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Sintesi e caratterizzazione di complessi carbenici N-eterociclici di Au(I) e Cu(I)

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ

Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Chimica Inorganica

Sintesi di complessi carbenici N

Cu(I) per applicazioni farmacologiche

Relatore: Prof. Chiara Gabbiani

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Chimica Inorganica

Sintesi di complessi carbenici N-eterociclici di

Cu(I) per applicazioni farmacologiche

Controrelatore Prof. Andrea Pucci Riccardo Nicoli

Anno accademico 2017-2018

Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Chimica Inorganica

eterociclici di Au(I) e

Cu(I) per applicazioni farmacologiche.

Controrelatore: Prof. Andrea Pucci

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‘Sì, che in atto si fanno argento et oro; Anzi uguagliate in peso La volante si fissa in solfo aurato. Oh Solfo luminoso, Oro animato In te del Sole acceso L’operosa Virtù ristretta adoro. Solfo tutto tesoro, Fondamento de l’Arte, in cui Natura Decoce l’Or, e in Elissir matura’.

Fra Marcantonio Crasellame Chinese, Ode alchemica, 1666, canto terzo, X.

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1. Introduzione ... 1

1.1. Metalli nobili in medicina: cenni storici ... 1

1.2 Complessi metallici in terapia antitumorale... 2

1.3 Complessi carbenici N-eterociclici di metalli di transizione del gruppo 11 ... 4

1.3.1. Complessi carbenici N-eterociclici di argento ... 4

1.3.2. Complessi carbenici N-eterociclici di oro ... 7

1.3.3. Complessi carbenici N-eterociclici di rame ... 13

1.3.4. Sintesi dei Carbeni N-eterociclici di Cu(I) e Au(I) ... 14

1.4 Glicoconiugazione per il targeting specifico di cellule tumorali ... 17

1.5 Studi di interazione con proteine modello: la BSA ... 19

2. Scopo del progetto ... 21

3. Risultati e discussione ... 23

3.1. Sintesi dei sali di imidazolio ... 23

3.2. Sintesi dei carbeni N-eterociclici di Au(I) ... 28

3.3. Sintesi di complessi carbenici N-eterociclici di rame(I) ... 38

3.4. Sintesi di derivati tioglucosidici ... 44

3.5. Studio del comportamento in soluzione ... 52

3.6. Valutazione del grado di lipofilicità dei complessi carbenici ... 59

3.7. Studio delle interazioni dei complessi carbenici NHC con proteine (BSA) ... 60

3.8. Test di citotossicità ... 67 4. Conclusione ... 69 5. Parte sperimentale ... 71 5.1 Solventi e reattivi ... 71 5.2 Strumentazione ... 71 5.3 Sintesi di (1-butyl-3-methyl)-imidazol-2-ylidene-silver(I)-chloride (1) ... 72 5.4 Sintesi di (1-butyl-3-methyl)-imidazol-2-ylidene-Gold(I)-chloride (2) ... 72 5.5 Sintesi di 1-thio-β-D-glucose-(3,4,5,6)-tetracetate-(1-butyl-3-methyl)-imidazol-2-ylidene-Gold(I) (3) ... 73 5.6 Sintesi di N,N-bis(2,6-diisopropylphenyl)ethane-1,2-diimine (4) ... 74 5.7 Sintesi di 1,3-bis-(2,6-diisopropylphenyl)-imidazol-2-ylidene·HCl (5) ... 74 5.8 Sintesi di (1,3-bis-(2,6-diiso-propylphenyl)-imidazol-2-ylidene)-silver(I)-chloride (6) ... 75

