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SEZIONE II LE TECNICHE DI CONDUZIONE DELL' ESAME : IL CONVINCIMENTO DEL GIUDICE

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SEZIONE II

LE TECNICHE DI CONDUZIONE DELL' ESAME :

IL CONVINCIMENTO DEL GIUDICE

CAP I

L' ESAME DIRETTO

1. “Chi domanda comanda”: come ottenere risposte “vantaggiose” << Per capire che una risposta è sbagliata non occorre una intelligenza eccezionale, ma per capire che è sbagliata una domanda ci vuole una mente creativa >>1.

Agli studiosi di psicologia giuridica è noto come i diversi modi di strutturare una domanda condizionino le caratteristiche della risposta ottenuta: si considereranno in particolare, ai fini della presente trattazione, la completezza e l'accuratezza del narrato.

Dovrà anzitutto osservarsi che, dal punto di vista prettamente strutturale, le domande si possono distinguere, a prescindere dal loro precipuo scopo, in aperte o chiuse2.

1. In questi esatti termini A. Jay, Machiavelli e i dirigenti di industria, Milano, 1968, p.95, citato in G. Carofiglio, L'arte del dubbio, cit., p.13.

2. Cfr., per un approfondimento sul tema dei modi e degli effetti dell'interrogare e del rispondere, L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame nel processo penale. Diritto e psicologia, Padova, 2008, p.157 ss.

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<< Le domande aperte, lasciano ampia libertà di risposta nel senso che non circoscrivono la risposta all'interno della domanda attraverso alternative obbligate ma elicitano risposte narrative. Sono domande aperte quelle che solitamente si strutturano su particelle interrogative (chi?, dove?, come?, quando?, cosa?, perché?) >>3. Per converso, <<

Sono chiuse le domande che comportano una scelta ristretta alle alternative previste nel costrutto della domanda … >>4.

E' stato osservato che le domande chiuse sono potenzialmente e tendenzialmente più suggestive rispetto a quelle a struttura aperta, in quanto, sollecitando il teste ad optare per una tra le precise alternative prospettate, possono arrivare ad offrire un'opportunità di scelta solamente apparente5.

L'analisi dei risultati della ricerca ha evidenziato come, in definitiva, l'influenza esercitata dalla tecnica di strutturazione dei quesiti prescelta dall'esaminatore sia pregnante con riguardo alla completezza della testimonianza; meno determinante con riguardo alla sua accuratezza. E' inoltre emerso che la relazione tra incremento della completezza e contestuale riduzione dell'accuratezza del ricordo è

3. Così L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.160. 4. Così L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, loc. cit.

5. Per questa notazione, v. G. Gulotta e coll., Elementi di psicologia giuridica e diritto

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direttamente condizionata dal livello di difficoltà del materiale da ricordare. Più precisamente: nel caso di dettagli difficili da ricordare la tipologia di domande adottata assume un rilievo centrale, a differenza di quanto vale per la rievocazione di quelli facili.

Sul fronte dell'accuratezza: nell'esame condotto attraverso il metodo della narrazione libera (laddove ci si avvale essenzialmente di domande aperte a bassa specificità, del tipo “come?, cosa?, perché?”) il livello di precisione non è influenzato dal fatto che debbano ricordarsi dettagli facili ovvero difficili; laddove si opti invece per domande chiuse (o comunque “strutturate” in genere, quindi anche aperte ad alta specificità del tipo “chi? quando? dove?”) la precisione è incrementata solo con riguardo al materiale “facile” e non a quello “difficile”. Questi rilievi suggeriscono di evitare il ricorso ad un esame “strutturato” quando si debba elicitare il ricordo di dettagli difficili: sarà preferibile consentire in tal caso una narrazione libera per conseguire maggiore accuratezza.

All'opposto, per la completezza: mentre la narrazione libera risulta meno esaustiva - considerato che l'attenzione del testimone non è focalizzata dall'interrogante su elementi specifici - d'altro canto, le domande “strutturate” elicitano con maggior successo i dettagli

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difficili. Ragion per cui, a fini di completezza della testimonianza, sarà raccomandabile tale secondo metodo di escussione6.

Questi dati, frutto del confronto sperimentale tra le contrapposte tecniche, forniscono indicazioni utili su come organizzare le domande nella fase dell'esame diretto (le stesse valgono anche per l'eventuale riesame): allo scopo di favorire una contestuale esaltazione di accuratezza e completezza, tenendo sempre in debita considerazione il divieto di domande suggestive, la sequenza interrogativa più soddisfacente pare essere quella cd“a imbuto”. Ossia << con domande iniziali aperte a bassa specificità per poi stringere con quelle ad alta specificità, seguite infine da domande chiuse >>7.

In tal modo si coglierà l'opportunità non tanto di << suggerire al [proprio] teste la risposta ma di fargli chiaramente capire qual'è la circostanza sulla quale si è interessati ad avere la sua deposizione >>8.

A ciò si aggiunga che domande concise e riferite ciascuna ad un

6. Per queste riflessioni in tema di accuratezza e completezza della deposizione, v. L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.161.

7. Per la presente definizione, v. G. Gulotta e coll., Elementi di psicologia giuridica e diritto

psicologico, cit., p. 663. L'Autore prosegue la trattazione constatando che, nel controesame, ove

l'esame diretto sia stato condotto con domande implicanti il racconto libero, il quadro emergente potrà risultare non particolarmente accurato, per cui lo si potrà sconfessare con l'impiego di domande chiuse ad alta specificità. Al contrario, se l'esame diretto sia stato condotto mediante domande chiuse, si opterà per porre al teste domande aperte nel corso del controesame. (Cfr. op. cit., p.665).

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precipuo frammento della narrazione possono anche assolvere al compito di arginare l'emotività di un teste particolarmente ansioso, alleggerendolo della responsabilità di riferire in forma libera fatti talora intricati e difficili da ricordare9.

Del resto, un riscontro dell'utilità di questo approccio si rinviene anche nella più accreditata dottrina di common law. << … sempre che se ne ravveda l'utilità e purché si sia certi che non ne possa derivare pregiudizio alcuno né alla tenuta della prova testimoniale né alla credibilità del teste, la libertà di narrazione potrà essere consentita anche nell'ambito dell'esame condotto in forma controllata, badando bene a lasciare prima libero il teste di esporre i fatti con le sue parole e quindi provvedendo a colmare le lacune, a chiarire i punti oscuri, a conciliare le eventuali discrepanze >>10.

A chiusura delle presenti considerazioni non si può fare a meno di rilevare - senza volersi addentrare nell'argomento, ma solo a fini di completezza della trattazione - come il “rendimento favorevole” della testimonianza per la parte che ha introdotto il dichiarante dipenda anche da un'adeguata preparazione di costui al compito cui dovrà

9. Per tale osservazione, cfr. L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.176. 10. In questi esatti termini, v. M. Stone, La cross examination, cit., p.134.

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assolvere, ossia <<… a rendere un esame diretto esauriente e convincente >>, oltre che, ovviamente, a reggere l'urto del successivo controesame11. Richiamando il concetto di “preparazione”, la dottrina non intende certo riferirsi ad una predisposizione del contenuto delle dichiarazioni che verranno rese dal teste, stante il rilievo per cui: << Un simile contegno nel migliore dei casi costituirebbe, tanto per il pubblico ministero che per il difensore, illecito disciplinare12; nel

peggiore potrebbe integrare gli estremi di reati che vanno dal favoreggiamento al concorso in falsa testimonianza fino all'abuso d'ufficio >>13. Si tratterà - invece - di trasmettere al proprio teste la

consapevolezza dell'importanza di “rispondere a domande fornendo informazioni su fatti”: a tal fine si provvederà a spiegargli schematicamente la dinamica processuale (in astratto e in relazione al caso concreto nel quale costui è chiamato a deporre), raccomandandogli inoltre di limitarsi a riferire scarni fatti, astenendosi

11. Cfr., in tal senso, L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.177. Sul tema cfr.

amplius G. Carofiglio, L'arte del dubbio, cit., pp.198-202; G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination. Un'arte scientifica, Milano, 2012, pp.137-140; D. Carponi Schittar, Esame e controesame, cit., pp.132-147.

