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Per Sempre

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Academic year: 2021

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4.2. La realizzazione di “Emma e Giulia, due sguardi a confronto”

Nel paragrafo precedente ho evidenziato gli aspetti formali e di linguag-gio che mi interessano del documentario e che ho cercato quindi di adot-tare; in questo paragrafo, parlando di progettazione e realizzazione, par-to dall’idea iniziale per descrivere tutpar-to il processo che mi ha permesso la finale realizzazione del film.

Già dall’idea del documentario sul cambiamento della Val di Non avevo deciso di fare un lavoro “al femminile”; ecco perché ho scelto di intervi-stare due donne anche per questo video sulla scuola. 1.

Ultimamente mi è capitato di visionare lavori di registe, come i film di Ali-na Marazzi, alcuni Diari della Sacher Films, un documentario di Michele Gandin, tutte opere dove le donne sono protagoniste ed i loro racconti mi catturano perché vedo in questi film, nelle parole delle protagoniste la bellezza e la forza di essere donne ieri e oggi; purtroppo sappiamo che ancora oggigiorno le pari opportunità non sono ancora proprio “pari” ed allora in questi sguardi e toni “al femminile” ritrovo quella marcia in più, quella forza che incoraggia e dà speranza. Il mio documentario non vuo-le rifarsi alvuo-le vicende di Un’ora sola ti vorrei 2., Rosanna 3. che parlano di donne che hanno vissuto l’ esperienza dell’ ospedale psichiatrico o a quelle di Per Sempre 4. che descrive la vita delle suore di clausura o de

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1. Per le scelte tecniche e formali vedi 4.1.: “Perché la forma documentaria”. 2. Un’ora sola ti vorrei, citato.

3. Rosanna, di Michele Gandin, Italia. 4. Per sempre, di Alina Marazzi, Italia, 2005.

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I quaderni di Luisa, dal diario di Luisa T. 5., dove la protagonista racconta

la propria triste vicenda matrimoniale.

Piuutosto mi rifaccio a film come Zappaterra 6., Bandiera rossa e borsa

nera 7. e CaCriDoBo 8. le donne raccontano le proprie memorie ed

esperienze del passato.

Per la struttura narrativa del mio documentario mi sono rifatta a questi film; in particolare ai Diari della Sacher Films. 9.

Ho scelto quindi di condurre le due interviste con inquadratura fissa ed alternarle poi durante la fase del montaggio; facendo un montaggio “pa-rallelo”.

Durante la fase progettuale non ho scritto una vera e propria sceneggia-tura, ma un canovaccio di domande che avrei poi rivolto alle mie intervi-state; le stesse domande ad entrambe, domande che permettessero una risposta aperta dove Emma e Giulia potessero ampliare la risposta e non darmi dei secchi “si o no”o comunque risposte brevi.

Diciamo che oltre ad essere un documentario di intervista (e non di te-stimonianza perché le protagoniste rispondono a domande) si può vede-re anche le modalità partecipativa (poiché soggetto/i e vede-regista interagi-scono) e riflessiva (è vero non sono due racconti biografici, ma comun-que Emma e Giulia mi/ci parlano delle proprie esperienze che sono il que centro narrante).

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5. I quaderni di Luisa, dal diario di Luisa T., di Isabella Sandrì, “I diari della Sacher”, Sacher Film, Italia, 2001.

6. Zappaterra, citato.

7. Bandiera rossa e borsa nera di Andrea Molaioli, “I diari della Sacher”, Sacher Film, Italia, 2001. 8. CaCriDoBo, di Susanna Nicchiarelli, “I diari della Sacher”, Sacher Film, Italia, 2001.

9. I “Diari della Sacher Films” attingono dall’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano. I protagonisti di questi documentari sono gli autori dei diari stessi che vengono intervistati dai registi. Questa raccolta di film contiene lavori di svariati autori ed esperienze narrate di diversa natura; mantenendo però tutti la stessa linea narrativa.

