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3 LA LUCE NATURALE IN ARCHITETTURA E I METODI DI CALCOLO IL PROGETTO DEL POLO B DAL ’66 A OGGI L’EDILIZIA SCOLASTICA INTRODUZIONE INDICE

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INDICE

INTRODUZIONE

1

L’EDILIZIA

SCOLASTICA

...

6

1.1 IL RUOLO DELLA SCUOLA NELLE SOCIETÀ CONTEMPORANEE ...6

1.2 IL CONCETTO DI SCUOLA E LE RIFORME DOPO L’UNITÀ D’ITALIA ... 7

1.3 L’EDILIZIA SCOLASTICA IN ITALIA TRA XIX E XX SECOLO ... 7

1.4 IL CENSIMENTO DEL MIUR E I DATI ENEA SUGLI INTERVENTI DI RISTRUTTURAZIONE ... 24

2

IL PROGETTO DEL POLO B DAL ’66 A OGGI

...

29

2.1 IL PROGETTO VINCITORE DEL CONCORSO DEL ’66 ... 29

2.2 IL POLO B OGGI: CRITICITÀ DELLO STATO DI FATTO ... 34

3

LA LUCE NATURALE IN ARCHITETTURA E I METODI DI CALCOLO

...

38

3.1 DEFINIRE LO SPAZIO ... 38

3.2 IL METODO STATICO E IL DAYLIGHT FACTOR ... 41

3.3 IL METODO DINAMICO E L’USEFULL DAYLIGHT ILLUMINANCE ... 44

3.4 ANALISI COMPARATIVA TRA UDI E DF ... 46

4 WORKFLOW e SOFTWARE PER L’ANALISI E L’OTTIMIZZAZIONE ...

48

4.1 LA MODELLAZIONE IN RHINO E LO STUDIO DELLE OMBRE ... 48

4.2 GRASSHOPPER E HONEYBEE - LADYBUG ... 49

4.3 RILIEVO ILLUMINOTECNICO E CALIBRAZIONE DEGLI InPUT PER L’ANALISI ... 52

4.4 IL MODELLO PARAMETRICO DEL SISTEMA DI SCHERMATURA ... 57

4.5 OCTOPUS – IL SOLUTORE GENETICO ...60

5 LA RIQUALIFICAZIONE ARCHITETTONICA ...

61

(2)

2

6 ANALISI ILLUMINOTECNICA DELLO STATO DI FATTO ...

66

6.1 PARAMETRI DI VALUTAZIONE, PERIODO DI ANALISI, AULE TEST ... 66

6.2 AULA B31... 68

6.3 AULA B32 ... 71

6.4 AULA B33 ...74

6.5 AULA B34 ... 77

6.6 AULA B21 ... 80

7 LA RISTRUTTURAZIONE DI EDIFICI ESISTENTI ...

83

7.1 Il QUADRO NORMATIVO E VALUTAZIONE DEGLI INTERVENTI ... 83

8

METODI DI CALCOLO ...

87

8.1 TRASMITTANZA TERMICA DI VETRI E FINESTRE ... 87

8.2 CALCOLO DELLA TRASMITTANZA TERMICA DEL VETRO ... 87

8.3 CALCOLO DELLA TRASMITTANZA TERMICA DEL TELAIO ... 88

8.4 CALCOLO DELLA TRASMITTANZA TERMICA DELLA FINESTRA ... 88

9

PROGETTAZIONE ENERGETICA ...

90

9.1 LA SCELTA DEL TIPO DI VETRO...90

9.2 LA SCELTA DEL TELAIO ... 91

9.3 CALCOLO DELLA TRASMITTANZA DEI NUOVI SERRAMENTI ... 95

9.4 FATTORE DI TRASMISSIONE SOLARE TOTALE ... 96

9.5 CALCOLO DELL’AREA SOLARE EQUIVALENTE ... 96

9.6 CALCOLO DEL COEFFICIENTE GLOBALE DI SCAMBIO TERMICO ... 97

9.7 RIVESTIMENTO OPACO ... 98

10

ANALISI POST- RISTRUTTURAZIONE...

101

10.1 AULA B31... 101

10.2 AULA B32 ... 105

(3)

3

10.4 AULA B34 ... 112

10.5 AULA B21 ... 115

11

OTTIMIZZAZIONE DELLO SHADING PASSIVO E ANALISI DELLE PERFORMANCE ...

119

11.1 SCELTE PROGETTUALE E OBBIETTIVI ... 119

11.2 AULA B31... 120 11.3 AULA B33 ... 125 11.4 AULA B32 ... 130 11.5 AULA B34 ... 135 11.6 AULA B21 ... 140

12

TECNICA COSTRUTTIVA ...

145 12.1 MATERIALE E DETTAGLI ... 145 CONCLUSIONI………...149 RIFERIMENTI NORMATIVI……….………152 BIBLIOGRAFIA……….……...153 RIVISTE……….…....154 SITOGRAFIA……….…...155 RINGRAZIAMENTI……….………..157

(4)

4 “Il tuo dovere è di non consumarti mai nel sacrificio. Il tuo dovere reale è di salvare il tuo sogno. La Bellezza ha anche dei doveri dolorosi: creano però i più belli sforzi dell’anima. Ogni ostacolo sormontato segna un accrescimento della nostra volontà, produce il rinnovamento necessario e progressivo della nostra aspirazione. Abbi il culto sacro ( io lo dico per te … e per me ) per tutto ciò che può esaltare ed eccitare la tua intelligenza. Cerca di provocarli, di perpetrarli, questi stimoli fecondi, perché soli possono spingere l’intelligenza al suo massimo potere creatore [..] Affermati e sormontati sempre […].”

(5)

5

INTRODUZIONE

Il progetto argomento di questa tesi riguarda l’ottimizzazione della geometria di sistemi lamellari nel complesso della ristrutturazione architettonica e energetica del Polo B della Scuola di Ingegneria di Pisa.

L’edificio preso in esame è stato scelto dopo un approfondimento preliminare sulle condizioni attuali dell’ edilizia scolastica in Italia. La valutazione delle criticità e delle performance di questa categoria, che rappresenta una quota rilevante del patrimonio edilizio pubblico, ha permesso di inserire il progetto tra i possibili approcci per l’adeguamento normativo dei requisiti energetici e di comfort interni della struttura. Questa tematica diviene sempre più rilevante a partire dagli anni ’90 con l’emanazione di leggi che pongono l’attenzione su aspetti come l’ecologia, la sostenibilità, l’efficienza energetica e il comfort degli ambienti. Parallelamente alle nuove disposizioni il confronto con le prestazioni dell’esistente, costruito in larga parte in assenza di vincoli e prescrizioni, pone la questione della strategia migliore da adottare per adeguarlo ai nuovi standard. La necessità di individuare una procedura codificata per questo problema è avvalorata dal fatto che il territorio negli ultimi decenni è stato oggetto di uno sfruttamento intensivo e di una speculazione edilizia senza precedenti. Il progressivo consumo del suolo ha evidenziato ancor di più i limiti di questa politica di espansione eccezionale, ormai non più sostenibile. Alle buone intenzioni come quella di diffondere le strutture scolastiche per rispondere al boom demografico seguito alla Seconda Guerra Mondiale, si associavano infatti problemi di natura economica che premevano per la realizzazione in tempi rapidi e a prescindere dalle effettive qualità estetiche e funzionali dei progetti.

La ricerca ha quindi come triplice obbiettivo la riqualificazione architettonica di un edificio che oggi si distingue in negativo per la caratterizzazione morfologica tipica del periodo di affermazione delle tecnologie prefabbricate, l’adeguamento dell’involucro agli standard di legge vigenti e la valutazione dei risultati ottenibili attraverso lo sfruttamento della flessibilità del metodo di modellazione parametrico. Le potenzialità di questo approccio derivano dalla progressiva integrazione all’interno di un unico software di plug-in per l’analisi delle performance che si interfacciano direttamente con programmi certificati che già sono utilizzati per la progettazione. I risultati, al contrario delle procedure standard, non sono solo il prodotto finale ma vengono utilizzati come input per orientare il progetto nella direzione desiderata. Questo consente l’adattamento del design delle schermature alle caratteristiche degli ambienti di riferimento e alle condizioni al contorno specifiche del sito; in particolare l’orientamento della struttura, la posizione geografica, le condizioni climatiche, la distribuzione interna, il numero e l’estensione delle superfici vetrate, la conformazione degli ambienti e gli edifici dell’intorno del caso di studio saranno variabili che connotano il caso specifico rappresentando esclusivamente un input modificabile nell’applicazione della stessa strategia ad altri edifici.