12. Ex art. 52 del codice deontologico forense, in particolare, si vieta agli avvocati di <<intrattenersi con i testimoni sulle circostanze oggetto del procedimento con forzature e suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti>>. (Non esiste tuttavia una regola espressa analoga per l'accusa).

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quanto più è possibile da spontanee deduzioni personali che trascendano la sfera delle esperienze sensoriali dirette. Altrettanto importante sarà segnalare al teste di avere uno specifico riguardo per l'uso della lingua e dei vocaboli14.

2. I requisiti che condizionano la proficuità dell'esame diretto

Di particolare interesse sono le riflessioni condotte dalla dottrina nel tentativo di estrapolare in maniera organica i canoni formali irrinunciabili cui dovrebbe allinearsi un esame diretto che si possa ritenere “produttivo” per la parte che lo conduce. Si terranno in specifica considerazione soprattutto le osservazioni elaborate sull'argomento da Carponi Schittar, dotate di particolare efficacia espositiva.

A monte di queste osservazioni sta la premessa logica per cui l'esame diretto, unica fase obbligatoria dell'escussione, costituisce <<l'occasione e il mezzo [prioritario] per veicolare compiutamente al giudice la tesi dell'esaminatore>>, tanto che, di norma, il processo è vinto in ragione della resistenza della prova diretta rispetto ai tentativi

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di contestazione della stessa operati nel controesame dalle parti avverse15.

a) In primo luogo, l'Autore richiama all'uopo il carattere

dell'organizzazione, cui dovrà necessariamente attenersi un esame diretto funzionale al proprio scopo: si intende qui far riferimento ad una interrogazione nel cui corso <<le domande vengano poste seguendo un ordine finalizzato a realizzare un narrato coerente con il disegno (accusatorio o difensivo) dell'esaminatore>>16.

Il connotato dell'organizzazione sembra ex se lasciar presupporre - necessariamente - una antecedente “preparazione” del “canovaccio” di esame diretto ad opera di chi dovrà condurlo: rispetto ad esso l'escussione costituirà dunque il coronamento attuativo.

In particolare, è determinante la previa individuazione e il successivo rispetto di una sequenza in base alla quale procedere all'introduzione dei vari elementi conoscitivi che dovranno scaturire dalla deposizione del teste, per mezzo dell'apposita “provocazione” operata

15. Per questa notazione preliminare, vedi D. Carponi Schittar, Esame e controesame, cit., p.260. Altro rilievo introduttivo non trascurabile riguarda il fatto che: << … quella conoscenza non è destinata ad essere fruita subito [dal giudice]: va riposta e andrà recuperata più tardi. Talora molto più tardi. Pertanto, più sarà stata facilitata l'attività di immagazzinamento delle notizie, maggiore sarà la facilità di recupero del ricordo nel momento della rielaborazione dei dati forniti dal processo in vista di utilizzarli per decidere >>. ( Così op. cit., p.261).

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dall'interrogante17.

Certamente, la sequenza così ricavata << dovrà essere allineata a una consequenzialità logica prendendo le mosse dal fatto, dalla circostanza o anche soltanto dall'indizio quanto ai quali si conta che le informazioni che verranno fornite dall'esaminato costituiscano un tema dominante >>, ossia volto <<… a fornire sostegno alla tesi dell'esaminatore e ad imporla all'attenzione >>18. E' questa la regola

della anteposizione del cd ”tema dominante” rispetto a tutti gli altri argomenti che dovranno essere trattati nel corso dell'esame19.

Per concludere sul tema dell'organizzazione, è infine importante assicurarsi di impostare il “canovaccio” su interrogativi del tipo “chi? cosa? quando? dove'”, cercando di evitare quanto più possibile il ricorso al “come? perché?” , onde scongiurare il rischio che il teste sia sollecitato a introdurre in deposizione pareri personali, argomentazioni, divagazioni che snaturino l'oggettività dei fatti, o

17. Cfr. per queste considerazioni D. Carponi Schittar, Esame e controesame, cit., p.264-265. 18. In questi termini, v. D. Carponi Schittar, Esame e controesame, cit., p.265.

19. Fa eccezione una sola eventualità: che sussistano informazioni relative alla persona del teste o alla sua conoscenza dei fatti, le quali, ove fatte emergere per la prima volta nel corso del controesame dalla parte avversa, potrebbero arrecare pregiudizio alla propria posizione processuale. In tali casi, qualora non si provveda in apertura dell'esame diretto alla esplicitazione e conseguente chiarimento delle suddette informazioni (soluzione questa che deve considerarsi la più conveniente), sarà opportuno farlo almeno in chiusura. (Cfr. in tal senso D. Carponi Schittar,

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ancor peggio, elementi di conoscenza inaspettati e quindi non controllabili dall'esaminatore20.

b) A parere dell'Autore, un altro carattere indefettibile dell'esame

diretto è costituito dalla sua chiarezza, la cui importanza è del resto enfatizzata anche dalla dottrina anglosassone: << La testimonianza deve essere chiara e di facile comprensione, poiché non sarebbe affatto utile e sarebbe anzi controproducente se trasmettesse un messaggio confuso e inintelligibile. E' infatti ovvio che una rappresentazione vaga e generica della vicenda […] risulti meno efficace ai fini tattici che non un quadro nitido e dettagliato capace di imprimersi nella memoria del giudice e dei giurati >>21.

Il requisito può essere soddisfatto attraverso la proposizione all'esaminato di domande che siano brevi, portatrici di interrogativi singoli, atte a favorire risposte laconiche, formulate mediante un registro linguistico che questi riesca a comprendere con

immediatezza22.

20. Per questa riflessione conclusiva in tema di esame organizzato, cfr. D. Carponi Schittar, Esame

e controesame, loc. cit.

21. In questi esatti termini, v. M. Stone, La cross examination, cit., p.117.

22. Per questa elencazione, cfr. D. Carponi Schittar, Esame e controesame, cit., p.268. Comunque, sul tema dell'esame diretto chiaro, cfr. amplius op. cit., pp.268-274.

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c) Un terzo elemento-cardine individuato da Carponi è quello della

sicurezza, la cui carenza pregiudica il vigore dell'escussione. << Per

sicuro va inteso un esame nel corso del quale vengano rivolte all'interrogato unicamente domande, quanto al contenuto delle risposte, alle quali l'esaminatore non potrà che riporre una tranquilla certezza >>23. Il che equivale al rispetto del motto di tradizione

anglosassone a detta del quale non si dovrebbe mai porre una domanda di cui non sia fondatamente prevedibile la risposta24, in

modo tale da escludere a priori l'evenienza della cd ”fish expedition” (battuta di pesca). Locuzione, questa, con la quale gli inglesi stigmatizzano la condotta dell'esaminatore che conduce l'interrogatorio in modo estremamente incerto quanto al prodotto delle domande, senza poter aspirare a trasmettere al giudice elementi conoscitivi precisi e precedentemente individuati25.

d) Infine, un ultimo “imperativo” per conseguire l'ottimizzazione

23. Così D. Carponi Schittar, Esame e controesame, cit., p.275.

24. Enunciato, ad esempio, da M. Stone, La cross examination, cit., p.135.

25. Cfr., per queste ultime considerazioni sulla “fish expedition”, D. Carponi Schittar, Esame e

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dell'esame diretto, è individuabile, a parere dell'Autore, nel ricorso ai c.d. rinforzatori dell'attenzione del giudice, tra i quali riveste certamente un ruolo primario l'enfasi26. Si tratta, in questo caso, di un escamotage al quale sarà certamente opportuno ricorrere anche durante la conduzione del controesame.