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5.9 Sintesi di (1,3-bis-(2,6-diiso-propylphenyl)-imidazol-2-ylidene)-gold(I)-chloride (7) ... 75 5.10 Sintesi di 1-thio-β-D-glucose-tetraacetate-(1,3-bis-(2,6-diiso-propylphenyl)-imidazol-2-ylidene)-gold(I) (8) ... 76 5.11 Sintesi di 1,3-bis-(2,6-diiso-propylphenyl)-imidazol-2-ylidene-copper(I)-bromide (9) ... 76 5.12 Sintesi di 1-thio-β-D-glucose-tetraacetate-(1,3-bis-(2,6-diiso-propylphenyl)-imidazol-2-ylidene)-copper(I) (10) ... 77 5.13 Sintesi di 4-sodiumsulfate-2,6-diisopropylphenylaniline (11) ... 78 5.14 Sintesi di N,N-bis(4-sodiumsulfate-2,6-diisopropylphenyl)ethane-1,2-diimine(12) ... 78 5.15 Sintesi di 1,3-bis-(4-sodiumsulfate-2,6-diisopropylphenyl)-imidazol-2-ylidene·HCl (13) ... 79 5.16 Sintesi di (1,3-bis-(4-sodiumsulfate-2,6-diiso-propylphenyl)-imidazol-2-ylidene)-silver(I) (14) ... 79 5.17 Sintesi di (1,3-bis-(4-sodiumsulfate-2,6-diiso-propylphenyl)-imidazol-2-ylidene)-gold(I) (15) ... 80 5.18 Sintesi di (1,3-bis-(4-sodiumsulfate-2,6-diiso-propylphenyl)-imidazol-2-ylidene)-copper(I) (16) ... 80

5.19 Determinazione del valore di LogP ... 81

5.20 Titolazioni fluorimetriche ... 81

6. Appendice ... 82

6.2. Appendice I: spettrofluorimetria ... 82

6.3. Appendice II: determinazione della costante di equilibrio per la formazione di un addotto proteina/complesso ... 84

6.4. Determinazione della costante di equilibrio e della stechiometria attraverso l’equazione di Scatchard ... 86

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Introduzione 1

1. Introduzione

1.1. Metalli nobili in medicina: cenni storici

L’utilizzo dei metalli in medicina è antico di almeno cinquemila anni, quando il popolo egiziano utilizzava solfato di rame per sterilizzare l’acqua. In Arabia e in Cina, invece, preparati a base di oro sembrano essere stati usati dai medici già nel lontano 2500 a.C. I cinesi furono i primi a preparare e utilizzare l’oro rosso colloidale come farmaco alchemico della longevità. Il popolo fenicio, duemila anni dopo di quello egiziano, utilizzava l’argento per sterilizzare l’acqua, rivestendo l’interno dei contenitori utilizzati per la conservazione del liquido. Nel primo secolo dopo Cristo, Plinio il vecchio prescriveva preparati a base di oro per curare fistole ed emorroidi. Nel diciassettesimo secolo il controverso medico e alchimista Teofrasto Van Hohenheim, conosciuto come Paracelso, ha aperto la strada all’uso dei minerali in medicina utilizzando sali di antimonio, arsenico e mercurio. Inoltre, egli scrisse sulle proprietà dell’oro potabile già usato in precedenza da Arnaldo De Villanova, circa duecento anni prima. Per il professore di medicina dell’università di Basilea, le soluzioni di oro avevano la virtù di ‘rendere il cuore felice’.1 Le prime ricette scritte risalgono al periodo a cavallo tra il millesettecento e il secolo seguente, quando l’erborista Nicholas Culpeper, scrisse un trattato sull’’aurum potabile’, cioè un Elisir di oro in grado di curare i disturbi causati da un ‘difetto’ degli spiriti vitali come la melanconia, la stanchezza, febbri di varia natura, epilessia e tristezza.2 Le preparazioni erano eseguite in tre modi: il primo prevedeva la semplice dissoluzione dell’oro in acqua regia e recupero del sale cloruro di oro(III), il quale era poi dissolto o sospeso in altri solventi o preparato in pillole. Il secondo metodo, simile al primo, preparava il fulminato d’oro (AuCNO) tramite dissoluzione del metallo in una soluzione di acido nitrico e cloruro di ammonio, usato poi come diaforetico. Sembra, però, che la sua natura esplosiva e la tossicità ne rendesse limitato l’utilizzo. Il terzo metodo prevedeva invece la distillazione di una miscela contenente oro metallico; il distillato che era raccolto non poteva contenere per ovvie ragioni alcuna traccia del metallo. Il diciannovesimo secolo si apre con l’uso dell’oro limitato a fogli metallici per incapsulare pastiglie ma, nel 1811, un fisico francese (J.A. Chrestien) pubblicò un libro