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6

1.1 IL RUOLO DELLA SCUOLA NELLE SOCIETÀ CONTEMPORANEE

Il ruolo dell’edilizia scolastica in una società trascende la mera necessità di avere un luogo in cui formare la cittadinanza. Attraverso lo studio dell’evoluzione del tessuto edilizio scolastico nel corso del tempo è possibile stabilire una stretta correlazione con lo stato di salute di un paese, a maggior ragione in un paese come l’Italia che ha come tradizione un’ effervescenza culturale che ne ha contraddistinto la storia rispetto agli altri paesi. A tal proposito il ruolo del luogo in cui la conoscenza viene trasferita non può essere sommariamente considerato secondario rispetto al programma didattico, al metodo d’insegnamento e ai criteri di valutazione. La scuola in una società democratica rappresenta il luogo in cui si forma il cittadino, termine che implica una molteplicità di aspetti che non sono strettamente valutabili misurando il numero di nozioni apprese durante il periodo scolare: la formazione di una cultura critica personale all’interno della collettività dovrebbe essere senza dubbio il presupposto cardine per fare degli allievi di oggi i cittadini pensanti di domani.

Allo stato pratico nel corso degli ultimi due secoli oltre al ruolo più alto delegato alla scuola va tenuta di conto la necessità pratica di alfabetizzare la popolazione in larga parte ignorante e formare operai specializzati da poter inserire nel ciclo produttivo che dalla metà del XIX secolo si stava sviluppando. Inoltre un altro dettaglio non trascurabile era la frammentazione del territorio tra gli stati preesistenti all’Unità d’Italia del 1861 che, anche solo dal punto di vista della lingua parlata, incideva pesantemente sulle potenzialità di sviluppo e coesione dello stato che stava sorgendo. Tale obbiettivo dipende quindi anche dai luoghi adibiti alla formazione, dal loro numero, dalla loro distribuzione, dalla loro organizzazione interna, dalla loro conformità a canoni ormai codificati anche al livello delle istituzioni europee. Non è più possibile scindere il contenuto dal contenitore, che sia direttamente che indirettamente (si pensi alla percezione del luogo e al modo con cui questo si articola e si declina anche in funzione del variare del tempo) influenza e condiziona il comportamento dei fruitori sia dal punto di vista pratico dell’apprendimento che sotto il profilo della responsabilizzazione personale, comunicata anche dalla struttura e dallo spazio a disposizione che ospita per un lasso di tempo inferiore soltanto all’abitazione privata l’ infanzia di ciascun bambino e ragazzo.

La scuola può diventare il tramite, lo strumento ma anche l’esempio attraverso il quale poter far leva su una rinnovata sensibilità collettiva, che quotidianamente è sempre più pervasa dalle questioni sull’eco-sostenibilità, sull’inquinamento prodotto, sull’adattabilità a condizioni mutevoli, sull’impatto ambientale, sul consumo del suolo, sul riuso e sul rinnovamento. Queste questioni, conseguenza evidente di una società consumistica che del non porsi limiti ha fatto una bandiera, stanno sempre più diventando centrali nella pianificazione delle strategie per il futuro che necessariamente dovrà essere impostato su considerazioni diverse da quelle che ci hanno portato alla situazione attuale. È in questo solco che il lavoro che seguirà è stato impostato, non tanto per rappresentare un punto di arrivo ma piuttosto uno dei tanti punti di partenza che questi nuovi approcci alla progettazione permettono.

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7

1.2 IL CONCETTO DI SCUOLA E LE RIFORME DOPO L’UNITÀ D’ITALIA

La definizione di scuola così come è intesa oggi nasce e si sviluppa agli inizi dell’800 sotto il governo Napoleonico. Si parla per la prima volta di un’organizzazione statale, finanziata e diretta a livello centrale che vada a costituire il primo avamposto dell’istruzione per i bambini di tutte le estrazioni sociali. Il periodo della Restaurazione a partire dal 1814 congela questi primi orientamenti positivi sulla questione anche per le difficili situazioni finanziarie degli stati italiani. Solo a partire dagli anni ’40, ed in particolare in Piemonte, riprenderanno i dibattiti riguardo al problema dell’istruzione, con l’istituzione di una commissione permanente1

che fotografasse le condizioni in cui versava la scuola nella penisola.

Il primo ordinamento dell’istruzione pubblica è precedente all’unificazione dello Stato e risale alla Legge Casati del 1859 che si trova a regolamentare una situazione emergenziale in cui circa l’80% della popolazione risultava analfabeta, imponendo la gratuità e l’obbligatorietà delle scuole pubbliche elementari di grado inferiore anche alle nuove annessioni dello Stato unitario; la legge organizzava il sistema scolastico in istruzione normale ed elementare, secondaria classica e tecnica e istruzione superiore, operando quindi una netta separazione tra la formazione umanistica, che dava accesso agli studi universitari, e le scuole “pratiche”. Dopo l’unificazione questo primo ordinamento fu integrato con la legge Coppino del 1877 che estendeva l’obbligo scolastico fino a 9 anni dovendosi però confrontare con le realtà profondamente disomogenee lasciate dai vecchi stati. Fino all’avvento del fascismo si annoverano altre due riforme, quella della Legge Orlando del 1904 che estende l’obbligatorietà fino a 12 anni e la Legge Credaro del 1911 che stabilisce il passaggio allo Stato di gran parte delle scuole elementari. Nonostante le evidenti difficoltà amministrative di questo periodo i risultati non tardano a mancare e nel 1921 il tasso di analfabetismo scende al 27,3%.

La riforma Gentile del 1923 stravolge l’organizzazione vigente fino a quel tempo e fissa le linee guida che in larga parte caratterizzano ancora oggi l’impianto pensato per l’istruzione. La legge istituisce la scuola materna, la scuola elementare, la scuola secondaria e l’istruzione superiore universitaria, strutturando in modo dicotomico le discipline umanistiche nei licei e le materie pratiche nelle scuole professionali. Dovremo attendere il 1962 per veder istituita la scuola media unica con la legge n.1859, per la prima volta gratuita e obbligatoria fino ai 14 anni.

L’innalzamento dell’età dell’obbligo scolastico avviene progressivamente fino ai giorni nostri, prima con la legge n. 9 del 1999, poi con la riforma Moratti del 2003 che istituisce il principio del diritto dovere all’istruzione fino ai 18 anni.

1.3 L’EDILIZIA SCOLASTICA IN ITALIA TRA XIX E XX SECOLO

Il tema dell’edilizia e l’individuazione dei luoghi preposti all’educazione inizia ad essere centrale dopo l’Unità d’Italia, intorno al 1875. A partire dai primi del Novecento vengono convertiti gli edifici adibiti a caserme e ospedali alla nuova destinazione didattica e si costruiscono le prime strutture pubbliche atte ad ospitare

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8 unicamente le scuole, in parallelo con la progressiva crescita demografica dovuta alla prima fase di industrializzazione del paese. Si tende ad evidenziare la funzione civile della scuola ponendo particolare attenzione all’ornamento di impronta neoclassica, caratterizzato da finti bugnati, finestre sormontate da archi, cornicioni elaborati e marcapiani. La distribuzione sul territorio delle strutture rimane comunque profondamente carente e la progettazione rimane strettamente legata all’arbitrarietà dei singoli progettisti. Nel 1911 viene pubblicata l’ampia relazione sull’istruzione primaria “La casa della scuola“ in cui viene dato particolare risalto al problema degli edifici scolastici. Il documento contiene una raccolta di 100 tavole relative a vari tipi edilizi declinati in base al numero di aule che ospitano, fino a un massimo di venti. La preoccupazione del Ministero è uniformare le nuove costruzioni a delle tipologie standard. Il riferimento nelle tavole è lampante e richiama direttamente la logica del blocco ottocentesco, limitandone tuttavia il numero di piani e destinando aree dall’estensione limitata alle attività integrative2.

2Mugnai, Mauro, Il progetto della scuola in Italia volume III, Censis, Milano, 1984

Fig. 1.1 - Planimetria del piano terra e del primo piano di un edificio da 20 aule Fonte :“La casa e la scuola “, Tavole, Camillo Corradini

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9 Nel 1913 viene pubblicata “Linee di pedagogia elementare” ad opera di Saverio de Dominicis, che contiene ulteriori illustrazioni per le scuole di città. In questo caso l’edificio è costituito da un blocco compatto con un unico piano fuori terra. La distribuzione è a corridoio e le attività integrative sono ridotte alla palestra e al cortile esterno. Il piano seminterrato ospita i servizi connessi al refettorio.

