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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione………...

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Capitolo I: Polisemia del termine mafia

1. Perimetro di interesse e considerazioni introduttive……. 10

2. Brevi riflessioni penalistiche. L’art.416-bis e l’elemento dell’omertà………. 12

3. Considerazioni sociologiche……….. 17

3.1.L’approccio socio-culturale………. 18

3.2.L’approccio economico……… 22

3.3.L’approccio istituzionale……….. 24

4. L’infiltrazione mafiosa nell’economia legale. In particolare il fenomeno dell’agromafia………. 26

Capitolo II: Il quadro normativo di riferimento

1. Per una moderna strategia di lotta alla mafia……… 31

2. La fase giudiziaria, amministrativa e sociale………. 33

3. Ricognizione dei principali interventi normativi in materia 12di contrasto alle organizzazioni criminali di stampo mafioso……….. 34

3.1.Il D.lgs. 6 Settembre 2011 (c.d. Codice Antimafia) e i successivi interventi correttivi………. 39

Capitolo III: La fase giudiziaria. Le misure di

prevenzione patrimoniali alla luce delle modifiche

apportate dal nuovo Codice Antimafia

1. Considerazioni introduttive. L’istituto del sequestro (cenni)……… 45

2. La confisca come disciplinata dall’art. 240 c.p. ………... 48

3. La confisca prevista dall’art. 416-bis, 7° comma, c.p. 52 4. La c.d. “confisca allargata”, ex art. 12-sexies del D.L. n. 306 del 1992……….. 53

5. La c.d. “confisca di prevenzione”………. 62

5.1.Il sistema ante-riforma………. 63

5.2.Il sistema post-riforma………. 67

6. Le innovazioni antecedenti l’entrata in vigore del Codice Antimafia. Il D.L. 23 Maggio 2008, n. 92, la legge 15 Luglio 2009, n.94, e il D.L. 4 Febbraio 2010, n.4 convertito con modifiche in legge 31 Marzo 2010, n. 50.. 72

7. Le innovazioni apportate dal Codice Antimafia………… 75

7.1.Le innovazioni attinenti al procedimento di applicazione ………. 77

7.2.La revoca della confisca di prevenzione………….. 80

7.3.I rapporti fra sequestro penale e sequestro di prevenzione antimafia……….. 83

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Capitolo IV: La fase amministrativa. L’Agenzia

nazionale per l’amministrazione e la destinazione

dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità

organizzata

1. Genesi……… 87

2. La struttura e l’organizzazione……….. 89

2.1.Gli organi………. 91

2.2.Le direzioni e gli uffici………. 94

2.3.Le dotazioni organiche ……… 97

3. Rete di relazioni………. 102

4. La natura giuridica dell’Agenzia………... 113

Capitolo V: Le funzioni dell’Agenzia nazionale per

l’amministrazione e la destinazione dei beni

sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata

1. Introduzione………... 120

2. Alle origini di un procedimento di gestione e amministrazione dei beni. In particolare la legge 7 Marzo 1996 n. 109………. 121

2.1.La svolta del D.L. n. 4 del 2010………... 128

2.1.1. L’entrata in vigore dei regolamenti………. 134

2.1.2. Tutela dei terzi e rapporti con le procedure concorsuali (cenni) ………. 138

2.1.3. Osservazioni conclusive 139 3. Le funzioni dell’Agenzia alla luce della disciplina dettata dal Codice Antimafia………. 141

3.1.Fenomenologia del procedimento di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Dal Commissario straordinario all’istituzione dell’Agenzia ………... 143

3.2.La destinazione dei beni confiscati. Dall’entrata in vigore della legge n.109, al Codice Antimafia 157 4. Analisi delle criticità riscontrate nel procedimento di destinazione e possibili soluzioni……….. 167

Capitolo VI: Dal bene confiscato al bene comune

1. Introduzione ……….. 173

2. Parte prima………. 176

2.1.Ricostruzione del quadro d’insieme: la proprietà nel codice civile e nella Costituzione ……….. 176

2.2.I beni comuni fra una prospettiva de iure condendo e una prospettiva de iure condito di analisi: la diversa operatività della funzione sociale………… 180

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2.4.Altre prospettive di classificazione: il bene e il

servizio che si innesta sul bene ………... 189

2.5.La tragedia dei beni comuni e le possibili soluzioni 192 3. Parte seconda………. 195

3.1.Definizione dell’ambito di riflessione……….. 195

3.2.Titolarità del bene e gestione del servizio. Tentativo di esegesi dell’art. 48 del Codice Antimafia………. 199 3.3.Amministrazione diretta del bene: i consorzi e le associazioni di promozione sociale……….. 202

3.4.Assegnazione in concessione. In particolare, la figura dell’impresa sociale ……….. 210

5. Osservazioni finali………. 217

Bibliografia……….

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Introduzione

Il fenomeno della criminalità organizzata da tempo incide negativamente sulla crescita del sistema, mortificando pesantemente le opportunità di sviluppo economico e sociale e mantenendo il controllo del territorio anche attraverso un sistema di regole sue proprie, garanti del mantenimento dell’ordine e della sicurezza, alternative a quelle statali e in grado di minacciarne la credibilità. Si ritiene tuttavia che non sia corretto parlare della criminalità organizzata e in particolare di quella di tipo mafioso come vero e proprio “anti-Stato”, che mira a sostituirsi a quest’ultimo: è preferibile l’espressione “fenomeno parassitario”, dal momento che le organizzazioni criminali sono state sempre in grado di trasformarsi e di adattarsi all’evoluzione della società, dell’economia e dei mercati, riuscendo a cogliere settori sempre nuovi di investimento. Mentre in passato le strategie di indagine e aggressione alla criminalità organizzata erano concentrate essenzialmente sull’identificazione e condanna dei singoli membri, oggi - in virtù di una acquisita consapevolezza sulle logiche di profitto e di potere che muovono le organizzazioni - ad una politica di repressione che mira all’identificazione e arresto dell’affiliato, se ne è affiancata un’altra, che mira a colpire il nocciolo duro del loro potere, ossia le risorse economiche e finanziarie, derivanti sia dai proventi di attività illegali (sfruttamento della prostituzione, traffico illecito di armi da fuoco, droghe, contraffazione, gioco d’azzardo, traffico illecito di rifiuti, traffico illecito di tabacco, usura ed estorsioni), sia dagli investimenti nell’economia legale.

Dal primo punto di vista stime recenti indicano come i ricavi annuali delle mafie varino tra un minimo di 8,3 e un massimo di 13 miliardi di euro; la media che ne risulta - 10,6 - corrisponde allo 0,7% del PIL nazionale. Dal secondo punto di vista l’infiltrazione mafiosa nell’economia legale è favorita da talune criticità, come una disciplina

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di alcuni tipi societari poco severa e facilitatrice di fenomeni di riciclaggio. La massimizzazione del profitto con minimizzazione del rischio fa sì che vengano privilegiati investimenti in terreni e fabbricati oppure in settori caratterizzati da sussidi, o appalti pubblici, concessioni e autorizzazioni, dove la concorrenza è poco intensa; la ricerca di un consenso sociale della comunità spingerebbe poi le organizzazioni ad investire laddove è garantita la possibilità di creare posti di lavoro, ed infine motivi strategici di controllo del territorio sarebbero alla base di investimenti nel settore turistico, della grande distribuzione, negli appalti.

Da questo quadro emerge in modo evidente come sia possibile parlare, con riferimento alla legge n. 646, del 13 settembre 1982 (nota come legge "Rognoni-La Torre") – che introduce da un lato la fattispecie di cui all’art. 416-bis c.p. rubricata associazione a delinquere di tipo mafioso, e dall’altro l’obbligatorietà della confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego – di geniale intuizione di politica criminale: una geniale intuizione che il 30 aprile 1982, costò la vita ad uno dei suoi promotori, l’On. Pio La Torre e al suo autista Rosario Di Salvo.

