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1. INTRODUZIONE
1.1. I microrganismi del suolo
Il suolo rappresenta il mezzo naturale in cui i microrganismi vivono, si moltiplicano e muoiono.
Il mondo microbico è il più grande serbatoio, inesplorato, di biodiversità sulla terra. L’interesse per la diversità microbica è cresciuto rapidamente nel settore scientifico dato che la fertilità del suolo dipende non solo dalla sua composizione chimica ma anche dall’entità e dalla qualità dei microrganismi in esso presenti. Il mantenimento e il funzionamento delle diverse popolazioni microbiche nel suolo sono essenziali per l’agricoltura sostenibile. Il suolo contiene una vasta gamma di microrganismi, strettamente associati con le particelle di terreno, che possono essere presenti come singole cellule o come micro colonie immerse in una matrice di polisaccaridi. Una vasta flora microbica è stata riscontrata in tutti i tipi di terreni: spiagge, deserti, terreni termici o di origine vulcanica, in paludi, in terreni coperti da neve, in ecosistemi acquatici, sulle rocce e nelle fessure delle rocce. I gruppi di microrganismi dominanti sono i batteri, gli attinobatteri, i funghi, i nematodi del suolo e i protozoi.
La disponibilità di risorse, le condizioni microclimatiche, le caratteristiche chimiche e strutturali del suolo sono fattori che influenzano in maniera significativa la dimensione, la composizione e la distribuzione delle comunità biotiche nel suolo. Il terreno può essere visto come un insieme di sfere biologicamente rilevanti che includono:
La detritosfera: corrisponde alla porzione di suolo in cui sono presenti detriti animali e vegetali in fase di decadimento.
La drilosfera: porzione di suolo in cui si ha l’azione dei lombrichi.
La porosfera: porzione che contiene aggregati del suolo e una massa di radici, radichette e miceli.
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L’aggregatosfera: porzione di suolo con aggregati i cui componenti possono essere microstrutture di argilla e polveri sottili di materia organica, microaggregati formati da particelle primarie o macroaggregati composti da microaggregati.
La rizosfera
Ogni sfera ha proprietà distinte che consentono di regolare le interazioni tra gli organismi e i processi biogeochimici (Figura 1).
Figura 1: Rappresentazione schematica delle sfere edafiche e le loro
interazioni (Brown et al., 2000)
I microrganismi possono interagire con la pianta in maniera simultanea o indipendente, in modo sinergico o antagonistico, determinando a volte un effetto benefico altre volte conseguenze dannose Le nicchie ecologiche dove le associazioni microbiche e le loro attività sono state ampiamente evidenziate sono il suolo, la rizosfera, il rizoplano e il filloplano.
1.1.1. Batteri
I batteri sono presenti in tutti i tipi di terreno ma la loro popolazione diminuisce all’aumentare della profondità del suolo. È stato stimato che
3 in un grammo di suolo sono presenti dai 6000 ai 38000 taxa, fino ad arrivare a 4∙106 taxa in una tonnellata di suolo (Torsvik et al.,1996;
Curtis et al.,2002). I batteri che vivono nel suolo si differenziano in base alla forma in: cocchi (0,5 µm), bacilli (0,5-0,3 µm) o spirilli e, tra queste, i bacilli sono le forme più comuni. I batteri si possono classificare in due grandi categorie:
autoctoni o indigeni: sono più uniformi e costanti nel terreno, utilizzano costituenti umici e residui vegetali, sono poco sensibili alle variazioni ambientali e sono in grado di sopravvivere a lungo.
zimogeni o alloctoni: richiedono la presenza di un substrato esterno specifico, aggiunto nel suolo, sono sensibili alle variazioni ambientali e hanno scarsa capacità di sopravvivenza.
Sulla base della temperatura ottimale di crescita possiamo raggruppare i batteri in: psicrofili (sotto i 20 °C), mesofili (15-45 °C) e termofili (45-65 °C); i batteri mesofili costituiscono la maggior parte dei batteri del suolo. Altri fattori che influenzano la popolazione batterica nel suolo sono il pH, le pratiche agricole, i fertilizzanti, i pesticidi e le modifiche della sostanza organica. I batteri a seconda del modo con cui si procurano l’energia e il carbonio, necessari per la sintesi di composti organici, si dividono in : autotrofi ed eterotrofi, entrambi presenti in una vasta gamma di suoli. I batteri autotrofi sono in grado di sintetizzare le molecole organiche a partire da molecole inorganiche, come l’anidride carbonica. L’energia necessaria per effettuare questa sintesi può essere fornita dalla luce e in questo caso si parla di batteri fotoautotrofi oppure da altri composti chimici e in questo caso si parla di batteri chemioautotrofi. I batteri che hanno bisogno di nutrirsi di molecole organiche già sintetizzate, si chiamano eterotrofi.
4 1.1.2. Attinobatteri
Gli attinobatteri sono microrganismi del suolo con caratteristiche sufficienti per delimitarli in un gruppo distinto all’interno dei procarioti. Appartengono ad un vasto ed eterogeneo gruppo di batteri Gram-positivi, aerobi, con una crescita di tipo miceliare. Hanno alcune analogie con i funghi imperfetti nella ramificazione del micelio aereo. Questi batteri sono importanti per la loro capacità di produrre sostanze biologicamente attive come antibiotici, vitamine ed enzimi (Boer et al.,2005). Gli attinobatteri più comunemente descritti appartengono al genere Streptomyces e Micromonospora. È stato stimato che circa due terzi degli antibiotici naturali sono stati isolati da attinobatteri e che circa il 75% di essi è prodotto da membri del genere Streptomyces (Jiménez-Esquilìn e Roane, 2005). La maggior parte degli attinobatteri del suolo mostra la crescita ottimale in condizioni neutre o leggermente alcaline (pH compreso tra 6.5-8), anche se negli ultimi dieci anni la ricerca si è concentrata su una minoranza di attinobatteri, quelli che crescono in condizioni estreme, cioè in ambienti alcalini o acidi (Lazzarini et al., 2000; Phoebe et al., 2001). La percentuale di attinobatteri aumenta con la decomposizione della materia organica e con la profondità del suolo.
