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L'equilibrio tra anabolismo e catabolismo della matrice extracellulare e la vitalità delle cellule residenti sono di fondamentale importanza per il mantenimento della salute dei tessuti connettivi specializzati quali cartilagini, tendini e legamenti

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Nel cavallo sportivo le lesioni di tendini e legamenti dovute sia ad un trauma acuto che a lesioni da sollecitazioni ripetute esitano in lunghi periodi di invalidità e di inattività fisica. Con la guarigione di tali lesioni spesso non si ha la restituito ad integrum delle caratteristiche funzionali e morfologiche precedenti al trauma; per questo motivo spesso si osserva un calo delle performance atletiche ed una elevata incidenza di recidive.

In termini generali, la struttura di tendini e legamenti è molto simile:

microscopicamente, infatti, questi tessuti sono composti da una componente cellulare rappresentata da fibroblasti specializzati chiamati tenociti e miofibroblasti immersi in un collagene tipo I e in una matrice extracellulare che contiene glucosaminoglicani. I tenociti sono responsabili della produzione e del mantenimento della matrice extracellulare che li circonda. La distribuzione e la densità delle cellule in relazione alla matrice sembra essere diversa da tendine a tendine: esiste infatti una diversa distribuzione tra il tendine flessore equino e il legamento sospensore.

L'equilibrio tra anabolismo e catabolismo della matrice extracellulare e la vitalità delle cellule residenti sono di fondamentale importanza per il mantenimento della salute dei tessuti connettivi specializzati quali cartilagini, tendini e legamenti.

Fattori come la conformazione, l’età, il livello di esercizio, l’inadeguato allenamento, l’inappropriato appoggio o traumi acuti e cronici, cause dirette di lesioni alle fibre tendinee, sono implicati nella fisiopatologia di queste lesioni:

possono aumentare la domanda metabolica di queste strutture, e le cellule residenti possono anche morire per apoptosi o non riuscire a produrre una matrice extracellulare di una qualità abbastanza buona. Il risultato di questi processi inadeguati è un tessuto malato che non risponde alle richieste della locomozione animale e che è fortemente predisposto ad ulteriori lesioni.

Il trattamento sintomatico di queste patologie con farmaci classici come corticosteroidi o farmaci antinfiammatori non steroidei, fans, può essere dannoso per pazienti con problemi muscolo-scheletrici degenerativi cronici. Recentemente sono stati suggeriti nuovi approcci terapeutici per il trattamento delle lesioni articolari e

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tendineo-legamentose come l'uso di fattori di crescita ricombinanti, terapia genetica o cellule staminali mesenchimali (MSC).

Nel cavallo l'uso dell’Insuline like Growth Factor-I (IGF-I) equino ricombinante per il trattamento della tendinopatia del tendine flessore digitale superficiale è stato valutato sperimentalmente e il risultato della ricerca sembra incoraggiante. È molto importante considerare che i fattori di crescita ricombinanti sono molto costosi, sono richieste dosi consecutive e gli effetti positivi non sono ancora stati valutati. L'uso delle cellule staminali mesenchimali (MSC) o l'iniezione di midollo osseo autologo sono stati proposti per il trattamento di cavalli con tendinopatie del tendine flessore digitale superficiale e desmopatie del legamento sospensore del nodello.

Il midollo osseo contiene cellule staminali mesenchimali e fattori di crescita che stimolano la riparazione dei tessuti molli muscolo-scheletrici. Comunque l'uso del midollo osseo non è esente da effetti collaterali, come una calcificazione eterotopica post-inoculazione o come l'introduzione di spicole ossee. In questo senso l'uso dell’espanso autologo purificato di cellule staminali mesenchimali per il trattamento delle lesioni muscolo-scheletriche croniche nel cavallo può essere un'opzione più idonea, nonostante questo trattamento sia più costoso e le informazioni circa i suoi utilizzi ed effetti collaterali siano ancora limitate.

L'uso delle cellule staminali mesenchimali ha le stesse restrizioni dei fattori di crescita, sebbene sia ipotizzato che queste producono effetti rigenerativi e che non sia necessario un uso ripetuto. La terapia genetica sembra essere incoraggiante, comunque devono essere risolti, prima dell'utilizzo clinico, molti problemi correlati alla biologia dei vettori virali, alla transitoria espressione di geni e alle reazioni avverse immunologiche.

Un nuovo approccio terapeutico è rappresentato dal concentrato piastrinico, PRP (Platelet Rich Plasma), che è un'importante fonte di fattori di crescita autologhi ed è usato in medicina umana soprattutto per migliorare la ricostruzione alveolo- mascellare, in chirurgia plastica e ortopedica. Inoltre è usato per il trattamento delle tendinopatie del tendine di Achille e di altre lesioni ai tessuti molli muscolo-

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scheletrici e per il trattamento di gravi artropatie come osteoartriti e artrite reumatoide, con risultati incoraggianti.

Le piastrine contengono un elevato numero di fattori di crescita, stoccati nei loro α granuli, che vengono rilasciati in seguito all’attivazione piastrinica; di particolare importanza per la guarigione tissutale è la grande quantità di Transforming Growth Factor-β (TGF-β1, TGF-β2), Fattori di crescita derivati dalle piastrine (PDGF-AA, PDGF-BB, PDGF-AB), Fattore di crescita insulino-simile (IGF-I), Fattore di crescita epidermico (EGF), Fattore di crescita degli epatociti (HGF), rilasciati nel torrente ematico in seguito ad attivazione.

Questi ed altri fattori di crescita agiscono in sinergia per aumentare l’infiltrazione di neutrofili e macrofagi, per promuovere angiogenesi, fibroplasia, deposizione di matrice e riepitelizzazione. La concentrazione soprafisiologica di fattori di crescita presenti nel concentrato piastrinico può accelerare la riparazione delle ferite, diminuire la reazione infiammatoria e promuovere la rigenerazione piuttosto che la semplice riparazione dei tessuti danneggiati.

Gli obiettivi di questa tesi sono di:

1. passare in rassegna la letteratura scientifica riguardante l’utilizzo del PRP in medicina umana e veterinaria;

2. comparare le concentrazioni di piastrine, di globuli bianchi e di globuli rossi nel sangue intero e nelle quattro frazioni del concentrato piastrinico (PC-A, PC-B, PC-C e PC-D) ottenute durante la preparazione del concentrato piastrinico stesso utilizzando i metodi della doppia centrifugazione secondo Prades (Arguelles et al, 2006), Bertuglia (com. pers.) e secondo un nuovo protocollo da noi sperimentato;

3. esaminare gli effetti clinici dell’inoculazione intra e peri lesionale del concentrato piastrinico autologo, ottenuto secondo il metodo Bertuglia, nel trattamento di pazienti equini con patologie muscoloscheletriche.

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1 RUOLO PRIMARIO DELLE PIASTRINE

1.1 Introduzione

Le piastrine giocano un ruolo molto importante nella riparazione delle ferite dato che secernono molte molecole coinvolte in questo processo, tra cui i fattori di crescita fondamentali per permettere un corretto processo di guarigione delle ferite.