Grazie all’emanazione della suddetta legge, da un lato si riconosce giuridicamente l’associazione di tipo mafioso come un qualcosa di diverso dalla associazione a delinquere tout court, caratterizzata dalla forza del vincolo associativo, dal metodo mafioso e dall’elemento dell’omertà che essa desta nella comunità di riferimento; dall’altro lato si inaugura una politica di contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, volta a colpire le risorse economiche della stessa.

L’altro grande pilastro normativo è costituito dalla legge n. 109 del 1996, che introdusse la possibilità di destinare a finalità sociali i beni immobili confiscati.

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Gli anni successivi alla approvazione della legge furono segnati da un sostanziale insuccesso della stessa, a causa di varie problematiche che ostacolarono l’effettività di un riutilizzo a fini sociali dei beni oggetto di confisca definitiva. Numerosi tentativi e proposte furono promosse, al fine di giungere ad una applicazione concreta della legge n.109, tutti diretti alla semplificazione del procedimento di destinazione e alla riduzione dei soggetti in esso a vario titolo coinvolti, fino alla approvazione del D.L. n.4 del 2010 istitutivo dell’Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Con tale intervento normativo si istituisce una struttura in grado di accompagnare il bene dal sequestro fino alla confisca definitiva e successiva destinazione, con poteri di supervisione e di controllo anche nella fase successiva ad essa.

In seguito, esigenze di razionalizzazione di un sistema fortemente disomogeneo hanno portato all’approvazione nel 2011 del c.d. Codice Antimafia, con l’obiettivo di includere all’interno di esso l’intera normativa - sia sostanziale che processuale - di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Tale obiettivo di riordino e razionalizzazione non è stato raggiunto, e il Codice fin dai primissimi periodi successivi alla sua emanazione è apparso a molti inadeguato, tanto che esso è stato subito oggetto di due interventi correttivi.

L’approccio che nel presente lavoro è stato seguito vuole essere (quanto meno nelle intenzioni del suo autore) atipico. Si parla spesso di riappropriazione o restituzione dei beni confiscati alla criminalità organizzata alla comunità cui gli stessi ineriscono: l’obiettivo che ci si pone è scoprire se attraverso la riflessione sui beni comuni – in una logica diversa da quella tipica dell’individualismo proprietario, perché fondata, piuttosto, sulla gestione condivisa di risorse produttive di utilità destinate al soddisfacimento di diritti fondamentali e funzionali all’espressione della libera personalità - sia possibile dare un contenuto giuridicamente significativo a tali concetti, per dimostrare come un bene

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confiscato alla mafia e destinato ad uso sociale possa trasformarsi in una straordinaria opportunità di riscatto sociale per i componenti della comunità, e di strumento di educazione alla legalità, funzionale all’abbattimento di quella condizione di generale omertà che costituisce il vero ostacolo alla realizzazione di una politica di contrasto veramente efficace che postula per necessità un coinvolgimento e una collaborazione della popolazione.

Negli ultimi anni si è assistito ad una sostanziale riscoperta della categoria dei beni comuni grazie ai lavori della Commissione Rodotà e al successo della campagna referendaria avverso la privatizzazione del servizio idrico; tuttavia in tale successo si annida l’insidia che la riflessione sul tema dei beni comuni possa essere oggetto di strumentalizzazioni che potrebbero depotenziare, se non mortificare, la portata innovativa e di cambiamento che essa può trascinare: evitare che la formula “beni comuni” divenga un mero slogan è quindi esigenza primaria e fondamentale nell’ottica, qui adottata, di una riflessione giuridica.

Nel primo capitolo del presente lavoro sarà definito il perimetro di interesse all’interno del quale si svilupperà la riflessione successiva, qualificando il termine mafia come polisemico, destinato cioè ad abbracciare più significati a seconda del contesto in cui viene calato; seguirà una analisi breve dell’art. 416-bis c.p. in cui si cercherà di evidenziare gli elementi caratterizzanti della fattispecie incriminatrice associazione di tipo mafioso, rispetto alla generica associazione a delinquere. Tale analisi – svolta nei limiti in cui è funzionale al discorso che si intende proporre in questa sede, quindi senza pretese di completezza - è fondamentale per capire come il legislatore nella stesura dell’art. 416-bis sia stato influenzato dalle riflessioni sociologiche sul tema, con l’inclusione all’interno della disposizione di quell’elemento dell’omertà che tanti problemi ha cagionato alla interpreti e alla giurisprudenza, alle prese con il compito di salvare la fattispecie da vizio

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di indeterminatezza. Si è pertanto scelto di dedicare parte della trattazione alla analisi dei principali contributi sociologici al tema mafia. Si concluderà parlando del fenomeno dell’infiltrazione mafiosa nell’economia legale, in particolare del fenomeno dell’agromafia. Il secondo capitolo sarà dedicato ad un’analisi ricognitiva dei principali interventi normativi in materia di contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, dalla legge 31 Maggio 1965, n. 575 alla emanazione del c.d. Codice Antimafia del 2011 e successivi interventi correttivi

Il terzo capitolo sarà dedicato alle misure di prevenzione di tipo patrimoniale. Dopo un breve cenno all’istituto del sequestro, la nostra attenzione si focalizzerà sull’istituto della confisca come strumento fondamentale attraverso il quale si realizza il passaggio della titolarità del bene oggetto di misura ablativa: dal patrimonio personale del soggetto investito dal provvedimento al soggetto pubblico. Ci soffermeremo infine sulle varie ipotesi di confisca previste dal nostro ordinamento e sulle innovazioni introdotte dal Codice antimafia. Il quarto capitolo sarà dedicato all’Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Dopo aver accennato a quelle che sono state le motivazioni fondamentali poste a fondamento della sua istituzione, ci soffermeremo sulla struttura e l’organizzazione, facendo riferimento da un lato agli organi, uffici e direzioni che la compongono, e dall’altro alle dotazioni organiche e alle reti di relazioni che essa nel corso del tempo ha instaurato con altri soggetti pubblici e privati.

Il quinto capitolo sarà dedicato alle funzioni svolte dall’Agenzia nazionale. Dopo aver tracciato un quadro evolutivo del procedimento di gestione e amministrazione alla luce dei più importanti interventi del legislatore, ci soffermeremo sulla destinazione dei beni oggetto di confisca definitiva, analizzando da un lato quelli che possono essere i

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beni confiscati e le loro possibili destinazioni d’uso, e dall’altro, sul ruolo in tal contesto assunto dall’Agenzia.

Nel sesto ed ultimo capitolo, cercheremo di capire se sia possibile parlare di bene confiscato alla criminalità organizzata come bene comune. A fini di chiarezza espositiva si è preferito scindere il capitolo in due parti. La prima parte sarà dedicata alla materia dei beni comuni, con considerazioni introduttive sull’istituto della proprietà così come disciplinato dal codice civile e dalla Costituzione; analizzeremo in essa le due prospettive de iure condito e de iure condendo di riflessione sul tema e osserveremo in esse il diverso atteggiarsi della funzione sociale della proprietà; accenneremo all’esperimento della c.d. Commissione Rodotà; postuleremo una distinzione fra bene e servizio che sullo stesso si innesta funzionale ad esprimere il potenziale produttivo di utilità destinate al soddisfacimento di diritti fondamentali della persona e funzionali alla libera espressione della personalità e parleremo delle conseguenze pratiche di tale suddivisione. La seconda parte sarà dedicata all’applicazione della “dimensione del comune” (così come risulta dalle considerazioni svolte prima parte) ai beni confiscati; cercheremo di definire l’ambito di riflessione attraverso un tentativo di esegesi dell’art. 48 del Codice Antimafia; utilizzando la distinzione fra bene e servizio postulata nella prima parte, ci chiederemo in primo luogo se le figura dell’associazione di promozione sociale e la figura dell’impresa sociale siano in grado di gestire il servizio che s’innesta su un bene comune e se, in secondo luogo, un bene confiscato alla criminalità organizzata non sia in grado di esprimere di per sé, senza l’intermediazione di un servizio ma già solo garantendo il libero accesso, un’utilità destinata al soddisfacimento di diritti fondamentali della persona.