In concomitanza con l’avvento del fascismo le scuole si caratterizzano per la rigida suddivisione della distribuzione interna articolata in spazi attrezzati con specifica destinazione: le aule dall’ampia volumetria e con grandi aperture, i laboratori di fisica e chimica, le aule da disegno, palestre e sale per la musica, servizi all’avanguardia, terrazze e cortili di pertinenza.

Nello stesso periodo si afferma in architettura il Razionalismo che coniuga nello stile architettonico i nuovi ideali che caratterizzavano il regime e la stessa organizzazione settoriale della riforma Gentile. Il nazionalismo, l’ubbidienza, la gerarchizzazione della società diventano il mezzo artistico attraverso i quali il nuovo stile trasferisce all’edificio il messaggio propagandistico del regime, cercando di tagliare i ponti con il passato ad eccezion fatta per alcuni elementi classici. Oltre alle scuole prendono forma intere aree urbane e con esse Fig. 1.2 | 1.3 – Planimetria del Progetto di scuola maschile o femminile per una città, Saverio de Dominicis, 1913 Fonte: Linee di pedagogia elementare, Saverio De Dominicis, 1913

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10 molti edifici pubblici, in un’operazione che coinvolgeva sia il Nord che il Sud, trasformando il volto della nazione in maniera tutt’ora tangibile. L’impostazione geometrica delle maglie urbane di espansione e il carattere monumentale delle nuove costruzioni è la cifra che il regime lascia in ogni intervento promosso.

È in questo periodo che il dibattito razionalista sul tipo-edilizio-scuola3 si concentra sulla definizione delle

singole funzioni come enti separati e sostanzialmente l’impostazione del discorso serve più come sostegno ai criteri di costruzioni che a risolvere le problematiche connesse ai singoli aspetti. Prende infatti il sopravvento lo studio delle distribuzioni planimetriche e gli alzati rimangono subordinati nel processo di definizione del progetto. Questa fase sostanzialmente d’indagine non vede comunque particolari soluzioni innovative ad eccezion fatta dell’Asilo Infantile Sant’Elia progettato da Giuseppe Terragni a Como, tra il 1934 e il 1936, che diventerà infatti un modello fonte di ispirazione anche per l’architettura razionalista fascista. La planimetria si articola in due ali che ospitano le aule e i collegamenti orizzontali. L’ atrio principale unisce i due corpi e il tutto ruota attorno al grande cortile di accesso che permette agli spazi educativi di avere aperture su due fronti per sfruttare al meglio la luce naturale.

3 Mugnai, Mauro, “Il progetto della scuola italiana” volume IV, Cesis, Milano, 1984.

Fig. 1.4 – Scuola elementare di piazza Dante, Piombino, 1925 Fonte: www.bazaretrusco.it

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11 La Seconda Guerra Mondiale è un momento di pausa per le ricerche di carattere tipologico e gli edifici scolastici vengono in parte requisiti e utilizzati come depositi d’armi, uomini e feriti, in particolare nell’ultima

Fig. 1.6 - Planimetria Asilo d’Infanzia Sant’Elia, Terragni, Como, 1934-1936. Fonte: www.archweb.it

Fig. 1.5 – Vista assonometrica Asilo d’Infanzia San’Elia, Terragni, Como, 1934-1936 Fonte: www.archweb.it

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12 fase in cui lo scontro si trasferisce all’interno del territorio nazionale. I bombardamenti provocano numerosi danni al tessuto edilizio e nell’immediato dopo-guerra lo sforzo principale viene concentrato nella ricostruzione e nella cancellazione dell’impronta fascista. La visione gerarchica lascia il posto al dibattito volto ad individuare una nuova articolazione degli ambienti in ottica sia sociale che pedagogica. Il fermento di quegli anni è esteso a tutta l’Europa che sull’onda della nuova spinta idealista cerca di ridefinire il concetto e la struttura della scuola come un tassello fondamentale della nuova società libera.

Nel 1949 il Ministero della Pubblica Istruzione indice un concorso in cui viene espressamente richiesto di non tener conto dei regolamenti sull’edilizia scolastica vigenti sino ad allora. Alla rottura degli schemi tradizionali della struttura a blocco imperniata sul corridoio si sostituisce l’immagine altrettanto connotativa dell’ “unità funzionale”4. Nello stesso anno al ‘IV Congresso internazionale di edilizia scolastica e di istruzione all’aperto Ciro

Cicconcelli vince con un progetto e commenta dicendo: “Abbiamo osservato che la forma più adatta per contenere le aule è il “Padiglione”, esso contiene la doppia illuminazione ed ha indubbiamente molti vantaggi su altri raggruppamenti di ambienti scolastici. Ma il “Padiglione”, visto nel modo tradizionale, è oggi passibile di una trasformazione atta a renderlo idoneo […] al concetto di comunità, quale fondamento della vita sociale […] Io lo vedrei trasformato in unità funzionale e non più disimpegnato da corridoi e porticati”. Si afferma anche il concetto di scuola-casa, già embrione nelle proposte montessoriane, psicologicamente accogliente, flessibile e riorganizzabile. L’insieme delle unità funzionali costituisce l’aggregato scolastico e gli spazi aperti non sono più costretti entro un perimetro rigido ma pensati e organizzati in funzione delle possibili configurazioni della struttura.

Tre anni dopo lo stesso Cicconcelli scrive un articolo a commento del Progetto di scuola elementare per la città di Darmstad, dell’ architetto Hans Scharoun, che rappresenta la sintesi evolutiva del fermento degli ultimi anni.

4Leschiutta, Fausto Ermanno, Linee evolutive dell’edilizia scolastica, Bulzoni Editore, Roma, 1975.

Fig. 1.7 – Planimetria Scuola elementare di Darmstadt, Hans Scharoun, 1951. Fonte: histoire-education.revues.org

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13 Nonostante la distanza crescente tra la nuova impostazione e il marchio evidente lasciato dal razionalismo nell’edilizia scolastica esistente, le norme varate nel biennio ‘55-’56 continuano ad affrontare il problema scomponendo l’edificio in una serie di locali corrispondenti alle singole funzioni e impostando l’impianto delle prescrizioni separatamente per ognuno di essi.

Nei primi anni ’60 la XII Triennale di Milano dedicata al tema “ la casa e la scuola” attira l’interesse anche delle riviste qualificate che fino ad allora si erano disinteressate del tema scuola. Dall’analisi dei progetti inglesi comparati alla situazione italiana emerge tutta la negligenza che l’attivismo inqualificato del dopoguerra aveva prodotto. La maggior parte dei progetti erano poco funzionali e molto costosi e soprattutto nelle zone rurali il sistema ancora più utilizzato era quello delle mono-aule pluriclasse, in aperta contraddizione con l’orientamento descritto in precedenza.

Fig. 1.10 – Monoaula pluriclasse presentata per la XII Triennale di Milano. Fonte: Casabella n° 243

Fig. 1.8 | 1.9 – Veduta e pianta della scuola realizzata per la XII Triennale di Milano. Fonte: Casabella n° 245

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14 La tematica prevalente su cui si incentra il dibatto rimane la forma e la disposizione degli spazi interni, tuttavia il cambiamento di impostazione e la sensibilizzazione sugli aspetti pedagogici, psicologici e qualitativi dell’ambiente scolastico permette di approfondire anche le questioni spaziali metriche associate alle superfici da destinare a ciascun alunno, le questioni igieniche, la qualità della luce e del colore degli ambienti, il controllo bioclimatico, l’ergonomia degli arredi e gli aspetti urbanistici per l’inserimento nel contesto urbano. Strettamente connessi alle necessità pratiche per la realizzazione dei nuovi progetti i criteri di economicità diventano parte integrante della discussione. In un periodo in cui nuovi metodi costruttivi permettono una rapida espansione del tessuto edilizio per merito dei sistemi di prefabbricazione e industrializzazione anche l’edilizia scolastica, economicamente non remunerativa e spesso subordinata ad esigenze di bilancio pubbliche, non può che cercare di trovare una sintesi tra gli aspetti formali e teorici e quelli di fattibilità. Come già successo a livello normativo vengono promulgate leggi che sono un compromesso al ribasso e che disattendono la maggior parte dei buoni propositi fin qui esposti. Nel ’58 viene presentato il “Piano decennale di sviluppo della scuola” che consiste nella proroga delle leggi vigenti con piccole modifiche e integrazioni a vantaggio dei sistemi attuativi.

Tra le opere più significative del periodo emergono i contributi lasciati da Ciro Cicconcelli, Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni.