Questi includono tre isomeri dei Fattori di crescita derivati dalle piastrine (PDGF AA, PDGF BB e PDGF AB, due dei numerosi TGF-β (TGF-β1 e TGF-β2), Fattore di crescita epidermico (EGF), Fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF), Fattore di crescita insulino-simile (IGF) e Fattore di crescita degli epatociti (HGF) (Marx, 2004).

Questi peptidi provocano chemiotassi, proliferazione cellulare e differenziazione, neovascolarizzazione e deposizione di matrice extracellulare favorendo la risoluzione dell'infiammazione e la guarigione delle ferite.

Il plasma ricco di piastrine (PRP) è un concentrato autologo di piastrine in un piccolo volume di plasma; poiché le piastrine sono sospese in un piccolo quantitativo di plasma, PRP è più che un semplice concentrato di piastrine, infatti contiene anche tre proteine del sangue note perché agiscono come molecole di adesione cellulare e come matrice per tessuto osseo, connettivo e per la migrazione epiteliale. Queste molecole sono la fibrina, la fibronectina e la vitronectina.

L'uso del concentrato di piastrine autologo mira ad accelerare la riparazione delle ferite e a diminuire l'infiammazione legata al trauma. Ha inoltre lo scopo di stimolare la capacità rigenerativa del tessuto danneggiato, evitando la produzione di tessuto di riparazione e di una cicatrice non funzionale.

In medicina umana ci sono dati che supportano gli effetti positivi del concentrato di piastrine nella chirurgia maxillo-facciale, plastica, oftalmica, odontoiatrica e ortopedica. Sono state sviluppate molte procedure per concentrare il maggior numero di piastrine; tuttavia la dose ottimale di piastrine che dovrebbe essere usata in queste procedure chirurgiche rimane ancora sconosciuta.

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Le piastrine sono note per il loro importante ruolo nell’emostasi, perché aiutano a prevenire perdite ematiche nei siti di lesioni vasali.

Per questo esse aderiscono, si aggregano e formano una superficie coagulante portando alla formazione di trombina e di fibrina; le piastrine, inoltre, rilasciano sostanze che promuovono la riparazione tissutale e che influenzano la reattività di altre cellule ematiche nell’angiogenesi e nell’infiammazione (Anitua et al, 2004).

La riparazione delle ferite è un processo diretto da una miriade di meccanismi cellulari e molecolari. Molte cellule sono coinvolte nella cicatrizzazione e producono, o sono sensibili, a moltissime molecole (citochine, fattori di crescita, eicosanoidi) che consentono, in condizioni fisiologiche, la cicatrizzazione o addirittura la rigenerazione dei tessuti danneggiati.

Le piastrine sono fondamentali nel processo di cicatrizzazione, dato che questi frammenti citoplasmatici possiedono non solo proprietà emostatiche, ma anche proprietà pro-infiammatorie, regolatorie e rigenerative mediate da interazione con cellule (neutrofili, cellule endoteliali) e da liberazione di fattori di crescita, chemochine e altre molecole regolatorie.

L'uso del concentrato di piastrine nell’ippiatria sembra essere incoraggiante nel trattamento di lesioni agli arti e di patologie muscolo-scheletriche croniche.

L'obiettivo è di descrivere come il concentrato di piastrine possa potenzialmente essere utile nel cavallo per migliorare il processo di riparazione dei diversi tessuti compresi cartilagini, tendini e legamenti.

1.2 Genesi, anatomia e fisiologia delle piastrine

Le piastrine sono frammenti citoplasmatici di una cellula progenitrice midollare multinucleata, il megacariocita.

I megacariociti sono i precursori delle piastrine; queste cellule si sviluppano a loro volta da progenitori multipotenziali CD 34+, cellule mieloidi che risiedono nel tessuto emopoietico e nel sangue.

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I megacariociti rappresentano approssimativamente lo 0.1-0.5% delle cellule nucleate del midollo, sono situati sotto le anse capillari nel midollo ed emettono prolungamenti citoplasmatici, le propiastrine, che sono in contatto con il sangue.

Questi prolungamenti vengono sezionati e le piastrine sono quindi rilasciate nel torrente sanguigno (Hartwig, Italiano, 2003).

Figura 1. A sx: Immagine al microscopio elettronico di una propiastrina. Notare il rilascio

piastrinico alla fine della propiastrina (freccia bianca). A dx: Rappresentazione schematica del rilascio piastrinico dalla propiastrina.

La proliferazione dei megacariociti è un passo necessario per la genesi delle piastrine.

La trombopoiesi è regolata da un fattore presente nel siero, la trombopoietina, che è in grado di aumentare non solo la produzione di piastrine, ma anche la proliferazione dei megacariociti.

Anche le interleuchine (IL-3, IL-6 e IL-11) hanno attività trombopoietica.

I megacariociti maturi subiscono costanti espansioni citoplasmatiche che vengono riempite con proteine del citoscheletro (α e β tubulina, actina, miosina, proteine leganti l’actina (ABP), gelosina, profilina, talina, vinculina e tropomiosina), con granuli specifici e sistemi di membrana. Nonostante sia riconosciuto che le piastrine

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originano da prolungamenti citoplasmatici dei megacariociti, il meccanismo fisiologico con cui le piastrine vengono prodotte non è ancora ben conosciuto (Hartwig, Italiano, 2003).

Figura 2. Rappresentazione schematica della disposizione delle diverse componenti piastriniche rilasciate dalla propiastrina.

Le piastrine sono frammenti cellulari secretori senza nucleo; quelle umane sono di forma discoidale, di dimensioni comprese tra 1 e 4 micron di diametro e di 1 micron di spessore.

Nel soggetto normale il numero di piastrine varia da 150.000 a 400.000/mm3.

Le piastrine equine sono frammenti citoplasmatici discoidi anucleati lunghi 5-7 micron e larghi 1-3 micron, nonostante in alcuni casi vengano repertate nel torrente circolatorio piastrine larghe più di 20 micron.

Le piastrine appena immesse in circolo sono più grandi e hanno attività emostatica maggiore rispetto alle piastrine circolanti mature. Esse sopravvivono in circolo per circa 10-12 giorni (emivita 5-6 giorni) e successivamente vengono sequestrate dagli

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organi emocateretici e fagocitate dal sistema dei fagociti mononucleati (Hartwig, Italiano, 2003).

1.3 Membrana piastrinica

La membrana piastrinica è composta da tre strati: il glicocalice, lo strato fosfolipidico e lo strato submembranoso (Tablin, 2000).

Il glicocalice è lo strato più esterno costituito da polisaccaridi e lipo/glicoproteine, contiene recettori glicoproteici coinvolti nell'attivazione e nell’adesione piastrinica. Le glicoproteine costituiscono gli antigeni della membrana piastrinica e sono divise in tre famiglie: integrine, proteine ricche in leucine e selectine. Le principali glicoproteine sulla superficie esterna delle piastrine sono il Recettore del collageno, il Recettore della fibronectina, il Recettore della vitronectina, il Recettore del fibrinogeno, il Recettore della laminina e il Recettore del Fattore di von Willebrand. (Tablin, 2000).