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Capitolo I: Polisemia del termine Mafia

1. Definizione del perimetro di interesse e considerazioni introduttive

Il termine mafia è un termine definito da un’autorevole storico1

“polisemico”, che si riferisce cioè a fatti differenti a seconda dei contesti, delle circostanze, delle intenzioni e dell’interesse di chi lo usa, per questo, le prime riflessioni del lavoro saranno dedicate a chiarire la prospettiva dalla quale la tematica sarà analizzata.

Il tema “mafia” è un tema che ricorre sovente nella riflessione di grandi storici, antropologi, sociologi, giuristi e criminologi, e all’ interno di ciascun dominio si possono distinguere settori di interesse differenti; per esempio all’interno del nostro dominio di competenza, quello giuridico, è possibile distinguere un settore di interesse strettamente penalistico, un settore più propriamente processuale, un settore amministrativistico e così via.

L’approccio con il quale il presente lavoro si avvicina alla materia è tendenzialmente atipico: l’obiettivo è quello di descrivere da un lato la strada che il bene confiscato alla criminalità organizzata compie per essere destinato ad uso sociale, dall’altro se a seguito della predetta destinazione sia possibile parlare di bene confiscato come “bene comune”, soprattutto alla luce di una prospettiva di analisi de iure condito che, come avremo nel proseguo della trattazione modo di esplicare, non postula una incompatibilità ontologica fra tale categoria e e il binomio proprietà pubblica-privata sancito dall’art. 42 della Costituzione. Per raggiungere questi obiettivi si crede tuttavia che non sia possibile prescindere totalmente da elementi che appartengono alla tradizione sociologica e antropologica di riflessione sul tema “mafia” e questo per tre motivi essenziali a parere di chi scrive:

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. Il legislatore ha dimostrato sovente l’importanza di una preliminare riflessione storica e sociologica sul tema prima di tentare una modifica della normativa antimafia vigente , o prima dell’introduzione di nuove norme di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso ; questo è dimostrato in prima istanza dalle numerose Commissioni parlamentari di inchiesta che nel tempo si sono succedute e che hanno costituito la base sulla quale tentare riforme legislative 2, e in secondo luogo dalla introduzione di un elemento nella fattispecie incriminatrice di cui all’art 416 bis c.p. , quello della omertà, che a causa delle sue radici sociologiche, ha destato notevoli problemi interpretativi. Questo discorso è alla base della scelta di includere all’interno di questa prima parte preliminare del lavoro, una breve riflessione sull’art 416 bis c.p. che insieme ad altri contribuisce a disegnare il perimetro all’interno del quale applicare le misure di prevenzione personali e patrimoniali antimafia3.

. In secondo luogo la categoria dei “beni comuni” trova in tale contesto la sua ragion d’essere nell’impatto culturale e sociale che la criminalità organizzata ha avuto ed ha tutt’ora sulla popolazione; solo riuscendo a

2 Le Commissioni parlamentari di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre

associazioni criminali similari sono state in tutto otto:

. La commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, istituita con legge 20 Dicembre 1962, n.1720

. La seconda Commissione fu istituita dalla Legge Rognoni-La Torre (Legge 13 Settembre 1982, n.646)

. La terza istituita con legge 23 Marzo 1988, n.94

. La quarta fu istituita con D.L 8 Giugno 1992 n.306, convertito con modificazioni, dalla Legge 7 Agosto 1992, n.356)

. La quinta istituita con legge 30 Giugno 1994, n.430 . La sesta istituita con la Legge 1 Ottobre 1996, n. 509 . La settima istituita con legge 19 Ottobre 2001, n.306 . La ottava istituita con legge 27 Ottobre 2006, n. 277

3 Un elemento di forte complessità era dato, prima dell’intervento del legislatore

con la Legge di Stabilità per il 2013 dalla coesistenza di due distinti procedimenti di sequestro, quello penale e quello “di prevenzione antimafia” come vedremo in seguito. Con la legge 24 Dicembre 2012, n.2012 il legislatore è intervenuto unificando la disciplina della amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati in sede di prevenzione e in sede penale, semplificando non poco il sistema.

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capire la grandezza e l’atteggiarsi di tale impatto è possibile concepire l’importanza della destinazione sociale del bene oggetto di confisca e della sua conseguente metamorfosi, da bene simbolo del potere mafioso ed emblema del successo della illegalità, ad uno straordinario strumento educativo e di riscatto sociale; la strada seguita è quella di ripercorrere le principali tappe del pensiero sociologico sul tema , analizzando le tre principali macro-aree di analisi e soffermandoci in particolare sull’ultima , l’analisi istituzionale, in cui si evidenzia l’aspetto “politico” della mafia.

. In terzo luogo è fondamentale dare un rapido sguardo ai nuovi settori di investimento criminale, in particolare al settore agricolo; dando infatti uno sguardo alla ultima relazione ANBSC del 2012, si vede come su un totale di 11.238 beni immobili, 2.245 sono terreni agricoli, una percentuale rilevante del totale, segno tangibile dell’espandersi di quel settore di interesse criminale detto “agromafia”.

Tracciato quindi il perimetro della nostra riflessione, incominciamo a sviluppare il primo dei tre punti sopraelencati.

2. Brevi riflessioni penalistiche. La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416-bis c.p. e l’elemento dell’omertà

Si sente spesso dire che L’Italia è un paese che ospita quattro mafie tradizionali: Cosa Nostra, ‘ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita. Non è questo il luogo in cui discutere sulla opportunità di tale distinzione, né il luogo in cui indagare sulle diversità strutturali delle organizzazioni citate; è però indubbio come, dando uno sguardo alla distribuzione territoriale dei beni confiscati, nonostante che il fenomeno coinvolga l’intera penisola, essi si concentrino maggiormente nelle quattro regioni in cui il fenomeno criminale mafioso ha assunto per così dire carattere endemico4. Il legislatore sembra però porsi in

4 Dalla Relazione della ANBSC emerge come il 42,60% dei beni sia concentrato in

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controtendenza rispetto a tale assunto, visto che nel momento in cui va a scrivere la fattispecie incriminatrice di cui all’art 416 bis la scelta che opera è peculiare: esso sembra focalizzare l’attenzione sul metodo mafioso senza dare risalto alla territorialità del fenomeno; quanto detto può essere evinto in maniera immediata da due elementi su tutti: . Il primo è la rubrica dell’art 416 bis c.p. “associazione a delinquere di tipo mafioso anche straniere”5

. Il secondo è costituito dall’ultimo comma dell’art 416 bis c.p. “le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta, e alle altre associazioni, comunque localmente denominate anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.

Sicuramente l’epicentro della fattispecie normativa suddetta è rappresentato dal 3° comma, in cui il legislatore cerca di identificare quelli che sono gli elementi costitutivi della associazione di stampo mafioso e che dispone quanto segue:

“L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire o di ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”

significativo si riscontra anche in Lombardia con 1186 beni confiscati, a fronte dei 1126 in Puglia, 1918 in Campania, 1811 in Calabria, 5515 in Sicilia.

5 L’art 1 c.1, lett.B-bis , D.L. 23 Maggio 2008, n.92 convertito in legge 24 Settembre

2008, n.125 ha modificato l’originaria rubrica “associazione di tipo mafioso” nella attuale.

