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Numeri complessi

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Academic year: 2021

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(1)

Parte I

Nozioni preliminari

(2)

Insiemi di numeri reali

Elementi di teoria degli insiemi

Se S `e una totalit`a di oggetti x, si dice che S `e uno spazio avente gli elementi x.

Se si considerano alcuni elementi di S si dice che essi costituiscono un insieme A dello spazio S.

Esempi particolari:

lo spazio S (quando si considerino tutti gli elementi x di S)

l’insieme vuoto ∅ (quando non si consideri alcun elemento di S).

Per esprimere che un elemento x appartiene ad un insieme A si scrive: x ∈ A;

per esprimere che x non appartiene ad un insieme A si scrive: x /∈ A.

(3)

Per indicare un insieme A dello spazio S si possono usare due tipi di scrittura:

A = {x, y, z, . . .} (1)

oppure

A = {x|x ∈ S, x verifica la propriet`a P } (2) Un insieme A si dice finito quando consta di un numero finito di elementi.

In caso contrario l’insieme si dice infinito, ovvero che consta di infiniti elementi.

Se A, B sono due insiemi di uno stesso spazio S, si dice che A `e contenuto in B (oppure che B contiene A) e si scrive A ⊆ B (oppure B ⊇ A) quando ogni elemento di A `e anche elemento di B, vale a dire che l’appartenenza ad A implica l’appartenenza a B:

x ∈ A =⇒ x ∈ B. (3)

Si dice anche che A `e un sottoinsieme di B, ovvero che A `e incluso in B. L’insieme vuoto ∅ si considera contenuto in qualsiasi insieme A.

(4)

Se valgono simultaneamente le A ⊆ B, B ⊆ A:

x ∈ A ⇐⇒ x ∈ B, (4)

si dice che A `e identico a B e si scrive A = B; nel caso contrario si scrive A 6= B.

Se A `e un insieme dello spazio S, si chiama complemento di A (e si indica con C A) l’insieme degli elementi di S che non appartengono ad A:

C A = {x|x ∈ S, x /∈ A}. (5)

Valgono le propriet`a:

C S = ∅, C ∅ = S, C (C A) = A. (6)

(5)

Se A e B sono insiemi dello spazio S, si chiama unione dei due insiemi (e si indica con A ∪ B) l’insieme degli elementi di S che appartengono ad almeno uno dei due insiemi A, B:

A ∪ B = {x|x ∈ A o x ∈ B}. (7)

Valgono le propriet`a:

A ∪ A = A, A ∪ C A = S, A ∪ B = B ∪ A, (A ∪ B) ∪ C = A ∪ (B ∪ C). (8) Si chiama intersezione dei due insiemi A, B (e si indica con A∩B) l’insieme degli elementi di S che appartengono sia ad A che a B:

A ∩ B = {x|x ∈ A e x ∈ B}. (9)

Quando risulta A ∩ B = ∅ i due insiemi si dicono disgiunti.

Valgono le propriet`a:

A ∩ A = A, A ∩ C A = ∅, A ∩ B = B ∩ A, (A ∩ B) ∩ C = A ∩ (B ∩ C). (10)

(6)

Si definisce la differenza A − B di due insiemi A, B come l’insieme costituito dagli elementi di A che non appartengono a B:

A − B = A ∩ C B. (11)

Risulta A − B = ∅ se e solo se A ⊆ B.

Dati due insiemi A e B (distinti o coincidenti) e fissati due elementi x ∈ A e y ∈ B, si pu`o considerare la coppia ordinata (x, y).

Al variare di x in A e di y in B, tale coppia descrive un insieme che si chiama prodotto cartesiano dei due insiemi A, B e si indica con A × B.

(7)

Propriet`a degli insiemi di numeri reali

Consideriamo insiemi i cui elementi sono numeri reali, cio`e gli insiemi dello spazio R.

Insiemi di particolare importanza sono gli intervalli.

Dati due numeri reali a, b con a < b, si chiama intervallo chiuso di estremi a, b l’insieme dei numeri reali x che verificano la limitazione a 6 x 6 b; tale intervallo sar`a indicato col simbolo [a, b].

Si chiamer`a invece intervallo aperto di estremi a, b, e sar`a indicato con (a, b), l’insieme dei numeri x per cui si ha a < x < b; intervallo aperto a sinistra `e l’insieme dei numeri x per i quali si ha a < x 6 b, e si user`a per esso il simbolo (a, b]; intervallo aperto a destra `e l’insieme dei numeri x per i quali si ha a 6 x < b, e si user`a il simbolo [a, b).

Tutti questi intervalli si dicono limitati.

(8)

Dato un numero reale a si considera anche l’insieme dei numeri maggiori o uguali ad a, cio`e l’intervallo [a, +∞), oppure l’insieme dei numeri maggiori di a, cio`e l’intervallo (a, +∞).

Analogamente si definisce l’intervallo (−∞, a] come l’insieme dei numeri minori o uguali ad a, e l’intervallo (−∞, a) come l’insieme dei numeri minori di a.

