all’at- tualità avrebbero trovato piena legittimazione gli interventi di sfollo e di diradamento, in con- siderazione della rapidità di crescita della spe- cie in particolar modo nelle fasi giovanili, uni- tamente alla contestuale eliminazione delle spe- cie ritenute concorrenti. Per la produzione dei pinoli, si sarebbero dovuti eseguire interventi per favorire le piante di pino domestico pre-
senti, eliminando le eventuali altre essenze ed il sottobosco. In entrambi i casi, le modalità di intervento appaiono di sicuro forte impatto sul popolamento forestale nel senso che se da un lato vanno sì a rendere massima possibile e co- stante nel tempo la funzione produttiva, dall’al- tro si pongono in contrasto con la dinamica di evoluzione del popolamento medesimo, con la sua naturalità e con le leggi che regolano la cre- scita, lo sviluppo, la vita di un sistema biologico complesso qual è ogni popolamento forestale.
Nell’applicazione in bosco della gestione ispi- rata ai principi della selvicoltura produttiva, il Selvicoltore non avrebbe proceduto all’esecu- zione di alcuni degli interventi in precedenza elencati e realizzati in applicazione dei principi della selvicoltura sistemica, così come ripor- tato nella Tabella 1. Nello specifico, gli unici interventi ad essere attuati sarebbero stati quelli per migliorare e garantire nel tempo la stabilità meccanica del popolamento (sfolli e dirada- menti) mentre non si sarebbe ritenuto neces- sario eseguire interventi ritenuti ininfluenti per migliorare la produzione di materiale legnoso e/o di pinoli.
Successivamente alla selvicoltura produttiva, il momento di evoluzione, è stato rappresen- tato dalla selvicoltura naturalistica o selvicol- tura prossima alla Natura o selvicoltura su basi naturalistiche di cui si sono occupati numerosi Autori anche nel nostro Paese (PavarI, 1932;
1938; semBIantI, 1956; hofmann, 1957; de
PhIlIPPIs, 1950; 1967; 1972; susmel, 1962;
1964; 1970; 1980; 1986a; 1986b; 1993; Ber-
Tabella 1 – Descrizione degli interventi selvicolturali eseguiti all’interno della Riserva Naturale “Pineta di Ravenna” in applicazione della selvicoltura sistemica a confronto con la selvicoltura produttiva e la selvicoltura naturalistica.
Interventi Selvicoltura Selvicoltura Selvicoltura sistemica produttiva naturalistica
Sfolli SI SI SI
Diradamenti SI SI SI
Sottopiantagioni e rinfoltimenti SI NO SI
Interventi di potatura SI* SI* SI*
Contenimento specie alloctone SI NO NO
Incremento necromassa legnosa SI NO NO
Contenimento del rovo SI NO NO
Diffusione specie arbustive SI NO NO
* Interventi eseguiti con differenti finalità (vedi testo).
nettI, 1977; mazzuCChI, 1985; 1989; fer-
rarI, 1986; wolInskI, 1993; 1995; 1998; de
turCkheIm, 1993; 1996; Clauser, 1996; PaCI, 2004). Anche in questo caso – appare oppor- tuno evidenziare – è sempre l’uomo ad asse- gnare una o più funzioni ai popolamenti fore- stali (produttiva, protettiva, sociale, turistica, paesaggistica, aspetti che sfociano nel concetto di multifunzionalità delle formazioni boscate) e le tecniche gestionali applicate sono tali da non essere inquadrate in regole rigide ma so- prattutto da non porsi in contrasto bensì di as- secondare le indicazioni della Natura.
Nel caso specifico del popolamento forestale della Riserva Naturale “Pineta di Ravenna”, il Selvicoltore si sarebbe trovato ad analizzare il medesimo in riferimento all’attuale conte- sto territoriale e sociale: conseguentemente avrebbe attribuito allo stesso molteplici fun- zioni che sarebbero risultate essere essenzial- mente funzioni sociali, protettive per le terre retrostanti, funzioni turistico-ricreative, scien- tifico-ambientali, di tutela e conservazione della biodiversità.
All’interno della formazione boscata, come riportato nella Tabella 1, secondo i principi della selvicoltura naturalistica si sarebbero re- alizzati gli interventi di sfollo e diradamento così come quelli di sottopiantagione e rinfolti- mento con latifoglie in quanto la rinnovazione naturale ha in questa fase notevoli difficoltà ad affermarsi. L’eliminazione delle specie alloc- tone, l’incremento della necromassa legnosa, il contenimento del rovo e la diffusione di specie arbustive non avrebbero rivestito significativa rilevanza se non nel momento in cui si fossero presentate esigenze legate alla rinnovazione del soprassuolo o problematiche connesse al rischio incendi boschivi.
Premesse queste doverose considerazioni, va evidenziato come nella realizzazione in bosco di alcuni degli interventi proposti dalla selvicol- tura naturalistica i medesimi possano apparire non molto differenti rispetto a quelli attuati in applicazione della selvicoltura sistemica (wo-
lInskI, 2009): questo aspetto potrebbe inge- nerare degli equivoci, ossia che la selvicoltura sistemica non si discosti più di tanto dalla sel- vicoltura naturalistica e che non siano pertanto
così evidenti e di fondamentale importanza gli aspetti di innovazione introdotti di recente nel mondo delle Scienze Forestali. Resta il fatto della sostanziale e profonda diversità nell’im- postazione teorica degli interventi selvicoltu- rali: la base di partenza è sostanzialmente dif- ferente nel senso che la selvicoltura sistemica, riprendendo concetti già espressi, considera il bosco come soggetto della gestione la quale deve cogliere ed assecondare le sue peculiari esigenze di sistema biologico complesso e non perseguire le finalità delle funzioni attribuite alla formazione forestale dall’uomo.