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La fattispecie di cui all’art 416 si pone in netta controtendenza rispetto al processo generalizzatore che ha riguardato il 416 c.p. “associazione a delinquere”6 individuando in modo analitico gli elementi costitutivi

della fattispecie, e costituisce la risposta del legislatore alla constatata inidoneità dell’art 416 c.p. “associazione a delinquere” a far fronte al fenomeno mafioso7; due in particolare erano i punti individuati come deboli dell’art 416 c.p.:

. Soprattutto nei luoghi in cui la mafia può essere definito fenomeno endemico, il raggiungimento degli obiettivi della associazione era affidato alla forza intimidatrice in quanto tale, senza che essa sfoci in concreto in una violenza o minaccia;

. L’art 416 c.p. richiede come elemento fondamentale un programma criminoso, non sempre presente in una associazione di tipo mafioso; Queste considerazioni sono alla base della svolta normativa rappresentata dalla legge 13 Settembre 1982, n.646 (c.d. Legge Rognoni-La Torre) che introduce la fattispecie di cui all’art416 bis c.p. Ho già avuto occasione di specificare come questa non vuole essere una riflessione penalistica, tuttavia un breve esame della fattispecie e dei suoi elementi pare necessario in fase introduttiva per capire quale possa essere il significato da attribuire all’elemento di derivazione sociologica che il legislatore ha utilizzato (l’omertà) e da dove deriva quel quid pluris di disvalore sostanziale della fattispecie che legittima una destinazione ad uso sociale dei beni confiscati; infine ci servirà per

6 Si parte dal Codice Napoleonico che includeva fra i “delitti contro la sicurezza dello

Stato”, le fattispecie di attentato, cospirazione e bande armate e “coloro che conoscendo la condotta criminosa di malfattori che esercitano brigantaggio o violenze contro la sicurezza dello Stato, la pace pubblica, le persone o la proprietà, loro somministrano abitualmente alloggio, luogo di ritirata o di riunione” e

passando per il codice del Granducato di Toscana del 1853, e dal codice Zanardelli il percorso si è completato con il codice Rocco nel quale si ha associazione a

delinquere quando “tre o più persone si associano al fine di commettere più delitti”.

7 Nella relazione di accompagnamento alla originaria proposta di Legge “La Torre” si

fa riferimento alla constata inidoneità dell’art 416 c.p. a ricomprendere “tutte le realtà associative di mafia che talvolta prescindono da un programma criminoso”.

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chiarire qual è il perimetro sostanziale all’interno del quale si innesteranno le future riflessioni più propriamente procedimentali. Un primo elemento costitutivo del “metodo mafioso” è la forza di intimidazione del vincolo associativo, addirittura abbracciando una interpretazione letterale della fattispecie sembra che la condizione di assoggettamento e di omertà sia una conseguenza di tale forza 8; autorevoli esponenti della dottrina penalistica9 sostengono che l’avvalersi della forza di intimidazione non implica automaticamente l’espletarsi di una condotta penalmente rilevante: l’associazione può avvalersi della forza intimidatrice ponendo in essere una minaccia implicita o esplicita integrando così gli estremi di un reato (minaccia o violenza privata), oppure può avvalersi di una forza intimidatrice tanto consolidata da non richiedere neanche una condotta penalmente rilevante di manaccia e violenza; proseguendo nel ragionamento sembra opportuno distinguere due momenti o profili attinenti alla forza intimidatrice : un momento statico , attinente alla capacità di intimidazione della associazione non solo potenziale e attuale e un momento dinamico costituito dallo sfruttamento di tale capacità, anche solo potenziale ; si ricade nell’art 416 c.p. quando più soggetti intendono compiere atti intimidatori sfruttando una capacità di incutere timore di cui la associazione in quanto tale non è ancora dotata; si ricade viceversa nel 416 bis c.p. quando la stessa associazione acquisterà tale capacità in virtù della precedente attività criminale compiuta o grazie alla fama dei suoi componenti; in questo caso la associazione è dotata di capacità intimidatrice tale da determinare se utilizzata, una condizione di assoggettamento e di omertà.

Quindi sembra possibile interpretare la locuzione “avvalersi” in modo non strettamente letterale, ricomprendendo al suo interno non solo

8 In tal senso vedi per esempio Ingroia in “L’Associazione di tipo mafioso”, Giuffrè,

Milano, pag.63

9 Vedi De Francesco G., “Associazione per delinquere e associazione di tipo

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condotte di violenza e minaccia che integrano una fattispecie di reato, ma anche comportamenti non esteriormente percepibili di utilizzo della forza intimidatrice.

Arriviamo finalmente a trattare dell’elemento della condizione di assoggettamento e di omertà; importante il rapporto con il precedente elemento: la condizione di assoggettamento e di omertà non deve ritenersi tanto un elemento di qualificazione della forza intimidatrice, ma piuttosto il risultato della stessa; occorre tuttavia evitare un equivoco in cui facilmente si potrebbe incorrere, cioè ritenere che la condizione di assoggettamento e di omertà sia meramente derivante dalla capacità intimidatoria, essa deve essere il risultato dello sfruttamento di tale capacità. La norma non pretende che la condizione di assoggettamento e di omertà “si traduca in uno status di permanente sottomissione e di soccombenza, ingeneratosi nel contesto sociale in cui opera il gruppo “, il fatto che il legislatore usi la locuzione “derivi” implica che tale condizione sia “un effetto psicologico, temporaneo e obiettivamente rilevabile, provocato dalla forza di intimidazione del vincolo associativo”10; se si sostiene il contrario si opera una drastica riduzione

del campo di applicazione della norma vincolandola a canoni regionalistici e ”tradizionali” .

Il problema ora è cercare di dare un contenuto giuridico, ad un concetto che il legislatore ha mutuato dalla sociologia, il concetto di omertà. Il rischio è quello leggere il requisito, quindi dare una interpretazione della fattispecie in chiave spiccatamente sociologica, il che andrebbe ad incidere sul canone fondamentale della determinatezza, e riproporrebbe la problematica di una visione eccessivamente regionalistica della fattispecie; una soluzione equilibrata e che pare scongiurare le problematiche di cui abbiamo detto è quella di interpretare l’elemento omertà come rifiuto di collaborare con gli organi dello Stato.

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La interpretazione che abbiamo abbracciato del concetto di omertà certo ne limita l’importanza all’interno della fattispecie, poiché lo circoscrive a mero precipitato della condizione di assoggettamento: quest’ultimo si risolve in uno stato di assoluta sottomissione e succubanza che non può non implicare un atteggiamento omertoso.

Ultimo elemento che a me pare significativo è quello del programma associativo. La norma fa riferimento espressamente a quattro finalità tipiche, è sufficiente la sussistenza di una di queste perché il reato si integri e il loro concorso non determina una pluralità di reati. Esse sono: . La finalità di commissione di delitti

. La finalità di acquisizione in modo diretto o indiretto della gestione o comunque del controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti, e servizi pubblici

. Finalità di realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri . Finalità di impedire o ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali11 Completata la disamina degli elementi più significativi della fattispecie di cui all’art 416 bis passiamo al secondo punto.

3. Considerazioni sociologiche

Sicuramente parlare dell’impatto profondo che il fenomeno criminale mafioso ha sulla popolazione e sul territorio non è affare semplice e implica riflessioni sociologiche e storiche che esorbitano dagli obiettivi del presente lavoro e dalle capacità del suo autore; tuttavia un accenno ad esso è necessario, per comprendere come la destinazione ad uso sociale dei beni confiscati e la “gestione condivisa” possa essere considerata come il punto di partenza di una politica di lotta alla

11 Finalità introdotta dall’art 11 bis del D.L. 8 Giugno 1992, n.306 convertito in legge

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criminalità organizzata di tipo mafioso che parte dal basso, che vede il suo fulcro proprio nella cittadinanza locale .