Nell’asilo Olivetti a Canton Vesco gli architetti Ridolfi5 e Frankl ripropongono il concetto di struttura a

padiglione, questa volta a pianta quadrata, e quello di scuola all’aperto, sintetizzando parte delle teorizzazioni di quegli anni.

5 1904-1984

Fig. 1.11 - Piante dell’ Asilo Olivetti a Canton Vesco, Ivrea, Ridolfi-Frankl, 1960. Fonte: www.architetti.san.beniculturali.it

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15 L’opera di Ludovico Quaroni6, presentata sempre nella XII Triennale di Milano per certi versi anticipa parte del

dibattito sull’urbanistica e l’integrazione nel quartiere che seguirà negli anni successivi. Il complesso della scuola elementare si articola in tre nuclei ed è pensata insieme a un gruppo di negozi.

61911-1987

Fig. 1.13 - Pianta scuola elementare e gruppo di negozi, Ludovico Quaroni, 1960. Fonte: Casabella n. 243

Fig. 1.12 - Veduta dell’ Asilo Olivetti a Canton Vesco, Ivrea, Ridolfi-Frankl, 1960. Fonte: www.architetti.san.beniculturali.it

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16 Nel 1962 la Legge n. 1859 istituisce la scuola media unica che diventa obbligatoria e gratuita per tutti i ragazzi dagli 11 ai 14 anni, a testimonianza del progressivo sgretolamento del sistema classista borghese forte sostenitore delle scuole di avviamento professionali.

L’impulso che ne deriva porta il Comune di Bologna a indire nel 1963 il “Convegno nazionale di studio sull’edilizia per la nuova scuola media”. La programmazione è ancora al centro delle battaglie di sinistra e considerata parte integrante della lotta di classe. In particolare quella urbanistica viene considerata come il mezzo attraverso cui rimuovere gli squilibri della struttura nazionale, tra città e campagna, territori depressi e in sviluppo. In generale la scuola diventa esternamente uno dei nodi attraverso cui ricucire gli strappi del tessuto edilizio e internamente luogo di sperimentazione della flessibilità distributiva connessa al nuovo modo di concepire la didattica.

L’ambito accademico accoglie queste nuove sfide sia a livello nazionale che internazionale e il progetto della scuola assume dimensioni più ampie capaci di dare forma e caratterizzare la maglia urbana.

Griglie sovrapposte, nodi, percorsi, infrastrutture sono il nuovo punto di partenza del progetto scolastico e non solo.

All’atto pratico la prima legge ad affrontare globalmente la questione dell’edilizia scolastica è la n 641 del 1967 che però si dimostra del tutto inefficace nel regolare la materia. All’ estrema complicatezza si associa il mantenimento della stessa legislazione per l’acquisizione delle aree che paralizza o rallenta la maggior parte dei progetti. A questo vanno associati i tempi biblici per l’approvazione dei progetti, il tempo medio di realizzazione dai 6 agli 8 anni e la dispersione dei finanziamenti per la costruzione per accontentare il maggior

Fig. 1.14 - Progetto di una scuola media, Franco Purini e Laura Thermes, 1963-64. Fonte: Casabella n. 248

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17 numero di richieste pervenute. Infine non è trascurabile la discrepanza tra le previsioni di spesa e i costi effettivi delle opere, che rimanevano quindi incompiute e di fatto inutilizzabili. Ai progetti ambiziosi in linea teorica venivano sostituiti schemi classici volti a massimizzare il numero di aule per sopperire alle carenze di strutture. È in questo contesto che la prefabbricazione diventa l’unico modus operandi per cercare di rispondere alle esigenze crescenti: le figure di spicco hanno il nome di Luigi Pellegrin, Aldo Rossi e Gino Valle. Nel 1965 viene realizzata a Pistoia la scuola media progettata da Pellegrin e realizzata dalla ditta Bertolaso. L’impatto è prorompente, il progetto ambizioso e sfrutta appieno le nuove tecniche costruttive con un uso disinvolto della prefabbricazione tra aggetti poderosi, gradinate di oltre un piano, pianta a corridoio aperto e teatro auditorium.

Fig. 1.15 | 1.16 - Progetto scuola media a Pistoia, piante e vista esterna, Luigi Pellegrin, 1964 Fonte: Prefabbricare n. 6, 1967.

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18 Pellegrin lavora su tutto il territorio nazionale e all’estero. L’articolazione dei vari ambienti, il volume compatto, i piani terra spesso liberi, i grandi fronti finestrati e i locali attrezzati rimangono la sua cifra stilistica.

Contrariamente a quanto stabilito dalla 641 con la pubblicazione delle “Norme Tecniche relative all’edilizia scolastica”7 entrano in vigore solo le parti dedicate alla scuola materna e le disposizioni relative alle condizioni

di abitabilità grazie ad una circolare del Ministero LL.PP. Cambia contemporaneamente la forma d’appalto dei lavori e la nuova procedura prevede che il Centro Studi inviti le ditte a presentare progetti per una o più realizzazioni seguendo le nuove Norme Tecniche. Secondo le nuove direttive vengono indetti i “concorsi parametrici” in cui si assegnano appalti per gruppi di scuole sparse per il territorio. Questo è il caso ad esempio dei diciassette cantieri per la realizzazione di scuole materne allestiti contemporaneamente, per una parte dei quali Pellegrin progetta il sistema di prefabbricazione. Viene usato lo stesso elemento di grandi dimensioni ripetuto per cui l’edificio diventa un contenitore dalla forma precisa in cui gli ambienti risultano organizzati con pannelli mobili. La nuova tipologia che si afferma è quella a “piastra” in cui l’illuminazione è ottenuta con lucernari a soffitto. Questa viene utilizzata in vari casi come per il progetto della Scuola elementare di Segrate ma anche per le scuole secondarie, come l’istituto tecnico per Geometri del 1972 e ancora in seguito nei complesso scolastico del Liceo Buonarroti di Pisa.

7 D.M. 21 marzo 1970

Fig. 1.17 | 1.18 - Progetto scuola elementare di 15 aule a Segrate, Piante e spaccato prospettico, Luigi Pellegrin, 1971. Fonte: Leschiutta, F.M, Linee evolutive dell’Edilizia Scolastica, Bulzoni editore,Roma, 1975.

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19 Il D.M. 18 dicembre 1975 “Norme per l’edilizia scolastica” ha come obbiettivo quello di omogeneizzare la situazione frammentata sul territorio e adeguare i cantieri ai processi tecnologici più avanzati.

Nel 1977 in occasione della ricostruzione post terremoto in Friuli Gino Valle presenta un progetto per una scuola elementare prefabbricata basata su una struttura modulare in risposta alle esigenze di economicità e rapidità di costruzione. La struttura si sviluppa longitudinalmente suddivisa in moduli flessibili che ospitano il corpo didattico, la palestra, la mensa e la centrale termica.

Fig. 1.20 - Prototipo per la scuola elementare Bissuola, Venezia, Gino Valle, 1977. Fonte: mapio.net

Fig. 1.19 – Vista aerea Liceo Buonarroti, Pisa, Luigi Pellegrin Fonte: www.mapio.net

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20 Sempre a partire dagli anni settanta anche Aldo Rossi, in aperto contrasto con la concezione di Pellegrin, progetta tre scuole icone per l’architettura nazionale. Si ripropone con forza la suddivisione gerarchica degli ambienti e il monumentalismo ruba la scena al movimento organico

Fig. 1.21 | 1.22 – Prospetto e Planivolumetrico della Scuola Media a Broni, Aldo Rossi, 1979-1981. Fonte: www.pinterest.com

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21 I tratti nel complesso sono del tutto originali rispetto a quanto visto finora. I richiami a una tradizione del passato sono evidenti ma come spesso accade la novità sta nel loro utilizzo. Alla condanna dell’ornamento,

Fig. 1.23 | 1.24 – Vista e Planivolumetrico della Scuola Elementare a Fagnano Olona, Aldo Rossi, 1972-1976. Fonte: www.pinterest.com

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22 comune alla visione della corrente organica che sfruttava principalmente la prefabbricazione, si affianca il recupero degli archetipi. Le forme sono un richiamo evidente alla tradizione più classica dell’architettura e contribuiscono all’inserimento dell’edificio nel tessuto esistente. Anche all’interno la corte, i corridoi e più in generale la distribuzione degli ambienti è in netto contrasto con le piante aperte, le griglie a più livelli e tutto ciò che aveva caratterizzato gli esperimenti di quegli anni. L’aperto dissenso nei confronti delle strutture progettate per dare un’impostazione alla vita scolastica dell’alunno è il principio teorico alla base dei suoi progetti. Rossi si fa precursore e interprete di un sentimento che progressivamente prenderà campo, soprattutto a partire dagli anni ’80. Alla rigida suddivisione tra le varie correnti che, con risultati anche molto diversi, cercavano di dare un’interpretazione ai sentimenti di una società fondata sull’abbattimento delle divisioni di classe, sociali e anche “urbanistiche”, si sostituisce una visione sempre più frammentata testimoniata da episodi più che da vere e proprie nuove correnti. Riemergono tratti che erano stati abbandonati e il periodo a cavallo tra anni Settanta e Ottanta vede da un lato posta l’attenzione ai problemi di manutenzione, dall’altro una nuova ondata di prefabbricazione che si distingue per il virtuosismo morfologico come interpretazione dei progressi delle nuove tecnologia.