E' meglio precisare fin da ora (anche se si tornerà sull'argomento nel prosieguo di questo lavoro, per cui cfr. infra, par. 2, cap. III, sez. II) che, con il parlare di rinforzatori, si vuole intendere che: <<... attraverso segnali prosodici inviati in dosate occasioni lungo lo svolgimento dell'esame, va mantenuto vivo e talora sollecitato l'interesse del giudice sullo sviluppo della prova >>27.

In particolare, enfatizzare l'esame significa “drammatizzarlo” mediante l'uso adeguatamente misurato di pause e variazioni dell'intonazione; nonché rafforzarne i contenuti di maggior rilievo attraverso mutamenti delle espressioni facciali, badando in ogni caso di rifuggire dall' <<enfasi a tutto tondo>>, che finirebbe col depotenziare i momenti salienti dell'escussione. Di norma è consigliabile ricorrere ad un “crescendo” dell'apporto enfatico28.

26. Per una trattazione puntuale dell'argomento dei rinforzatori dell'attenzione, cfr. D. Carponi Schittar, Esame e controesame, cit., pp.277-280.

27. Così D. Carponi Schittar, Esame e controesame, cit., p.277.

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3. L'anticipazione del controesame

Ha trovato affermazione in dottrina l'esigenza che siano affrontati, già nel corso dell'esame diretto, anche quegli argomenti che si considerino particolarmente “scomodi”, in modo tale da “vaccinare” fin da subito il giudice e ottenere dal teste la risposta meno “compromettente” sul punto29. Gli studiosi di psicologia giuridica, prendendo le mosse

dall'assunto che non sarebbe ipotizzabile una tesi tanto “solida” da risultare priva di punti”deboli”, reputano appunto vantaggioso il ricorso alla tecnica della c.d.“inoculazione”, che consente di disvelarli già durante l'escussione dei propri testimoni30.

Ossia: << Occorre trattare, in forma attenuata, la tesi che con buone probabilità sarà sviluppata dalla controparte, in modo da facilitare la elaborazione di obiezioni e da immunizzare il soggetto contro le manovre critiche della parte avversa .[...] Questo perché attraverso un c.d. messaggio bilaterale si mettono subito in luce eventuali punti deboli delle proprie affermazioni, ma si riesce a limitare gli effetti persuasione del giudice. Attraverso gli esami e i controesami, Milano, 1998, p.107.

29. Cfr., per uno sviluppo approfondito della tematica, G. Gulotta, Le 200 regole della cross

examination, cit., pp.161-164; analogamente v. L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame,

cit., pp.194-196; con riguardo alla dottrina di common law, v. soprattutto M. Stone, La cross

examination, cit., pp.138-142.

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negativi, fornendo anche gli strumenti per contrastare gli attacchi dell'avversario >>31.

Inoltre, sulla base dei risultati prodotti da ricerche condotte in merito all'esercizio della tecnica dell'”inoculazione”, è emerso come il semplice fatto di preavvertire il giudice del tentativo di persuasione in senso contrario - che verrà espresso dalla controparte - sia in grado di ridurre la portata persuasiva del secondo messaggio da lui ascoltato. Esistono all'uopo due diversi tipi di “avvertimento”: è possibile limitarsi a sottolineare lo scopo persuasivo della comunicazione della controparte; oppure addentrarsi nella puntualizzazione dello specifico argomento e della tesi che sarà fatta propria dalla stessa (cioè di topic e position). Entrambi gli approcci tendono a potenziare la “resistenza” del destinatario alla controprova; tuttavia il secondo presenta l'ulteriore vantaggio di favorire un'anticipata assimilazione degli elementi confutativi in capo a lui32.

Da queste considerazioni introduttive consegue la necessità per l'esaminatore di approntare - nel contesto della propria tattica

31. In questi esatti termini, v. G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, cit., pp.161-162. 32. Fa riferimento a queste ricerche empiriche G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, cit., p.162.

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processuale - un adeguato “piano di prevenzione” delle possibili linee d'attacco del futuro controesame, che tenga conto delle peculiarità del caso concreto al fine della valutazione dei vantaggi - e ancora più accuratamente - dei rischi inestricabilmente connessi ad una scelta di immediata “trasparenza” circa i propri punti deboli.

In particolare: optando per la trasparenza - ossia consentendo a che il proprio teste ammetta una circostanza a favore della controparte - si otterrà il risultato di comunicare schiettezza/correttezza tanto del teste quanto del difensore; di fruire d'un maggior spazio di manovra per affrontare il punto critico più esaurientemente e favorevolmente rispetto a quanto potrebbe farsi nel riesame; di evitare che il teste venga colto di sorpresa nel controesame; infine, di spuntare le armi all'avversario, il quale si vedrà costretto a ripetere domande che hanno già ricevuto risposta da quel testimone, rischiando di apparire prolisso e inconcludente33. Tuttavia, la trasparenza potrebbe anche comportare

una serie di significativi svantaggi: una perdita di incisività; l'incauta concessione di utili suggerimenti all'avversario; l'accreditamento

della fondatezza delle contro-argomentazioni34.

33. Cfr., per l'elencazione dei vantaggi connessi alla scelta di trasparenza, L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.194 e M. Stone, La cross examination, cit., pp.139-140. 34. Cfr., per l'elencazione dei possibili svantaggi connessi alla scelta di trasparenza, L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, loc. cit. e M. Stone, La cross examination, cit., pp.140-141.

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Tenute in debita considerazione tutte queste utili premesse, si riportano di seguito i principali consigli “tattici” elaborati dalla dottrina. In definitiva, apparirà sensato per l'esaminatore omettere il punto “critico” nel corso dell'esame diretto da lui condotto soltanto quando si abbia la certezza che l'argomento non è noto alla controparte; ogni volta che lo stesso non sia comunque correlato ai temi principali discussi; nonché qualora si abbia fondato motivo di ritenere che la controparte non lo solleverebbe mai. Tutte premesse di assai difficile verificazione.

Per giunta, non si deve inoltre trascurare il dato che la scelta di “scoprire le carte” consente di far restare nelle mani dell'esaminatore diretto la decisione più rilevante: quella in ordine al momento esatto in cui scoprirle35.

A proposito della tempistica, è stato rilevato che: << Non è comunque consigliabile far emergere i punti critici delle proprie testimonianze fin quando non si siano poste solide basi su cui sviluppare la propria tesi. Il momento migliore è forse la parte centrale dell'escussione dei testi a proprio favore e subito prima

35. Vedi, per queste considerazioni di ordine “tattico”, L. de Cataldo Neuburger, Esame e

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dell'esame di un teste particolarmente sicuro, in grado di porre rimedio alle impressioni sfavorevoli eventualmente scaturite da deposizioni precedenti >>36. Del resto, la ricerca empirica ha dimostrato come la parte centrale della fase di assunzione delle prove sia anche la meno importante; al contrario ha sconsigliato nettamente una rivelazione dei punti deboli della propria tesi all'inizio o alla fine della fase in questione, dato che nel primo caso si finirebbe per inquinare tutto ciò che segue e nel secondo si potrebbe incorrere nell'inconveniente di distruggere il lavoro pregresso senza aver modo di rimediare37.