Nel 1876 Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti intrapresero una inchiesta sugli eventi criminali violenti che caratterizzavano l’isola in quel periodo; nel primo volume dell’inchiesta, Franchetti incentrò la propria attenzione sulle radici storico- sociali della mafia. L’elemento caratterizzante del fenomeno della mafia siciliana fu individuato nella universale complicità di cui essa godeva ai più svariati livelli, e la causa nel sistema clientelare e nella mentalità individualista che pervadeva la società, aggravata dell’ormai secolare sistema feudale vigente. Esso in questo contesto definì la mafia come fatto sociale totale; In effetti parlare di mafia e cercare di definirne il concetto non è affatto semplice, essa è un entità in continua trasformazione in grado di mimetizzarsi ed oscurarsi tanto da apparire a tratti inesistente.

I contributi sociologi sul tema possono essere distinti in tre grandi settori di riflessione e studio: un approccio più propriamente “sociale” e “culturale”, un approccio “economico” e un approccio “istituzionale”.

3.1. L’approccio socio-culturale

L’approccio socio-culturale al fenomeno mafioso può essere a sua volta distinto in due grandi linee di pensiero:

. La prima vede nel fenomeno mafioso una “sindrome della arretratezza”, specchio di una società rurale e arcaica, dove l’essere mafioso è legato ad una caratteristica antropologica propria dei “meridionali”12.

Queste prime interpretazioni del concetto di mafia fanno riferimento ad un concetto di cultura che fa leva essenzialmente su due elementi, le

12 Tipica in tal senso è l’interpretazione del fenomeno mafioso di Giuseppe Pitrè che

alla fine del XIX sec. Sosteneva che la mafia fosse “la coscienza dl proprio essere, l’esagerato concetto di forza individuale, unica e sola arbitra di ogni contrasto, di ogni urto di interesse, di idee” da Pitrè G. “usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano” , Barbera 4° volume Firenze , 1889, pag. 292.

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norme e i valori vincolanti; entrambi sono ritenuti funzionali al mantenimento del sistema sociale e da questo separato; l’agire è presentato in termini fissi, gli attori passivi plasmati dalla struttura sociale in cui sono inseriti. Si tratta tuttavia di argomentazioni ampiamente superate che vedono la mafia come il prodotto della arretratezza, precipitato di una società rurale e arcaica, facendo riferimento ad una vecchia storiografia che descrive il mezzogiorno ottocentesco e della prima metà del ‘900 come società semi-feudale incapace di rinnovarsi ed evolversi da un punto di vista economico. Il binomio mafia- latifondo rappresenta uno strumento di lettura solo parziale del fenomeno: la riforma agraria, la scolarizzazione, l’industrializzazione non lo hanno infatti estirpato, anzi la mafia ha mostrato nel corso del tempo una grande capacità di adattamento e trasformazione plasmandosi sulle piaghe di una società in continua evoluzione, sopravvivendo alla modernità.

Un autore particolarmente importante è Hener Hess : esso introduce il concetto di subcultura applicandolo al sistema sociale siciliano ; da questo punto di vista la mafia è caratterizzata non dal fatto di essere un entità associativa o organizzativa, bensì un modo di essere e di agire. Non esiste un entità che si chiama mafia, ma uomini che vengono chiamati mafiosi che si comportano come tali poiché seguono norme considerate illegittime dallo Stato ma sentite come valide e giuste dalla morale popolare, quindi dal sistema normativo subculturale locale. Questa teoria è anch’essa superata poiché ancora il fenomeno mafioso alla società tradizionale finendo per imprigionarlo nell’espressione diretta e immediata di alcuni valori e tratti psicologici.

. La seconda linea interpretativa è quella propria della sociologia culturale contemporanea; la crisi del paradigma parsonsiano maturata negli anni ’70 , si è risolta nella rapida ascesa di ampio novero di teorie sociali che rigettano il funzionalismo, in particolare le teorie della scelta razionale da un lato , e il nuovo polo-storico culturale dall’altro; da

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quest’ultimo prende corpo un decisivo ripensamento delle categorie centrali della teoria culturale, oltre i canoni del funzionalismo parsonsiano13; si parte dalla svolta culturale di Alexander14, e si opera un ripensamento del concetto di cultura , come costituita non solo di norme e valori funzionali al mantenimento di un sistema sociale , ma anche di simboli e significati che pervadono il mondo sociale dandogli una forma ; si propone un concetto di cultura più aperto e flessibile alla interazione strategica degli attori; la sociologia culturale contemporanea guarda ad attori sociali che divengono produttori di cultura e non solo più prodotti di cultura.

Cosi Marco Santoro definisce la mafia “un repertorio culturale, da cui tanto gli agenti sociali, quanto gli osservatori attingono, descrivono, classificano, interpretano modelli di comportamento e significato”15.

L’autore citato ribadisce la necessità di focalizzare l’attenzione su elementi prima considerati secondari come i simboli, vera chiave di volta del processo dinamico di interazione, che porta ad una continua rinegoziazione e ridefinizione dei significati, in netta contrapposizione ad Hess e ai culturalisti in generale che inquadrano la cultura come un sistema chiuso e separato dagli altri. Il cambio di rotta è evidente : la mafia non è più riconducibile ad una qualche precisa categoria sociale

13 Di funzionalismo parsonsiano, si parla facendo riferimento alla teoria

struttural-funzionalista di Talcott Parsons ( 1902-1979) . Per questo autore esistono elementi necessari alla presenza dell’atto che sono: un attore , un fine (cioè una situazione futura verso cui la azione è orientata), e una situazione da cui ha inizio l’azione . Per scegliere i mezzi più idonei al raggiungimento di un fine è necessario adeguarsi a determinate norme, che dunque devono essere considerate anch’esse elemento indispensabile dell’atto in quanto elemento che conferisce concretezza al fine. Gli uomini secondo l’autore non rispondono solo agli stimoli ma cercano di conformare anche la loro azione a determinati modelli ritenuti desiderabili dall’attore e da altri membri della collettività. L’azione è sociale solo quando fini e norme sono

riconoscibili in un contesto di interazioni che non consentono che tali fini e tali norme siano considerati indipendentemente dalla situazione sociale. Il sistema sociale è dunque definito in termini di interazione ma è una interazione che avviene non tra singole personalità, bensì interazione di relazioni reciproche tra soggetti agenti in termini di status (posizioni sociali del soggetto agente) e di ruoli (attività del soggetto agente collegata alla sua posizione sociale).

14 Alexander J.C. , “ The meanings of social life. A cultural Sociology”. 15 Santoro M., “ la voce del padrino” Ombre Corte , Verona , 2007 , pag 137

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(siciliani, meridionali, gabellotti, campieri ecc..), né ad una qualche comunità organizzata , ma dipende da una serie di credenze e pratiche ; Hess avrebbe limitato la subcultura mafiosa agli orientamenti di valore e al sistema normativo , la sociologia culturale contemporanea invece riscopre il concetto di subcultura, rendendolo compatibile con gli aspetti della teoria della comunicazione strategica e dei flussi comunicativi tra gli attori sociali ; secondo Santoro è possibile sostenere che le organizzazioni mafiose si reggano e si diffondono attraverso intensi e strategici sistemi di flussi comunicativi, per il tramite di elementi della subcultura, che non solo circolano nel tessuto sociale, ma si costituiscono anche in quanto tali16.

Un altro grande studioso americano17 inquadrabile all’interno della stessa corrente opera una ridefinizione e flessibilizzazione del concetto di subcultura: essa deve essere intesa come rete di flussi comunicativi attraverso interazioni ripetute che producono e fanno circolare la cultura. In questo modo da un lato si inquadra la subcultura mafiosa come distinta da altre forme subculturali ma al tempo stesso costituita da altre subculture18, dall’altra lascia aperta la possibilità di ammettere

la diffusione di pratiche e simboli mafiosi anche oltre i confini tradizionali territoriali della organizzazione, così che una espansione territoriale e sovranazionale delle mafie non entra in contraddizione con un sistema organizzativo e identitario su base locale; ma c’è di più : questa teoria considera i processi di mutamento culturale che avvengono anche nella mafia, scongiurando il pericolo di una riproposizione di un concetto statico di mafia come subcultura che non spiega il processo di continua trasformazione del fenomeno.