Un doppio strato fosfolipidico, con proprietà anticoagulanti, costituisce lo strato centrale della struttura che è identica a quella di altre cellule, con proteine transmembrana e proteine periferiche che agiscono come recettori di membrana.

I fosfolipidi sono posizionati formando un doppio strato con le proiezioni polari rivolte all'esterno.

Lipidi carichi negativamente, aminofosfolipidi (fosfatidilserine (PS)) e fosfatidil etanolamina (PE) costituiscono la porzione più interna della membrana fosfolipidica.

Fosfolipidi neutri (fosfatidilcolina (PCh) e sfingosina) sono presenti nello strato più esterno della membrana fosfolipidica.

Altri lipidi sono presenti dentro la membrana: fosfatidil inositolo e lisolectina.

La parte più interna, lo strato submembranoso, è una parte del citoscheletro e lega alcune glicoproteine dello strato più esterno (Tablin, 2000).

La membrana si estroflette formando un sistema di invaginazioni che costituiscono il sistema canalicolare aperto che determina un aumento di superficie

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per gli scambi con l’esterno e quindi una rapida via di secrezione dei granuli al momento dell’attivazione piastrinica.

Figura 3. Immagine al microscopio elettronico di una piastrina umana attivata. Notare

l'emissione degli pseudopodi. a) I granuli piastrinici, soprattutto α granuli, sono centralizzati prima del rilascio. b) Vacuoli di glicogeno.

1.3.1 Integrine

Le integrine sono proteine coinvolte in un gran numero di interazioni cellulari. Insieme alle piastrine favoriscono aggregazione e adesione.

La struttura base delle integrine è costituita da due subunità, α e β, che non sono unite covalentemente.

Le integrine sono connesse internamente con il citoplasma delle piastrine da una singola coda C-terminale ed esternamente con il medium da diverse subunità con dominii extracellulari (N-terminali).

La porzione più interna delle integrine è associata a proteine segnale (proteine G e tirosina chinasi) e fosfoinositidi.

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Le subunità più importanti delle integrine nelle piastrine sono β1 e β2. L’unità β1 è associata a tre differenti subunità α. La subunità β3 è collegata alla glicoproteina IIb- IIIa e al Recettore della vitronectina. La glicoproteina IIb-IIIa, anche conosciuta come P-selectina e Recettore per il fibrinogeno, è la principale integrina delle piastrine dei megacariociti; questa glicoproteina è presente sulla superficie degli α-granuli e interagisce con il fibrinogeno, con il fattore di von Willebrand, con la fibronectina e con la vitronectina. L’ esternalizzazione di questa glicoproteina è correlata con l'attivazione piastrinica (Carmona, 2006).

1.3.2 Glicoproteine ricche in leucina e altri recettori piastrinici

Le glicoproteine ricche in leucina, soprattutto la GP Ib-IX-V, contribuiscono alla formazione della carica negativa sulla superficie delle piastrine. Queste glicoproteine hanno due subunità, GPIbα e GPIbβ. I domini più esterni hanno recettori per la trombina e per il fattore di von Willebrand. La coda citoplasmatica più interna è associata all’ABP.

Quando il fattore di von Willebrand si lega a queste glicoproteine c'è un aumento del calcio nel citoplasma e l'attivazione della fosfatidil inositolo-3-chinasi.

Questi fenomeni producono l'attivazione della fosfolipasi A2 e la sintesi degli eicosanoidi chiamati trombossani A2.

Altri recettori di membrana delle piastrine includono recettori per la trombina, per le immunoglobuline e per la trombospondina (Carmona, 2006).

1.4 Citoplasma delle piastrine

Il citoplasma piastrinico è costituito dalle stesse proteine citoplasmatiche dei megacariociti.

Nelle piastrine sono presenti due tipi di actina, globulare e filamentosa, che costituiscono la rete citoplasmatica. I filamenti di actina agiscono come un supporto strutturale per i differenti granuli piastrinici e per i mitocondri. La risposta piastrinica è mediata da un'attività contrattile grazie alla polimerizzazione di actina-miosina. I

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tubuli citoplasmatici mantengono la forma discoidale delle piastrine e dirigono i movimenti generati da actina-miosina. L'adeguato assemblaggio del citoscheletro piastrinico è fondamentale per la centralizzazione dei granuli, la secrezione e la retrazione del coagulo (Carmona, 2006).

1.5 Granuli piastrinici

Le piastrine dei mammiferi contengono tre tipi di granuli: lisosomiali, densi, detti anche granuli δ, e α granuli (Hartwig, Italiano, 2003).

I granuli lisosomiali contengono idrolasi acide, guanina, fosfolipasi e chinasi che agiscono come enzimi proteolitici e idrolitici (Tablin, 2000).

I granuli densi rappresentano il sito di deposito dei nucleotidi adenilici, infatti immagazzinano ADP e ATP; inoltre contengono calcio, fosforo e serotonina. L’ADP induce la migrazione piastrinica e, insieme alla serotonina, provoca contrazione delle arterie danneggiate.

L’ATP antagonizza l’azione dell’ADP.

I granuli densi sono meno numerosi degli α granuli.

Gli α granuli contengono proteine adesive, fattori della coagulazione, fattori fibrinolitici, fattori di crescita mitogeni, citochine, chemochine, regolatori dell’angiogenesi, antiproteasi, proteine ad azione battericida e glicoproteine di membrana.

Sono molte le proteine adesive: fibrinogeno (fg), fibronectina (Fn), vitronectina (Vn) e trombospondina-1 (TSP-1). Durante il processo dell’emostasi una parte di questi fattori si attacca ai recettori piastrinici e partecipa direttamente alla formazione del trombo.

Il fibrinogeno potenzia l’effetto dell’interleuchina-3 sui progenitori emopoietici dell’uomo; fibronectina e vitronectina prendono parte alla guarigione delle ferite.

Riguardo alle proteine fibrinolitiche, il PAI-1 è il fisiologico inibitore dell’attivatore del plasminogeno tissutale, principale induttore della fibrinolisi

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vascolare; il PAI regola la fibrinolisi e può attaccarsi alla vitronectina migliorando le interazioni matrice-cellulari.

L’osteonectina è un’altra proteina che deriva dalle piastrine, ma che è secreta anche dagli osteoblasti; essa è in grado di formare un complesso con il plasminogeno e di ancorarlo al collagene.

Gli α granuli contengono soprattutto sette fattori di crescita direttamente implicati nella guarigione delle ferite: Fattori di crescita derivati dalle piastrine (PDGF), Transforming growth factor (TGF-β1,TGF-β2), Fattore di crescita epidermico (EGF), Fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF), Fattore di crescita insulino-simile (IGF-I) e Fattore di crescita degli epatociti (HGF) (Anitua et al, 2004).

1.5.1 Fattori di crescita derivati dalle piastrine: PDGF

I PDGF vennero chiamati così perché sono stati i primi fattori di crescita riconosciuti nelle piastrine; stoccati negli α granuli, i PDGF si possono trovare anche in altre cellule, come macrofagi, cellule endoteliali, monociti, fibroblasti e nella matrice ossea (Anitua, 1999).