Appare pertanto ben chiara quale sia la dif- ferenza tra la realizzazione degli interventi sel- vicolturali secondo i diversi criteri di imposta- zione.
Le attività che risultano essere condivise tra le differenti modalità selvicolturali sono quelle legate alla stabilità meccanica del popolamento forestale, ovvero gli sfolli ed i diradamenti: non potrebbe però essere altrimenti, in quanto detti interventi garantiscono l’esistenza stessa della formazione boscata. Diverso è il caso delle potature delle chiome dei pini domestici dove sotto un’unica dicitura terminologica sono compresi differenti criteri di impostazione e diverse finalità di attuazione: nel caso della selvicoltura produttiva, le potature avrebbero avuto il solo scopo di sagomare le chiome dei pini al fine di renderle maggiormente idonee alla intercettazione dei raggi luminosi del sole ed aumentare conseguentemente la produzione di strobili e pinoli; nella selvicoltura naturali- stica, la potatura avrebbe avuto le funzioni di consentire una maggiore stabilità meccanica delle piante per garantire migliori condizioni di sicurezza per i fruitori della pineta; infine, nella selvicoltura sistemica, la potatura risulta essere stato un intervento “richiesto” dal popola- mento forestale stesso per poter di conseguenza modificare, migliorandole, le condizioni di illu- minazione del suolo così da fornire un contesto più favorevole per l’eventuale rinnovazione o per l’insediamento della componente arbustiva nonché per garantire condizioni maggiormente idonee per la fauna selvatica.
Una significativa argomentazione che va ad integrare quanto sin qui esposto è quella se-
condo la quale più di qualcuno potrebbe obiet- tare che nella presentazione degli interventi gestionali menzionati in precedenza si siano ec- cessivamente estremizzate ed accentuate le dif- ferenze tra le tre diverse impostazioni selvicol- turali e che nella realtà siano ben più numerosi i punti di contatto: l’eventuale obiezione può essere ritenuta più che pertinente, ma come ri- sposta va evidenziato che si è voluta mantenere una certa “rigidità” di quanto proposto dai dif- ferenti modelli di gestione selvicolturale (pro- duttiva, naturalistica, sistemica), per l’appunto riconoscendo al modello la peculiare validità di esserlo in quanto tale.
Un’ulteriore critica che potrebbe venir mossa è il fatto che sia stato considerato solamente un ristretto momento dell’arco temporale di vita del popolamento forestale: obiezione condivisi- bile, ma in considerazione dei tempi “forestali”
non poteva esser fatto diversamente a meno di non voler attendere diversi decenni per osser- vare le conseguenze degli interventi e l’intero ciclo vitale dell’attuale soprassuolo boschivo.
In ultimo si potrebbe obiettare – estremiz- zando minimizzandoli i termini della questione – che gli interventi realizzati altro non sono che normalissime azioni di “rinaturalizzazione” di una giovane formazione forestale di origine artificiale: in effetti ciò può apparire ed è, ma questa per l’appunto era l’esigenza che mani- festava l’ecosistema forestale e che, repetita juvant, il Selvicoltore ha colto applicando con- seguentemente gli interventi selvicolturali po- tendo pertanto fornire, si ritiene, un esempio di applicazione della selvicoltura sistemica.
Va esplicitato anche che aspetti di fondamen- tale importanza i quali non sono stati affrontati nell’illustrazione degli interventi selvicolturali sono il costo degli stessi e il prezzo di mac- chiatico dei prodotti legnosi: non sono stati determinati (volutamente) poiché, considerati nell’ottica di quanto presentato, gli interventi rappresentano evidentemente dei costi e delle voci passive in un eventuale bilancio d’azienda (ad eccezione della vendita del materiale le- gnoso ottenuto dai tagli di diradamento) ed inoltre perché l’aspetto economico della selvi- coltura sistemica andrebbe rapportato ad un periodo ben più ampio della vita del sopras-
suolo, considerando inoltre come valore da monetizzare anche la tutela e la conservazione di popolamenti forestali ad elevato grado di naturalità gestiti secondo le regole che vanno a normare la vita di un ecosistema forestale.
Considerato quanto sin qui esposto, con que- sto lavoro si è cercato di contribuire a dimostrare come sia possibile (almeno nel caso pratico che si è voluto esporre nel presente scritto) che il Selvicoltore entri all’interno di un popolamento forestale non attribuendo a priori funzioni al medesimo bensì per analizzarlo e studiarlo quale sistema biologico complesso, per comprenderne le eventuali necessità e per impostare ed attuare degli interventi gestionali nell’ottica del consi- derare il bosco come soggetto degli interventi e come beni e servizi fruibili dalla collettività (e la pineta demaniale di Ravenna ne fornisce molte- plici) siano conseguenza e non finalità della ge- stione selvicolturale.
SUMMARY
Management interventions within the nature reserve “Pinewood of Ravenna”:
an example of systemic silviculture
The paper focuses on forest operations carried out in a pine stand following the principles of systemic silviculture. Furthermore, it compares theoretical and technical aspects with those of production and close to nature silviculture.
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