Lo spazio R di tutti i numeri reali viene anche designato come intervallo (−∞, +∞).

Tutti questi intervalli si dicono illimitati.

Dato un insieme E di numeri reali, possiamo chiederci se esista in E un numero minimo (min E) oppure un numero massimo (max E).

Se E `e un insieme finito i due numeri esistono certamente. Se si considera invece un insieme E infinito non `e detto che esista min E o max E.

Dunque, per un insieme E arbitrario non si pu`o parlare in generale di min E o max E.

(9)

Estremo inferiore ed estremo superiore Sia dato un insieme E di numeri reali.

Si dice che E `e limitato inferiormente quando esiste un numero a minore di tutti i numeri x di E; in caso contrario cio`e quando, comunque si assegni un numero a, esiste sempre in E qualche numero x minore di a, l’insieme si dir`a illimitato inferiormente.

Si dice che E `e limitato superiormente quando esiste un numero b maggiore di tutti i numeri x di E; in caso contrario cio`e quando, comunque si assegni un numero b, esiste sempre in E qualche numero x maggiore di b, l’insieme si dir`a illimitato superiormente.

Dicendo semplicemente che E `e limitato si intende dire che `e limitato sia inferiormente che superiormente; dicendo che `e illimitato si intende dire che lo `e almeno da una parte.

(10)

Se l’insieme E `e limitato inferiormente, allora esiste un numero a minore di tutti i numeri x ∈ E; anzi ne esistono infiniti; chiamiamo A la classe da essi formata e B quella costituita da tutti i rimanenti numeri reali. La classe A `e dunque definita da

A = {a| a < x, ∀ x ∈ E}. (12)

mentre la classe B `e definita da

B = {b| ∃ x ∈ E, x 6 b}. (13)

Queste due classi individuano un numero di separazione che si chiama estremo infe- riore dell’insieme E (limitato inferiormente) e si indica con inf E. Esso gode delle due propriet`a seguenti:

a) tutti i numeri x ∈ E sono maggiori o uguali di inf E;

b) comunque si fissi un numero positivo ε, vi `e nell’insieme E almeno un numero x che

`e minore di inf E + ε.

L’estremo inferiore inf E pu`o essere un numero dell’insieme E ed allora coincide con min E; pu`o, per`o, accadere che esso non appartenga ad E ed allora l’insieme non ha minimo.

(11)

In modo analogo si stabilisce il concetto di estremo superiore di un insieme E limitato superiormente. Esistono numeri b maggiori di tutti i numeri x ∈ E; diciamo B la classe da essi formata ed A quella costituita dai rimanenti numeri reali. La classe B `e dunque definita come segue:

B = {b| b > x, ∀ x ∈ E}. (14)

mentre la classe A `e definita da

A = {a| ∃ x ∈ E, x > a}. (15)

Queste due classi individuano un numero di separazione; questo numero si chiama estre- mo superiore dell’insieme E (limitato superiormente) e si indica con sup E. Esso gode delle due propriet`a seguenti:

c) tutti i numeri x ∈ E sono minori o uguali di sup E;

d) comunque si fissi un numero positivo ε, vi `e nell’insieme E almeno un numero x che

`e maggiore di sup E − ε.

L’estremo superiore inf E pu`o essere un numero dell’insieme E ed allora coincide con max E; pu`o, per`o, accadere che esso non appartenga ad E ed allora l’insieme non ha massimo.

(12)

Se un insieme E `e limitato, esistono contemporaneamente inf E e sup E e risulta evidentemente inf E 6 sup E. Il segno di uguaglianza vale soltanto se E `e formato da un solo numero; se ci`o non accade, l’intervallo [inf E, sup E] `e il pi`u piccolo intervallo chiuso che contenga tutti i punti dell’insieme E.

Abbiamo definito l’estremo inferiore per gli insiemi limitati inferiormente e l’estremo superiore per gli insiemi limitati superiormente.

Per un insieme illimitato inferiormente si dir`a che ha −∞ come estremo inferiore (inf E =

−∞); per un insieme illimitato superiormente si dir`a che ha +∞ come estremo superiore (sup E = +∞).

Accenniamo infine al concetto di insiemi contigui (o classi contigue) di numeri reali. Due classi A, B di numeri reali si dicono contigue quando si ha sup A = inf B.

Il valore comune dei predetti estremi, superiore di A ed inferiore di B, `e il cosiddetto numero di separazione delle due classi.

(13)

Punti di accumulazione. Insiemi chiusi

Da qui in avanti diremo punto x in luogo di numero reale x; sar`a sottinteso che si tratta di punti della stessa retta su cui si sia fissato un sistema di ascisse.

Dati due punti x1, x2 si pu`o voler considerare la loro distanza (senza segno); essa `e espressa dal numero non negativo |x2 − x1|.

Dato un punto x chiameremo intorno di x ogni intervallo limitato e aperto (a, b) che contenga x (cio`e tale che a < x < b).