PDGF è un polipeptide cationico da 28 a 31 KD composto da due catene (A e B); le due catene danno luogo a tre combinazioni dimeriche: -AA, -AB, -BB.

PDGF è stoccato negli α granuli delle piastrine ed è rilasciato in seguito all’esposizione delle piastrine ad agenti attivatori come la trombina, il collagene e l’adenosina di fosfato durante la coagulazione.

Dopo il rilascio, le isoforme di PDGF interagiscono con recettori di membrana sulla superficie di cellule target; sono stati identificati due tipi di recettori per PDGF (PDGFRs): α e β, aventi specifiche attività per le diverse forme dimeriche di PDGF (Mannaioni et al, 1997).

Il recettore α si lega sia alle catene A che alle B, invece il recettore β solo alla catena B. Entrambi i recettori inducono una risposta mitogena; i recettori β mediano la stimolazione della chemiotassi. PDGF favoriscono l’angiogenesi attraverso

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l’attivazione dei macrofagi che secernono fattori inducendo le cellule endoteliali a formare nuovi capillari (Anitua, 1999).

I PDGF favoriscono la proliferazione di fibroblasti, la migrazione epiteliale, la vascolarizzazione e l’infiltrazione di neutrofili.

I PDGF sono up regolati dal fattore di crescita fibroblastico (FGF) durante il normale processo di guarigione delle ferite.

1.5.2 Transforming growth factors β: TGF-β

La famiglia dei TGF-β comprende tre isoforme: TGF-β1, TGF-β2, TGF-β3. Esse regolano molti processi biologici che includono proliferazione cellulare, sintesi di matrice extracellulare (ECM), angiogenesi, risposta immunitaria, apoptosi e differenziazione cellulare (Huang S, Huang J, 2005).

I TGF-β sono prodotti dai macrofagi, linfociti, cellule endoteliali, fibroblasti, astrociti, osteoblasti, osteoclasti e piastrine.

Le diverse attività biologiche delle isoforme di TGF-β sono mediate da specifici recettori sulla superficie cellulare, i TβRs che includono i tipi : -I, -II, -III, -IV, -V e -VI (Huang S, Huang J, 2005).

TGF-β1 e TGF-β2 sono i fattori di crescita più caratteristici delle piastrine (Anitua et al, 2004).

I TGF-β sono secreti come latenti (LTGF-β) e richiedono attivazione in una forma matura per legarsi ai recettori e conseguentemente per attivare la trasmissione del segnale.

I TGF-β possono anche essere attivati da proteasi come plasmina e trombina o da interazioni fisiche con proteine come la trombospondina-1 o le integrine. Anche l’ossido nitrico attiva il TGF-β (Carmona, 2006).

Il TGF-β è una molecola pleiotropa che può stimolare o inibire la proliferazione cellulare, la differenziazione, la motilità, l’adesione o la morte in base al tipo e allo stadio di sviluppo delle cellule: infatti, il TGF-β inibisce la crescita di molti tipi cellulari, tra cui cellule epiteliali, endoteliali, fibroblasti embrionali e cellule

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emopoietiche, ma stimola la crescita di alcune cellule mesenchimali, come i fibroblasti cutanei (Huang S, Huang J, 2005).

Questo peptide ha un’azione importante sulla sintesi di matrice extracellulare, dato che regola l’espressione del collagene fibrillare e della fibronectina.

E’ importante sottolineare che il TGF-β è fondamentale nella regolazione del sistema immunitario dato che regola molte tappe dell’apoptosi, della selezione, dell’attivazione e della clearance delle cellule T (Carmona, 2006).

Il TGF-β svolge una funzione importante per la guarigione delle ferite, e la sua espressione bilanciata è necessaria per la formazione di una cicatrice ottimale, dato che quando il TGF-β, soprattutto il TGF-β1, è patologicamente up regolato si forma o una cicatrice ipertrofica o un cheloide cicatriziale.

Dall’altro lato TGF-β3 ha proprietà antifibrotiche ed è up regolato durante lo sviluppo fetale.

Il TGF-β1 quando si lega a TβR-I provoca proliferazione cellulare; quando si attacca a TβR-II induce sintesi di ECM (Braun et al, 2002).

I TGF β1 equino e umano hanno un’ omologia sequenziale aminoacidica del 99%.

1.5.3 Fattore di crescita epidermico: EGF

Il Fattore di crescita epidermico è costituito da una singola catena polipeptidica prodotta da cellule epiteliali, fibroblasti e piastrine. Questo peptide e TGF-α si legano a un singolo recettore specifico (EGFR) che può dare avvio a processi come la guarigione delle ferite, lo sviluppo e differenziazione del sistema nervoso centrale.

EGF è fortemente espresso nel margine delle ferite promuovendo riepitelizzazione (Calvin, 1998).

EGF è rilasciato dalle piastrine ed è chemotattico per i fibroblasti; l’applicazione topica accelera il grado di rigenerazione epidermica e aumenta la resistenza tensile della ferita.

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La sequenza dell’EGF è stata determinata e presenta omologia del 60-70%

con quella umana.

1.5.4 Fattore di crescita vascolare endoteliale: VEGF

Il VEGF appartiene alla famiglia del gene VEGF che include fattori di crescita placentari, VEGF-B, -C, -D e due proteine VEGF like.

Il VEGF, altrimenti conosciuto come VEGF-A, ha quattro isoforme predominanti:

VEGF121, VEGF165, VEGF189 e VEGF206.

Cellule endoteliali vasali e piastrine producono VEGF. VEGF-A produce i suoi effetti biologici quando si lega a due recettori tirosina chinasi VEGFR-1 e -2.

VEGF ha effetti di proliferazione su cellule vascolari endoteliali con un effetto pro-survival su queste cellule (Braun et al, 2002); inoltre VEGF promuove la proliferazione del pigmento epiteliale della retina, delle cellule del dotto pancreatico e delle cellule di Schwann in vitro (Carmona, 2006).

VEGF è un potente peptide angiogeno nell'embriogenesi, nello stadio adulto e nella carcinogenesi. VEGF-A è fondamentale per la formazione dell'osso encondrale e la sua down regulation è correlata a difetti di crescita e sviluppo scheletrico.

Nella guarigione delle ferite, VEGF promuove l'arrivo di cellule dell'infiammazione (Calvin, 1998).

Fino ad ora la sequenza del Dna dell’EGF equino non è stata ancora determinata.

1.5.5 Fattore di crescita dei fibroblasti: FGF

FGF rappresenta una grossa famiglia di polipeptidi con un'alta affinità per l’eparina.

I fattori di crescita dei fibroblasti agiscono legandosi e attivando i recettori FGF tirosina chinasi (FGFRs). L'interazione FGF-FGFR e il segnale sono regolati da un’espressione spaziale e temporale di proteoglicani endogeni eparina solfato.

Sono state identificate sette isoforme di FGF (1, 2, 4, 7, 9 e 19). Tuttavia FGF-1 è il peptide più studiato nella riparazione delle ferite (Braun et al, 2002).

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FGF promuove angiogenesi e crescita di nuovi vasi sanguigni originati dalla vascolarizzazione preesistente. FGF-1 è un fattore angiogeno più potente di VEGF e di PDGF.