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Introduzione 2 destinato a cambiare la situazione. Gli esperimenti di Chrestien prevedevano il trattamento esterno per la cura di patologie interne, sfregando il medicamento in polvere sulla pelle viva o su mucose come gengive o lingua. Egli, aiutato dai nuovi strumenti e dalle conoscenze che si stavano accumulando, fu in grado di sintetizzare e valutare scientificamente gli effetti terapeutici di una vasta gamma di composti di oro, inclusi il fulminato e il tricloruro. Miscelando cloruro di sodio con cloruro aurico ottenne un composto utilizzato con successo nella cura della sifilide, gotta e scrofola. Questi primi risultati, studiati con rigore scientifico, crearono il presupposto per successivi esperimenti.

Il moderno uso medicinale dell’oro trova i suoi inizi nel lavoro pionieristico del fisico e microbiologo tedesco Robert Koch (premio nobel per la medicina nel 1905). A lui si deve la scoperta nel 1980 dell’attività antitubercolare in vitro del cianuro di oro. La scoperta portò alla successiva sperimentazione con vari derivati di oro per il trattamento della tubercolosi. In seguito, nonostante i modesti risultati, il loro impiego fu esteso alla terapia della sifilide e dell’artrite reumatoide. In particolare, nel 1929, il fisico francese Jacques Forestier riportò l’attività antiartritica dei complessi di oro. I risultati molto favorevoli hanno rilanciato nel ventesimo secolo i sali di oro come presidio terapeutico di grande importanza per il controllo permanente della malattia. Vari farmaci di Au(I) tiolato, introdotti nel 1920, sono ancora oggi utilizzati. All’inizio degli anni ottanta del secolo passato, il gruppo di B. M. Sutton e collaboratori sviluppò un composto del tipo Au(I)-fosfina attiva per via orale, il quale è stato poi approvato per l’uso clinico nel 1985 (Auranofin, tetraacetil-β-D-tioglucosio-Au(I)-trietilfosfina). Nella seconda metà dello stesso decennio apparvero i primi reports riguardanti l’attività antitumorale di alcuni composti di oro(I) e di oro(III). Per questi ultimi, in particolare, vi era l’idea seconda la quale, in virtù di una configurazione elettronica d8, isoelettronica con i complessi di platino(II), potessero imitare l’attività del cisplatino. Tuttavia, solo dal 1990 sono stati riportati promettenti risultati per varie classi di composti antitumorali di Au(III).

1.2 Complessi metallici in terapia antitumorale

E’ però il platino(II), inserito in un complesso inorganico tetra coordinato, il primo metallo nella storia la cui funzione come antitumorale sia stata provata e utilizzata con successo da decenni fino ad ora. Dalla scoperta del cisplatino3 (cis-diammino-dicloroplatino(II)

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Introduzione 3 (figura 1.1)) si è aperta la strada verso un incredibile numero di composti sintetizzati e testati, alcuni di essi ancora usati con successo in campo medico: il carboplatino e l’oxaliplatino ad esempio (figura 1.1), insieme al cisplatino, sono usati per il trattamento di cancro alla testa, al collo, ai polmoni, alle ovaie e alla vescica.4

Altri complessi di platino(II) come il nedaplatino, il lobaplatino o l’eptaplatino sono stati in grado di superare la resistenza al cisplatino sviluppata da alcune linee tumorali.5 Questa farmaco resistenza è uno degli scogli contro i quali il progresso medico e scientifico si deve scontrare.6 Un altro problema è quello della tossicità dei complessi a base di platino, i quali provocano gravi effetti collaterali.