Sia dato un insieme E di punti. Un punto x0 della retta si dice punto di accumulazione (o punto limite) dell’insieme E quando, in ogni intorno di x0, esiste almeno un punto di E che sia distinto da x0. Un punto di accumulazione di un insieme E pu`o appartenere all’insieme stesso oppure pu`o non appartenervi.

Un punto x dell’insieme E pu`o essere punto di accumulazione oppure pu`o non esserlo;

in questo secondo caso si dice punto isolato di E.

(14)

Dalla definizione di punto di accumulazione discende immediatamente che se x0 `e un punto di accumulazione dell’insieme E, in ogni intorno di x0 esistono infiniti punti di E.

Da ci`o deriva anche che affinch´e un insieme abbia dei punti di accumulazione `e necessario che contenga infiniti punti. Tale condizione non `e in generale sufficiente, ma lo diventa se l’insieme `e limitato.

L’insieme costituito da tutti i punti di accumulazione di un dato insieme E si chiama l’insieme derivato di E e si indica con DE.

Un insieme E si dice chiuso quando DE ⊆ E cio`e quando o non ha punti di accumu- lazione oppure ha dei punti di accumulazione tutti appartenenti all’insieme E. Alcuni esempi.

1) Gli intervalli [a, b], [a, +∞), (−∞, a], (−∞, +∞) sono insiemi chiusi.

2) Gli intervalli (a, b), (a, b], [a, b), (a, +∞), (−∞, a) non sono insiemi chiusi.

Gli insiemi dell’esempio 1) non solo sono chiusi, ma sono tali che DE = E. I particolari insiemi chiusi che godono di questa propriet`a si chiamano insiemi perfetti.

(15)

I concetti di intorno di un punto e di punto di accumulazione vengono estesi nel modo seguente.

Chiameremo intorno di −∞ ogni intervallo del tipo (−∞, a), intorno di +∞ ogni inter- vallo del tipo (a, +∞). Diremo poi che l’insieme E ha il punto di accumulazione −∞

[oppure +∞] quando in ogni intorno di −∞ [o di +∞] cade almeno un punto di E (viene subito di conseguenza che ne cadono infiniti); `e evidente che ci`o equivale a dire che E `e illimitato inferiormente [oppure superiormente].

Con queste locuzioni si pu`o affermare che ogni insieme E contenente infiniti punti am- mette almeno un punto di accumulazione (al finito o all’infinito), rimuovendo cos`ı la re- strizione che l’insieme debba essere limitato limitato per rendere sufficiente la condizione suddetta.

Va tenuto presente che, nella definizione di insieme chiuso data sopra, ci si riferisce ovviamente soltanto ai punti di accumulazione al finito.

(16)

Insiemi di punti di uno spazio euclideo

Spazi euclidei a due e tre dimensioni

Sappiamo che un insieme di numeri reali si pu`o pensare come un insieme di punti su una retta, cio`e di uno spazio ad una dimensione.

Si pu`o considerare la naturale estensione di insiemi di punti di un piano (spazio a due dimensioni): riferendo il piano a due assi cartesiani ortogonali, insiemi di coppie ordinate (x, y) di numeri reali.

Si possono anche considerare insiemi di punti dello spazio ordinario (spazio a tre di- mensioni): riferendo tale spazio a tre assi cartesiani ortogonali, insiemi di terne ordinate (x, y, z) di numeri reali.

Si pu`o ovviamente andare oltre e ragionare per n > 3, pur mancando una rappresen- tazione geometrica di tali casi. Ci riferiremo sempre ad esempi relativi a spazi a due o tre dimensioni.

(17)

Diremo che la coppia ordinata (x1, x2) [ovvero (x, y)] rappresenta il punto di coordinate x1, x2 dello spazio euclideo a 2 dimensioni, che indicheremo con R2.

Analogamente, la coppia ordinata (x1, x2, x3) [ovvero (x, y, z)] rappresenta il punto di coordinate x1, x2, x3 dello spazio euclideo a 3 dimensioni, che indicheremo con R3.

Nei due casi, un punto sar`a indicato da una lettera maiuscola eventualmente seguita dalle coordinate: P ≡ (x1, x2) in R2, P ≡ (x1, x2, x3) in R3.

Ricordiamo che, dati due punti A ≡ (a1), B ≡ (b1) di una retta (cio`e di R1), la loro distanza AB `e data da |b1 − a1| = [(b1 − a1)2]1/2.

Dati due punti A ≡ (a1, a2), B ≡ (b1, b2) di un piano (cio`e di R2), la loro distanza AB

`e data da [(b1 − a1)2 + (b2 − a2)2]1/2.

Dati due punti A ≡ (a1, a2, a3), B ≡ (b1, b2, b3) dello spazio ordinario (cio`e di R3), la loro distanza AB `e data da [(b1 − a1)2 + (b2 − a2)2 + (b3 − a3)2]1/2.