Per quanto attiene poi alla deposizione di quel determinato testimone portatore di elementi di criticità, è consigliabile che i punti deboli siano fatti emergere dall'esaminatore ancora una volta nella parte centrale dell'escussione, considerato che proprio intorno alla metà di un esame si attesta il fisiologico calo d'attenzione dell'uditorio, il che consentirà una più agevole dimenticanza da parte del giudice delle informazioni “sfavorevoli” apprese in quel momento38.

36. Così M. Stone, La cross examination, cit., p.141.

37. Per questi riferimenti alla ricerca empirica, v. L de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, ult. loc. cit.

38. In tal senso, cfr. G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, cit., p.163. Nello stesso senso, v. D. Carponi Schittar, La persuasione del giudice, cit., p.109, il quale aggiunge che gli argomenti spiacevoli <<... comunque vanno intercalati tra due segmenti della deposizione nei quali sono emerse o ci si attende che emergeranno circostanze favorevoli … >>.

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Infine, la dottrina appare concorde nel credere che esista una sola situazione la quale sicuramente suggerisce di sottacere gli elementi sfavorevoli: quella in cui una data circostanza è considerata negativa solo dall'avversario, mentre può essere giustificata in modo persuasivo durante il riesame. In tal caso si può tendere una “trappola” alla parte avversa: ossia aspettare che sferri la propria offensiva nel corso del controesame, essendo pronti a schermare il colpo durante il proprio successivo turno d'escussione, attraverso quell'elemento che la coglierà di sorpresa39.

4. Teste “ostile” e ammissibilità delle domande suggestive

Tradizionalmente, la dottrina si è adoperata nel tentativo di sciogliere il nodo problematico dell'esame diretto del teste il quale, <<sorprendentemente ed oltre ogni logica previsione, illustri i fatti in maniera favorevole alla posizione processuale contraria a quella di chi lo ha citato >>40. << Il problema, nella sostanza, si pone quando il

39. Suggerimenti di tal sorta, con riferimento all'ipotesi in cui è meglio omettere l'elemento sfavorevole, si rinvengono in G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, ult. loc. cit.; M. Stone, La cross examination, pp.141-142; L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.200.

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teste, nella fase delle indagini preliminari, in veste di persona informata sui fatti, o in altri momenti procedimentali o processuali, abbia reso deposizioni favorevoli alla parte che ne ha chiesto la citazione e poi, in dibattimento, narri fatti e circostanze diverse e sfavorevoli alla posizione del richiedente >>41.

A ciò si aggiunga che il mutato atteggiamento potrebbe ascriversi a due diversificati presupposti: o ad un cedimento rispetto alle insistenze o profferte delle controparti; ovvero ad un più corretto recupero mnemonico di fatti e circostanze sui quali si deve deporre42.

Quando si nutra il dubbio che a ricorrere sia il primo dei due presupposti - e comunque sussistano precedenti dichiarazioni (scritte) del teste - è fatta salva la possibilità di avvalersi del meccanismo delle contestazioni ex art. 500 c.p.p., al prioritario fine di dimostrare che il cambio di rotta deve ricondursi ad una provata condotta illecita esercitata nei suoi riguardi43.

41. Così, in termini definitori efficaci, F. Rizzo, Esame e controesame, loc. cit., il quale prosegue: << Laddove, invece, non vi siano precedenti dichiarazioni del teste che è poi divenuto cosiddetto “ostile”, ciò che viene tradita è una mera aspettativa; diventa allora compito particolarmente arduo per l'operatore del diritto recuperare quei contenuti della narrazione che si intendeva esaltare >>. 42. Richiama la distinzione tra i due presupposti F. Rizzo, Esame e controesame, loc. cit. Da parte di altra dottrina si è invece posto in rilievo un terzo presupposto suscettibile di ricorrere: al cambiamento di campo da parte dell'interrogato potrebbe corrispondere anche una sua <<... maturata decisione di dire quella verità che fino a quel momento per qualsiasi ragione aveva deciso di mantenere celata >> ( così D. Carponi Schittar, Esame e controesame, cit., p.324).

43. In tal senso, cfr. M. Bargis, Testimonianza, cit., p.1126. A parere di G. Carofiglio, Il

controesame, cit., p.158 le contestazioni rappresentano lo strumento <<ordinario>> per contrastare

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Ma l'interrogativo principale che aleggia intorno alla questione del teste “ostile” nel nostro ordinamento processuale è se sia applicabile o meno, laddove si verifichi un quadro situazionale come quello fin qui descritto, il divieto delle domande tendenti a suggerire le risposte, previsto dal comma 3 dell'art. 499 c.p.p..

Si tratta di un quesito ad oggi rimasto “formalmente” insoluto, stante il rilievo che nel nostro Codice continua non solo a non ricevere una regolamentazione espressa l'evenienza de qua, ma neppure a contemplarsi una definizione di teste “ostile”. Sarebbe auspicabile l'intervento di una novella che recepisse le istanze definitorie e demandasse al giudice la connessa “dichiarazione di avversità”, cui dovrebbe seguire in automatico il diritto della parte esaminante di esercitare le facoltà e le forme tipiche del controesame44.

Volgendo lo sguardo alla comparazione, si può constatare che un problema di tal sorta non si pone invece negli ordinamenti di common law, ove sono rinvenibili specifiche disposizioni che contemplano

dell'esame diretto, ma - come si avrà modo di constatare nel prosieguo di questo paragrafo - in numerosi casi tale espediente <<... si rivela insufficiente a fare emergere le ragioni del contegno ostile del testimone e, in generale, le situazioni che hanno compromesso la genuinità dell'esame >>.

44. Per questo inquadramento problematico e per il conseguente auspicio, cfr. M. Bargis,

Testimonianza, loc. cit., a parere della quale il teste “ostile” potrebbe, ad esempio, definirsi

legislativamente come soggetto il quale << in modo del tutto inopinato, cambia la versione dei fatti o tiene un comportamento di evidente avversione alla parte che lo ha prodotto >>.

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espressamente la fattispecie in oggetto, consentendo di ottenere dal giudice la sopra richiamata dichiarazione di ostilità, con tanto di automatico passaggio all'esercizio delle forme della cross examination45. Ragion per cui, nella manualistica anglosassone, si trovano espliciti richiami alla disciplina in questione e ai comportamenti da tenere quando il proprio teste si riveli “ostile”. In concreto, laddove si ritenga che l'incompletezza o inesattezza della deposizione del proprio teste in merito a fatti pur noti possa attribuirsi ad un vuoto di memoria - e comunque non soccorrano precedenti dichiarazioni scritte del teste - sarà consigliabile astenersi da ogni “esternazione” che possa influire sulla valutazione di giudice e giurati. Quando invece vi siano dei precedenti scritti, strumentalizzabili dalla controparte in sede di cross examination, sarà in ogni caso più prudente tentare di far ammettere al teste la possibilità di essersi sbagliato, quantomeno sui punti più significativi.

Comunqe - pur quando si trovino di fronte a dichiarazioni decisamente sfavorevoli - le parti non sono di per sè autorizzate a controesaminare il proprio testimone che le abbia rese: solo quando risulti dimostrato che << il divario rispetto alla testimonianza attesa sia dovuto ad

45. Vedi, per questa precisazione comparatistica, F. Rizzo, Esame e controesame, cit., pp.439-440. V., nello stesso senso, G. Carofiglio, Il controesame, cit., p.145. Cfr. amplius sul punto L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.200.