Infatti i documentari sono costituiti da un’ intervista all’autore/i del diario, da filmati d’archivio dell’Istitu-to Luce e da immagini che rappresentano la vita attuale del protagonista del film.

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Come ho già scritto nel precedente paragrafo parlando di “cinema della realtà” a me non piace “vedere l’artificio cinematografico” quindi ho la-sciato che le mie intervistate fossero le uniche protagoniste. Sono stata ben attenta ponendo loro le domande a non “accavallare” la mia voce al-la loro; questo è stato possibile grazie ad un “accordo”: sapevano che dovevano iniziare la risposta dopo aver contato uno o due secondi dalla fine della mia domanda.

Durante le riprese, rifacendomi al metodo usato dal regista J. Van der Keuken, ero posizionata dietro la telecamera sia per vedere l’inquadratu-ra nel monitor, poiché ero sola senza aiuto-regista!, sia per dar loro un punto di riferimento per lo sguardo, un interlocutore al quale parlare.

Per quanto riguarda invece l’audio ho usato due canali; uno preso col microfono integrato nella telecamera e l'altro utilizzando microfoni dire-zionali.

Per l’intervista di Emma ho utilizzato un microfono omnidirezionale, inve-ce con Giulia ho usato un gelato poiché lei indossava una collana che picchiando nel microfono che le applicavo addosso rendeva l’audio im-possibile!

Gli imprevisti sono sempre in agguato, ma cercando di prevenirli il lavoro diventa un po’ più facile nella sua realizzazione; ad esempio “lo sguardo in macchina” dell’intervistato è utile per avere i giusti raccordi tra le di-verse immagini durante il montaggio ed anche un buon audio risparmia molto lavoro di post-produzione.

Tutto questo per dire che oltre alla raccolta del materiale in fase proget-tuale ho pensato molto già al montaggio e agli eventuali imprevisti, cer-cando di prevenirli il più possibile.

Durante le riprese mi sono trovata molto bene; il lavorare da soli ha i suoi pro ed i suoi contro.

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E’ vero che dovevo provvedere da sola a tutto: dall’aspetto più manovale del trasportare la pesante telecamera con cavalletto, a quello tecnico perché non dovevo soltanto “pigiare sul rec”, ma anche star attenta ai vari segnali audio e video, a quello più artistico di composizione dell’in-quadratura tenendo conto di luce, colori, scenografia; ma essendo sola ho potuto gestirmi meglio il tempo e durante le riprese le mie intervista-te erano meno in soggezione essendo presenintervista-te solo io, anche se parla-vano davanti ad una telecamera.

Emma, la zia Emma, ovviamente già la conoscevo e con Giulia da subito siamo entrate in confidenza; quindi nei nostri incontri con la telecamera accesa c’era sintonia e l’imbarazzo iniziale subito svaniva.

Sono stata a casa di Emma due volte, raccogliendo circa quattro ore di girato tra intervista, “momenti di vita quotidiana” e raccolta di materiale fotografico.

Anche con Giulia mi sono trovata due volte registrando anche qui per circa quattro ore.

Per quest’ ultimo incontro abbiamo deciso come location casa mia; abi-tando al mare per Giulia era più semplice venire da me per poi raggiun-gere le amiche sulla spiaggia, essendo estate e lei in vacanza non pote-vo darle tutti i torti!

Da Emma la scenografia alle sue spalle era costituita dalla sua grande libreria che caratterizza il suo studio (e che sempre mi ha affascinato!) e per Giulia ho scelto la mia modesta libreria dove sono riposti libri delle superiori, dell’università e del “tempo libero”; ma niente in confronto a tut-ti quelli di Emma!

Per un lavoro che tratta di scuola la libreria mi è sembrata il giusto sfon-do per le interviste.

Ad entrambe avevo chiesto di preparare delle fotografie che fossero de-scrittive di quello che mi raccontavano; Emma ha tirato fuori dalle ante della libreria diverse scatole ed album fotografici con tantissime foto in

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bianco e nero che la ritraevano dai tempi in cui era alunna, a quando fa-ceva l’insegnante, a momenti più recenti, mentre Giulia mi ha portato le foto nella “chiavetta” ed altre me le ha mostrate attraverso il suo blog su internet: segno che i tempi sono cambiati!