(18)

Dato in R3 un punto C ≡ (c1, c2, c3) e fissato un numero positivo ρ, chiameremo dominio circolare di centro C e raggio ρ l’insieme dei punti P ≡ (x1, x2, x3) per i quali vale la relazione

(x1 − c1)2 + (x2 − c2)2 + (x3 − c3)2 6 ρ2. (16) che identifica una sfera. Con analoga definizione il dominio circolare identifica in R2 un cerchio, e in R1 l’intervallo chiuso [c1 − ρ, c1 + ρ].

Dati in R3 due punti A ≡ (a1, a2, a3), B ≡ (b1, b2, b3) le cui coordinate siano tali da aversi a1 < b1, a2 < b2, a3 < b3, chiameremo intervallo chiuso (o dominio rettan- golare) di punti estremi A, B l’insieme dei punti P ≡ (x1, x2, x3) le cui coordinate verificano le relazioni

a1 6 x1 6 b1, a2 6 x2 6 b2, a3 6 x3 6 b3 , (17) cio`e un parallelepipedo con gli spigoli paralleli agli assi coordinati. Con analoga definizione il dominio rettangolare identifica in R2 un rettangolo con gli spigoli paralleli agli assi coordinati e in R1 l’intervallo chiuso [a, b].

(19)

Quando si considera un insieme E di punti P ≡ (x1, x2, x3) ∈ R3, restano ad esso associati i 3 insiemi di numeri reali E1, E2, E3 che sono formati, rispettivamente, da tutti i valori assunti dalla coordinata x1, dalla coordinata x2, dalla coordinata x3 al variare del punto P in E. Diremo che Ei (i = 1, 2, 3) `e l’insieme proiezione di E sull’asse xi.

L’insieme E si dice limitato se `e limitato ciascuno dei suoi insieme proiezione E1, E2, E3. In tal caso, se [ai, bi] ⊇ Ei, (i = 1, 2, 3), l’insieme E risulta contenuto nell’intervallo chiuso di punti estremi (a1, a2, a3), (b1, b2, b3); viceversa, se E `e contenuto in un intervallo chiuso, `e chiaro che gli insiemi E1, E2, E3 risultano limitati. Ne segue che si pu`o dare la definizione di insieme limitato anche sotto questa forma: un insieme di punti di R3 si dice limitato se esiste un intervallo chiuso che lo contiene.

Tutto quanto detto sopra si applica, con le opportune modifiche, agli insiemi di R2. Chiameremo illimitato un insieme E che non sia limitato; in tal caso per uno almeno degli insiemi proiezione si ha inf Ei = −∞, oppure sup Ei = +∞.

(20)

Dato un insieme E, si considerino in esso due punti arbitrari P, Q e la loro distanza P Q;

al variare di P, Q indipendentemente l’uno dall’altro in E, tale distanza descrive un insieme numerico il cui estremo superiore si chiama il diametro dell’insieme E. Risulta evidente che:

Condizione necessaria e sufficiente affinch´e un insieme sia limitato `e che abbia diametro finito.

Definiamo ora la distanza di due insiemi E, F . Sia P un punto qualunque di E, Q un punto qualunque di F e consideriamo la distanza P Q.

Al variare di P ∈ E e di Q ∈ F , il numero P Q descrive un insieme di numeri non negativi, il quale ha un estremo inferiore d > 0. Tale numero d `e la distanza dei due insiemi E, F . Se due insiemi hanno punti comuni la loro distanza risulta uguale a zero.

Non sussiste per`o la propriet`a inversa: la distanza di due insiemi pu`o essere nulla senza che i due insiemi abbiano punti comuni.

Come caso particolare resta definita la distanza di un punto P da un insieme E come la distanza dei due insiemi {P }, E cio`e come l’estremo inferiore dell’insieme numerico descritto dalla distanza di P dai vari punti di E.

(21)

Punti interni, esterni, di frontiera; insiemi chiusi e insiemi aperti

Sia E un insieme di punti di R3 [R2]. Un punto P ∈ R3 [P ∈ R2] si dice interno all’insieme E se esiste un dominio circolare di centro P il quale sia tutto costituito da punti di E. Risulta evidente che un punto P interno ad E appartiene ad E stesso.

Un punto P ∈ R3 [P ∈ R2] si dice esterno all’insieme E se esiste un dominio circolare di centro P il quale non contenga alcun punto di E, vale a dire sia tutto costituito da punti dell’insieme complementare C E = R3 − E [C E = R2− E]. Un punto P esterno ad E risulta interno a C E ed appartiene a C E.

Un punto P ∈ R3 [P ∈ R2] si dice punto di frontiera per l’insieme E se non `e n´e interno n´e esterno ad E, vale a dire se in ogni dominio circolare di centro P cadono sia punti di E sia punti di C E.

(22)

Dato un insieme E, il sottoinsieme costituito dai suoi punti interni sar`a indicato con

E (si legge: interno di E).

Si chiama frontiera di un insieme E l’insieme formato da tutti i suoi punti di frontiera;

essa si indica con il simbolo ∂E. Si ha evidentemente

E = E − ∂E . (18)

Un insieme E si dice chiuso quando contiene tutti i suoi punti di frontiera (cio`e quando

∂E ⊆ E).