1.1.3. Funghi
I funghi si riscontrano in tutti i tipi di terreno e presentano grandi differenze tra di loro. I funghi che hanno un micelio filamentoso sono composti da un insieme di ife. Le ife possono essere uni-, bi- o multinucleate e settate o non settate. Tutti i fattori ambientali che influenzano la distribuzione dei batteri si possono applicare anche alla flora fungina del suolo. La quantità e la qualità di materia organica influisce sulla crescita fungina in quanto i funghi sono organismi eterotrofi. Tali microrganismi dominano i terreni acidi perché questi
5 substrati non sono favorevoli alla crescita di batteri e di attinobatteri. Sono presenti anche in terreni neutri o alcalini e alcuni possono tollerare un pH maggiore di 9. Sono abbondanti nei terreni arabili in quanto sono microrganismi aerobi, mostrano una selettiva preferenza per le diverse profondità del terreno e raramente si trovano in superficie. Questa distribuzione è legata alla disponibilità di materiale organica e al rapporto tra ossigeno e anidride carbonica nelle diverse profondità del suolo. Le pratiche agricole come la rotazione delle colture e l’utilizzo di fertilizzanti o pesticidi influenzano la natura e la dominanza delle specie fungine.
1.2. La rizosfera
Il termine “rizosfera” fu proposto da Hiltner nel 1904 e rappresenta il volume di terreno adiacente al sistema radicale di una pianta, caratterizzato dalla presenza di sostanze rilasciate dalle radici. La rizosfera si può identificare con l’area al cui interno si svolgono le interazioni tra radici e microrganismi: tali interazioni variano in funzione delle caratteristiche fisico-chimiche del terreno (Figura 2). Le radici esercitano forti influenze sui vari microrganismi e l’effetto legato all’aumento della crescita microbica, nelle loro vicinanze, è conosciuto come “effetto rizosfera”; il tipo di suolo, l’umidità, il pH, la temperatura e l’età della pianta sono i fattori in grado di influenzare l’effetto rizosfera Tale zona si differenzia, oltre che per una maggiore presenza microbica, anche per la concentrazione di ioni, per il pH, per il più basso tenore di ossigeno e per una maggiore presenza di materiale organico. La rizosfera può essere divisa due aree: gli strati di suolo a diretto contatto con le radici sono chiamati ectorizosfera mentre gli strati interni di cellule colonizzate o potenzialmente colonizzabili dai microrganismi vengono definiti endorizosfera; le due aree sono separate dal rizoplano. Il termine
6 rizoplano è stato proposto da Clark nel 1946 per far riferimento alla superficie delle radici delle piante con eventuali particelle, strettamente aderenti, di terreno o detriti e comunità microbiche. Le caratteristiche del suolo rizosferico vengono modificate dal rilascio delle rizodeposizioni, costituite da cellule intere o porzioni di esse, da mucillagini e da essudati radicali. Gli essudati radicali stimolano selettivamente le regioni della rizosfera e del rizoplano e possiamo distinguerli in:
Essudati a basso peso molecolare: composti da amminoacidi, vitamine, zuccheri, fenoli, acidi organici, i quali favoriscono l’acquisizione di elementi nutritivi e la comunicazione tra le cellule della radice e i microrganismi della rizosfera.
Essudati ad alto peso molecolare: formati da mucillagini composte da polisaccaridi derivanti dalle pareti cellulari; hanno il compito di facilitare la mobilizzazione, e quindi l’assorbimento, di elementi poco mobili come il fosforo e il ferro.
Gli essudati radicali possono contenere anche sostanze tossiche, come i glicosidi e l’acido cianidrico, che vanno ad inibire la crescita dei patogeni o possono alterare il pH della rizosfera e di conseguenza provocare dei cambiamenti nella crescita microba.
Le rizodeposizioni variano quantitativamente in funzione della specie vegetale, dell’età della pianta, del suo stato nutrizionale e delle condizioni ambientali. Parte dei composti rilasciati, soprattutto quelli a basso peso molecolare, possono essere riassorbiti dalle radici rendendo il processo ancora più complesso. Circa il 50% del carbonio fissato nella fotosintesi si trova nelle radici, di questo circa la metà diventa parte dei tessuti radicali mentre la parte rimanente può costituire il substrato per la respirazione dei tessuti radicali o può essere rilasciata nel suolo (Basaglia et al.,2006). Le variazioni quantitative e qualitative degli essudati radicali dei vari genotipi vegetali esercitano una forte influenza sullo sviluppo della comunità rizosferica. Le rizodeposizioni sono in grado di
7 condizionare la risposta a situazioni di stress, mediare le interazioni con gli altri microrganismi e rappresentano un’importante fonte di energia per i microrganismi presenti nella rizosfera, infatti in quest’area la biomassa microbica è superiore a quella che si osserva nel resto del suolo.
Figura 2: La rizosfera è una zona ristretta del suolo che circonda ed è influenzata
dalle radici delle piante. Contiene batteri e funghi simbionti, compresi i funghi micorrizici arbuscolari (AMF) (Philippot L. et al., 2013)
1.3. Rizobatteri promotori della crescita della pianta (PGPR)
Il termine PGPR o Plant Growth Promoting Rhizobacteria comprende un gruppo eterogeneo di batteri che colonizzano la rizosfera della pianta e ne promuovono la crescita. I PGPR si dividono in due gruppi:1) Batteri promotori della crescita che stabiliscono simbiosi con le piante. Alcune specie come Rhizobium, Bradyrhizobium e Azospirillum sono in simbiosi con le leguminose. Questi sono i più importanti PGPR.
2) Batteri capaci di promuovere la crescita senza stabilire la simbiosi con le piante. Questi batteri non hanno una buona capacità di colonizzare le radici e aumentano la crescita della pianta utilizzando diversi meccanismi.
8 Le funzioni dei rizobatteri, studiate maggiormente, sono quelle che hanno un impatto sulle piante e sulle proprietà del suolo, in particolare le funzioni associate al ciclo dei nutrienti, alle simbiosi, agli agenti patogeni e alla promozione della crescita della pianta.
I PGPR promuovono la crescita della pianta attraverso diversi meccanismi:
1. L’aumento della fissazione dell’azoto (Khan, 2005).
2. La riduzione della produzione di etilene che consente alle piante di sviluppare radici più lunghe e di ancorarsi meglio durante le prime fasi di crescita.
3. La produzione di ormoni come le auxine, le citochine e le gibberelline (Ahmad et al., 2008).
4. La produzione di siderofori.
5. L’aumento della solubilizzazione di sostante nutritive con un conseguente aumento della biodisponibilità di fosforo e di altri oligoelementi.
6. La sintesi di antibiotici e di altre sostanze in grado di ridurre i patogeni. 7. La promozione del funzionamento della simbiosi micorrizica
(Mycorrhiza helper bacteria, MHB).
I PGPR possono promuovere lo sviluppo delle piante attraverso modalità dirette o indirette. La stimolazione diretta comprende l’azotofissazione, la produzione di fitormoni, la solubilizzazione dei minerali come il fosforo mentre la stimolazione indiretta prevede la produzione di antibiotici, di molecole che chelano il ferro e la sintesi di enzimi extracellulari per idrolizzare la parete cellulare fungina (Van Loon, 2007). Gli effetti indiretti sono legati ad un’attività di biocontrollo dei microrganismi deleteri. Risultati sperimentali hanno evidenziato che la stimolazione della crescita della pianta è il risultato di molteplici meccanismi che possono essere attivati contemporaneamente
(Martinez-9 Viveros et al., 2010). I PGPR per essere efficaci devono mantenere una densità di popolazione elevata per un lungo periodo di tempo.