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animosità verso la parte interessata al punto da rendere il teste reticente o incline a fornire una testimonianza quantomeno tendenziosa >>, il giudice potrà, attraverso la dichiarazione di ostilità, consentire a quella parte di rivolgergli anche domande suggestive (oltre a contestargli l'incongruenza con le precedenti dichiarazioni)46.

Per tornare all'interrogativo di cui ci si sta occupando, in realtà la possibilità di porre al proprio teste divenuto sorprendentemente sfavorevole domande suggestive - nonostante ci si trovi in fase di esame diretto - risulta ormai ammessa in via interpretativa da parte di autorevole dottrina47.

Il divieto di domande suggestive nell'esame diretto trova a proprio fondamento una specifica ratio: occorre assoggettare ad un controllo il rapporto di “simpatia” - espressione questa intesa nel suo significato etimologico - intercorrente tra teste ed esaminatore che lo ha introdotto, per assicurare un'attendibile ricerca della verità processuale. Questo controllo si esprime attraverso il vaglio strutturale

46. Per queste ultime notazioni di carattere tattico riferite all'istituto del teste ostile per come opera negli ordinamenti di common law, cfr. M. Stone, La cross examination, cit., pp.127-129.

47. Cfr. in particolare, per uno studio approfondito della tematica, G. Carofiglio, Il controesame, cit., pp.143-169.

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delle domande che l'esaminatore sottopone al proprio teste48.

A questo primo rilievo deve però aggiungersi una precisazione: funzione primaria delle domande suggestive è proprio quella di assicurare una verifica dell'attendibilità delle affermazioni del deponente che si presume “ostile”, nel controesame. Ne deriva che una lettura rigorosa e formalistica della disposizione di cui al più volte richiamato comma 3 dell'art. 499 c.p.p. comporterebbe il rischio di deprivare di qualsivoglia strumento di tutela quel difensore o pm che veda il proprio testimone rendere una deposizione imprevedibilmente contraria al proprio interesse49.

Del resto, nell'ipotesi considerata, è esclusa la sussistenza tra le parti del rapporto di “simpatia”: di conseguenza è scongiurato il rischio che domande implicative o comunque strutturalmente portate a suggerire <<generino un compiacente allineamento dell'esaminato alle aspettative dell'esaminatore>>50. << Al contrario […] si pone per

l'esaminatore una esigenza del tutto simile a quella caratteristica della fase del controesame. Chi interroga ha infatti la necessità (addirittura

48. V., per tale premessa, G. Carofiglio, Il controesame, cit., p.144. Se ne evince che: << La riconducibilità di una domanda al paradigma (e quindi al divieto) di cui all'art. 499 comma 3 dipende da una diagnosi del suo profilo finalistico >>. (Così G. Carofiglio, Il controesame, cit., pp.167-168).

49. Per la presente puntualizzazione, vedi G. Carofiglio, Il controesame, cit., pp.144-145. 50. In questi termini, v. G. Carofiglio, Il controesame, cit., p.168.

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più intensa di quella che fisiologicamente si presenta in sede di controesame dei testi di controparte) di accertare le ragioni di un contegno spesso inopinato del testimone […] ed in ultima analisi di farne constare la eventuale inattendibilità o, addirittura, l'eventuale mendacio >>51.

Sulla scorta di tali passaggi ricostruttivi sembra allora potersi concludere che l'esame del teste ostile costituisce - sotto il profilo funzionale ed operativo - una forma peculiare ed atipica di

controesame . Come tale dovrà dunque praticarsi52.

Ciò è tanto più vero se si considera che molto spesso la tecnica delle contestazioni si rivela impraticabile (se ad esempio si tratti di testi citati dalla difesa e non precedentemente ascoltati) o comunque insufficiente: << Il teste, alle contestazioni, può non aver fornito spiegazioni in ordine alla difformità tra le dichiarazioni rese in dibattimento e quelle rese in precedenza; [ovvero] può aver ribaltato la sua posizione precedente per allinearsi con la tesi della parte contraria a quella che ha chiesto la sua escussione >>53.

51. Così G. Carofiglio, Il controesame, loc. cit.

52. Per questa brillante conclusione, cfr. G. Carofiglio, Il controesame, loc. cit. La stessa è condivisa ad es., tra gli altri, da L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.201 e da G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, cit., p.92.

53. Così L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, loc. cit. Per un'accorta critica del meccanismo delle contestazioni così come formulato nel nostro codice e per il conseguente suggerimento di enfatizzare la non collaborazione del dichiarante durante l'esame diretto anche

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CAP II

IL CONTROESAME

1. Riflessioni sull'opportunità di procedervi

La primigenia difficoltà del controesame deriva dalla sua stessa natura di fase dell'escussione testimoniale intesa a servirsi, allo scopo di trarne una qualche utilità, proprio di quel teste “nemico” che ha appena terminato di rendere la propria deposizione diretta.

L'istituto può ricondursi, sul piano teorico, alla c.d. “dottrina dell'explanation”, in quanto inteso ad approntare una interpretazione dei fatti alternativa rispetto a quella che si staglia all'esito dell'esame diretto, dimostrando come lo stesso testimone abbia errato nel riportare fatti e circostanze, deliberatamente o meno54.

La cesura con l'esame diretto - sul piano della difficoltà di conduzione - è segnata dai caratteri peculiari che contraddistinguono questa seconda fase dell'escussione: l'impossibilità di una “prova generale” del controesame che passi attraverso la preparazione ad hoc del testimone; la tendenza del soggetto appena esaminato dalla

attraverso domande che in situazioni normali sarebbero vietate, si veda D. Carponi Schittar, Esame

e controesame, cit., pp.325-329. Quest'ultimo Autore stigmatizza la comune tendenza a ricorrere

all'espediente delle contestazioni nella situazione de qua fino a sostenere: <<... volendo attribuirgli una etichetta che lo descrivesse in poche parole, lo definirei la “codificazione della pigrizia” >>. (Così op. cit., p.325).

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controparte a mantenersi strettamente in linea con la propria “versione”; l'aspettativa psicologica del teste “nemico” circa un atteggiamento di contestazione anche veemente che potrà venire opposto dal controesaminatore, con la diffidenza che può derivarne. E' proprio per queste ragioni che, in caso si riescano ad elicitare dal teste di parte avversa informazioni funzionali ad avvalorare la propria ipotesi ricostruttiva, si conseguirà un non indifferente vantaggio psicologico55.

Prima di decidere se accingersi o meno all'impegnativa opera di controesame, sarà allora necessario compiere una attenta ponderazione tra concreta possibilità di ottenere l'anelato vantaggio e, per contro,

“rischio” di fallimento56.

Sebbene ancora oggi una parte della dottrina accrediti ferreamente l'idea - tradotta in motto - secondo cui “il miglior controesame è

quello che non si fa”57, pare invece maggiormente condivisibile

55. Cfr., per queste osservazioni sulla natura peculiare del controesame rispetto all'esame diretto, L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.211.

56. Per questo ammonimento, cfr. G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, cit., p.180. Per un approfondimento in merito alla decisione di controesaminare, cfr. M. Stone, La cross

examination, cit., pp.156-159.

57. Cfr., soprattutto, a tal proposito, E. Randazzo, Insidie e strategie dell'esame incrociato, cit., p.115, ad avviso del quale: << Non è solo un motto divertente. Spesso un teste avversario, specialmente quando non sappiamo nulla di lui e dei suoi interessi particolari, potrebbe darci altre risposte negative, e non è piacevole portare il fardello di un simile passo falso. Come tutte le regole, tuttavia, anche questa […] ha le sue eccezioni …>>. La regola è riportata anche da L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.213, con particolare riguardo al caso in cui << le dichiarazioni di un testimone non hanno fatto danni >>. Analogamente, D. Carponi Schittar,

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l'attestazione che: << si procede al controesame se si ha un obiettivo significante sotto il profilo probatorio e se tale obiettivo appare praticamente raggiungibile >>58.