Un insieme si dice aperto quando non contiene alcun punto della sua frontiera (E ∩∂E =

∅) cio`e quando tutti i suoi punti sono interni (

E = E).

In luogo della locuzione insieme aperto useremo anche semplicemente la parola campo.

(23)

Campi connessi; intorni di un punto

Fra gli insiemi aperti o campi hanno particolare importanza quelli che sono costituiti da un’unica porzione di spazio, tali cio`e che ci si possa spostare da un punto qualsiasi del campo ad un altro senza uscire dal campo. Tali campi si dicono connessi.

In altre parole, un campo E si dice connesso quando, comunque si fissino due punti P, Q ∈ E, `e sempre possibile congiungerli con una poligonale tutta contenuta in E.

Dato un qualsiasi punto P di uno spazio, chiameremo intorno del punto P ogni campo connesso e limitato contenente P . Si pu`o, ad esempio, prendere un campo circolare di centro P ed allora si parla di intorno circolare del punto P ; oppure un intervallo aperto di centro P ed allora si parla di intorno rettangolare del punto P .

Risulta evidente che in R1 un campo connesso e limitato `e necessariamente un intervallo aperto (a, b).

(24)

Punti di accumulazione; chiusura di un insieme

Estendiamo ora agli insiemi E di uno spazio R3 [R2] il concetto di punto di accumu- lazione gi`a noto per gli insiemi di punti di R1.

Dato un insieme E ⊆ R3 [E ⊆ R2], un punto P ∈ R3 [P ∈ R2] si dice punto d’accumulazione (o punto limite) dell’insieme E quando, in ogni intorno di P , esiste almeno un punto di E diverso da P .

Si vede subito che un punto di accumulazione di E pu`o appartenere oppure no all’insieme stesso.

Un punto P ∈ E pu`o essere o non essere punto di accumulazione; nel secondo caso esso si chiama punto isolato di E.

Ogni punto P ∈

E `e evidentemente punto di accumulazione di E.

(25)

Si dimostrano i seguenti risultati.

Se P `e un punto di accumulazione dell’insieme E, in ogni intorno di P esistono infiniti punti di E.

Un insieme limitato, contenente infiniti punti, ammette almeno un punto di accu- mulazione.

Qualunque sia l’insieme E, l’insieme E ∪ ∂E risulta essere chiuso.

Dunque, ad ogni insieme E si pu`o associare l’insieme chiuso E ∪ ∂E; esso si chiama la chiusura di E e lo si indica col simbolo ¯E. Si ha dunque, per definizione

E = E ∪ ∂E¯ (19)

(26)

Domini

L’operazione di chiusura applicata ad un insieme chiuso riproduce l’insieme stesso. Se la stessa operazione `e applicata ad un insieme aperto (o campo), essa conduce a certi particolari insiemi che si chiamano domini.

Poniamo intanto la seguente definizione: si chiama dominio ogni insieme che sia la chiusura di un campo. Per un tale insieme si dimostra il seguente risultato.

Ogni dominio `e un insieme perfetto (cio`e un insieme che coincide con l’insieme dei suoi punti di accumulazione) ed ogni suo punto `e di accumulazione di punti interni.

Come nel caso dei campi, hanno particolare interesse quei domini che sono formati da un unico blocco (chiuso) di punti. Poniamo perci`o la seguente definizione: un dominio D si dice internamente connesso quando `e connesso il campo

D costituito dai suoi punti interni.

(27)

Numeri complessi

Definizioni e propriet`a

La comparsa dei numeri complessi `e legata, da un punto di vista storico, alla risoluzione delle equazioni di secondo grado. L’equazione

x2 + 2px + q = 0 (20)

ammette le soluzioni

x = −p ± p

p2 − q, (21)

da cui si deduce che, se p2 − q `e negativo, l’equazione non ha radici (reali).

Per tentare di avere sempre soluzioni (di qualche natura), si pu`o ampliare il campo in cui si definisce l’espressione contenente il radicale. Si pu`o, intanto, scrivere

x = −p ± p

(−1)(q − p2) = −p ± √

−1p

q − p2 (22)

e, introducendo il simbolo i per rappresentare √

−1, si ha infine x = −p ± ip

q − p2.

(28)

I due numeri −p + ip

q − p2 e −p − ip

q − p2 (detti numeri complessi ) sono soluzioni della (20). Infatti, operando con le ordinarie regole del calcolo algebrico (valide per i numeri reali), si pu`o verificare che essi soddisfano l’equazione.

Le precedenti considerazioni contengono gli elementi fondamentali per costruire la teoria dei numeri complessi. Considerando infatti il simbolo a + ib, si pone l’attenzione sulla coppia ordinata di numeri reali a + ib. Inoltre, nel definire le operazioni sui numeri complessi, si dovr`a garantire che siano conservate, finch´e possibile, tutte le propriet`a formali delle operazioni sui numeri reali. Basate su questi due criteri, vengono di seguito elencate le principali definizioni della teoria dei numeri complessi.