16 Santoro, opera citata, pag.66 17 Gary Alan Fine

18 La subcultura specifica di Cosa Nostra per esempio, in quanto organizzazione con

una storia e struttura organizzativa propria e la subcultura delle singole Famiglie, spesso spazialmente identificabili come i Corleonesi.

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3.2. L’approccio economico

L’approccio che prima abbiamo definito economico è costituito da quelle correnti di pensiero fortemente condizionate dal contesto socio economico che imperversava negli anni ’80 e ’90: la mafia inizia a manifestarsi non solo come fenomeno che mette in pericolo la sicurezza sociale ma anche come “multinazionale del crimine” capace di grandi accumulazioni di capitale proveniente da affari illeciti e investimenti nell’economia legale. In questo contesto si colloca la tradizionale, ma sotto più versi criticata distinzione tra “nuova” mafia imprenditrice e “vecchia” mafia tradizionale e rurale. L’accento viene incentrato sulla modernità della struttura economica come tratto caratterizzante la associazione e sull’aspetto organizzativo.

Autore di spicco in tal senso è Pino Arlacchi: esso contrappone la figura del vecchio mafioso a quella di una nuova mafia, legata alla accumulazione di capitale, al business del narcotraffico e della speculazione edilizia; Arlacchi mette in luce la natura economica della mafia ponendo in essere una analisi che ripercorre l’evoluzione del potere mafioso dalla società tradizionale siciliana e calabrese di inizio ‘900 fino all’esplodere del traffico internazionale di eroina degli anni ’70.

La distinzione tra nuova e vecchia mafia, tra l’altro ciclicamente riproposta19 è stata oggetto di profonde critiche: la mafia si caratterizza per un continuo adeguamento dei valori arcaici alle esigenze del presente, per la sua abilità nel confondersi con la società civile, per l’uso

19 Giovanni falcone si esprime così “Tutte le volte che cosa nostra si converte ad

attività più redditizie e sale il livello di pericolo sociale da essa rappresentato non si fa altro che parlare di nuova mafia . Una sentenza della Corte di Cassazione del 1977 afferma con incredibile sicurezza che la vecchia mafia non era un’associazione criminale mentre la nuova lo è: altro contributo delle istituzioni alla non

comprensione del fenomeno e alla disinformazione .” da Cose di Cosa Nostra , la biblioteca del corriere della sera , 2 edizione , 1995, pag.104

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dell’intimidazione e della violenza, per la sua capacità ad essere sempre diversa e sempre uguale20.

Altro autore meritevole di citazione che tenta una analisi “economica” del fenomeno mafioso è Diego Gambetta21, secondo il quale la mafia è “una industria che produce, promuove, vende protezione privata”22. La

riflessione di Gambetta si rivela subito, dalla citazione operata, originale, poiché il punto di partenza è differente rispetto alle riflessioni tradizionali che vedono nella violenza e non nella protezione l’elemento caratterizzante del fenomeno; in particolare frequente è l’espressione “monopolio della violenza” o della “forza”, che lo Stato non sarebbe riuscito a conquistare in buona parte del Mezzogiorno, fallimento che da molti è stato additato come causa originante del fenomeno mafioso. Questa equazione secondo la teoria in questione non deve essere considerata insormontabile: certo Stato e mafia hanno a che fare con un bene medesimo, ma esso non deve essere considerato l’uso della forza, bensì la protezione, trattandosi il primo di un mezzo e non di un fine. Punto fondamentale della teoria è la esistenza di “protettori” specializzati, non si tratta però di imprenditori violenti ma di imprenditori della violenza, i quali devono essere e sono, autonomi, liberi di scegliere di sostenere gli interessi della parte che assicura loro profitti maggiori.

Gambetta quindi non identifica il mafioso con una categoria sociale determinata: non nel gabellotto (imprenditore agricolo che prende la terra in affitto da un’aristocrazia ormai spostata in città e disattenta alla cura della terra) non nel campiere (guardie armate dei latifondi): Così facendo si confonde la mafia con i suoi clienti; è possibile che la protezione venga internalizzata all’interno della stessa “azienda”, come

20 Per un'altra critica alla distinzione fra vecchia e nuova mafia vedi Salvatore Lupo

“storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri” Donzelli , Roma , 1996, pag.22

21 D.Gambetta, “la mafia siciliana. Un’industria della protezione privata”,

Einaudi,Torino, 1992

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i bravi per i baroni o i campieri per i gabellotti, ma si può parlare di mafia solo nel momento in cui il fornitore di protezione si autonomizza; prima di tale momento Gambetta parla di ginnastica premafiosa23. Una volta che la protezione viene concessa, non può più essere ritirata, a causa della particolare natura della merce “compravenduta”; nella compravendita di protezione i clienti vengono internalizzati, divengono elementi permanenti dell’impresa, trasformandosi in proprietà.

3.3 L’approccio istituzionale

L’ ultimo l’approccio, quello istituzionale mira a mettere in evidenza l’aspetto politico della mafia; Al giurista Santi Romano si deve la elaborazione della teoria della “pluralità degli ordinamenti giuridici”, la quale afferma la contemporanea presenza all’interno dello Stato di governi privati o particolari, macrostrutture di potere che in quanto tali fanno sempre riscontrare la presenza di tre elementi: una plurisoggettività, un apparato organizzativo, e un proprio sistema normativo anche non scritto. Partendo dalla intuizione di Santi Romano altri autori24hanno sostenuto che anche le organizzazioni mafiose possono essere valutate in termini di ordinamento giuridico. Molte sono le caratteristiche dello Stato come ordinamento giuridico che sono state ritenute caratterizzanti anche le organizzazioni criminali mafiose e spesso questo ha dato adito a derive estremistiche, che hanno portato taluni a parlare di mafia come “anti-Stato”. Molti sono stati gli autori che hanno tentato un approccio istituzionale al tema mafia25, inquadrando il fenomeno in termini di “istituzione politica”; ad essi si rivolge la critica della sociologia culturale contemporanea, che denuncia una incapacità di superare le visioni dicotomiche tradizionali

23 Gambetta identifica tale momento con il 1812, quando iniziò la dissoluzione del

feudalismo nell’isola, e con L’unità di Italia (1860-61). Decisive anche le riforme che vanno dall’unità di Italia al 1885 inerenti alla proprietà fondiaria e all’allargamento sia pur modesto degli istituti democratici.

24 In particolare Massimo Severo Giannini

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ricomprendendo il fenomeno all’interno di modelli (mafia-impresa; mafia-antiStato) o categorie (pubblico-privato; Stato-Società) rigide, non cogliendo il “politico” della mafia oltre la concezione di Stato ; detto in altri la termini la critica si innesta su un supposto pregiudizio “Statocentrico” di tale teorie , su un modo di pensare il politico ancorato alla weberiana concezione monopolistica statale dell’uso legittimo della forza, cosicché tutto ciò che si pone al di fuori di tale monopolio è automaticamente fuori dallo Stato (quindi illegale) e dalla politica ( e quindi sociale); in questo modo però è impossibile disancorarsi da una concezione della mafia come risposta al fallimento dello Stato moderno e di diritto.