Questa regola “aurea” - di merito prima ancora che di metodo – si traduce con l'esigenza di considerare, anzitutto, se l'esame diretto abbia effettivamente prodotto elementi vantaggiosi per la propria controparte agli occhi del giudice, e, ove riscontrati, se sia possibile << attenuare o elidere tali elementi >>. Qualora non ricorrano siffatte premesse, << l'unica scelta corretta è quella di non procedere al controesame >>59.

In particolare - sebbene i suggerimenti enucleabili in astratto debbano poi, di necessità, essere calati nel contesto del caso concreto - sarà generalmente consigliabile astenersi dal controesaminare quando il teste abbia riferito una circostanza sfavorevole, ma ci si renda conto di non disporre di elementi sufficienti a contrastarlo; quando costui si sia

Esame e controesame, cit., p.347, ricorda la massima per cui: “meno si controesamina meglio è” .

G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, cit., p.181, riformula la regola in “il miglior controesame è quello che non c'è bisogno di fare!”. Secondo F. Wellman, L'arte della cross

examination, cit., p.46, in termini che possono reputarsi affini: << nessun avvocato dovrebbe porre

domande cruciali a meno di non essere ragionevolmente sicuro della risposta >>. Per una trattazione tematica del c.d. “controesame silenzioso”, v. amplius lo stesso F. Wellman, op. cit., pp.209-221.

58. Così G. Carofiglio, Il controesame, cit., p.8. Questa stessa efficace massima è riportata anche da L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.208.

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dimostrato “neutrale”; quando si sappia di poter contrastare l'esame diretto appena concluso attraverso la deposizione di un proprio teste altrettanto credibile; quando, infine, la prova conseguita dalla controparte arrechi solo un debole disfavore alla propria posizione60.

Una decisione circa l'an del controesame che, tenendo adeguato conto dei fattori appena richiamati, pervenga alla soluzione più corretta, presuppone in capo a colui che debba assumersene la responsabilità << un senso dinamicamente strategico della prova ed una capacità di rapida diagnosi delle situazioni processuali e delle caratteristiche dei relativi protagonisti >>61.

Certo è che un controesame non animato da uno scopo specifico, al cui conseguimento non siano stati preordinati idonei mezzi, comporta il serio pericolo che si contribuisca a consolidare la posizione avversaria, già caldeggiata nel corso dell'esame diretto: un controesame “casuale” consente al teste di reiterare le precedenti affermazioni, colmando eventuali lacune e arricchendo le proprie spiegazioni, con la risultante di un incremento della percepita attendibilità sia della persona in questione che del suo narrato62.

60. Per questa elencazione delle ipotesi che sconsigliano di procedere al controesame, vedi G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, cit., pp.182-183.

61. Così G. Carofiglio, Il controesame, cit., p.9.

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Laddove ci si sia infine persuasi dell'opportunità di dar luogo al controesame, lo strumento privilegiato di cui avvalersi sarà rappresentato dalle domande suggestive - atte ad agevolare, per loro natura, un maggior “controllo” sul teste. Esse potranno riscuotere successo in termini di incisività a patto che sia rispettata una conditio sine qua non: la concentrazione dell'escussione intorno a pochi punti nodali considerati di prioritaria importanza. Il che offre l'indubbio vantaggio di favorire una migliore memorizzazione di questi stessi punti da parte del giudicante, almeno fin quando potranno saldarsi alle dichiarazioni emerse dall'esame diretto dei testimoni introdotti di propria iniziativa63.

Sembra però che, in presenza di un teste di parte avversa sufficientemente “collaborativo”, non si debba escludere l'eventualità di un allentamento del controllo, << a favore di una maggiore

Nuburger, Esame e controesame, cit., p.209. Vedi, in senso analogo, M. Stone, La cross

examination, cit., p.156, il quale precisa che: << Al pari dell'intervento chirurgico, anche il

controesame è spesso determinante, ma né la chirurgia né la cross examination possono essere utilizzate indiscriminatamente >>.

63. Vedi, in tal senso, L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.212. In tema di possibilità di controllo e domande suggestive, cfr. M. Stone, La cross examination, cit., pp.171-172. G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, cit., p.195, evidenzia la necessità di ricorrere, per focalizzare argomenti chiave della propria tesi, ad una sequenza “a tunnel”, << consistente nella proposizione di domande chiuse che, riducendo la gamma di possibili risposte, incanalano e orientano la narrazione della storia ...>>.

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spontaneità e naturalezza d'esposizione >>64.

Del pari , l'utilità di una riduzione della pressione esercitata si paleserà quando, invece, si abbia di fronte un teste mendace: indotto dalla concessa libertà espositiva a elaborare una versione paradossale, finirà per screditarsi con le proprie stesse parole65.

2. I modi di interazione col teste: il modello di Bergman

La preparazione del controesame (attraverso la predisposizione di un apposito schema operativo), l'estrapolazione degli argomenti da valorizzare, l'apprezzamento delle probabilità di successo di ogni domanda preventivata, imporranno di avere un particolare riguardo per la circostanza che - nel corso dell'esame diretto e all'esito di esso - il teste della controparte si sia rivelato favorevole; incompleto o impreciso ma non sfavorevole; prevenuto; decisamente sfavorevole; sfavorevole ma contestabile mediante il supporto di altre testimonianze o di documenti.

Sarà quindi indispensabile, al fine di una almeno potenziale riuscita

64. Così M. Stone, La cross examination, cit., p.171. 65. V. M. Stone, La cross examination, loc. cit.

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del controesame, individuare a priori la modalità più proficua di interazione col tipo di testimone che si ha di fronte, nonché lo strumentario di cui si dispone, soprattutto per dimostrarne l'eventuale ostilità66.

Nel corso di secoli di studio, la dottrina di common law ha estrapolato un vero e proprio modello di controesame, poi formalizzato ad opera di Paul Bergman, volto a facilitare la scelta dell'esaminatore circa la convenienza di fare o meno una certa domanda, in ragione della probabilità che ha di ottenere la risposta sperata ovvero di riuscire, eventualmente, a confutare quella indesiderata. Questo archetipo teorico, finalizzato a garantire riscontri tangibili nella pratica forense, rappresenta un tentativo di traduzione in termini sistematici della tradizionale golden rule secondo cui “non si

devono fare domande se non si conosce in anticipo la risposta”67.

Con specifico riguardo alla possibilità di confutazione di risposte non volute dal controesaminatore: la risposta del teste diversa da quella

66. Per queste considerazioni introduttive al tema delle diverse modalità interattive con testi di tipo diverso, cfr. L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.218.

67. Cfr., per questa ricostruzione, L de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.223. Cfr. sull'argomento, P. Bergman, A Practical Approach to Cross Examination: Safety First, in 25

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che si avrebbe ragione di aspettarsi con alta probabilità sulla base delle precedenti dichiarazioni da lui rese, può essere contrastata rimarcando la “sospetta” difformità da quelle stesse affermazioni. Sotto tale profilo sarà quindi possibile esercitare una forma di stretto

“controllo” sull'esaminato68.