Questi microrganismi possono aumentare la tolleranza agli stress ambientali quali inondazioni (Grichko e Glick, 2001), stress salino e carenza d’acqua (Mayak et al., 2004). L’utilizzo dei PGPR in agricoltura è in costante aumento in quanto offrono un’alternativa all’uso di fertilizzanti chimici, pesticidi e altre sostanze.
Sulla base delle loro attività possiamo classificare i PGPR come: Biofertilizzanti: aumentano la disponibilità dei nutrienti per le piante; Fitostimolatori: promuovono la crescita delle piante grazie alla
produzione di fitormoni;
Rizomediatori: degradano gli inquinanti organici;
Biopesticidi: controllano le malattie con la produzione di antibiotici e metaboliti antifungini.
Nella rizosfera, oltre ai PGPR, sono presenti anche dei batteri che hanno un’influenza negativa sullo sviluppo della pianta, chiamati rizobatteri deleteri (DRB). I DRB possono inibire la crescita delle piante attraverso la produzione di fitotossine, tra cui l’acido cianidrico, HCN, di metaboliti fitotossici e fitormoni, soprattutto IAA. Agiscono inibendo la funzione dei funghi micorrizici, dei diazotrofi e dei PGPR o sviluppando una competizione con la pianta per i nutrienti come il fosfato e il ferro (Nehl et al.,1997; Barazani e Friedman 1999). L’effetto positivo o negativo dei rizobatteri sulle piante varierà a seconda delle condizioni ambientali, del genotipo dell’ospite e dello stato micorrizico.
Sono state identificate molecole segnale scambiate tra le piante e i microrganismi in grado di favorire la colonizzazione benefica della pianta (Giovannetti et al., 2006). Un microrganismo promotore della crescita radicale sarà prima di tutto un buon colonizzatore radicale.
10 1.3.1. Meccanismi di promozione della crescita vegetale
Nella rizosfera hanno sede molti dei processi legati ai cicli biogeochimici in quanto rappresenta una zona di scambio tra le piante e i microrganismi. I principali meccanismi sono quelli che coinvolgono: la solubilizzazione del fosforo, l’azotofissazione, la produzione di fitornomi e di siderofori, i quali comportano un afflusso di nutrienti verso le radici (N, P, Fe) e una maggiore stimolazione della crescita per mezzo dei fitormoni (auxine).
1.3.1.1. Solubilizzazione e mineralizzazione del fosforo
I batteri che solubilizzano il fosforo sono molto abbondanti e ubiquitari nei suoli, rappresentano il 40% della popolazione coltivabile (Richardson, 2001). Il fosforo è presente nel terreno in due forme: fosfati inorganici come i fosfati di calcio, componenti minerali del suolo, e sotto forma di fosfati organici, rappresentati essenzialmente dai fitati. La disponibilità di questo nutriente è limitata dalla scarsa solubilità della maggior parte di queste forme di fosfato, mentre le piante possono assorbire il fosforo solo nelle due forme solubili degli ioni monobasico (H2PO4-) e dibasico (HPO42-). Il principale meccanismo alla base di questo processo è dovuto al rilascio di acidi organici da parte delle radici che, acidificando il pH circostante, favoriscono maggiormente il rilascio in soluzione di ioni fosfato. La mineralizzazione del fosfato organico nel suolo è mediata da reazioni enzimatiche catalizzate da fosfatasi acide e fitasi. Tuttavia, i rizobatteri consumano gli acidi organici negli essudati radicali e, indirettamente, possono moderare la solubilizzazione del fosfato e di altri elementi come il Fe e il Mn. I rizobatteri sono in grado di produrre un’ampia gamma di acidi organici con attività P-solubilizzante e, tra questi, l’acido gluconico e l’acido 2-chetogluconico sembrano essere i più attivi ed importanti. Alcuni rizobatteri Gram negativi hanno degli enzimi legati sulla membrana che consentono la
11 conversione extracellulare del glucosio ad acido gluconico (glucosio deidrogenasi) e poi ad acido 2-chetogluconico. Le piante beneficiano dell’associazione con i microrganismi in grado di solubilizzare il fosfato in quanto forniscono l’accesso a fonti di fosforo altrimenti non utilizzabili da parte della sola pianta.
Figura 3: Rappresentazione schematica dell’importanza dei microrganismi per la
disponibilità di fosforo nel suolo. I microrganismi e le loro interazioni nel suolo giocano un ruolo critico nel mediare la distribuzione di fosforo tra quello presente in soluzione e quello presente nel suolo attraverso le reazioni di solubilizzazione e mineralizzazione o attraverso l’immobilizzazione (Richardson et al., 2011)
1.3.1.2. Ciclo dell’azoto
L’importanza dei batteri nel ciclo dell’azoto è riscontrabile sia nella rizosfera che nel resto del suolo (Delwiche, 1970; Rosswall, 1983). I substrati di carbonio presenti nella rizosfera forniscono gran parte dell’energia richiesta per tale processo. Il ciclo si compone di quattro fasi: fissazione, ammonificazione, nitrificazione e denitrificazione che permettono l’assimilazione dell’ammonio e del nitrato da parte della pianta e degli organismi presenti nel suolo. L’azoto molecolare presente nell’atmosfera (N2) viene ridotto, dal processo di fissazione operato dai
batteri, a ione ammonio (NH4+) il quale può entrare a far parte dei
composti organici. L’ammonificazione batterica è importante per la restituzione di grandi quantità di ammoniaca al suolo, mediante la mineralizzazione dei composti organici azotati. La possibilità di
12 effettuare la denitrificazione permette a molti batteri di utilizzare il nitrato, anziché l’ossigeno, come accettore finale di elettroni nella respirazione. La presenza di acqua nei terreni limita la presenza di ossigeno, in quanto l’acqua agisce come barriera alla sua diffusione. Inoltre, la respirazione dei rizobatteri e della pianta si combinano determinando una riduzione della disponibilità di ossigeno nella rizosfera. I rizobatteri denitrificanti possono mantenere l’attività metabolica in condizioni anaerobiche, mantenendo la propria influenza all’interno della rizosfera.