FGF-1 induce proliferazione di fibroblasti, di cheratinociti, di cellule endoteliali e di cellule muscolari lisce; controlla anche la deposizione di ECM insieme al TGF-β dato che down regola la sintesi del collagene tipo I (Braun et al, 2002).

FGF-1 promuove la rigenerazione retinica e l’estensione assonale.

1.5.6 Fattori di crescita insulino-simili: IGF

I Fattori di crescita insulino-simili sono due molecole (IGF-I e IGF-II) della famiglia dell'insulina prodotte da molti tessuti, specialmente dal fegato.

Il plasma sanguigno è la principale riserva di IGF.

IGF-I è catturato da un meccanismo di endocitosi prima del suo stoccaggio nelle piastrine (Anitua et al, 2004).

Una volta liberato in circolo, si lega a sei speciali proteine chiamate IGF-BPs, che ne aumentano l’emivita plasmatica (da 10 minuti a 3/4 ore) e ne modulano l’azione biologica.

Tessuti di animali giovani esprimono IGF-I in abbondanza, ma i suoi livelli diminuiscono negli animali adulti.

L’IGF-I è un fattore autocrino a singola catena che ha bisogno di specifici recettori per esplicare la propria azione: gli IGF-I-Rs che si concentrano soprattutto in alcuni tessuti come quello muscolare, osseo, cartilagineo, cutaneo, nervoso e renale.

L’IGF-I è un potente mitogeno e stimola la produzione di ECM, collagene e proteoglicani (Dahlgen et al, 2002).

L’IGF-I può migliorare la guarigione tendinea, dato che studi hanno dimostrato che l’IGF-I endogeno gioca un ruolo importante nell’omeostasi del tessuto tendineo (Dahlgen et al, 2002).

Il fattore di crescita insulino-simile è un potente peptide anabolico di fondamentale importanza nel processo di guarigione delle ferite.

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Ha una spiccata omologia sequenziale tra cavallo e uomo.

1.5.7 Fattore di crescita epatocitario: HGF

Il Fattore di crescita epatocitario è una proteina legante l'eparina che agisce primariamente su cellule endoteliali ed epiteliali, ma anche su cellule progenitrici di cellule emopoietiche con azione mitogena.

Ha effetti angiogeni dato che aumenta l'espressione del VEGF.

HGF e VEGF mostrano un'azione sinergica sulle cellule endoteliali e sulla tubulogenesi, effetto che non si ha con nessun altro fattore di crescita da solo (Anitua et al, 2005).

HGF è inoltre implicato nella neo vascolarizzazione patologica delle ferite cutanee e nella formazione di tessuto di granulazione esuberante; ha anche un ruolo importante nello sviluppo di organi embrionali e nella rigenerazione di organi adulti (Anitua et al, 2005).

1.5.8 Chemochine piastriniche

Le chemochine, o citochine chemiotattiche, sono proteine che inducono attrazione cellulare.

Questi peptidi possono essere classificati come citochine housekeeping (costitutive) e infiammatorie (inducibili), tuttavia alcune di esse hanno un doppio ruolo. Le inducibili sono cruciali durante l'infiammazione: prodotte ai lati del tessuto danneggiato, agiscono sui globuli bianchi inducendo migrazione e rilascio (Mannaioni et al, 1997). Le costitutive sono prodotte nei tessuti senza la necessità di uno stimolo infiammatorio.

Questi peptidi sono soprattutto responsabili di diversi processi fisiologici comprendenti sviluppo, angiogenesi e apoptosi e agiscono attraverso sette recettori di membrana che sono inducibili o costitutivi.

Le piastrine contengono due specifiche chemochine: PF-4 e β-TG. Altre chemochine non specifiche rilasciate dalle piastrine includono IL-8, oncogene α regolatore di crescita (GRO-α), proteina 78 che attiva i neutrofili (ENA-78), proteina

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infiammatoria macrofagica 1-α (MIP1-α) e proteina chemotattica monocitaria -3 (MCP-3) (Carmona, 2006).

Le chemochine non solo giocano un ruolo importante nell’ attivazione delle piastrine, ma influenzano anche la natura dell'infiltrazione leucocitaria delle zone danneggiate o infettate (Mannaioni et al, 1997).

Le piastrine non sono l'unica fonte di fattore piastrinico-4 (PF-4), che è infatti anche prodotto da linfociti T attivati e mastociti.

Il principale recettore per il PF-4 è il condroitin solfato. Questa chemochina provoca chemiotassi leucocitaria e anche la stretta adesione dei neutrofili alle cellule endoteliali. Questo forte contatto cellulare induce esocitosi del contenuto del granulo secondario (Mannaioni et al, 1997).

PF-4 è un potente peptide anti-angiogenesi dato che inibisce la proliferazione delle cellule endoteliali, la migrazione e l’angiogenesi in vitro e in vivo legando proteoglicani e interferendo con l'effetto proteoglicano-spettatore sull'attività dei fattori di crescita.

In più il PF-4 è in grado di interagire direttamente con fattori di crescita angiogeni come il FGF o il VEGF e inibisce la loro interazione con i recettori di superficie cellulare. Questo peptide può inoltre attivare recettori di superficie cellulare sulle cellule endoteliali e indurre segnali inibitori per l'angiogenesi (Mannaioni et al, 1997).

Il PF-4 inibisce l'apoptosi dei monociti, induce la differenziazione di queste cellule in macrofagi e la liberazione di istamina dai basofili.

Le β-tromboglobuline sono tre peptidi immagazzinati soprattutto nelle piastrine. Queste chemochine producono chemiotassi neutrofila e degranulazione di granuli primari e secondari. Comunque, nell'ultimo stadio dell'infiammazione, le β-tromboglobuline desensibilizzano la degranulazione neutrofila e agiscono come proteine antinfiammatorie.

Tutte le chemochine specifiche delle piastrine producono inibizione nella megacariocitopoiesi (Mannaioni et al, 1997).

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19 1.5.9 Eicosanoidi piastrinici

Le piastrine rilasciano eicosanoidi derivanti dall'acido arachidonico che proviene dai fosfolipidi di membrana.

Il trombossano A2 (TXA2) è un importante vasocostrittore rilasciato durante il danno vascolare ed è anche coinvolto nella risposta proliferativa vascolare indotta da un danno vasale.

Importante è anche la sfingosina-I-fosfato, lipide bioattivo in grado di stimolare l’espressione del Fattore Tissutale sulle cellule endoteliali.

Il fattore attivante le piastrine (PAF) è un lipide chemotattico che media l’arresto dei leucociti e l'attivazione sulle cellule endoteliali o sulle piastrine aderenti attraverso un meccanismo GPIIb-IIIa-dipendente (Carmona, 2006).

1.6 Risposta piastrinica

In seguito al danno vascolare, le piastrine sono esposte al sottoendotelio, cioè al collageno, e questo, insieme ad altri fattori, ne determina l’attivazione. La risposta piastrinica comporta mutamenti di ordine biochimico, strutturale e morfologico delle piastrine stesse.