Chiameremo numero complesso una coppia ordinata di numeri reali; adotteremo per esso, provvisoriamente, il simbolo (a, b).

Una coppia del tipo (a, 0) sar`a considerata identica al numero reale a e si scriver`a

(a, 0) = a (23)

In tal modo i numeri complessi comprenderanno, come caso particolare, i numeri reali.

(29)

Dati due numeri complessi (a, b), (c, d), essi si diranno uguali — e si scriver`a (a, b) = (c, d) — se sono verificate le due uguaglianze a = c e b = d.

Dati due o pi`u numeri complessi (a1, b1), (a2, b2), . . . , (an, bn), chiameremo loro somma il numero complesso (a1 + a2 + . . . + an, b1 + b2 + . . . + bn) e si scriver`a

(a1, b1) + (a2, b2) + . . . + (an, bn) = (a1 + a2 + . . . + an, b1 + b2 + . . . + bn) (24) Dati due numeri complessi (a, b), (c, d) chiameremo loro prodotto il numero complesso (ac − bd, bc + ad) e si scriver`a

(a, b) · (c, d) = (ac − bd, bc + ad). (25) Nel caso di tre fattori si ha:

(a, b) · (c, d) · (e, f ) = [(a, b) · (c, d)] · (e, f ) = (ac − bd, bc + ad) · (e, f ). (26) e si procede analogamente nel caso di pi`u fattori.

(30)

Le potenze di un numero complesso con esponente n, intero non negativo, si definiscono come per i numeri reali

(a, b)0 = 1, (a, b)1 = (a, b),

e, per n > 2, si definisce (a, b)n come il prodotto di n fattori uguali ad (a, b).

La notazione pi`u usata per rappresentare i numeri complessi `e la a + ib; in base alle definizioni poste essa acquista un significato preciso. Fra i numeri complessi fin qui definiti c’`e anche la coppia (0, 1); si conviene di indicare con la lettera i questo particolare numero complesso, che si chiamer`a unit`a immaginaria:

(0, 1) = i. (27)

Dato allora un qualsiasi numero complesso (a, b), si pu`o scrivere (a, b) = (a, 0) + (0, b);

inoltre si ha (0, 1) · (b, 0) = (0, b), cosicch´e risulta

(a, b) = (1, 0) · (a, 0) + (0, 1) · (b, 0) ovvero

(a, b) = a + ib. (28)

(31)

Usando la notazione a + ib, il termine a si chiama parte reale del numero complesso (a, b), il termine ib si chiama parte immaginaria.

Come conseguenza della notazione (28), l’uguaglianza di due numeri complessi a + ib = c + id significa l’uguaglianza delle parti reali (a = c) e quella dei coefficienti dell’unit`a immaginaria (b = d). Per la somma dei numeri complessi si pu`o scrivere, in luogo della (24):

(a1 + ib1) + (a2 + ib2) + . . . + (an + ibn) = (a1 + a2 + . . . + an) + i(b1 + b2 + . . . + bn) Per quanto riguarda il prodotto, si osserva innanzitutto che dalla (25) segue

i2 = (0, 1) · (0, 1) = (0 · 0 − 1 · 1, 1 · 0 + 0 · 1) = (−1, 0) = −1; (29) dopo ci`o la regola per il prodotto si ricorda facilmente osservando che ad essa si perviene mediante i seguenti passaggi:

(a + ib) · (c + id) = ac + ibc + iad + i2bd = (ac − bd) + i(bc + ad).

(32)

Osserviamo che risulta

i0 = 1, i1 = i, i2 = −1, i3 = −i, i4 = 1, i5 = i, . . . ossia che le potenze di i si riproducono periodicamente di quattro in quattro.

Per la sottrazione e la divisione fra numeri complessi si adottano le stesse definizioni che valgono per i numeri reali.

Dati due numeri complessi z1 = a+ib, z2 = c+id, esiste uno ed un solo numero complesso z tale che z2 + z = z1; si tratta, evidentemente, del numero z = (a − c) + i(b − d), e si chiama la differenza dei numeri complessi z1, z2 e si scrive z = z1 − z2. Si ha dunque

z1 − z2 = (a + ib) − (c + id) = (a − c) + i(b − d).

Prima di trattare della divisione `e bene trattare il concetto di numeri coniugati. I due numeri complessi a + ib, a − ib si dicono coniugati; se uno di essi viene indicato con z, l’altro si indicher`a con ¯z. Si vede che il coniugato di un numero reale `e il numero stesso e che, viceversa, se un numero complesso z `e uguale al suo coniugato ¯z, allora z `e necessariamente reale.

(33)

Osserviamo che, se z = a + ib, si ha

z + ¯z = 2a, z − z = 2ib.¯ Sussiste inoltre la relazione

zz = a¯ 2 + b2,

ove il numero reale non negativo nel secondo membro si chiama la norma del numero complesso a + ib.