La necessità di superare questi ostacoli ha spinto la ricerca a esplorare il comportamento di altri metalli di transizione7,8,9,10. Sono stati sintetizzati, ad esempio, complessi di rutenio11 (NAMI-A e KP1019, figura 1.2), di titanio12 (budotitanio e titanocene dicloruro, figura 1.2), di gallio13 (gallio nitrato, gallio cloruro e gallio maltolato), i quali sono già stati testati in prove cliniche.

Figura 1.2. Complessi a base di Ru(II) e Ti con comprovata efficacia anti tumorale. Figura 1.1. Complessi a base di Pt(II) con comprovata efficacia anti tumorale.

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Introduzione 4

Complessi con centri metallici di osmio, palladio, iridio, argento, rame e oro sono ora in fase di test pre-clinici14,15,16.

In particolare, i complessi di Au(I) e Cu(I) hanno attirato la nostra attenzione e sono stati oggetto del presente progetto di tesi.

1.3 Complessi carbenici N-eterociclici di metalli di transizione

del gruppo 11

I carbeni N-eterociclici possono essere sintetizzati con molti centri metallici. Di certo, la classe di complessi di questo tipo più studiata è quella in cui il carbene è coordinato a un metallo di transizione. I carbeni metallici trovarono numerose applicazioni nella sintesi organica, catalisi e nella chimica macromolecolare,17,18,19,20 sino a essere intensamente studiati nel campo della biochimica. Al momento, complessi N-eterociclici di metalli di transizione costituiscono un campo emergente nella ricerca di nuovi farmaci organometallici a causa della loro stabilità e vasta possibilità di funzionalizzazione. In generale i complessi metallici con leganti carbenici N-eterociclici (NHC) sono caratterizzati da forti proprietà σ-donatrici del legante e una forte resistenza del centro metallico all’ossidazione, proprietà che rende questi composti chimicamente e termicamente stabili21,22,23 e promettenti per lo studio dei suoi effetti nei confronti degli organismi viventi.

1.3.1. Complessi carbenici N-eterociclici di argento

Sali di argento hanno trovato impiego per lungo tempo come agenti antimicrobici mostrando anche una tossicità relativamente bassa per l’uomo. Alcuni di questi hanno mostrato attività antitumorale sia in vitro sia in vivo.24,25 Tuttavia, un problema riscontrato in questo tipo di farmaci, è che questi perdono rapidamente la loro attività a causa del rapido rilascio di ioni Ag+. Per questo motivo diventa importante la coordinazione degli ioni Ag+ con leganti fortemente coordinanti che ne possono prevenire il rapido distacco.Questa limitazione può essere superata con l’uso di leganti carbenici N-eterociclici che tendono a legarsi fortemente agli ioni di Ag(I).26,27,28 A questo

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Introduzione 5 proposito sono stati sintetizzati numerosi complessi di argento N-eterociclici contenenti un forte legame metallo carbonio che ne aumenta la stabilità e, di conseguenza, ne diminuisce gli inconvenienti dovuti al rapido rilascio. Di particolare interesse, a questo riguardo, sono i complessi carbenici sintetizzati da Tacke e collaboratori, in particolare un complesso p-benzil sostituito (SBC1) il quale ha mostrato una forte attività antitumorale su linee di carcinoma del fegato (Caki-1), con un valore IC50 pari a 1.2 µM, circa tre volte più citotossico del cisplatino (IC50 = 3.3 µM)29,30. Questo complesso ha mostrato interessanti attività citotossiche anche su altre linee cellulari tumorali e possiede una forte tendenza a legare il DNA. Tuttavia ha mostrato scarsi risultati nella riduzione della crescita di massa tumorale su cavie e quindi ha bisogno di ulteriori miglioramenti riguardo alla selettività in vivo.