La risposta delle piastrine ad uno stimolo è dovuta all’intervento coordinato della membrana, dei granuli e del citoscheletro e può essere suddivisa in varie fasi che tendono a sovrapporsi:

- adesione e attivazione

- cambiamento di forma (shape change) - secrezione dei granuli (release reaction) - trasduzione del segnale

- aggregazione

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20 1.6.1 Adesione ed attivazione piastrinica

Per adesione si intende la capacità delle piastrine di legarsi al sottoendotelio esposto in seguito al danno endoteliale, essenzialmente al collageno. Ciò determina l'attivazione piastrinica con innesco delle vie di trasduzione del segnale.

Le piastrine circolanti, in conseguenza alla riduzione della velocità del flusso sanguigno, secondaria ai fenomeni di vasocostrizione della fase vascolare dell’emostasi, si spostano dal centro alla periferia del vaso (“marginazione delle piastrine”) e possono quindi con più facilità aderire alle strutture esposte in seguito alla lesione vasale.

Il processo di adesione, come pure l’aggregazione piastrinica, dipende dalla presenza di molecole di adesione presenti sulla superficie delle piastrine, che, per la maggior parte, appartengono alla superfamiglia delle integrine. Le integrine sono molecole composte da due catene peptidiche unite da un legame non covalente, denominate α e β. Esistono vari tipi sia di catene α che di catene β: la diversità fra le integrine è data dalle varie combinazioni delle differenti isoforme delle due catene.

Alcune di queste molecole sono presenti in forma funzionale sulle piastrine circolanti: è il caso dell’integrina GPIa/GPIIa (detta anche VLA2: “very late antigen”) che ha la capacità di legarsi al collageno. E’ quindi funzionalmente inerte quando l’endotelio è integro, ma inizia l’adesione piastrinica al sottoendotelio quando il collageno è esposto come conseguenza di una lesione endoteliale.

Anche altre molecole di adesione partecipano a questo processo legandosi a molecole presenti nel sottoendotelio, come la fibronectina e la laminina (GPIc/IIa o VLA-6, che si lega alla laminina e GPIc*/IIa o VLA-5, che si lega alla fibronectina). Questo iniziale processo di adesione non è però sufficiente a impedire la rimozione delle piastrine adese da parte della corrente sanguigna.

Perchè si abbia una adesione più stabile è necessario l’intervento di un’altra molecola di adesione, che non è un’integrina ma una glicoproteina ricca di leucina, denominata GPIb. Questa ha la capacità di legare un fattore solubile, il “fattore di von Willebrand”. Questo fattore è normalmente presente nel plasma sanguigno (dove assolve la funzione di veicolare il fattore VIII della coagulazione sanguigna: per

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questa sua proprietà è chiamato anche fattore VIII-R (dove la lettera R sta per

“related”, cioè correlato), ma è anche molto abbondante a livello della zona di lesione endoteliale, dato che è prodotto dalle cellule endoteliali (nelle quali è normalmente presente all’interno dei corpi di Weibel-Palade), e costituisce, interagendo con il collageno esposto, un ponte fra la molecola GPIb delle piastrine ed il sottoendotelio. Rappresenta perciò una specie di collante. Tale fattore è secreto in forma di multimero (peso molecolare superiore a 1 x 106 Da) e oltre a mediare l’adesione piastrinica veicola nel sangue il fattore VIII della coagulazione sanguigna.

E’ ovvio quindi che esistono diversi recettori piastrinici che, direttamente o indirettamente, mediano l’adesione piastrinica al collageno e ad altre molecole delle membrane basali. Alcuni dati dimostrano che anche la proteina adesiva trombospondina (TSP) è importante nella adesione piastrinica, in quanto serve da collante per la interazione tra il collageno e la GPIV (precedentemente identificata come GPIIIb), presente sulla superficie delle piastrine.

E’ importante sottolineare che le interazioni tra collageno, proteine adesive (vWF, TSP, fibrinogeno) e superficie piastrinica, vengono “stabilizzate” dal

“cross-linking” operato dal fattore XIII della coagulazione (http://www.med.unifi.it/didonline/AnnoIII/patogen/didattica/Emostasi.htm).

1.6.2 Cambiamento di forma delle piastrine

Con l’adesione delle piastrine al sottoendotelio nel punto di lesione viene generata una cascata di segnali che porta al cambiamento di forma delle piastrine stesse ed alla reazione di rilascio del contenuto dei granuli piastrinici.

Il cambiamento di forma consiste in una veloce trasformazione dalla classica forma discoidale della piastrina circolante a riposo ad una forma irregolarmente sferica, con pseudopodi, dapprima corti, poi sempre più lunghi, fino a rendere possibile il contatto tra piastrine vicine, assumendo un aspetto a sfera spinosa (spiny sphere).

In questo fenomeno è coinvolta la maggior parte delle molecole del citoscheletro: si ha la destrutturazione del fascio equatoriale dei microtubuli e la loro parziale

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depolimerizzazione, seguita da polimerizzazione e contrazione dei filamenti di actina associati alle membrane. Il cambiamento di forma è strettamente dipendente dall’ATP.

Se lo stimolo che ha attivato la piastrina è stato debole o di breve durata, questa riacquista rapidamente la morfologia iniziale ed è del tutto indistinguibile morfologicamente dalla piastrina che non è stata mai attivata.

Le piastrine che ritornano allo stato morfologico iniziale possono non rispondere, per un certo periodo di tempo, ad una seconda stimolazione, nemmeno se questa è di maggiore intensità rispetto alla prima (“refrattarietà piastrinica”: probabile meccanismo di controllo, che tende ad autolimitare il processo di attivazione piastrinica).

Se invece lo stimolo di attivazione è più forte, al cambiamento di forma seguono altri fenomeni, come la reazione di rilascio del contenuto dei granuli e l’aggregazione.

Dal punto di vista funzionale il cambiamento di forma ha una conseguenza importante: rende disponibile a livello della membrana piastrinica il Fattore Piastrinico 3 (FP3).

Il FP3 è un fosfolipide (fosfatidilserina) che, nella piastrina a riposo, è situato principalmente sul versante interno della membrana plasmatica ed è quindi inaccessibile: il cambiamento di forma comporta un riassetto della membrana plasmatica che espone all’esterno il FP3 (“flip-flop” delle fosfatidilserine), che è implicato in alcune reazioni della coagulazione: infatti, la membrana piastrinica particolarmente arricchita di fosfatidil-serina costituisce una superficie ottimale per l’assemblaggio dei complessi multimolecolari critici per l’avvio ed il mantenimento del processo di coagulazione (complesso tenasico e complesso pro-trombinasico) (http://www.med.unifi.it/didonline/AnnoIII/patogen/didattica/Emostasi.htm).

1.6.3 Secrezione dei granuli (release reaction)

La secrezione delle piastrine avviene subito dopo l’adesione ed è un fenomeno attivo, legato anche all’aumento della concentrazione di calcio nelle cellule, che determina il rilascio del contenuto dei granuli piastrinici all’esterno.