I microrganismi azotofissatori (o diazotrofi) possono essere suddivisi, sulla base del loro comportamento, in azotofissatori liberi o simbiotici. Gli azotofissatori liberi si trovano sia a livello rizosferico che non, mentre i simbiotici svolgono la fissazione dell’azoto atmosferico soltanto dopo l’interazione con le radici della pianta. Il processo attraverso il quale i rizobi penetrano all’interno delle radici delle leguminose e formano dei noduli radicali dentro cui fissano l’azoto atomosferico è chiamato “nodulazione”. Tali associazioni mostrano un elevato grado di adattamento tra la pianta e i rizobatteri diazotrofi.
1.3.1.3. Produzione di siderofori
Nonostante il ferro sia molto abbondante nei suoli, le concentrazioni disponibili per la microflora sono molto basse. L’abbondanza di ferro nel terreno e la sua solubilità dipendono dal pH. Nella maggior parte degli ambienti, la carenza di ferro non è legata a basse concentrazioni ma ad una bassa biodisponibilità (Kraemer, 2004). In condizione aerobiche il ferro ferroso libero, il Fe(II), viene ossidato a ferro ferrico Fe(III) formando ossidi e idrossidi non facilmente solubili (Neilands, 1995). Il ferro è un elemento indispensabile per la vita della maggior parte degli organismi viventi. Gran parte dei microrganismi ha sviluppato un meccanismo per l’acquisizione del ferro basato sulla produzione di
13 composti chiamati siderofori. La parola sideroforo viene dal greco e sta per “portatore di ferro”. Sono metaboliti secondari con un peso molecolare inferiori a 2000 Da, in grado di chelare il ferro e con una forte affinità per gli ioni Fe(III) (Budzikiewicz, 2010). Poiché non tutti i siderofori hanno la stessa affinità per il Fe (III), il ferro disponibile nell’ambiente è utilizzato principalmente dai microrganismi che producono siderofori con un’affinità elevata per il ferro. I siderofori formano complessi esadentati con il ferro mediante gruppi idrossammati, α-idrossi-carbossilati o catecolati chiamati complessi ferrisideroforo. Il processo si realizza grazie a tre componenti:
1. il sideroforo che si lega con alta affinità allo ione ferrico;
2. un recettore di membrana che consente il trasporto attraverso la membrana microbica del complesso ferrisideroforo. Ad ogni tipo di sideroforo corrisponde un recettore estremamente specifico;
3. un sistema enzimatico, presente all’interno della cellula, che libera lo ione legato al sideroforo: la ferrico-chelato-riduttasi.
La produzione di siderofori conferisce un vantaggio competitivo a molti organismi negli ecosistemi biotici e abiotici. Tutti i funghi e i batteri aerobi producono siderofori (Neilands e Leong, 1986). Generalmente, i siderofori batterici, anche se differiscono nella loro capacità di sequestrare il ferro, privano i funghi patogeni di questo elemento essenziale in quanto i siderofori fungini hanno una minore affinità per il Fe (III); questo costituisce uno dei principali meccanismi di biocontrollo verso i funghi fitopatogeni (Loper e Henkels, 1999). Nel suolo, a pH neutro, la concentrazione di Fe (III) in equilibrio con gli ossidi ferrici è di circa 10-17 M (Budzikiewicz, 2010). I microrganismi richiedono concentrazioni più elevate: 10-6 e quando le cellule rilevano delle concentrazioni al di sotto di questa soglia, iniziano a produrre i siderofori (Miethke e Marahiel, 2007). Gli acidi organici come lattato, succinato, fumarato, malato, acido acetico, degli essudati radicali di piante in
14 carenza di ferro, possono contribuire alla solubilizzazione del Fe(III) e influenzare l’acquisizione microbica di ferro.
Le graminacee si distinguono per un diverso meccanismo di assorbimento, in condizioni di carenza di ferro, rilasciano nella rizosfera grandi quantità di amminoacidi non proteinogenici chiamati fitosiderofori, caratterizzati da un’elevata capacità di complessare il ferro trivalente.
Nella maggior parte dei sistemi ambientali, i siderofori esistono in forma complessata e nella rizosfera troviamo le concentrazione più elevate. È stata dimostrata la produzione di siderofori da parte di batteri promotori della crescita della pianta (PGPB) (Compant et al.,2005; Maheshwari, 2011).
I polifosfati, le ferritine e i siderofori stessi fungono da molecole di deposito per il ferro dato che il minerale libero risulta essere tossico. Elevate concentrazioni intracellulari di ione ferroso, possono produrre radicali ossidrili ma questo problema è alleviato dalla presenza di enzimi come la superossido dismutasi, la catalasi e la perossidasi che possono degradare le specie reattive dell’ossigeno.
1.3.1.4. Produzione di fitormoni
I PGPR possono produrre diversi fitormoni come l’IAA, le gibberelline e le citochine, oltre all’etilene. Nelle piante i fitormoni contribuiscono al coordinamento di vari processi fisiologici come la regolazione della quiescenza e la germinazione dei semi, la formazione delle radici o la fioritura. Aumentano la resistenza a fattori ambientali, agiscono come induttori o soppressori dell’espressione genica e della sintesi di metaboliti, pigmenti o enzimi. L’etilene, al contrario dei fitormoni, è un inibitore della crescita: rallenta la crescita e l’estensione cellulare mentre accelera la maturazione dei frutti e l’invecchiamento. Viene prodotto
15 durante condizioni di stress e, essendo un gas, viene facilmente trasportato per diffusione.
Tra le auxine, l’acido indol-3-acetico (IAA) è la molecola più importante e mostra l’attività biologica maggiore. Nelle piante le auxine sono responsabili della divisione, estensione e differenziazione delle cellule e dei tessuti vegetali. L’IAA si forma dal triptofano che viene deaminato per via ossidativa (tramite la formazione di acido indol-3-piruvico) o decarbossilato (tramite la formazione di triptamina). I più efficienti produttori di IAA sono i batteri e i funghi rizosferici in quanto è nella rizosfera, in particolare negli essudati radicali, che si trova il triptofano, precursore dell’IAA. L’alta concentrazione di IAA nella rizosfera, data dalla somma di quello prodotto dalle piante e di quello sintetizzato dai batteri, stimola l’allungamento, il differenziamento e la proliferazione delle radici, migliorando l’assorbimento dei nutrienti e dell’acqua e consentendo alla pianta di superare meglio gli stress. Un eccesso di IAA può causare effetti negativi in quanto può indurre la sintesi dell’enzima chiave per la biosintesi dell’ 1-aminociclopropano-1-carbossilato (ACC), precursore dell’etilene. Tra le gibberelline, l’acido gibberellico è il fitormone con la maggiore attività biologica, regola la divisione e l’allungamento delle cellule e stimola la fioritura.
Le citochine sono derivati sostituiti dell’adenina che, nelle piante, agiscono come attivatori della sintesi di RNA e proteine, stimolano la divisione delle cellule vegetali, attivano la germinazione dei semi, stabilizzano l’apparato fotosintetico in condizioni di stress idrico e incrementano la resistenza generale delle cellule vegetali a varie condizioni ambientali avverse.