Gli anni Novanta registrano un progressivo disinteresse per lo studio tipologico delle scuole e l’attenzione si sposta sempre più su problemi di recupero, sostenibilità, adeguamento tecnologico e al risparmio energetico. La forma passa quindi in secondo piano così come la distribuzione è vista in ottica di un adeguamento ad eventuali nuove esigenze più che come strumento prettamente qualificante del progetto.

Tra i lavori più recenti si annoverano i numerosi progetti scolastici di Massimo Carmassi realizzati tra Pisa, Livorno, Perugia, Milano e Verona. L’attenzione all’inserimento nel contesto storico di queste città fortemente connotate produce esempi in cui l’utilizzo di materiali tradizionali come il mattone faccia vista, i richiami archetipici a geometrie regolari ma anche l’articolazione degli ambienti in unità separate connesse attraverso un elemento distributivo orizzontale, sono centrali nella concezione dei nuovi complessi.

Fig. 1.25 – Vista dell’Asilo a San Marco, Pisa, Massimo Carmassi, 1980 Fonte: www.carmassiarchitecture.com

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23 Fig. 1.27 | 1.28 – Viste del Complesso Scolastico a Trevi, Perugia, Massimo e Gabriella Carmassi, 2008.

Fonte: www.carmassiarchitecture.com

Fig. 1.26 – Vista assonometrica del Complesso Scolastico a Trevi, Perugia, Massimo e Gabriella Carmassi, 2008 Fonte: www.carmassiarchitecture.com

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24

1.4 IL CENSIMENTO DEL MIUR E I DATI ENEA SUGLI INTERVENTI DI RISTRUTTURAZIONE

L’Osservatorio per l’edilizia scolastica insediato al Miur si riunisce a Gennaio 2015 e, dopo quasi venti anni di inattività, pubblica il 7 Agosto 2015 i risultati dell’indagine per la redazione dell’ Anagrafe sull’edilizia scolastica. Questo è il primo documento ufficiale completo che fotografa la situazione attuale delle strutture scolastiche, già previsto già con la legge n.23 del 1996. I dati riportati sono relativi ad un totale di 42292 edifici di cui 33825 attivi e 8450 non attivi, ovvero in ristrutturazione, in costruzione o dismessi.

Il 55% degli edifici risulta costruito prima del 1976, anno di entrata in vigore delle Norme Tecniche per l’edilizia scolastica, mentre il 50% risale a prima del 1971, anno di entrata in vigore della normativa sul collaudo statico.

Tab. 1 – Certificazioni degli edifici. Fonte: MIUR.

Fig. 1.29 – Grafico periodi di costruzione edifici scolastici. Fonte: MIUR.

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25 I dati complessivi risultano allarmanti prima di tutto per questioni di sicurezza e idoneità delle strutture. Il 45% del totale non ha l’agibilità o l’abitabilità e il 32% è privo di collaudo statico.

Anche dal punto di vista prestazionale le carenze sono estese a quasi tutte le componenti. Gli involucri di copertura, delle pareti e il tipo di vetri utilizzati sono spesso inadeguati, mentre le politiche di sgravi fiscali per l’istallazione di pannelli solari hanno contribuito a raggiungere una percentuale del 46% tutto sommato in controtendenza rispetto agli altri standard.

Risulta evidente dai dati appena forniti che la quota relativa all’esistente sia preponderante rispetto alle nuove costruzioni con standard sufficienti. È necessaria una strategia per affrontare il problema degli interventi di recupero sulla base dello stato di fatto specifico di ciascun edificio. Al miglioramento della sicurezza e delle condizioni di comfort termico, visivo, acustico si aggiunge l’aspetto della riduzione dei costi di utilizzo che le strutture non a norma hanno sui bilanci pubblici degli enti locali. Dalle indagini su un campione8 di scuole

risulta infatti possibile un risparmio compreso tra il 50 e il 70% dei consumi. Nello specifico la dispersione media di calore registrata è di 290 kWh\mq a cui si aggiunge una concentrazione di CO2 nelle aule pari a 2800\3000 ppm.

La scarsità di risorse finanziarie per le ristrutturazioni e la manutenzione accentua la necessità di mirare gli interventi sulla base del rapporto costi benefici. Per questo l’analisi dei dati relativi ai consumi medi annuali per le scuole di primo e secondo grado aiuta a comprendere la quota rispettiva al consumo di energia elettrica e quella dovuta al riscaldamento \ raffrescamento degli ambienti che risulta preponderante e fortemente

8 Fonte Enea - Legambiente

Fig. 1.30 – Grafico sulla presenza di accorgimenti per la riduzione dei consumi. Fonte: MIUR.

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26 influenzata dalle scarse prestazioni degli involucri, dall’errato orientamento e dall’assenza di schermature adeguate della radiazione solare.

Da un’ipotetica classificazione energetica del campione preso in esame risulterebbe che circa il 95% delle scuole è in classe G e il restante 5% nella F.

Per avere una quadro più generale sugli effetti, l’efficacia e la remuneratività degli interventi, il Gruppo di Lavoro sull’Efficienza energetica dell’ENEA ha monitorato gli interventi di retrofit energetico per il biennio 2007-2008. I dati evidenziano un incremento delle pratiche per l’ottenimento delle detrazioni fiscali legate alle ristrutturazioni che hanno prodotto risultati interessanti in termini di risparmi di energia e CO2 prodotta. Il panorama delle soluzioni adottate risulta variegato e la comparazione permette di valutarne le potenzialità anche per la pianificazione di altri progetti di recupero.

Fig. 1.32 – Numero delle pratiche pervenute per le detrazioni fiscali. Fonte: ENEA.

Fig. 1.31 – Grafico consumi complessivi di energia delle scuole italiane e ripartizione degli edifici in base al grado. Fonte: Kyoto Club

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27 I grafici evidenziano come il trend sia positivo sotto tutti i punti di vista. Gli interventi sull’involucro e in particolare quelli sui componenti finestrati si moltiplicano e sono tra i più efficaci in termini di risparmio energetico, avendo anche la peculiarità di incidere profondamente sugli aspetti di comfort dei locali interessati.

Fig. 35 – Risparmio conseguito in Gwh anno in funzione dell’intervento effettuato Fonte ENEA

Fig. 1.34 – Costo medio in Euro dell’intervento effettuato. Fonte: ENEA.

Fig. 1.33 – Risparmio conseguito in Gwh anno in funzione dell’intervento effettuato. Fonte: ENEA.

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28 In termini di costi gli interventi sull’involucro sono tra i meno costosi, mentre la riqualificazione globale è senza dubbio la più onerosa e quella che di conseguenza ha meno diffusione.

In termini di risparmio di energia la sostituzione dei rivestimenti opachi sono tra i più performanti a fronte però di una maggior difficoltà di realizzazione.

ENEA fornisce anche i dati sulla vita media degli interventi, che va dai 20 anni per infissi e strutture coibentate verticali ai 15 per le strutture opache orizzontali ai 12 per gli impianti termici. La sostituzione del cappotto inoltre permette di ridurre la potenza necessaria degli impianti termici consentendo un risparmio nel dimensionamento del progetto nei casi di sostituzione combinata degli elementi.

Alla luce di questa panoramica sullo stato delle strutture scolastiche e i relativi adeguamenti è possibile fare una valutazione a posteriori del D.M 26 Giugno 2015 attualmente vigente. Il Decreto, utilizzato in seguito per il calcolo delle performance degli elementi impiegati nel progetto di tesi, fissa i requisiti minimi per le ristrutturazioni di primo e secondo livello e impone standard ancora più elevati per l’ottenimento delle detrazioni fiscali che hanno smosso le attività del biennio 2007-2008. Se da un lato gli standard più alti richiesti testimoniano l’effettiva volontà di orientare le politiche di recupero nell’ottica della sostenibilità e della riduzione dei consumi, dall’altro ciò può disincentivare le amministrazioni pubbliche a far fronte alle problematiche che già ora risultano di difficile soluzione.