Per definire la divisione fra numeri complessi, osserviamo che, dati due numeri complessi z1 = a + ib, z2 = c + id, di cui il secondo diverso da zero, esiste uno ed un solo numero complesso z = x + iy tale che z2z = z1. Infatti quest’ultima relazione equivale alla (c + id)(x + iy) = a + ib, ossia alle cx − dy = a, dx + cy = b. Moltiplicando la prima per c, la seconda per d e sommando, si trovano le (c2+ d2)x = ac + bd, (c2+ d2)y = bc − ad.

Essendo per ipotesi z2 6= 0, la norma c2 + d2 non `e nulla, onde deve necessariamente essere

x = ac + bd

c2 + d2, y = bc − ad

c2 + d2 (30)

(34)

ossia

z = ac + bd

c2 + d2 + i bc − ad c2 + d2

Il numero complesso z si chiama il quoziente dei due numeri complessi z1, z2 (con z2 6= 0) e si indica con z1/z2. Per il suo calcolo non si segue in pratica il metodo precedente, ma si approfitta delle due osservazioni seguenti:

1. se z2 `e reale (z2 = c) si ha

z1

z2 = a + ib

c = a

c + ib c come subito si ricava dalle (30);

2. comunque si scelga il numero complesso w 6= 0, si pu`o scrivere z1

z2 = z1w z2w;

infatti, posto z1/z2 = z, si ha (z2w)z = (z2z)w = z1w.

(35)

Tenuto conto di ci`o, per calcolare rapidamente z1/z2, basta moltiplicare numeratore e denominatore per il numero coniugato del denominatore, cio`e considerare il quoziente z12/z22 il cui denominatore `e reale (`e la norma di z2), e poi applicare la prima osservazione. In altri termini, si procede cos`ı:

a + ib

c + id = (a + ib)(c − id)

(c + id)(c − id) = (ac + bd) + i(bc − ad)

c2 + d2 = ac + bd

c2 + d2 + i bc − ad c2 + d2 .

Definita la divisione si pu`o parlare del numero reciproco o inverso di un dato numero complesso z = a + ib 6= 0; si tratta del numero

1

z = 1

a + ib = a − ib

a2 + b2 = a

a2 + b2 − i b

a2 + b2 .

Si pu`o anche definire la potenza di z 6= 0 con esponente intero negativo −n, mediante la stessa formula che si pone nel campo reale, e cio`e

z−n = 1 zn.

(36)

Rappresentazione geometrica di numeri complessi

Come i numeri reali si possono rappresentare con i punti di una retta sulla quale si sia stabilito un sistema di ascisse, cos`ı i numeri complessi si possono rappresentare con i punti di un piano nel quale si sia fissato un sistema di assi cartesiani ortogonali.

Si fa corrispondere al numero complesso z = a + ib il punto A di ascissa a e ordina- ta b e viceversa. Tale punto si chiama l’immagine del numero complesso z, e spesso semplicemente il punto z.

In questa rappresentazione, ai numeri reali corrispondono i punti dell’asse delle ascisse (che si chiama perci`o asse reale), mentre ai numeri immaginari corrispondono i punti dell’asse delle ordinate (che si chiama perci`o asse immaginario).

Assieme alle coordinate cartesiane (a, b) del punto A, si considerano anche le coordinate polari — riferite al polo O e all’asse polare x — cio`e il raggio vettore ρ > 0 e, supponendo A 6= O, l’anomalia ϕ.

(37)

Il raggio vettore `e espresso dalla

ρ = √

a2 + b2 (31)

mentre l’anomalia `e definita (a meno di multipli di 2π) dalle cos ϕ = a

ρ = a

√a2 + b2, sin ϕ = b

ρ = b

√a2 + b2. (32)

Si chiamano modulo ed argomento del numero complesso z = a + ib rispettivamente il raggio ρ e l’anomalia ϕ della sua immagine A.

Il modulo ρ si indica anche con |z| ed `e uguale alla radice quadrata della norma di z.

Questa pu`o quindi indicarsi con |z|2, oltre che con z ¯z.

L’argomento ϕ — definito solo se z 6= 0 — si indica anche con Arg z; esso pu`o assumere infiniti valori i quali, una volta determinatone uno, ϕ0, sono tutti forniti dalla formula ϕ0 + 2kπ, con k intero (positivo, negativo o nullo).

(38)

Poich´e dalla (32) segue

a = ρ cos ϕ, b = ρ sin ϕ, si pu`o scrivere

a + ib = ρ cos ϕ + iρ sin ϕ = ρ(cos ϕ + i sin ϕ),

che rappresenta la forma trigonometrica del numero complesso a + ib, supposto non nullo.

La rappresentazione dei numeri complessi in termini di modulo e argomento risulta utile per eseguire le operazioni di moltiplicazione e di divisione:

Il modulo del prodotto di due o pi`u numeri complessi `e uguale al prodotto dei moduli dei numeri dati; inoltre, se tale prodotto non `e nullo, il suo argomento `e uguale alla somma degli argomenti dei numeri dati.