La capacità dei batteri di sintetizzare gli ormoni vegetali viene sfruttata in campo agricolo. I microrganismi, rispetto ai costosi fitormoni sintetici, presentano dei vantaggi come l’ampio spettro d’azione e la presenza di altre sostanze che svolgono un’azione benefica quali le vitamine.
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1.4. Le micorrize
Le associazioni simbiotiche tra microrganismi e piante sono numerose. La simbiosi micorrizica rappresenta la più nota interazione tra il micelio del fungo e la radice di una pianta superiore. Più dell’80% di tutte le piante terrestri risulta micorrizato. Queste associazioni variano molto sia per struttura che per funzione ma le più comuni sono le associazioni micorriziche arbuscolari (AM). I funghi micorrizici arbuscolari (AMF) sono funghi appartenenti al Phylum Glomeromycota (Schüssler et al., 2001). Sono stati ritrovati fossili che accertano l’esistenza delle simbiosi AM nei primi anni del Devoniano (350-460 milioni di anni fa) (Remy et al., 1994; Taylor et al., 1995); inoltre tali funghi AM sono stati determinanti nella colonizzazione della terra da parte della piante (Simon et al., 1993). Le micorrize arbuscolari sono state descritte per la prima volta da Nageli nel 1842 ma fu Frank, nel 1885, a dare il nome di “micorriza” (dal greco mycos: fungo e rhiza: radice) all’associazione tra radici e funghi.
Le micorrize possono essere classificate in funzione della posizione del fungo rispetto alle cellule della pianta ospite (Smith e Read, 1997): nelle ectomicorrize il fungo rimane esterno alla cellula vegetale e produce uno strato di ife chiamato mantello fungino o micoclena, mentre nelle endomicorrize si ha un processo di colonizzazione delle cellule radicali da parte delle ife fungine (Figura 4). Le endomicorrize possono essere suddivise a seconda dell’aspetto che le strutture fungine assumono all’interno della cellula ospite:
le micorrize arbuscolari prendono il nome dall’arbuscolo, struttura che deriva dell’estrema ramificazione dell’ifa;
le micorrize ericoidi e le micorrize delle orchidee hanno, all’interno, un fungo che avvolgendosi su se stesso forma un gomitolo ifale.
17 Le ectoendomicorrize presentano caratteristiche intermedie tra le ectomicorrize e le endomicorrize, sono caratterizzate da una micoclena e da una penetrazione cellulare da parte del fungo.
Questi funghi sono una componente fondamentale nei sistemi agricoli perché possono aumentare la crescita delle piante, la capacità riproduttiva, la tolleranza allo stress idrico e possono migliorare la salute delle piante attraverso gli effetti antagonisti e competitivi verso parassiti e patogeni. Tali funghi sviluppano una vasta rete di ife con il sistema radicale della pianta, contribuendo a migliorare la struttura del suolo e l’assorbimento di acqua. La colonizzazione da parte del fungo micorrizico arbuscolare è caratterizzata da fasi che determinano cambiamenti morfologici del fungo stesso; il processo inizia con la germinazione della spora che contatta la superficie della radice e produce una struttura chiamata appressorio, successivamente si ha la differenziazione delle ife e la fase di penetrazione delle radici, la crescita intercellulare e la formazione degli arbuscoli. Alcuni generi di funghi
Figura 4: Colonizzazione endofitica di
batteri promotori della crescita vegetale (Burkholderia phytofirmans PsJN) osservata tramite ibridazione in situ fluorescente (Compant et al., 2010)
18 AM formano anche strutture ricche di lipidi, chiamate vescicole. La struttura chiave del processo di colonizzazione intraradicale è l’arbuscolo in quanto è responsabile degli scambi nutritizi ma invecchia e collassa in poco tempo (4-10 giorni). I funghi AM sono biotrofi obbligati, il completamento del loro ciclo vitale dipende dalla loro capacità di colonizzare una pianta ospite; la crescita fungina termina dopo 25-30 giorni di coltura in assenza della pianta ospite.
Nella maggior parte delle simbiosi micorriziche i carboidrati prodotti dalla fotosintesi passano dalla pianta ospite al fungo mentre i nutrienti acquisiti dal suolo vengono trasportati in direzione opposta (Smith e Read, 1997; Jakobsen, 1999). I funghi micorrizici arbuscolari prelevano i nutrienti dal suolo (soprattutto fosfato), grazie alle ife fungine, anche a distanze considerevoli dalle radici, essendo zone povere di nutrienti a causa dei processi diretti di assorbimento radicale. Rispetto alle ectomicorrize, i AMF sviluppano della associazioni aspecifiche con la loro pianta ospite (Zhou e Hyde, 2001).
1.4.1. Batteri promotori dello sviluppo micorrizico (MHB)
Quando parliamo di simbiosi micorrizica non dobbiamo considerare solo l’interazione pianta-fungo, ma dobbiamo includere anche la complessa comunità microbica associata. La “micorrizosfera” rappresenta l’ambiente del suolo intorno alle radici delle piante e alle ife dei AMF, dove i funghi e i batteri sono interattivi (Linderman, 1988). La micorrizosfera comprende le micorrize, il micelio extramatricale e i microrganismi associati. La presenza di batteri, direttamente coinvolti nella formazione delle micorrize, è stata identificata per la prima volta da Bowen e Theodorou (1979), dimostrando che alcuni isolati batterici favorivano e altri inibivano la colonizzazione, da parte del Rhizopogon luteolus, nelle radici di Pinus radiata. Successivamente è stata confermata la presenza di batteri in grado di promuovere la formazione
19 delle ectomicorrize (ECM), delle micorrize arbuscolari (AM) e delle micorrize delle orchidee. I batteri in grado di promuovere lo sviluppo micorrizico sono chiamati MHB (Mycorrhiza helper bacteria) (Duponnois e Garbaye, 1991; Garbaye, 1994). Questa categoria comprende un gran numero di batteri inclusi i PGPR e i Rhizobium; sono batteri fungo-specifici e non pianta-specifici (Rilling et al., 2005). Tale specificità è stata attribuita alla dimensione delle spore e alla rugosità sulla superficie delle spore (Bharadwaj et al., 2008). I MHB sono stati trovati in ambienti molto diversi e sono stati isolati, oltre che dalle micorrize e dalla micorrizosfera, anche dai corpi fruttiferi dei funghi ectomicorrizici, dalle spore dei funghi micorrizi arbuscolari e dai suoli contaminati da metalli pesanti (Gamalero et al., 2003; Duponnois et al., 2006; Vivas et al., 2003). Ames (1989) testò 12 attinomiceti, isolati dalle spore di funghi micorrizi arbuscolari, per la formazione di micorrize in piante di cipolla e osservò che 7 di questi isolati furono in grado di stimolare le micorrize arbuscolari. Ciò indica che non solo le singole specie ma anche le comunità microbiche sono in grado di vivere in stretta associazione con i funghi micorrizici.