Nonostante apprezzi del documentario la sua caratteristica di resa della realtà credo che sia più giusto parlare, proprio perché anche io ho pro-gettato le riprese prima di eseguirle ed ho usato due attrici, usando un termine della regista Alina Marazzi di “documentario di finzione”.

Dall’idea, allo scrivere le domande, all’uso di attrici, al pensare dove po-sizionare la telecamera, alla scenografia, al montaggio, ho cercato sem-pre di eseguire le varie operazione con cognizione di “causa ed effetto”; tutto mirato al rendere la realtà, ma vediamo bene che è comunque una realtà ricostruita e filtrata dal mio sguardo, dal mio pensare e dalle mie scelte cinematografiche.

Infatti ritengo sia molto difficile avere un buon risultato soltanto “uscendo per strada e premendo rec”; crescendo mi rendo sempre più conto che per ogni situazione la progettazione sta alla base di una buona riuscita, o almeno un approccio iniziale non improvvisato può dettare le basi di un potenziale buon prodotto.

Dal punto di vista tecnico ho utilizzato l’attrezzatura della mia Associa-zione: Corte Tripoli Cinematografica.

La telecamera è la Panasonic DVX-100A che registra su mini-dv, il caval-letto marca Cartoni, modello Focus con testa fluida, il microfono omni-di-rezionale Lavalier radio della AKG modello pt-pr 81 + CK55 ed un “gela-to” cioè un microfono ipercardioide per intervista marca Sennheiser MD 46.

Per la post-produzione ho utilizzato il mio computer portatile: MacBook, col programma Final Cut Pro per il montaggio.

L’approccio iniziale col programma di montaggio è stato un po’ impegna-tivo; avendo lavorato sempre con un programma più semplice, imovie,

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ed al Centro Zoom con Premier, ho dovuto prendere familiarità con Final Cut Pro: ritrovare qui i tasti delle funzioni e ripassare l’inglese dato che questo programma non esiste in versione italiana!

Dopo la prima settimana di “conoscenza” sono sempre più convinta e grata della mia scelta di lavorare su postazione Apple.

Ho acquisito le immagini nell’hard disk esterno e questo mi ha permesso di poter portare sia il portatile che il disco esterno a casa di amici-tecnici per le consulenze sul montaggio (i quali non ringrazierò mai abbastan-za!).

Devo dire che oggi giorno la tecnologia permette un uso del video vera-mente veloce e semplificato; non oso nemmeno immaginare le compli-cazioni di lavorare con le immagini in analogico!

Inoltre mi ritengo molto fortunata a poter fruire dell’attrezzatura profes-sionale della mia Associazione e delle persone competenti con le quali collaboro all’interno di Corte Tripoli Cinematografica.

Se durante la fase delle riprese non ho avuto complicazioni devo dire che invece durante il montaggio i giorni non sono stati così divertenti e scorrevoli…

Alla fine è vero anche che la post-produzione è il momento più delicato e creativo; la fase in cui il film prende vita e carattere ed è quindi logico che richieda uno sforzo maggiore!

Sono partita con l’acquisire e vedere le immagini più volte segnandomi le parti più interessanti.

Successivamente ho iniziato a fare un montaggio parallelo: alternare le risposte di Emma a quelle di Giulia, dato che le domande erano le stesse non è stato difficile riconoscere le clip dove parlavano dello stesso argo-mento.

Inizialmente i tagli erano molto “grezzi” nel senso che i raccordi tra le di-verse clip non fluivano bene e si “sentiva” che non c’era consequenzialità

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nei discorsi; ci vuole pazienza è come prendere un blocco di marmo e pian piano dar forma ad una statua.

Oltre che al materiale fotografico che mi avevano fornito Emma e Giulia ho inserito delle immagini in movimento tratte dal documentario CaCri-DoBo.