In particolare, Bergman ipotizza l'esistenza di tre macro-categorie di domande, in rapporto al diverso livello di sicurezza circa la possibilità di confutare con successo la risposta sfavorevole ricevuta69.

a) Sono domande ad alto livello di sicurezza quelle che consentono di infirmare la risposta sgradita attraverso il ricorso a dati obiettivi che si riconnettano ad una prova contraria: ad esempio le dichiarazioni difformi rese in precedenza da quel teste oppure addotte da altro testimone ritenuto altrettanto o anche maggiormente attendibile; o anche un appiglio documentale70.

b) Le domande a medio livello di sicurezza sono invece quelle cui lo specifico contesto del caso consente di offrire a chi controesamina una mera “probabilità” di ottenere la risposta anelata. In queste fattispecie

68. V. L de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.224.

69. Cfr., per uno schematico prospetto di questa stessa distinzione tra le tre categorie di domande, G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, cit., pp.184-185.

70. Per l'individuazione di questa prima tipologia di domande e le relative esemplificazioni, v. L de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., pp.224-226.

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gli unici parametri di contrasto del dichiarato sfavorevole possono individuarsi nelle leggi di natura e nell'esperienza umana, rispetto alle quali si enfatizzerà l'anomalia eventualmente rilevata nella risposta che si è ricevuta. Ad esempio, se il teste durante il controesame tace rispetto a particolari che dovrebbero invece ritenersi significativi a giudicare da altrui dichiarazioni, è probabile che essi non si siano mai verificati in concreto o che, in ogni caso, il soggetto non ne abbia conoscenza. C'è allora anche una ragionevole probabilità che costui confermi quest'ultima ricostruzione, qualora gli venga esplicitamente chiesto di farlo. Lo scopo è, dunque, sfruttare l'omissione della specifica informazione al fine di dimostrare e dare poi per assodato che il fatto non esiste71.

c) Infine, sono domande a basso livello di sicurezza quelle con le quali si chiede al teste di asseverare una data versione dei fatti senza tuttavia nutrire alcuna reale speranza che ciò avvenga ed essendo del tutto sprovvisti di espedienti per la confutazione della prevedibile risposta sgradita. In queste situazioni all'apparenza “disperate” entra in gioco la possibilità di ricorrere alla già richiamata e rischiosa tecnica

71. Per l'individuazione di questa seconda macro-categoria di domande con relativi esempi, vedi L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., pp.226-228.

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della “battuta di pesca ”72: si parte dal presupposto che molte

testimonianze traggono origine dalla concatenazione di una serie di assunti, relativi a fatti che si danno per assodati nella loro esistenza, mentre invece sono il frutto di << particolari processi psicologici che favoriscono “cortocircuiti cognitivi”, inferenze affrettate, interpretazioni preconcette >>73.

In tali casi può risultare determinante riuscire a sollevare dubbi sulla condivisibilità di uno solo di quei passaggi inferenziali che stanno alla base del fatto dato per “scontato”; ossia del passaggio il cui smantellamento appaia assolutamente rilevante perché sia avvalorata la tesi del controesaminatore74.

2.1. Tre diversi approcci in caso di testimone “sfavorevole”

Quando risulti palese che l'esame diretto condotto dalla controparte ha sortito un qualche vantaggio – e appaia pertanto sensato supporre di

72. Per una definizione di questa singolare tecnica, cfr. retro par. 2, cap. I, sez. II . D. Carponi Schittar, Esame e controesame, cit., pp.416-423, considera questa stessa evenienza, da lui definita come “controesame alla cieca”, che si rende imprescindibile ogni qual volta ci si trovi ad avere a che fare con un testimone del quale non si conosca assolutamente nulla, ma che sia divenuto “teste chiave” del processo e che dunque non ci si possa esimere dal controinterrogare.

73. Così L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., p.229.

74. Per l'individuazione di questa terza macro-categoria di domande e per i relativi esempi, vedi L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., pp.229-230.

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trovarsi di fronte ad un teste maldisposto - occorre domandarsi se residuino, in positivo, margini per segnare punti a proprio favore durante il controesame: si rammenta che esistono in sostanza tre obiettivi che si può aspirare a conseguire, cui si associano altrettanti

metodi per interfacciarsi con il dichiarante75.

Anzitutto, vi è il metodo “della limitazione dei danni”:

attraverso esso ci si adopera per circoscrivere gli effetti (pregiudizievoli) del successo riportato dalla controparte all'esito dell'esame diretto, sottolineando che non ne sono derivati elementi risolutivi o comunque rilevanti ai fini della decisione del processo. Le risultanze dell'esame diretto non potranno venire azzerate: l'obiettivo sarà allora quello di contenerle76.

Vi è poi la metodica“del mirare al teste per colpire la deposizione”: si mira qui a demolire la testimonianza ottenuta nell'esame diretto, sferrando un attacco rivolto alla credibilità del teste77.

75. Per la distinzione tra i tre obiettivi in questione e per i relativi metodi di conseguimento, vedi G. Carofiglio, Il controesame, cit., pp.21-23. La stessa è riportata, in identici termini, da L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame, cit., pp.209-210.

76. Per la descrizione del primo modello operativo di interazione col teste sfavorevole, vedi G. Carofiglio, Il controesame, cit., p.22. Il messaggio che, contestualmente ed indirettamente, si rivolgerà al giudice è: << Il teste ha detto effettivamente qualcosa di non favorevole alla mia posizione, ma si tratta di qualcosa meno importante/ meno coerente di quanto potesse apparire all'inizio. La deposizione di questo teste ha un rilievo marginale e non è in grado di incidere in modo determinante sulla decisione >>. ( Così G. Carofiglio, Il controesame, ult. loc. cit.).

77. Per la descrizione del secondo modello, vedi G. Carofiglio, Il controesame, ult. loc. cit., secondo cui il messaggio rivolto al giudice in questo caso è: << Quello che il teste vi ha raccontato nell'esame diretto potrebbe essere sfavorevole o addirittura molto sfavorevole alla mia posizione se

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Infine, l'approccio “del distruggere la storia per cancellare la

deposizione”:

consiste in un << attacco al cuore della testimonianza diretta >>, allo scopo di comprovare che la versione fatta propria dal teste non è veritiera (e quindi non è credibile) in quanto completamente illogica o in quanto ne è stata acclarata la falsità, indipendentemente dal fatto che possa reputarsi sincero colui che l'ha resa78.

Questa terza metodica può riferirsi << tanto al caso in cui il controesame consegua il risultato di demolire la stessa coesione strutturale del racconto fornito dal teste, rendendolo oggettivamente inattendibile ed inutile a sostenere qualunque ipotesi processuale, quanto al caso in cui il controesame colpisca uno dei segmenti del racconto […] rendendolo inutile a sostenere una specifica ipotesi processuale […], ma non qualunque altra ipotesi >>79.

Come è stato efficacemente osservato, la prima delle tre modalità

potesse essere creduto. Non dovete/ potete credere però a questa storia perché il teste è persona inattendibile: o si sbaglia o sta mentendo >>.

78. Per la descrizione del terzo ed ultimo modello d interazione, vedi G. Carofiglio, Il

controesame, cit., pp.22-23, ad avviso del quale il messaggio rivolto al giudice in questa situazione

è: << Quello che il teste vi ha detto nell'esame diretto potrebbe essere sfavorevole o addirittura molto sfavorevole alla mia posizione se fosse credibile. Nessuno però può credere a questa storia o perché essa è del tutto incoerente, o addirittura perché ne è stata dimostrata la falsità >>.

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operative appena illustrate ricorre abbastanza raramente, stante il rilievo che, di norma, chi decide di escutere un teste - pure in fase di controesame - ambisce ad ottenere delle utilità in positivo e non solo una riduzione dell'impatto delle dichiarazioni emerse nell'esame diretto; la terza può intervenire soltanto quando consti un difetto di percezione o memoria in capo al teste80. Ne deriva che: << l'arma più frequentemente impugnata dal controesaminatore sarà quella del discredito del teste avverso, e ... tanto più sarà forte la tentazione di usarla, quanto più sarà importante il contenuto della deposizione >>81.