È stato dimostrato che, il ceppo BBc6R8 di P. fluorescens è attaccato alle ife di diversi funghi ectomicorrizici (Sene et al., 1996) ed è anche in grado di sviluppare, in vitro, strutture simili a biofilm sulle ife di L. bicolor (Figura 5). Questa osservazione ha permesso di ipotizzare che la popolazione di BBc6R8 diminuisce nel terreno ma aumenta in nicchie specifiche come la parete cellulare fungina (Frey-Klett et al., 1999).
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Figura 5: MHB del ceppo BBc6R8 di Pseudomonas fluorescens
sviluppano strutture simili a biofilm sulla superficie ifale del fungo ectomicorrizico Laccaria bicolor S238N, in vitro
Diversi studi hanno evidenziato il possibile ruolo del trealosio nelle interazioni tra batteri e funghi micorrizici. Il trealosio è responsabile della selezione di specifiche comunità batteriche nella micorrizosfera delle foreste e delle piantagioni (Uroz et al., 2007). Recentemente è stato dimostrato che i MHB del ceppo BBc6R8 di P.fluorescens, in grado di formare i biofilm, sono chemioattratti dal trealosio così come dal micelio di L.bicolor ( risultati non pubblicati), il quale accumula trealosio nelle sue ife (Martin et al., 1984). Per cui si può ipotizzare che i metaboliti fungini, come il trealosio, possono facilitare la colonizzazione delle ife e la formazione, su di esse, di biofilm da parte dei MHB.
I MHB che sono stati identificati finora, appartengono a molti gruppi e generi batterici, sia gram-negativi (Agrobacterium, Azospirillum, Azobacter, Bradyrhizobium, Enterobacter, Pseudomonas, Klebsiella e Rhizobium) che gram-positivi (Brevibacillus, Paenibacillus, Actinomiceti, Rhodococcus, Streptomyces e Arthrobacter). Mogge et al. (2000) sostennero che i MHB coltivabili rappresentano solo una piccola parte del totale dei batteri presenti nella micorrizosfera.
21 I MHB possono promuovere l’infezione micorrizica nelle diverse fasi dell’interazione batterio-fungo-pianta (Figura 6).
Figura 6: Siti di azione dei MHB (Garbaye, 1994)
1. Germinazione. Gli essudati di MHB spesso stimolano la germinazione delle spore fungine. Mosse (1962) dimostrò che alcuni batteri della rizosfera e i loro filtrati colturali erano in grado di stimolare la germinazione delle spore di Funneliformis mosseae. È necessario il contatto diretto tra le spore e i batteri per l’induzione della germinazione delle spore di Glomus clarum (Xavier e Germida, 2003), ciò indica un’interazione ligando-recettore tra i due microrganismi. Sulla superficie delle spore di Glomus clarum, oltre ai batteri promotori della germinazione delle spore, sono presenti anche altri batteri produttori di sostanze volatili, suggerendo che la regolazione della germinazione avviene grazie ad un complesso consorzio batterico. I composti volatili prodotti da diverse specie di Streptomyces sono in grado di promuovere la germinazione delle spore di G. mosseae (Tylka et al., 1991). Gli attinomiceti sono stati osservati sulla superficie delle spore dei funghi micorrizici arbuscolari e, a seconda della specie, promuovono o sopprimono la germinazione delle spore. Fries (1987) affermò che la
22 germinazione delle basidiospore era stimolata da lieviti e batteri del suolo mentre Ali e Jackson (1989) mostrarono che il Corynebacterium e diversi isolati di Pseudomonas erano in grado di stimolare la germinazione delle basidiospore.
2. Modifica del suolo nella micorrizosfera. Molti microrganismi del suolo, compresi i funghi micorrizici, producono metaboliti tossici in grado di sopprimere la crescita degli altri organismi. Duponnois e Garbaye (1990) hanno analizzato come i MHB influenzano le concentrazioni delle sostanze antagoniste prodotte dai funghi micorrizici; i batteri helper potrebbero disintossicare i mezzi liquidi dai metaboliti fungini e potrebbero sopprimere la produzione di sostanze tossiche dai microrganismi del suolo. Il ceppo BBc6R8 di P. fluorescens ha mostrato un effetto positivo sulla biomassa fungina solo quando il terreno del vivaio veniva sterilizzato prima che l’inoculo di batteri e funghi venisse aggiunto (Brulè et al., 2001); i metaboliti tossici venivano rilasciati in autoclave. La presenza nel terreno di batteri produttori di acidi organici ha suggerito che alcuni MHB potessero avere un’attività simile. La simbiosi micorrizica e l’effetto dei batteri helper sono fortemente influenzati da fattori ambientali come la siccità e l’inquinamento; i MHB possono liberare le piante dallo stress causato dall’inquinamento di metalli pesanti. È stato recentemente dimostrato che i batteri isolati da suoli contaminati da metalli pesanti hanno un impatto positivo sulla germinazione delle spore e sulla crescita fungina: l’inoculazione batterica non solo ha ridotto il danno alle ife di G. mossae ma ha determinato anche un aumento della crescita del micelio e della formazione di micorrize (Viva set al., 2005).
3. Promozione della crescita miceliare. È stata dimostrata una correlazione significativa tra l’estensione del micelio e la formazione della micorriza (Schrey et al., 2005; Riedlinger et al., 2006). Un recente studio ha mostrato che il MHB Pseudomonas monteilii produce composti gassosi che aumentano il tasso di crescita del Pisolithus albus, quando il batterio
23 viene coltivato sul tryptic soy broth agar o su un mezzo minimo con trealosio (Duponnois e Kisa, 2006), carboidrato spesso accumulato nel micelio fungino. Le sostanze volatili non sono prodotte quando i batteri vengono coltivati su un terreno minimo con acidi organici, chitina o amido come fonti di carboidrati. Queste sostanze volatili prodotte da MBH possono avere anche degli effetti inibitori sulla crescita di alcune specie fungine. Il tasso di infezione micorrizica delle radici con Glomus fistulosum e il tasso di crescita del substrato ifale è aumentato quando il fungo è stato co-inoculato con Pseudomonas putida o con il surnatante colturale del batterio (Gryndler e Vosatka, 1996).