Il modulo del quoziente di due numeri complessi z1, z2 (con z2 6= 0) `e uguale al quoziente dei moduli dei numeri dati; inoltre, se tale quoziente non `e nullo, il suo argomento `e uguale alla differenza degli argomenti dei numeri dati.

(39)

Radici di numeri complessi

Dati un numero complesso z ed un numero intero positivo n, si chiamer`a radice n-esima di z ogni numero complesso w tale da aversi

wn = z. (33)

Se z = 0 si ha necessariamente w = 0, se z 6= 0 sar`a w 6= 0; si possono allora considerare le forme trigonometriche

z = ρ(cos ϕ + i sin ϕ), w = σ(cos θ + i sin θ),

ove ρ, ϕ sono numeri noti, mentre σ, θ sono incogniti. La (33) si pu`o allora scrivere [σ(cos θ + i sin θ)]n = σn(cos nθ + i sin nθ) = ρ(cos ϕ + i sin ϕ).

Affinch´e si verifichi questa uguaglianza occorre e basta che i due numeri complessi abbiano lo stesso modulo ed i loro argomenti differiscano per multipli di 2π, vale a dire σn = ρ, nθ = ϕ + 2kπ (con k intero) e quindi

σ = |√n

ρ|, θ = ϕ + 2kπ

n ,

(40)

ove il simbolo |√n

ρ| indica la radice n-esima aritmetica del numero reale e positivo ρ.

Dunque, le possibili radici n-esime w del numero complesso z, di modulo ρ e argomento ϕ, sono tutte comprese nella formula

w = |√n ρ|



cos ϕ + 2kπ n



+ i sin ϕ + 2kπ n



(34) ove k `e un arbitrario numero intero (positivo, negativo o nullo).

Se nella (34) si pone successivamente

k = 0, 1, 2, . . . , n − 1, (35)

per due qualsiasi di questi valori non si verifica che la loro differenza sia multipla di n e perci`o essi danno luogo a n valori distinti per w.

Qualunque altro valore di k si consideri, esso differir`a per un multiplo di n da uno (e da uno solo) dei valori (35) e quindi far`a ritrovare per w uno degli n valori gi`a considerati.

Si pu`o quindi riassumere come segue.

(41)

Ogni numero complesso non nullo z = ρ(cos ϕ + i sin ϕ) ammette n e solo n radici n-esime, le quali sono date dalla formula

n

z = |√n ρ|



cos  ϕ + 2kπ n



+ i sin  ϕ + 2kπ n



(36) nella quale si ponga successivamente k = 0, 1, 2, . . . , n − 1.

Poich´e gli n numeri forniti dalla (36) hanno tutti lo stesso modulo |√n

ρ|, le loro immagini stanno tutte su una stessa circonferenza col centro nell’origine e raggio |√n

ρ|, e poich´e i loro argomenti sono

ϕ n, ϕ

n + 2π n , ϕ

n + 22π

n , . . . , ϕ

n + (n − 1)2π n ,

`e evidente che, se n > 2, dette immagini si dispongono secondo i vertici di un n-agono regolare inscritto in tale circonferenza.

Nel caso particolare z = 1 (ρ = 1, ϕ = 0) la (36) fornisce

n

1 = cos 2kπ n



+ i sin  2kπ n



, (k = 0, 1, 2, . . . , n − 1). (37)

(42)

Queste radici n-esime dell’unit`a permettono di scrivere la (36) sotto altra forma. Se nella (36) si attribuisce a k un qualsiasi particolare valore (intero) k, si ottiene una particolare radice n-esima di z, che si designer`a con w. Posto dunque

w = |√n ρ|



cos ϕ + 2kπ n



+ i sin ϕ + 2kπ n



se si moltiplica questo numero w∗ successivamente per le n radici n-esime dell’unit`a fornite dalla (37), si ottengono gli n numeri

w = |√n ρ|



cos ϕ + 2(k + k)π n



+ i sin ϕ + 2(k + k)π n



i quali coincidono con le n radici n-esime del numero z. Si pu`o dunque scrivere in luogo della (36):

n

z = w · √n 1 e riassumere come segue.

Per calcolare le n radici n-esime di un numero complesso, basta calcolarne una; si ottengono poi tutte moltiplicando questa per le n radici n-esime dell’unit`a.

(43)

Possiamo ora definire la potenza di un numero complesso con esponente razionale.

Detti m, n due interi positivi, che supporremo primi fra loro, si pone come nel caso dei numeri reali

zm/n = √n zm, z−(m/n) = 1

zm/n = 1

n

zm (per z 6= 0);

`e inteso che queste operazioni non danno un risultato unico, ma ne danno n.

Anche per queste potenze con esponente razionale vale la formula:

[ρ(cos ϕ + i sin ϕ)]m/n = pn

ρm(cos mϕ + i sin mϕ) ossia

[ρ(cos ϕ + i sin ϕ)]m/n = ρm/n



cos mϕ + 2kπ n



+ i sin  mϕ + 2kπ n



, (k = 0, 1, 2, . . . , n − 1).

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