La critica è che lo Stato non abbia invece il monopolio del politico: il fatto di non appartenere, come istituzione, all’ordine dello Stato, non renderebbe la mafia meno politica, anzi, è attraverso meccanismi squisitamente politici (controllo o gestione della forza e della violenza, del territorio, potere di decidere sula vita altrui) che la mafia si manifesta; La mafia sotto questo punto di vista è al pari dello Stato “un’impresa istituzionale di carattere politico”26

Un’impostazione diversa del fenomeno è stata data da un altro importante autore, il quale considera il mafioso come “imprenditore essenzialmente politico” che riempie il vuoto di potere tra centro statale e periferia27; Catanzaro ancora più esplicitamente parla delle cosche mafiose come gruppi politici, e dei mafiosi come soggetti specializzati in offerta di protezione e garanzie in concorrenza con lo Stato28; Concludendo sul punto il “politico” della mafia deve essere rinvenuto nella sua attitudine in quanto insieme di valori, di norme, simboli, istituti, a costituire specifiche identità di gruppo, generare, detto in altri

26 Cit. Weber M., in “Economia e Società”, 5 vol., Milano, 1981, pag.I,53 27 Blok A.,“ the mafia of a sicilian village” traduzione italiana Einaudi , 1986. 28Rif Catanzaro R. “ il governo violento del mercato. Mafia, impresa, e sistema

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termini, strutture di appartenenza collettiva; il rapporto tra mafia e politica può essere letto in questo senso in termini di identità : la mafia è in sé politica, come manifestazione istituzionalizzata di agire politico; il rapporto Stato mafia va letto dunque come il rapporto tra due entità politiche , certo caratterizzate da forme istituzionali ( ossia strutture e modelli culturali) differenti.

Quindi possiamo concludere asserendo che alla luce delle considerazioni fatte, qualificare la mafia come identità politica, significa:

a) Riconoscere che esiste politica anche oltre lo Stato

b) Sostenere che le azioni di cui sono attori i mafiosi e le relazioni che essi intrattengono tra loro e con gli altri, sono anche e soprattutto azioni e relazioni di carattere politico, esprimenti una capacità di incidere sull’agire altrui e coordinare l’agire di più persone dando vita ad imprese e identità collettive.

4. L’infiltrazione mafiosa nell’economia legale. In particolare il fenomeno dell’agromafia

Terminata la nostra breve e niente affatto esaustiva ricognizione delle principali aree di analisi sociologica del fenomeno mafioso, passiamo al terzo punto, quello inerente al fenomeno della infiltrazione mafiosa nell’economia legale con specifico riferimento al settore agricolo alimentare.

Nonostante gli ultimi anni siano stati caratterizzati da un successo importante nella lotta alla criminalità organizzata, con esponenti importanti dell’universo mafioso finiti in carcere grazie alla azione di contrasto coordinata dalla DIA, le mafie mantengono una loro forza e una loro influenza decisiva. C’è chi ha stimato in 140 miliardi di euro il giro di affari delle organizzazioni criminali di stampo

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mafioso, corrispondente a circa il 7% del PIL nazionale29, un cancro questo, che uccide lentamente larga parte delle imprese che vivono nella legalità; le organizzazioni criminali di stampo mafioso costituiscono da questo punto di vista un network criminale dagli innumerevoli interessi economici, che opera sul territorio rivolgendo la sua attenzione a campi sempre nuovi di attività e investimento, sapendo trarre profitto dai diversi cicli economici e dai momenti di crisi.

Tra questi nuovi settori di investimento e di interesse delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, ci soffermeremo su uno in particolare, la c.d. agromafia30, che è stata definita come il settore della criminalità organizzata legato al mondo dell’agricoltura, attraverso forme di riciclaggio e investimento di denaro nelle coltivazioni, ma anche attraverso truffe volte all’ottenimento di fondi pubblici per lo sviluppo del settore agricolo 31; essa si inserisce all’interno della più generale nozione di “Ecomafia”, e ne costituisce una fetta rilevante32.

Negli ultimi anni si riscontra un aumento dell’interesse delle mafie per il settore dei “reati ambientali”, tanto che esso dal ’97 in poi è oggetto di analisi sistematica nell’annuale “rapporto ecomafia”, un opera collettiva coordinata dall’Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente con la partecipazione dell’Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Corpo Forestale dello Stato e delle regioni a statuto

29 XIII rapporto SOS Impresa “le mani della criminalità sulle imprese” ; SOS impresa è

una associazione nata nel 1991 a Palermo per difendere il diritto dei commercianti alla libertà di iniziativa imprenditoriale , per opporsi al racket delle estorsioni e per resistere alla criminalità organizzata , promossa dalla Confesercenti.

30 Termine coniato da Legambiente, oggi è entrato nel linguaggio comune 31 Definizione tratta dal sito www.Legambiente.it

32 Dal “rapporto Ecomafia 2012” si evince come su un totale di 33.817 reati

ambientali accertati, 13.867 siano da ricomprendersi nel settore dell’agromafia. Situazione non variata nel 2014, in cui su un totale di 29.274 infrazione accertate in materia ambientale nel corso del 2013, il 25% concerne il ciclo alimentare; fonte “rapporto Ecomafia 2014”.

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speciale, Capitanerie di porto, Guardia di Finanza e DIA. Il rapporto si occupa in modo specifico dei dati relativi alla Agromafia, alla commissione di reati legati allo smaltimento illecito di rifiuti, di quelli connessi al ciclo del cemento, delitti in materia di fauna, incendi dolosi, dei reati legati al ciclo alimentare e infine della c.d. archeomafia33.

Tornando specificatamente sull’agromafia, il giro di affari complessivo legato a tale settore di attività è stato attestato in 14 miliardi di euro, con un aumento del 12% rispetto ai dati relativi al biennio precedente34, in netta controtendenza rispetto al periodo di generale recessione vissuto finora dal paese attanagliato dalla crisi economica; la criminalità organizzata ha trovato terreno fertile proprio in uno dei settori, l’agricoltura maggiormente colpiti dalla crisi. La tendenza riscontrata negli ultimi anni è quella di un rafforzamento del controllo delle organizzazioni mediante approcci tipicamente imprenditoriali su settori strategici come la agricoltura e la alimentazione, grazie alla disponibilità immediata e amplissima di capitale , nonché alla capacità di condizionare parte degli organi preposti a fornire autorizzazioni e controlli; servendosi di strumenti tradizionali come l’estorsione, la minaccia, le cosche impongono la vendita di determinate marche e di determinati prodotti agli esercizi commerciali, che talvolta esse stesse gestiscono direttamente35. Tutte le fasi del processo possono essere oggetto di intercettazione da parte delle cosche: intermediazione dei prodotti, trasporto e stoccaggio, acquisto e investimento in centri commerciali; le

33 Settore della criminalità organizzata che si occupa di scavi clandestini e reperti

archeologici , nonché furto e traffico internazionale di opere d’arte

34 Fonte : “Rapporto sui crimini agro-alimentari in Italia” elaborato nel 2013 da

Coldiretti/Eurispes e presentato al XIII forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione

35 Nel rapporto Coldiretti/Eurispes citato si parla di più di 5000 locali di ristorazione

in man alla criminalità organizzata, che, oltre ai profitti diretti forniscono una ottima copertura per il riciclaggio di denaro sporco.

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organizzazioni impongono il costo di acquisto dei prodotti agli agricoltori, controllano la manovalanza degli immigrati, decidono i costi logistici e di transazione economica, utilizzano addirittura, ditte di trasporto proprie; questo pone in essere un alterazione del mercato che dovrebbe essere improntato a principi di libera concorrenza, trasformandolo in un monopolio o oligopolio.

Riportiamo di seguito le parole con cui si esprime il rapporto Coldireti/Eurispes 2013 :

“mediante applicazione di pratiche estorsive, imponendo la assunzione di forza lavoro, e in taluni casi, costringendo gli operatori del settore ad approvvigionarsi dei mezzi di produzione da soggetti vicini alle organizzazioni criminali, influenzando poi i prezzi di vendita attraverso la gestione delle fasi di distribuzione all’ingrosso e del trasporto dei prodotti agricoli (…). L’analisi dei risultati conseguiti dalle forze di polizia evidenzia come l’intero comparto agroalimentare sia caratterizzato dai fenomeni criminali legati al contrabbando, alla contraffazione e sofisticazione dei prodotti alimentari e agricoli e dei relativi march garantiti, ma anche dal fenomeno del caporalato che comporta lo sfruttamento dei braccianti agricoli irregolari con conseguente evasione fiscale e contributiva. I danni al sistema sociale ed economico sono pertanto molteplici: dal pericolo per la salute dei consumatori, all’alterazione del regolare andamento del mercato agroalimentare”.