Fig. 35 – Risparmio medio in Mwh per intervento. Fonte: ENEA.

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29

2.1 IL PROGETTO VINCITORE DEL CONCORSO DEL ’66

La ricerca svolta presso l’Archivio generale di Ateneo dell’Università di Pisa ha permesso di recuperare la documentazione relativa ai concorsi indetti dall’Università per la costruzione dei nuovi Poli alla fine degli anni ’60. Si faceva infatti sempre più urgente la creazione di strutture idonee ad ospitare il crescente numero di corsi di laurea e di iscritti, con particolare attenzione alla differenziazione degli ambienti che necessitavano di laboratori tecnici e aule per il disegno. A questo periodo infatti risalgono le strutture dell’odierno Polo C, Polo di idraulica e Polo B.

L’esigenza pisana è perfettamente in linea con la carenza di strutture scolastiche su tutto il territorio nazionale. Come già visto nel primo capitolo il periodo dal ’61 al ’75 è quello che vede il maggior numero di opere costruite in rapporto al numero di anni e la tendenza generale è quella del ricorso ai sistemi di prefabbricazione. È altrettanto evidente che l’assenza di norme tecniche che regolassero la progettazione di edifici scolastici caratterizza negativamente i progetti, che hanno come priorità l’economicità, i tempi di realizzazione e più in generale l’interesse di trovare un posto alla nuova utenza.

Tra i partecipanti al bando viene selezionato il progetto dell’ingegner Luigi Pera per la ditta FEAL di Milano, che era una delle 24 in tutta Italia ad avere i requisiti di legge per la costruzione di edifici pubblici. La carriera di Pera all’interno della facoltà di Ingegneria inizia già nel ’25, anno in cui diventa docente di Architettura Tecnica che lo vedrà ordinario di cattedra a partire dal ’69. Oltre a esser stato Direttore dell’Istituto di Architettura e Urbanistica è coinvolto nella ricostruzione di Pisa nel secondo dopoguerra.

Il suo progetto subisce modifiche soprattutto nei prospetti della fase preliminare, in particolare tra l’ottobre e il dicembre del ’66.

2 IL PROGETTO DEL POLO B DAL ’66 A OGGI

Fig. 2.1 – Prospetto Sud, Progetto preliminare, 23/08/66. Fonte: Archivio generale Università di Pisa.

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30 Il prospetto Sud presenta notevoli differenza dalla versione definitiva. Le aule B21 e B11 a doppio volume hanno 4 file di aperture quadrate senza schermatura, per un’estensione pari al doppio rispetto a quella poi realizzata. L’aula B31 invece, collocata al terzo e quarto piano, ha una scansione del fronte finestrato analoga a quella attuale ma con estensione doppia per via delle due file sovrapposte. Il corpo di destra invece presenta aperture solo al piano terra, di fatto non prevedendo l’apertura quadrata che caratterizza i piani superiori aggiunta nella successiva modifica.

Anche il prospetto Nord ripropone la stessa logica, con le 4 file di finestre per l’aula B21. Il volume adiacente le scale si estende fino al quarto piano e il blocco sinistro risulta completamente cieco.

Il prospetto Est è molto simile a quello poi realizzato e fa capire che per le aule con fronte cieco sul lato Sud e Nord fosse previsto un unico lato finestrato perpendicolare alla disposizione dei banchi. La distribuzione interna quindi condiziona notevolmente la scansione dei prospetti che riflettono il problema di illuminare ambienti molto profondi rispetto all’unico lato su cui si estendono le aperture.

Il progetto mantiene la sua articolazione volumetrica scandita da tre fronti rientranti l’uno rispetto all’altro, la partizione rigida dovuta alla ripetizione dei moduli del rivestimento opaco e degli infissi. La partitura che ne deriva è scandita dai montanti verticali che cercano di spezzare la prevalente estensione orizzontale dell’intera

Fig. 2.3 – Prospetto Est, Progetto preliminare, 23/08/66. Fonte: Archivio generale Università di Pisa.

Fig. 2.2 – Prospetto Nord, Progetto preliminare, 23/08/66. Fonte: Archivio generale Università di Pisa.

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31 struttura. Va detto che la geometria del lotto, schiacciato tra il fronte stradale stretto e il perimetro degli edifici retrostanti costringe il progetto alla configurazione a blocco per poter ospitare il numero di aule richiesto. Questo incide profondamente sull’altezza dei locali interni e sulla generale percezione unitaria dei tre volumi che nonostante lo sfalsamento appaiono come un margine unico del fronte strada.

Tre mesi più tardi la configurazione dei prospetti presenta modifiche. Il modulo delle finestre per le aule B21 e B11 non è più quadrato ma rettangolare come quello attuale. L’aula B31 ne mantiene una fila soltanto riducendo la sua estensione totale di un terzo. Compaiono le schermature fisse su entrambi i fronti a testimonianza delle problematiche relative alla sovraesposizione dei locali. La versione definitiva del progetto risale all’anno successivo, in cui la ditta Feal presenta il consuntivo dei documenti presentati: disegni architettonici, capitolato speciale, disegno dell’ impianto elettrico e termico, pianta strutturale.

Dalla vista prospettica allegata al progetto architettonico del 12/04/67 si vede finalmente la forma ultima rimasta fino ad oggi.

Fig. 5 – Vista prospettica, Progetto preliminare, 12/04/67. Fonte: Archivio generale Università di Pisa.

Fig. 4 – Prospetto Sud, Progetto preliminare, 14/12/66. Fonte: Archivio generale Università di Pisa.

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32 Le finestre sono molto ridotte rispetto alla versione iniziale, il fronte cieco presenta ora l’apertura che prima era assente.

La distribuzione interna dell’edificio è stata completamente stravolta in seguito al dislocamento delle aule da disegno nel Polo Porta Nuova e per via delle diverse esigenze che si sono presentate nel corso degli anni. Ad esempio la necessità di dotarsi di laboratori di informatica che man mano sono diventati fondamentali per tutti i corsi di laurea ha comportato ulteriori modifiche che si estendono a tutti i piani. Infine va tenuto di conto anche la progressiva specializzazione dei corsi che ha frammentato il numero di studenti che ciascun insegnamento ha, anche all’interno dello stesso corso di laurea. Ovvia conseguenza di tale cambiamento è che le aule sono state suddivise fino alla situazione odierna. Allo stesso tempo la necessità di dotarsi di aule studio, tutt’ora insufficienti nei vari poli di Ingegneria, ha avuto come effetto l’eliminazione dei vari locali in cui era suddiviso il volume a un piano del fronte nord.

Il piano terra prevedeva due aule lettura per gli studenti e una biblioteca oggi inesistenti. La suddivisione odierna della parte destra della planimetria è composta dal bar, il deposito e aula SI1, che occupa in lunghezza le due sale lettura precedenti.

Il primo piano era occupato prevalentemente da una grande aula da disegno che oggi risulta suddivisa tra centro di calcolo, uffici e aula SI4. È stato quindi necessario aggiungere una porzione di corridoio per permettere l’accesso ai nuovi locali, che testimoniano tutt’oggi l’adeguamento obbligato ad uno spazio concepito diversamente per via della forma irregolare di ciascuna pianta.

Fig. 2.6 – Planimetria Piano Terra, Progetto preliminare, 14/12/66. Fonte: Archivio generale Università di Pisa.

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33 Anche il secondo piano è stato risuddiviso. Le due grandi aule sulla destra sono tre oggi mentre la maggior testimonianza della frammentazione degli ambienti è nella grande aula lungo il corridoio oggi tripartita per ospitare lezioni di lauree specialistiche con pochi studenti.

Fig. 2.8 – Planimetria Piano Secondo, Progetto preliminare, 14/12/66. Fonte: Archivio generale Università di Pisa.

Fig. 2.7 – Planimetria Piano Primo, Progetto preliminare, 14/12/66. Fonte: Archivio generale Università di Pisa.

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34 Infine anche l’ultimo piano presenta modifiche analoghe a quelle precedenti. La grande aula da disegno è oggi occupata dalla B32, B33 e B34, aule test per il progetto.

2.2 IL POLO B OGGI: CRITICITÀ DELLO STATO DI FATTO

L’analisi delle criticità dello stato di fatto del Polo B prende in considerazione diversi aspetti: le caratteristiche morfologiche della struttura, l’insufficienza prestazionale e il cattivo stato di conservazione degli involucri opachi e trasparenti, il degrado dei sistemi interni di schermatura mobile, il dimensionamento delle schermature fisse esterne e la loro integrazione nei prospetti, la configurazione dello spazio esterno, la distribuzione e la dimensione delle aperture.