4. Processo di riconoscimento e cambiamenti nell’architettura del sistema radicale. Il processo di riconoscimento tra la pianta ospite e il fungo micorrizico prevede la ricezione di segnali vegetali da parte del micelio fungino, l’estensione ifale verso il sito di infezione e cambiamenti delle caratteristiche miceliari e della morfologia ifale. I MHB possono aumentare la produzione di segnali che stimolano la crescita del micelio verso la radice (Xie et al., 1995). È stato dimostrato che nelle micorrize arbuscolari e nelle ectomicorrize queste sostanze, che stimolano la crescita, includono i flavonoidi (Lagrange et al., 2001; Akiyama et al., 2002). Tali batteri possono influenzare positivamente la formazione di radici laterali determinando un aumento dei punti in cui piante e funghi possono interagire. Oltre ad incrementare il numero di radici laterali, nel ceppo di Bacillus isolato da Bending et al. (2000), hanno aumentato la formazione delle radici ectomicorriziche di primo ordine, mentre nei ceppi di Bukholderia e Rhodococcus isolati da Poole et al. (2001) hanno aumentato, nel pino silvestre, la formazione delle radici ectomicorriziche di secondo ordine. I fitormoni, come le auxine e l’etilene, sono implicati nei cambiamenti morfologici delle radici e nella formazione delle micorrize (Kaska et al., 1999), ma anche nello sviluppo delle radici laterali e delle ramificazioni dicotomiche delle radici brevi (Barker e Tagu, 2000). Tuttavia, il tasso di micorrizazione (micorrize/ totale delle
24 radici fine) può diminuire se le radici laterali si formano in aree povere di ife fungine.
5. Ricettività delle radici. Si ipotizza che il batterio faciliti la colonizzazione del sistema radicale, nella rizosfera, prima del contatto tra il fungo micorrizico e la pianta ospite. Ciò potrebbe avvenire attraverso la produzione controllata, da parte dei batteri helper della parete cellulare, di enzimi di digestione che permettono una maggiore penetrazione delle ife fungine e facilitano la diffusione all’interno dei tessuti radicali. I primi lavori di Mosse (1962) hanno dimostrato che alcuni microrganismi, appartenenti al genere Pseudomonas, producevano enzimi in grado di degradare la parete cellulare e promuovere la formazione di micorrize arbuscolari nelle radici del trifoglio. Secondo l’attuale modello di simbiosi micorrizica, i funghi micorrizici evocano una risposta di difesa temporanea nelle loro piante ospiti che, successivamente, viene attenuata. È stato constatato che l’inoculazione di MHB può portare ad un’attenuazione della risposta di difesa nell’abete rosso prima della colonizzazione fungina (N. Lehr et al., inedito).
6. Specificità del fungo. Una proprietà importante dei MHB è la loro specificità per il fungo (patogeni e funghi micorrizici). Tali batteri spesso aumentano la formazione delle micorrize da parte di alcuni funghi e inibiscono la simbiosi da parte di altri (Garbaye e Duponnois, 1992). La maggior parte delle indagini sulla specificità hanno coinvolto singoli isolati di specie fungine ectomicorriziche che hanno mostrato una grande diversità nelle risposte ai MHB. Garbaye e Duponnois (1992) fecero crescere i MHB e i funghi micorrizici separatamente, in due scomparti comunicanti solo attraverso l’atmosfera, e rivelarono che i fattori di specificità fungina erano composti gassosi. Toro et al. (1997) hanno dimostrato sperimentalmente che, quando due ceppi MHB di Enterobacter sp. e B. subtilis, venivano inoculati con G. intraradices nella cipolla, si otteneva un maggior assorbimento del fosforo. Le ectomicorrize associate con i batteri completano il ruolo del micelio
25 esterno mobilitando i nutrienti mineali. L’azoto è un altro elemento essenziale per la nutrizione delle piante; viene assorbito dalle radici come nitrato d’ammonio e deriva dalla materia organica del suolo attraverso la decomposizione dei saprotrofi. È stata posta particolare attenzione alla fissazione dell’azoto da parte dei batteri associati alle ectomicorrize, nelle zone temperate e boreali, dove la quantità di azoto è minore. La presenza di batteri diazotrofi nei tessuti delle ectomicorrize contribuisce all’immissione dell’azoto negli ecosistemi forestali, fornendo azoto di origine atmosferico ai due partner della simbiosi. I batteri associati alle micorrize contribuiscono anche alla protezione contro i patogeni radicali. Ciò suggerisce che i MHB potrebbero aver evoluto dei meccanismi selettivi che determinano effetti neutri o positivi sull’associazione micorrizica ed effetti negativi sugli agenti patogeni delle radici che potrebbero minacciare il loro stesso habitat.
1.4.2. Le interazioni tra i funghi micorrizici arbuscolari e i batteri del suolo
Ci sono diversi tipi di microrganismi nella rizosfera del suolo che interagiscono con altri microbi e con le radici delle piante. Tra questi i funghi micorrizici arbuscolari (AMF) sono i più importanti e influenti in quanto alterano la crescita delle piante e degli altri microrganismi del suolo. Nel suolo i AMF interagiscono con una vasta gamma di microrganismi: i PGPR, i MHB, i batteri nocivi e i microrganismi non batterici (nematodi e protozoi). I batteri con cui i funghi AM interagiscono comprendono sia i ceppi batteri della rizosfera che i ceppi presenti nel citoplasma di alcune specie fungine (Bonfante, 2003). Le ife dei funghi AM sono in grado di produrre carbonio come fonte di energia per i microbi della micorrizosfera, anche se in quantità inferiore rispetto alla rizosfera (Andrade et al., 1997); viceversa, i microrganismi del suolo producono sostanze che migliorano le quantità degli essudati radicali,
26 con una conseguente attivazione delle ife fungine e un più alto tasso di colonizzazione delle radici (Barea et al., 2005). Le interazioni tra i funghi AM e i batteri del suolo dipendono da diversi fattori. Ad esempio, la capacità di legarsi alle ife è differente tra i vari batteri ed è influenzata anche dallo stato fisiologico delle ife stesse (Artursson et al., 2006). Altri fattori includono le specie di funghi micorrizici arbuscolari, i ceppi batterici, le specie vegetali, la rizosfera e le caratteristiche climatiche (Sanon et al., 2009). È stato evidenziato che i batteri sono più abbondanti nella rizosfera che nella zona intorno alle ife, indicando che gli essudati radicali sono più vantaggiosi per i batteri rispetto ai prodotti ifali (Artusson et al., 2006). Ci sono molti esempi di associazioni tra diversi ceppi batterici, tra cui Bacillus, Paenibacillus, Pseudomonas e Rhizobium e diverse specie di AMF, tra cui G. carlum, G. intraradices, G. mosseae e G. versiforme. Gli effetti di tali associazioni includono la crescita e la germinazione di funghi e spore, la colonizzazione della radice da parte dei funghi AM, la solubilizzazione del fosfato e la soppressione di agenti patogeni (Artursson et al., 2006). I PGPR sono tra i più importanti batteri del terreno, migliorano in maniera significativa la crescita delle piante e la produzione delle colture. L’inoculazione di funghi AM e specifici PGPR può migliorare l’attività dei funghi micorrizici arbuscolari durante la simbiosi con la pianta ospite; ad esempio, alcuni PGPR, come Pseudomonas putida, sono in grado di stimolare la colonizzazione delle radici da parte dei funghi AM (Mayer e Linderman, 1986). Mentre l’inoculazione di funghi AM e di batteri in grado di solubilizzare il fosfato aumenta l’assorbimento, da parte della pianta, di nutrienti essenziali (Artursson et al., 2006). Kim et al. (2010) dimostrarono che gli effetti sinergici del PGPR Methylobacterium oryzae e diverse specie di funghi AM, influivano sulla crescita della pianta e sul contenuto di clorofilla; inoltre, il tasso di colonizzazione, il numero di spore e l’assorbimento di micro- e macronutrienti da parte della pianta risultarono superiori in seguito all’inoculazione combinata dei due
27 microbi. Questo risultato indica la presenza di un mutualismo tra le due specie microbiche.