Abbiamo già specificato nei passaggi introduttivi al presente capitolo l’importanza ai nostri fini del settore di indagine che stiamo trattando: un’ alta percentuale di beni immobili oggetto di confisca costituiscono terreno agricolo: su 12.181 beni immobili confiscati oltre il 23% (2919) ; ma non solo , su 1.674 aziende confiscate , ben 89 ( 5,3%) operano nei settori " Agricoltura, caccia e selvicoltura” ben 15 nei settori “ pesca, piscicoltura e servizi connessi” , 173 nel

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settore della ristorazione e alloggio e 471 nel commercio all’ingrosso e al dettaglio 36.

I terreni agricoli confiscati alla mafia, e la assegnazione degli stessi a soggetti collettivi di cui diremo, sono alla base di quelle esperienze di gestione condivisa del bene confiscato, oggetto di profonda trattazione in seguito, che restituiscono dignità ai territori caratterizzati da una profonda presenza mafiosa, offrendo alla popolazione un’occasione di riscatto sociale grazie alla produzione di un indotto positivo, attraverso un sistema economico virtuoso che erge a valori fondamentali di riferimento la legalità ,la dignità del lavoratore , la giustizia sociale e il mercato.

36 L’accaparramento dei terreni agricoli da parte delle organizzazioni criminali è

fondamentale inoltre al business dello smaltimento illegale dei rifiuti ordinari e speciali: le organizzazioni si impadroniscono di terreni destinati alla produzione di cibo, utilizzandoli come vere e proprie discariche ; da www.Coldiretti.it : “ i campi vengono contaminati spesso in maniera irreversibile con gravi rischi per l’ambiente ma anche per la salute delle persone poiché la mafia e la camorra, al fine di coprire le attività di smaltimento illecito , continuano la coltivazione di ortaggi o altri prodotti”

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Capitolo II: Quadro normativo di riferimento

1. Per una moderna politica di lotta alla mafia

Nel primo capitolo di questo lavoro abbiamo definito il termine mafia come un termine polisemico: il fenomeno mafioso ha in effetti una miriade di sfaccettature e può essere studiato sotto più punti di vista; un elemento tuttavia pacifico e caratterizzante è la sua potenza economica in continua e costante crescita, nonostante la crisi economica in cui sono coinvolti i mercati globalizzati37. Proprio questa grande forza in continua e costante crescita consente alle mafie di tenere sotto scacco i territori e le amministrazioni pubbliche, di allacciare rapporti sempre più stretti con il mondo politico e imprenditoriale, rendendo estremamente difficile l’individuazione del fenomeno.

La strategia stragista Corleonese può essere definita come una parentesi nella storia della mafia: da allora la mafia si è trasformata, scegliendo itinerari più tradizionali, abbandonando la strategia della eversiva contrapposizione militare e abbracciando quella della sommersione, dando l’illusione di essere scomparsa. La strategia della sommersione, dell’invisibilità, dà luogo e spazio alla mafia finanziaria, facendo al contempo registrare un cambiamento classista ai vertici dell’organizzazione: agli esponenti dello stragismo, corrispondenti al cliché del mafioso, subentra la mafia dei colletti bianchi, manifesto del nuovo sistema di clandestinità in cui le organizzazioni criminali si trovano ad operare. E meglio sarebbe dire che la mafia è entrata in una fase di mimetizzazione, per farsi dimenticare dall’opinione pubblica nazionale, ma soprattutto per mimetizzarsi nei meandri del fenomeno della globalizzazione, per mischiare meglio flussi del denaro sporco e

37 Benny Calasanzio nel suo “Mafia SPA” quantifica in 138 miliardi di euro il giro di

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profitti della economia lecita, perciò sperimentando nuovi settori e nuovi flussi di investimento”38.

Ovvio come in tal contesto una politica di lotta alla mafia che vuole essere veramente efficace deve mirare a colpire gli aspetti economici e finanziari delle organizzazioni; da queste poche righe si evince l’importanza del percorso che inizia dalla confisca dei beni alle organizzazioni criminali, e che termina con il loro riutilizzo a fini sociali, percorso che cercheremo di descrivere nei capitoli successivi alla luce delle recenti innovazioni apportate dal c.d. “Codice Antimafia” del 201139 e successivi interventi correttivi.

Riportare nelle mani della cittadinanza, attraverso una modalità di gestione condivisa, le ricchezze acquisite dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso, da un lato produce un rafforzamento forte del ruolo e della immagine dello Stato, soprattutto in territori dove la generale condizione di degrado e la corruzione dilagante ha creato un sentimento di generale sfiducia nei confronti delle istituzioni, dall’altro fornisce l’occasione di intraprendere un percorso di lotta e contrasto alla criminalità organizzata che parte dal basso, dalla consapevolezza della non invincibilità del fenomeno mafioso; in questo modo centri di recupero, cooperative sociali, associazioni, diventano il fulcro di una nuova vita cittadina antitetica al sentimento di generale omertà che caratterizza tradizionalmente le zone in cui la presenza mafiosa è divenuto carattere endemico; esse rappresentano “segno tangibile della rivincita della intera comunità”40 , uno straordinario strumento di

educazione alla legalità.

38 Dalla prefazione di Antonio Ingroia in “Mafia spa” di B. Calasanzio , Editori

Internazionali Riuniti, 2011 , pag. 11

39 D.Lgs. 6 Settembre 2011, n.159

40 Rif. Tatiana Giannone “dal bene confiscato al bene comune”, Ecra, Fondazione

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2. La fase giudiziaria, amministrativa, sociale

Per esigenze di chiarezza espositiva distingueremo il percorso che ci accingiamo a descrivere in tre fasi: una fase “giudiziaria”, una fase “amministrativa”, una fase “sociale”.

La fase giudiziaria è quella compresa fra il provvedimento di sequestro e quello della confisca definitiva; vedremo successivamente come il “codice antimafia” abbia inciso profondamente su di essa, cercando di superare il doppio binario che distingue il procedimento di prevenzione ai sensi della L. 31 Maggio 1965, n.575 con le modifiche apportate in particolare dalla L. 13 Settembre 1982, n.646 e il procedimento penale ai sensi dell’art 12 sexies della L. 7 Agosto 1992, n.356. Per ora basti dire che la fase giudiziaria, è a sua volta distinguibile in due sotto-fasi, caratterizzate dal diverso atteggiarsi del ruolo assunto dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati.

La prima sotto-fase inizia con l’intervento del decreto di sequestro, e termina, con la confisca di primo grado nel procedimento di prevenzione ovvero con la conclusione dell’udienza preliminare in seno al procedimento penale. Questa fase è caratterizzata da problematiche notevoli; si inserisce in questa fase infatti l’istituto del sequestro, disciplinato dall’art. 21 del codice Antimafia che presuppone la messa in essere di tutta una serie di attività funzionali a garantire l’effettività della misura di prevenzione patrimoniale, come l’immissione in possesso, l’apprensione materiale dei beni e successiva consegna all’amministrazione giudiziaria (entrambe le attività di competenza dell’ufficiale giudiziario assistito obbligatoriamente dalla polizia giudiziaria), e nel caso in cui si tratti di beni immobili, lo sgombero forzato degli occupanti (laddove i presupposti ricorrano). La immissione in possesso si pone in essere anche se il bene oggetto di sequestro è gravato da diritti reali o personali di godimento: infatti un ulteriore complessità propria di questa prima sotto-fase deriva dalla necessità spesso sussistente di integrare il contradditorio nei confronti degli

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