Gli aspetti morfologici contribuiscono in modo sostanziale a qualificare l’edificio e il suo inserimento nel tessuto edilizio. L’articolazione sfalsata dei tre blocchi che costituiscono la struttura non crea un effettivo movimento dei prospetti rispetto al fronte strada e la percezione d’insieme risulta compatta e orizzontale; l’edificio costituisce un margine della strada che risulta schiacciata su entrambi i lati. Allo stesso tempo la ripetizione modulare dei pannelli di rivestimento evidenziata dai montanti a vista esterni, così come la scansione a nastro delle finestre, contribuisce ad uniformare i tre corpi che si presentano come un unicum indistinto che spicca negativamente tra gli edifici del contesto.

Va detto che in aggiunta a questi fattori anche il cromatismo dell’involucro rende ancor più evidente lo stacco rispetto ai colori caldi degli intonaci e dei mattoni faccia vista che contraddistinguono le altre costruzioni, motivo per cui il Polo didattico risulta un corpo estraneo non qualificante dell’area.

Fig. 2.9 – Planimetria Piano terzo e quarto, Progetto preliminare, 14/12/66. Fonte: Archivio generale Università di Pisa.

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35 L’involucro risulta in pessimo stato di conservazione: alcuni pannelli sono danneggiati e i montanti di supporto sul fronte esterno risultano interrotti in più punti. Il lato Ovest dell’edificio è rivestito in pannelli di pietra che nella parte bassa della parete sono staccati dai supporti della sottostruttura. All’interno dell’intercapedine tra rivestimento esterno e il perimetro delle aule B11 e B21 si può notare il completo sfaldamento dell’isolante.

Fig. 1. 11 | 1.12 – Rivestimento esterno e degrado del materiale isolante fronte Ovest. Fonte: Foto proprie.

Fig. 2.10 – Vista d’insieme del Polo B. Fonte: Foto propria.

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36 A livello prestazionale il rivestimento opaco è sottodimensionato e non garantisce gli standard di legge. Questo comporta un incremento dei consumi per garantire la temperatura di interna di comfort e il suo mantenimento durante il periodo invernale ed estivo, costituendo un aggravio sui costi di servizio della struttura. Anche dal punto di vista dei fronti finestrati lo stato di fatto non garantisce i requisiti minimi: le aperture si caratterizzano per infissi in alluminio senza taglio termico e la parte trasparente è costituita da un vetro singolo stratificato a cui vengono associati alti valori di trasmittanza termica. Sul fronte interno i montanti verticali di supporto agli oscuramenti hanno in più punti il rivestimento in alluminio danneggiato, costituendo un pericolo per l’utenza e un fattore di degrado ulteriore della struttura.

Ai supporti danneggiati che impediscono il corretto funzionamento delle tende delle aule a doppio volume va aggiunto il cattivo stato generale dei sistemi di oscuramento mobile interni. L’assenza di manutenzione e la mancata sostituzione delle veneziane danneggiate fa sì che in molte aule, tra cui la B34 oggetto del rilievo illuminotecnico preliminare, siano inutilizzabili o completamente bloccate in posizione abbassata. Condizioni del genere hanno come conseguenza l’impossibilità di provvedere a un completo oscuramento in ambienti adibiti a proiezioni o nelle aule informatiche, in cui l’eccesso di luce impedisce la corretta visione riducendo il contrasto delle immagini e aumentando la possibilità di fenomeni come la luminanza di velo. Un adeguato programma di manutenzione va comunque preso in considerazione indipendentemente dallo stato attuale. Sistemi del genere, suddivisi in veneziane, tende in tessuto e tende oscuranti, presentano problematiche diverse in termini di sporco depositato e resistenza agli urti, tenendo conto del fatto che sono costantemente esposte al danneggiamento dovuto all’uso ravvicinato rispetto ai banche delle aule. Per questo motivo le

Fig. 1.13 – Stato attuale, Montante di supporto per gli oscuramenti interni. Fonte: Foto propria.

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37 veneziane sono probabilmente ancor meno adeguate rispetto alle altre soluzioni essendo le più soggette ad entrambe le questioni.

La configurazione interna degli ambienti è caratterizzata da volumi bassi e schiacciati che si estendono in profondità rispetto al fronte finestrato. Questo comporta alte disuniformità nella distribuzione degli illuminamenti e una sovraesposizione in prossimità delle finestre. Il sistema di schermatura esterna si presenta come un elemento aggiuntivo non integrato nei prospetti. Inoltre le schermature risultano mal progettate e poco funzionali perchè agiscono solo sulla radiazione solare nelle ore centrali della giornata. Alle schermature previste dal progetto originale, che riguardavano le aule con esposizione del fronte vetrato Sud, si aggiungono quelle inserite di recente per tutte le aperture del blocco Est, a testimonianza del fatto che il problema avesse notevoli ripercussioni sull’utilizzo e il comfort delle aule. In generale questo tipo di sistemi non riesce a intercettare i raggi solari con inclinazione minore tipici delle prime ore del mattino e del pomeriggio. La conseguenza che ne deriva è che l’utenza è costretta a oscurare completamente le aule utilizzando le tende interne nelle aule a doppio volume e i sistemi di chiusura meccanizzata nelle aule informatiche per poter permettere lo svolgimento delle lezioni in specifiche ore della giornata.

Ultimo aspetto delle criticità è l’organizzazione degli spazi esterni, considerati solo come superficie di risulta tra l’estensione totale del lotto e l’area costruita. Tutto il perimetro è recintato con due accessi, uno su via Andrea Pisano per le auto dei dipendenti e l’altro su via Giunta Pisano in prossimità degli ingressi principali, comprimendo la superficie che è ancor più sovrastata dall’imponente volumetria del Polo. La conseguenza più evidente è l’accentuazione del confinamento dell’edificio nella sua realtà svincolata dal contesto inibendo di fatto la fruizione dei pochi spazi a disposizione. Oltre alle aree “funzionali”, come il parcheggio sul retro, è completamente assente uno spazio per gli studenti che sia effettivamente qualificato e che contribuisca a creare un dialogo tra il Polo e l’area circostante.

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38

3.1 DEFINIRE LO SPAZIO

La difficoltà di interpretare e valutare con sistemi matematici il comportamento mutevole della luce naturale ha portato per molti anni la comunità scientifica a inquadrare la questione come comprimaria nella progettazione architettonica. A questo approccio fa da contraltare la tradizione millenaria delle architetture religiose che comunicavano il messaggio divino enfatizzando l’articolazione dello spazio costruito sfruttando appunto l’unico elemento che ne permette la percezione.

È a partire dagli anni venti del ‘900 che si sente l’esigenza di definire i limiti per una valutazione metodologica della luce e parallelamente si sviluppa una sensibilità crescente nel mondo accademico che cerca di riportarne il ruolo in primo piano. La stretta connessione con l’architettura è forse dovuta alla ricerca della potenza dell’immagine che coinvolge e trasporta attraverso l’anima che la luce dona alle strutture materiali. Il rapporto che si instaura, anche grazie alla rilettura dell’architettura classica, è di natura biunivoca: lo spazio si esalta

3 LA LUCE NATURALE IN ARCHITETTURA E I METODI DI

CALCOLO

Fig. 3.1 – Pantheon, Roma. Fonte: www.flickr.com

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39 esaltando la luce e viceversa. Anche l’ombra e il buio sono parte del gioco chiaroscurale che sviluppa la profondità e hanno il potere di cancellare parte della realtà. Su questa rinnovata onda emotiva di susseguono esempi, come la Cappella di Rochamp di Le Courbousier, che esaltano in modo nuovo i cromatismi e i forti contrasti, permettendo quasi di toccare l’immateriale che passa attraverso le strette forature dell’involucro. La ricerca indaga le tecniche di lavorazione dei materiali e le loro proprietà. Riflettenza, rugosità, traslucenza e diffondenza sono capaci di alterare il rapporto effimero che il trascorrere del tempo e le condizioni climatiche creano tra un’architettura e ciò che la definisce.

Al sentimento comune si accompagnano infinite declinazioni in cui la questione diventa personale. Non c’è un modo giusto e un modo sbagliato, esiste il mezzo attraverso cui comunicare e l’interpretazione di chi lo vede e lo sente. Questo concetto è intimamente legato a tutte le ricerche che nel secondo dopo guerra vengono fatte. L’attenzione si focalizza su quella che è la percezione e la variabile personale insita in questa parola.