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Associato ai fenomeni contrattili che danno luogo al cambiamento di forma delle piastrine vi è, infatti, il trasporto dei granuli vicino al sistema canalicolare aperto (centralizzazione dei granuli), fusione della membrana del granulo con quella del canalicolo e quindi secrezione del contenuto. Il meccanismo della secrezione dei granuli è dipendente dall’energia (ATP) e dal citoscheletro.

Nei granuli sono presenti in alta concetrazione molecole capaci di mantenere ed amplificare la risposta fin qui limitata a poche piastrine. ADP, Ca++, serotonina, fibrinogeno, trombospondina e la trombina generata dalla contemporanea attivazione della coagulazione, costituiscono tutti dei potenti agonisti dell’aggregazione: la superficie piastrinica è infatti dotata di recettori per tali molecole, le quali inducono una potente risposta biochimica (trasduzione del segnale) (http://www.med.unifi.it/didonline/AnnoIII/patogen/didattica/Emostasi.htm).

1.6.4 Trasduzione del segnale (risposta biochimica)

Sinteticamente, durante l’attivazione piastrinica vengono attivati sequenzialmente gli enzimi fosfolipasi C e fosfolipasi A2, che sono situati sul versante interno della membrana piastrinica.

L’interazione del collageno con i recettori della superficie piastrinica attiva l’enzima fosfolipasi C (PLC), accoppiato a tali recettori mediante una proteina G di trasduzione. La stimolazione recettore-dipendente di tale proteina G regola positivamente l’attività della fosfolipasi C, enzima chiave delle vie di trasduzione, a sua volta in contatto con il lato citoplasmatico della membrana piastrinica.

L’attività della Fosfolipasi C sul fosfatidilinositolo (PIP2) genera due mediatori, il diacilglicerolo (DAG) e l’inositolo-trifosfato (IP3). Il DAG attiva la protein-chinasi C (PKC), responsabile della fosforilazione di una proteina di PM 47KD, chiamata plekstrina, che regola a sua volta la secrezione dei granuli piastrinici. Sembra inoltre che l’attivazione della PKC sia associata al meccanismo di

“fusione” delle integrine GPIIb e GPIIIa, le quali formano sulla superficie piastrinica una sola molecola, chiamata “complesso glicoproteico IIb-IIIa”, fondamentale per l’aggregazione piastrinica. IP3, per il quale esistono recettori sulle membrane di

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vescicole che contengono i depositi intra-piastrinici di calcio non mitocondriale, induce il rilascio degli ioni calcio nel citosol, con attivazione della cosiddetta

“myosin light chain kinase”(MLCK) . Ne consegue la fosforilazione delle catene leggere di miosina che, interagendo con l’actina, provocano un accorciamento di queste strutture fibrillari e, conseguentemente, la modificazione di forma delle piastrine e la liberazione all’esterno delle sostanze contenute nei granuli.

Tra queste sono comprese l’ADP e la serotonina, che attivano a loro volta altre piastrine ed accrescono il numero degli elementi coinvolti nell’aggregazione (meccanismo di auto-amplificazione della risposta piastrinica).

Infatti, l’ADP rilasciato dai granuli δ interagisce con propri recettori per autocrinia e paracrinia, innescando al contempo due vie di trasduzione: una accoppiata alla attivazione del ciclo del fosfatidil inositolo (come quella attivata dai recettori del collageno), ed una seconda che consiste nella attivazione “diretta” della fosfolipasi A2. E’importante sottolineare che la attivazione della fosfolipasi A2, enzima chiave per il proseguimento della risposta piastrinica, avviene, oltre che per accoppiamento al recettore dell’ ADP, anche grazie all’aumento del Ca intracitoplasmatico che aveva determinato fosforilazione della MLCK. A questo punto ci sono due alternative: se lo stimolo che ha condotto al rilascio di ADP è quantitativamente insufficiente e/o limitato nel tempo, l’inizio della aggregazione piastrinica (ponti di fibrinogeno tra complessi glicoproteici IIb/IIIa delle piastrine attivate) è reversibile e l’iniziale aggregato va incontro a dissoluzione. Se lo stimolo è di maggiore entità, esso determina la liberazione di grandi quantità di ADP ed allora la potente attivazione della fosfolipasi A2 porta alla produzione di grandi quantità di trombossano A2, che innesca cicli di trasduzione che rendono l’aggregazione irreversibile. L’attivazione della Fosfolipasi A2 (PLA2), che è un enzima calcio-dipendente è un evento critico nella attivazione piastrinica e consegue sia all’aumento del calcio citosolico indotto da IP3, sia al suo accoppiamento diretto con il recettore per ADP. L’attivazione della fosfolipasi A2 porta alla liberazione di acido arachidonico (AA) dalla posizione 2 dei fosfolipidi di membrana, dal quale nelle piastrine, per azione sequenziale degli enzimi ciclossigenasi e trombossano-

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sintetasi, ha origine il trombossano A2 (TXA2) (poiché nelle piastrine il sistema cicloossigenasico è fondamentalmente una “trombossano-sintetasi”, il solo prostanoide prodotto è il TXA2; qualunque altro prostanoide non può essere prodotto, compresa la prostaciclina, in quanto le piastrine non possiedono l’enzima prostaciclina-sintetasi, presente invece nelle cellule endoteliali, che producono così prostacicline, con attività biologiche opposte a quelle del trombossano). Con la produzione di trombossano le piastrine rilasciano il più potente agonista della aggregazione piastrinica, innescando un potente circuito autocrino/paracrino di amplificazione della aggregazione piastrinica.

Infatti, il TXA2 interagisce con i propri recettori agonisti sulla superficie piastrinica e innesca la propria via di trasduzione stimolando la fosfolipasi C (come l’ADP), e quindi tutta la cascata di reazioni da essa dipendenti: grazie all’interazione con il recettore specifico si ha una replica potenziata dell’attività dell’ADP con attivazione di PKC e quindi l’esposizione quantitativamente rilevante sulla superficie delle piastrine del complesso glicoproteico GPIIb/GPIIIa in forma attiva, che ha affinità con varie molecole circolanti, fra cui la più importante è il fibrinogeno.

Inoltre, il TXA2, una volta liberato in circolo, determina vasocostrizione locale in sinergismo con ADP, adrenalina ed altri vasocostrittori (http://www.med.unifi.it/didonline/AnnoIII/patogen/didattica/Emostasi.htm).

1.6.5 Aggregazione piastrinica

Con questo termine si indica l’adesione fra piastrine attivate e segue immediatamente l’adesione e la secrezione (è necessario sottolineare la differenza con l'agglutinazione piastrinica, in cui le piastrine aderiscono l’una all’altra non in seguito ad attivazione, ma per intervento di agenti che talvolta le fanno agglomerare passivamente, quali anticorpi, virus e, soprattutto, la ristocetina).