Questa è stata una parte di lavoro impegnativa; grazie ad uno strumento di conversione ho trasformato i pezzi di film che mi interessavano da analogico (il documentario era su VHS) in digitale: diciamo che dalla vi-deocassetta ho fatto passare le immagini nel mio computer!

Ho tratto frammenti di vecchi filmati dell’Istituto Luce che ritraevano sco-laresche durante il periodo fascista ed anche pezzi dove si vedono le mani delle simpatiche vecchiette di CaCriDoBo che sfogliano i loro diari. Eliminato l’audio da queste immagini le ho montate sovrapponendole ai racconti di Emma: le prime ai momenti dove viene descritta l’esperienza della scuola fascista e le seconde le ho usate come raccordo per legare due momenti nei quali si parla di libri ed appunti.

Nonostante il ritmo dato dal montaggio parallelo per non annoiare lo spettatore, avendo quasi sempre le stesse inquadrature di Emma e Giu-lia, ho inserito varie immagini: i pezzi tratti da CaCriDoBO, le fotografie delle intervistate e ulteriori riprese fatte successivamente.

Quest’ultime sono di un “diario da adolescente” e una cameretta e sono l’ennesimo elemento che mi permette di parlare di documentario di fin-zione.

Infatti montando mi sono accorta che sarebbe stato utile alla descrizione avere immagini che descrivessero meglio Giulia; lei però era in vacanza in Sardegna ed io, assieme ad una cara amica, abbiamo ricostruito a ca-sa della sua nonna in una cameretta inutilizzata la stanza di un adole-scente!

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Le immagini raccolte del diario, dell’astuccio, della scrivania, dei cosme-tici, dei pupazzi, delle riviste mi son servite poi, anche se per pochi se-condi, ad accompagnare l’immagine di Giulia.

Nonostante abbia cercato di prevedere e prevenire eventuali imprevisti mentre montavo mi sono accorta che i cinque minuti iniziali durante i quali Giulia si presenta erano inutilizzabili per l’audio.

Durante le riprese le avevo messo il microfono addosso, ma quest’ultimo sbattendo sulla collana che indossava provocava un terribile fruscio così lo sostituii con un gelato appoggiato e nascosto sulla scrivania; purtrop-po mi dimenticai di far ripete a Giulia la frase venuta precedentemente male nella quale si presentava.

Sicché un pomeriggio ci siamo ritrovate a casa mia, facendo bene atten-zione ad avere lo stesso sfondo e che Giulia avesse lo stesso abbiglia-mento per non crearmi ulteriori fastidi! E per prevenirne altri l’ho inqua-drata si nella stessa posizione, ma con un piano più stretto, facendole un primo piano, mermettendomi così un fluido raccordo nel montaggio.

Dopo giorni di lavoro e clip tagliate ho raggiunto la mezz’ora di video fi-nale; incredibile pensare alla fine a quanto materiale si raccoglie per poi scartarlo, ma che allo stesso tempo tutto è utile per dare il giusto senso narrativo.

Gli ultimi passi di “rifinitura” sono stati i titoli di testa e coda e la musica. Per i titoli di testa ho scelto di inserirli alternati alle iniziali immagini di Emma e Giulia, proprio dove si presentano (ecco perché era fondamen-tale che rifacessi la parte iniziale dove Giulia si presenta) per dare un senso di aspettativa e contemporaneamente introdurre lo spettatore nel-l’atmosfera; preferisco questo “mix” alla rigida separazione tra titoli e film. Mentre i titoli di coda li ho fatti scorrere a film finito.

Per la colonna sonora, oltre che alle voci di Emma e Giulia, ho inserito una canzone tratta dal film La vie en rose 10. : questa scelta innanzitutto perché mi piace la canzone e poi anche perché la protagonista, la

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can-tante Edith Piaf, è stata una grande donna e quindi mi è sembrata anche una giusta contestualizzazione per mantenere quel carattere femminile che mi sono data!

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