Con Louiss Khan la genesi del progetto è imprescindibile dalla luce e la disposizione degli elementi strutturali tiene conto dell’effetto che questi hanno sulla sua propagazione ribaltando completamente le gerarchie della tecnica.

L’argomento è trasversale nel tempo e nelle culture e ognuno ha affrontato e interpretato in modo diverso le potenzialità messe a disposizione. Il ‘900 fa suo un rinnovato valore da attribuire alla luce; alla funzione e al ruolo in architettura si aggiungono gli aspetti psicologici su cui influisce durante la vita delle persone. Il ciclo circadiano, l’alternanza sonno veglia, l’umore e il benessere psicofisico sono strettamente connessi alla progettazione degli ambienti confinati in cui passiamo la maggior parte del tempo.

Fig. 3.2 – Salk Institute, California, Louiss Khan, 1965. Fonte: www.papress.com

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40 Si riaffaccia anche l’aspetto trascendente e mistico tipico delle architetture classiche e nuove interpretazioni del ruolo della luce provengono dalla cultura giapponese. Il rapporto con l’architettura è diverso dalla concezione occidentale: il binomio è inscindibile e la luce di per sé non è un valore assoluto qualificante se non quando è abbinata alla caratterizzazione dell’elemento progettuale.

Dice Tadao Ando : “L’utilizzo del calcestruzzo è privo di caratteristiche scultoree e di peso; ha lo scopo di produrre luminosità e di dettagliare superfici omogenee. Le tracce delle casseformi sono trattate in maniera da configurare superfici lisce o spigoli taglienti. Lavoro il calcestruzzo come materiale inorganico, freddo, dotato di una nascosta energia [..]. Quando la luce si proietta su esso, lo spazio freddo e tranquillo circondato da elementi architettonici chiaramente definiti diviene dolce e trasparente, indifferente ai materiali. Diviene uno spazio in cui è possibile vivere; i muri cessano di dividere; il corpo percepisce unicamente spazio continuo.”9

9 Ando, Tadao, Architecture and shadow, The journal of the Graduate School of Fine Arts, Philadelphia, 1990.

Fig. 3.3 – Church of the Light, Osaka, Arch. Tadao Ando. Fonte: www.youtube.com

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41

3.2 IL METODO STATICO E IL DAYLIGHT FACTOR

Per la valutazione dei numerosi aspetti legati al tema dell’illuminazione naturale occorrono dei sistemi multicriterio che tengano conto contemporaneamente del comfort visivo, del risparmio energetico, della corretta distribuzione degli illuminamenti e delle questioni legate al carattere linguistico e formale dell’architettura. Il metodo statico costituisce tutt’oggi lo strumento più diffuso per quantificare la predisposizione degli ambienti confinati a disporre della luce naturale, fondando il giudizio sulla base del superamento di soglie prestabilite in funzione del compito visivo prevalente.

L’impostazione di questo approccio scaturisce dalla necessità di codificare un metodo universale che guidi la progettazione e l’analisi attraverso procedure di semplice attuazione, replicabili e flessibili.

Il compromesso obbligato porta a tralasciare l’estrema variabilità del cielo legata al periodo dell’anno e alle continue mutazioni delle condizioni meteorologiche rendendo impossibile il raffronto con l’effettiva distribuzione della luce. Le semplificazioni del metodo derivano dai limiti e dall’ambiguità del problema: da un lato la questione legata alle procedure e i criteri per la misurazione dell’illuminazione, dall’altro la traduzione della realtà molto complessa in sistemi matematici di rappresentazione del cielo.

La prima definizione di Daylight Factor è del fisico A.P. Trotter, sistematizzata da Hopkinson nel 1963 attraverso due metodi di calcolo ritenuti parimenti attendibili. Nel primo caso il D.F. è il risultato del rapporto tra illuminamento interno ( ) rilevato su un piano orizzontale in condizioni di cielo coperto standard CIE e

l’illuminamento corrispondente all’esterno ( ).

Nel secondo è il risultato della sommatoria di tre contributi: la Sky Component, la External Reflected Component e la Internal Reflected Component.

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42 La forte approssimazione delle condizioni al contorno non permette di correlare i valori registrati al caso reale vista la profonda incidenza della radiazione diretta sulle prestazioni dell’ambiente di analisi.

I modelli di cielo si sono evoluti di pari passo con la ricerca teorica e l’affinamento permette oggi una discretizzazione migliore della volta celeste.

L’introduzione del D.F. nella normativa italiana risale al 1967 e richiama la formula semplificata per il calcolo in funzione delle aree finestrate ( ), della superficie totale che delimita l’ambiente , del fattore finestra

(ℇ ) tabellato e del valore medio pesato dei coefficienti di riflessione delle superfici interne ( ). Imposto quindi il limite normativo è possibile ricavare in fase di predimensionamento delle aperture l’area finestrata necessaria al soddisfacimento del requisito.

Nel 1998 Littlefair testa due ambienti identici con fronti finestrati opposti senza schermature misurando un illuminamento medio di 200 lux nella stanza esposta a Nord per il 58% dei casi e del 68% in quella a Sud. Questo avvalorava il fatto che il DF fosse pesantemente alterato dalle condizioni atmosferiche e dall’esposizione, rendendo le soglie prestabilite difficili da raggiungere e distanti dall’effettivo comfort luminoso. Il DF risulta quindi viziato dalle assunzioni di base della teoria e spesso in conflitto con i criteri di progettazione riferiti ad altri aspetti come i parametri termici le strategie dei guadagni solari.

Nel 1983 Tregenza e Water definiscono un modo diverso per il calcolo del Daylight Coefficent, che sfrutta un cielo suddiviso in 145 porzioni per meglio approssimare il contributo variabile di ogni area della calotta celeste. Per ogni punto l’illuminamento è calcolato come sommatoria dei contributi derivanti da ciascuna porzione .

Dove:

: Coefficiente luce naturale del punto x : porzione di cielo considerata

: luminanza della porzione di cielo considera : angolo

Con Tregenza il metodo statico cerca di ridurre i limiti delle schematizzazioni precedenti e si manifesta il germe che poi darà vita ai metodi di valutazione di tipo dinamico.

Ad oggi rimane come unica possibilità dalla normativa l’utilizzo dello Standard Overcast Sky lasciando le valutazioni ancorate a metodi di oltre cinquant’anni fa.

(43)

43 Il confronto tra alcune delle condizioni atmosferiche reali i modelli standard CIE che vengono utilizzati per il calcolo permette di comprendere i termini dell’approssimazione.

Questi ultimi associano alla volta celeste solo l’informazione relativa alla distribuzione della luminanza e la quantità di luce totale è ricavata attraverso la posizione geografica del caso studio. Il cielo Overcast utilizzato per il calcolo del D.F. risulta simmetrico e le luminanze sono massime in prossimità dello zenit. Il modello risulta quindi ancor più distante dalla realtà e non produce differenze tra le varie esposizioni.

Fig. 3.5 – Real sky fish eye.

Fonte: www.flickr.com

Fig. 3.4 – Tregenza Sky Model.

(44)

44 La posizione del sole e l’angolo di incedenza non vengono considerati così come l’ntensità solare o altre variazioni di luce. L’introduzione dei software per il calcolo che utilizzano algoritmi per la propagazione della luce, necessariamente approssimati rispetto al comportamento reale, aggiunge un ulteriore grado di incertezza nel verificare la corrispondenza tra i risultati ottenuti e quelli rilevati in loco.

In Italia il D.M. 1975 “Norme tecniche aggiornate da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica”, fissa la soglia minima da rispettare per il 10del 3 % da calcolare alla quota compresa tra 80 e 90 cm.

3.3 IL METODO DINAMICO E L’USEFULL DAYLIGHT ILLUMINANCE

Dalla dicotomia tra le tecniche pratiche codificate nelle architetture e i limiti delle valutazioni del metodo statico nasce l’esigenza di sviluppare una nuova strategia che sfrutti gli strumenti che le ultime ricerche scientifiche ci hanno messo a disposizione. Con questo obbiettivo è impostata la ricerca della tesi, nel tentativo di trovare l’equilibrio tra una molteplicità di aspetti da considerare comprendendo da un lato il comfort ambientale del fruitore, i risparmi energetici e la riduzione dei carichi termici dovuti alla radiazione solare. Se da un lato la luce naturale connota positivamente un ambiente quando è ben distribuita e raggiunge la soglia psicofisica del benessere visivo una luce eccessiva è causa di affaticamento della vista per eccessivi contrasti

10 Fattore di Luce Diurna medio

Fig. 3.6 – Modelli Clear Sky, Intermediate Sky, Overcast Sky.

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