Le piastrine attivate possono legarsi fra loro grazie alla esposizione dei complessi glicoproteici GPIIb-IIIa, recettori del fibrinogeno. Il fibrinogeno si lega ai recettori di piastrine adiacenti formando dei veri e propri “ponti” tra piastrina e piastrina e porta quindi alla formazione di aggregati piastrinici. Nelle piastrine in

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condizione di riposo il complesso glicoproteico GPIIb/GPIIIa è presente in forma inattiva in quanto le due glicoproteine IIb e IIIa sono separate. In seguito alla stimolazione da parte di vari agonisti, in presenza di ioni calcio, si forma l’eterodimero GPIIb/IIIa, che rappresenta la forma attiva del complesso. Quindi le piastrine attivate espongono questo complesso glicoproteico in forma attiva in grado di legare il fibrinogeno, il quale a sua volta si lega ai recettori glicoproteici di piastrine adiacenti in una reazione a catena che amplifica il fenomeno dell’aggregazione piastrinica.

La trombospondina aumenta le dimensioni degli aggregati piastrinici, ed è stato proposto che essa agisca operando un “cross-linking” e quindi una stabilizzazione degli aggregati di piastrine e fibrinogeno, oppure che agisca in sinergia con il fibrinogeno nel posizionarsi a ponte tra i complessi glicoproteici GPIIb-IIIa sulla superficie piastrinica.

L’aggregazione piastrinica è un fenomeno bifasico e si può distinguere in primaria e secondaria.

L’aggregazione primaria (prima onda di aggregazione), è un’aggregazione reversibile, indotta da piccole quantità di agonisti che interagiscono con i loro recettori sulla membrana piastrinica (ADP, collageno, trombina, PAF, ecc.).

L’aggregazione secondaria (seconda onda di aggregazione) è dovuta invece sia all’interazione di grosse quantità di agonisti con i loro recettori, sia al rilascio di grosse quantità di ADP e quindi di TXA2 da parte delle piastrine attivate da piccole quantità di agonisti molto potenti. L'aggregazione primaria può mancare e possiamo avere direttamente un'aggregazione irreversibile quando l'agonista è presente in vivo o aggiunto alla sospensione piastrinica in vitro.

L’attivazione della fosfolipasi C, che è alla base dei meccanismi di trasduzione associati alla aggregazione piastrinica, è condiviso da tutti i cosiddetti

“agonisti della aggregazione”, i quali possiedono recettori associati alla fosfolipasi C.

Esiste comunque un’altra classe di recettori agonisti dell’aggregazione, i quali sono associati a proteine di trasduzione Gi in grado di inibire la attivazione della adenilato-ciclasi. Il blocco della formazione di cAMP favorisce la aggregazione

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piastrinica. Questo meccanismo pro-aggregante è comunque meno rilevante rispetto a quello correlato all'attivazione del ciclo del fosfatidilinositolo. Alcuni agonisti della aggregazione piastrinica (per es. la trombina) hanno recettori associati simultaneamente alla attivazione della fosfolipasi C ed alla inibizione della adenilato-ciclasi.

Tutti gli antagonisti della aggregazione piastrinica possiedono recettori sulla superficie piastrinica associati a proteine di traduzione Gs, con attività stimolatoria sulla adenilato-ciclasi (prostaciclina, prostaglandina D2, adenosina, adrenalina [recettori ß]) o sulla guanilato-ciclasi (ossido nitrico, NO).

Il più importante secondo messaggero inibitorio per l’aggregazione piastrinica è quindi il cAMP, il cui livello intracellulare si innalza quando la adenilato ciclasi è attivata in risposta a segnali extracellulari inibitori. Il cAMP esercita effetti inibitori pleiotropici sulle piastrine, bloccando sia l’iniziazione sia il mantenimento delle risposte stimolatorie. Esso infatti blocca il legame degli agonisti ai loro recettori, inibisce la fosfolipasi C e la conseguente formazione di DAG e IP3, inibisce la proteino-chinasi C ed antagonizza le risposte mediate dal calcio, inclusa la idrolisi dell’acido arachidonico dei fosfolipidi da parte della fosfolipasi A2. Il ruolo della attività inibitoria del cGMP (che si forma, per esempio, dalla stimolazione con l’antagonista NO), non è stato ben stabilito, ma sembra che venga inibita la attivazione della fosfolipasi C.

Si forma dapprima un aggregato piastrinico che prende il nome di tappo emostatico temporaneo o primario, che è reversibile. Successivamente, dove vi è stata adesione e aggregazione primaria si ha la formazione di un aggregato impermeabile e irreversibile, detto tappo emostatico secondario

(http://www.med.unifi.it/didonline/AnnoIII/patogen/didattica/Emostasi.htm).

1.6.6 Ruolo dei complessi immuni e del Complemento nell’ adesione e aggregazione piastrinica

I complessi immuni e gli aggregati di IgG inducono adesione, cambiamento di forma, reazione di rilascio ed aggregazione piastrinica. Inoltre, i complessi

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immuni attivano il Complemento interagendo con la componente C1q. Le piastrine possiedono recettori per il frammento Fc delle IgG e recettori per il frammento C1q del Complemento, entrambi capaci di trasdurre segnali all’interno delle piastrine.

Inoltre, il recettore per il C1q complementare è anche un recettore per il collageno.

Queste proprietà spiegano i seguenti fatti: 1) i complessi immuni mediano l’adesione piastrinica; 2) i complessi immuni inducono aggregazione piastrinica in seguito alla reazione di rilascio dei granuli piastrinici; 3) il C1q media ulteriormente l’adesione piastrinica ai complessi immuni e l’aggregazione piastrinica, stimolando la reazione di rilascio dei granuli; 4) poiché il C1q non interagisce con il collageno, esso è in grado di inibire l’adesione delle piastrine al collageno stesso e l’aggregazione indotta da collageno, mediante un legame competitivo ai recettori per il collageno, e può quindi essere considerato come un “modulatore” dell’ aggregazione piastrinica. La capacità dei complessi immuni e del C1q complementare di indurre adesione e aggregazione piastrinica è senza dubbio un momento patogenetico fondamentale nelle lesioni vascolari da deposizione dei complessi antigene-anticorpo a livello degli endoteli vascolari (reazioni di ipersensibilità del III tipo). Normalmente l’aggregazione piastrinica viene inibita da alcune sostanze come la prostaciclina (PGI2)e l’ossido di azoto (NO), di derivazione endoteliale (come tutti gli antagonisti dell’aggregazione piastrinica, anche prostaciclina ed NO agiscono innalzando i livelli di nucleotidi ciclici intra-piastrinici). PGI2 (di derivazione endoteliale) e TXA2 (di derivazione piastrinica), entrambi derivati dall’acido arachidonico, hanno azioni opposte: il primo inibisce l’aggregazione piastrinica ed è vasodilatatore, il secondo favorisce l’aggregazione ed è vasocostrittore. L’equilibrio fra PGI2 endoteliale e TXA2 piastrinico costituisce un sofisticato meccanismo che, in condizioni normali, previene l’aggregazione piastrinica intravascolare e la coagulazione, ma, in seguito al danno endoteliale, prevalendo l’attività di TxA2, favorisce la formazione del tappo emostatico. Alcuni farmaci inibitori della aggregazione piastrinica sono tali in quanto inibiscono la formazione del TXA2, inibendo la trombossano-sintetasi piastrinica (l’aspirina, o acido acetil-salicilico, opera una acetilazione irreversibile della cicloossigenasi, mentre altri farmaci anti-infiammatori non steroidei [FANS]

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