3. Lo scopo di “screditare il teste”: i imiti deontologici all'attacco della persona

Una volta accolta la conclusione che la metodica più ricorrentemente sperimentata dal controesaminatore - perché maggiormente satisfattiva in termini di risultati - sia proprio quella mirata a screditare la credibilità del dichiarante, sarà lecito domandarsi: << Fino a che punto può spingersi il controesaminatore (sia egli un difensore o il

80. Per queste considerazioni conclusive, cfr. E. Fassone, Presentazione a G. Carofiglio, Il

controesame, cit., p.xiii.

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pubblico ministero) nell'attacco alla personalità di un testimone? Fino a che punto gli è consentito fare apparire ridicolo il teste addotto dalla controparte o, in generale, demolirne l'immagine? >>82.

Questi cogenti interrogativi, stante l'assenza di una regola deontologica di condotta ad hoc, trovano un generico ed insoddisfacente referente solo nella norma dell'art. 499 comma 4 c.p.p., che impone al presidente di aver cura che l'esame del teste sia condotto senza che venga leso il rispetto della persona83.

La dottrina di common law, in special modo, ha posto l'accento sulle limitazioni imposte dalla deontologia forense alla cross examination: in primis, il non doversi perseguire la vittoria apoditticamente e “ad ogni costo”, anche considerato che eventuali comportamenti sleali potrebbero costituire uno spunto per l' opposizione in aula e condurre all'inammissibilità delle prove84.

Per quanto riguarda, in particolare, gli oneri di natura etica che

82. Così G. Carofiglio, Il controesame, cit., p.25. Vedi, in proposito, la trattazione espressamente dedicata al controesame sulla credibilità dei testimoni e i suoi abusi, da F. Wellman, L'arte della

cross examination, cit., pp.281-298.

83. Per la presente notazione, v. G. Carofiglio, Il controesame, cit., p.26. Per l'esegesi del comma 4 art. 499, cfr. retro par. 2.2., cap. III, sez. I.

84. Per questa osservazione, v. M. Stone, La cross examination, cit., p.2. Analogamente, F. Wellman, L'arte della cross examination, cit., p.281, pone in evidenza, con riguardo al controesame sulla credibilità del testimone, che: << quest'arma potentissima, così come può servire a fin di bene, si presta anche, in pari misura, a pratiche illecite >>, per cui se ne raccomanda una conduzione attenta e cauta.

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attengono alla sfera dell'avvocato: <<… nel conflitto che nasce tra le due parti in causa nell'aula giudiziaria, la deontologia forense rafforza l'inattacabilità morale dell'avvocato il quale, pur avendo il preciso dovere di sostenere le ragioni dell'assistito con tutto il vigore di cui è capace, non deve mai lasciarsi coinvolgere personalmente ... >>85.

E certo non si può dubitare che un simile intendimento valga – pure nel nostro ordinamento processuale – oltre che per il legale anche per il pubblico ministero, sebbene debba tenersi in debita considerazione la diversità dei ruoli che caratterizzano queste due figure86.

Recepite simili premesse di metodo, sarà dunque il caso di approntare delle linee-guida orientative per chi si trovi nella necessità di imbastire il tipo di controesame in oggetto evitando contestualmente di debordare dai confini eticamente consentiti:

85. Così M. Stone, La cross examination, loc. cit. In altre parole, lapidariamente emblematiche, E. Buckner, Altre osservazioni in tema di “usi e abusi del controesame”, in F. Wellman, L'arte della

cross examination, cit., p.317: << Nessun cliente può pretendere che il proprio difensore gli faccia

vincere la causa solo grazie alla sua abilità e a discapito di un testimone della cui sincerità lo stesso avvocato sia convinto >>. Inoltre, come segnalato da G. Frigo sub. nt.3 in F. Wellman, L'arte della

cross examination, cit., p.283, nel Code of conduct of the Bar of England and Walles (codice

deontologico forense inglese), al punto 5.10 dell'allegato H è stabilito: << L'avvocato difensore … non deve fare dichiarazioni o proporre domande meramente offensive ovvero dirette o programmate solo a diffamare, insultare o importunare un testimone ...>>.

86. Fa riferimento alla diversità degli obblighi deontologici che, in materia di assunzione della prova orale, gravano sul pm e sul difensore, G. Carofiglio, Il controesame, ult. loc. cit., sub. nt. 7. In particolare, il Codice deontologico forense approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 17 aprile del 1997 e successivamente modificato in varie occasioni, contempla all'art.6 i generali doveri di lealtà e correttezza dell'avvocato; all'art.20 il divieto di uso di espressioni

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<< Ogniqualvolta un teste abbia reso [durante l'esame diretto] dichiarazioni consapevolmente false o comunque strutturate in modo tale da alterare consapevolmente la verità dei fatti, è consentito un attacco energico, penetrante ed anche brutale alla immagine ed alla personalità del teste stesso >>87.

Per converso, in tutte quelle differenti ipotesi in cui constino deposizioni totalmente o parzialmente difformi dalla verità storica, ma non possa dimostrarsi che le affermazioni siano scientemente false o reticenti, l'obiettivo di attaccare la attendibilità personale del testimone (o la intrinseca credibilità del suo narrato) dovrà perseguirsi con prudenza: ossia senza sconfinare in un indiscriminato “accanimento” verso colui che si sia semplicemente sbagliato, per essere stato indotto in errore da una fallace percezione o da un distorto ricordo; ovvero per essere incorso in un deficit narrativo88.

3.1. Credibilità e “indizi” di menzogna

Gli esperti di psicologia giuridica inquadrano la credibilità come

87. In questi esatti termini, v. G. Carofiglio, Il controesame, ult. loc. cit. 88. In tal senso, v. G. Carofiglio, Il controesame, cit., pp.26-27.

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fenomeno attinente al rapporto tra ciò che il soggetto ritiene di sapere e le proprie personali convinzioni o motivazioni (ad esempio un interesse personale coinvolto nella vicenda, la desiderabilità sociale, la volontà di compiacere un uditorio, i propri pregiudizi), le quali inevitabilmente condizionano la sua scelta di dichiarare o meno. La credibilità si sostanzia, in definitiva, nel problematico e dinamico rapporto tra “realtà soggettiva” e “realtà riferita”, alla cui analisi sono rivolti gli studi in materia89.

Se ne ricava che il concetto di credibilità del dichiarante in sede di esame incrociato non ha tanto a che fare con la verità, quanto piuttosto con ciò che l'individuo percepisce come vero: << il grado di credibilità di un teste è relativamente indipendente dalla veridicità o meno di quanto egli riferisce, essendo possibile che cose vere vengano riferite in modo non credibile e che cose non vere in tutto o in parte (indipendentemente dalla consapevolezza del dichiarante il quale può essere anche in perfetta buona fede…) siano riferite in maniera altamente credibile >>90.

89. In questi termini, v. G. Gulotta, Le 200 regole della cross examination, cit., p.16. L'Autore sottolinea come la credibilità del dichiarante, unitamente all'accuratezza dello stesso, concorra a determinare l'attendibilità di una deposizione testimoniale. L'accuratezza si fonda sulla capacità del soggetto di “percepire”, “ritenere” e “riprodurre”, attenendo cioè al profilo percettivo ed a quello cognitivo. Essa concerne quindi il rapporto tra realtà “percepita” (soggettiva) e realtà “oggettiva”. G. Gulotta e coll., Elementi di psicologia giuridica e di diritto psicologico, cit., p.477, riporta in termini analoghi la presente distinzione tra credibilità ed accuratezza.

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