Con il microscopio elettronico a trasmissione è stato possibile vedere che molti batteri associati con gli sporocarpi di Funneliformis mosseae si trovano non solo sulla superficie ifale ma anche sulla superficie delle spore, all’interno degli sporocarpi e in micro nicchie formate dalle ife peridiali. Attraverso tagli sequenziali degli sporocarpi è stata evidenziata la distribuzione spaziale dei batteri, mostrando tali cellule incorporate nella parete delle spore per mezzo di tunnel scavati all’interno degli strati elettrondensi della parete stessa. Gli sporocarpi di Funneliformis mosseae ospitano un gran numero di microrganismi: batteri, funghi, attinomiceti ma anche microrganismi chitinolitici (Filippi C. et al., 1997).
In un lavoro di Lecomte, St-Arnaud e Hijri, (2011), sono stati isolati ceppi batteri dalle spore di G. irregulare, raccolte dalla rizosfera di Agrostis stolonifera. Le spore sono state lavate con acqua sterile e i batteri sono stati inoculati sul micelio di G. irregulare, coltivato in vitro, senza radici. I batteri sono stati osservati al microscopio dopo 15, 30, 45 giorni. È stato ipotizzato che i batteri, strettamente associati alle spore del fungo, fossero in grado di crescere sulla superficie delle ife del AMF, che costituivano l’unica fonte di energia in questo sistema. Escherichia coli (batterio non del suolo) e Pseudomonas sp.(batterio del suolo non isolato dalle spore del fungo AM) sono stati utilizzati come controlli per confrontare la crescita batterica e il legame sul micelio fungino.
Il citoplasma delle spore dei funghi (AM) spesso contiene dei vacuoli al cui interno sono presenti strutture intracellulari simili a batteri, chiamate organismi batterio simili (BLO) (Bonfante et al., 1994; Cruz, 2004). Le analisi molecolari e le osservazioni eseguite con il microscopio ottico ed elettronico hanno suggerito che i BLO sono dei veri batteri che vivono in stretta associazione con i funghi micorrizici arbuscolari. La specie Gigaspora margarita ospita nel suo citoplasma una popolazione
28 omogenea di endobatteri durante tutto il suo ciclo di vita, suggerendo che tali batteri sono parte del sistema fungino (Minerdi et al., 2001) (Figura 7). La difficoltà di isolare e coltivare gli endobatteri potrebbe essere causata dalla loro posizione nei vacuoli. Alcuni batteri, dopo l’estrazione dalle spore, richiedono condizioni specifiche riguardo le fonti di carbonio, di ossigeno o di pH (Jargeat et al., 2004). Nella maggior parte dei casi si tratta di simbionti obbligati, indicando la loro stretta dipendenza dalle spore. I batteri associati alle spore di Gigaspora margarita, appartengono a due specie batteriche: P. polymyxa e J. Lividum, che sono in grado di sopprimere le malattie e solubilizzare il fosfato.
Figura 7: Associazione tra AMF e i batteri all’interno del
sistema pianta-suolo-microrganismi nelle radici. I batteri possono trovarsi all’interno e/o nelle vicinanze delle spore e delle ife
In un lavoro di Bharadwaj et al. (2007) è stata osservata la diversità e le proprietà dei batteri associati alle spore fungine (AMB). Tali microrganismi sono stati isolati dalla superficie delle spore fungine di Glomus intraradices e Funneliformis mosseae estratte dalla rizosfera di
29 Festuca ovina e Leucanthemum vulgare. Sono stati raccolti 250 g di suolo rizosferico da ciascuna pianta, sospesi in acqua e successivamente setacciati. Le spore dominanti sono state divise in quattro gruppi:
1. Grandi spore gialle isolate da F.ovina (FY); 2. Piccole spore bianche isolate da F. ovina (FW); 3. Grandi spore gialle isolate da L. vulgare (LY); 4. Piccole spore bianche isolate da L. vulgare (LW).
Tali batteri associati alle spore sono stati testati per la loro capacità di inibire la crescita in vitro di Rhizoctonia solani e di produrre siderofori fluorescenti. Con l’utilizzo di metodi molecolari è stato riscontrato che i AMB più abbondanti appartenevano al genere Arthrobacter e Pseudomonas.
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1.5. Scopo della tesi
La rizosfera è la porzione di suolo a diretto contatto con le radici, dove si ha la più alta densità microbica. Rappresenta l’area al cui interno avvengono le interazioni tra radici e microrganismi. Le interazione tra i diversi microrganismi hanno effetti importanti sulla crescita, la nutrizione e la salute delle piante. Un ruolo fondamentale è svolto dai batteri promotori della crescita delle piante (PGPB). I PGPB, sulla base delle loro attività, possono essere considerati dei biofertilizzanti e dei biopesticidi in quanto migliorano lo stato nutrizionale delle piante e le proteggono dall’attacco di fitopatogeni. Essi rappresentano una valida alternativa all’utilizzo di sostanze chimiche e contribuiscono in maniera significativa alla sostenibilità dell’agricoltura.
Lo scopo della presente tesi è stato quello di isolare batteri micorrizosferici, strettamente associati alle spore del fungo micorrizico G. intraradices IMA6 con caratteri PGP. I batteri isolati in coltura pura sono stati inseriti nella Collezione del DiSAAA-A, Laboratori di Microbiologia e successivamente analizzati per le loro caratteristiche PGP quali, produzione di fitormoni e siderofori, attività fosfatasica e attività fitasica.