Seguendo la potenziale attività in vitro e in vivo del complesso SBC1, il gruppo di ricerca di Haque ha progettato e studiato una serie di complessi nitrilici di Ag(I)-NHC promettenti nei confronti di linee cancerose del colon-retto (HCT116).31 Successivamente, lo stesso gruppo di ricerca ha preparato tre differenti complessi di Ag(I)-NHC mono e binucleari, funzionalizzati con gruppi nitrile. 32,33 In particolare, il composto II in figura 1.3 è risultato tre volte più citotossico (IC50 = 0.9 μM) del farmaco standard tamoxifen (IC50 = 2.4 μM) su linee cellulari di cancro al seno (MCF-7). La considerevole attività di questo complesso binucleare può dipendere dalla sua stabilità e dagli effetti cooperativi dei due centri metallici vicini.34 In modo analogo, il composto III (figura 1.3) è stato testato contro cellule leucemiche K562 e ha mostrato una potenza comparabile con il farmaco standard 5-fluorouracil (IC50 = 35.9 µM) esibendo un effetto in dipendenza dalla concentrazione35. Più recentemente Veige, Tan e collaboratori hanno sintetizzato e caratterizzato un gruppo di complessi Ag(I)-NHC funzionalizzati con gruppi alchinici. Uno di questi (IV) ha mostrato citotossicità in vitro contro la linea di adenocarcinoma colon rettale DLD-1 con IC50 di 6.8 µM, contro la linea di carcinoma epato cellulare Hep-G2 con IC50 pari a 6.9 µM e, nei confronti della linea di adenocarcinoma polmonare MCF-7, un valore di IC50 di 17.1 µM36.

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Introduzione 6

Il gruppo di Castro, Goide e collaboratori37 ha sintetizzato, caratterizzato e valutato per la sua attività biologica il complesso V (figura 1.3). Questo composto ha dimostrato di esercitare un’inibizione della crescita tumorale e un’importante attività citotossica contro sei linee cellulari tumorali nel basso range micro molare. Inoltre, il complesso V sembra interagire con il DNA attraverso interazioni non covalenti, come ad esempio π-π stacking, tali da produrre cambi conformazionali nella struttura della doppia elica del DNA attraverso interazioni di moderata intensità.38

Seguendo l’incoraggiante approccio di diminuire il carattere lipofilico dei complessi fosfinici, Santini e collaboratori svilupparono due complessi carbenici di argento (figura 1.4) utilizzando i leganti NHC come alternativa alle fosfine.39 Il complesso VI, funzionalizzato con gruppi idrofilici sull’anello imidazolico è risultato due volte più citotossico del cisplatino contro le cellule resistenti C13*, mostrando nel contempo una citotossicità maggiore per le cellule umane sane rispetto a quelle neoplastiche. Successivi studi hanno dimostrato che la tioredossina reduttasi (TrxR) potrebbe essere il bersaglio per questi complessi a causa dell’alto potere inibitorio (circa 80%) già a concentrazione di 90 nM. Come contributo alla progettazione di complessi del tipo Ag(I)-NHC, solubili in acqua, i quali non sono stati estensivamente riportati in letteratura, lo stesso gruppo ha studiato le sintesi e le proprietà antitumorali in vitro di carbeni di argento solfonati ed esterificati (VII, VIII, IX, figura 1.4).40

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Introduzione 7

Il complesso imidazolico VIII ha mostrato un valore di citotossicità medio, su sei linee cellulari tumorali, superiore a quella del cisplatino di circa 2,5 volte, con valori che si attestano simili a quelli del complesso VII. Su linee di cellule resistenti C13*, invece, il composto ha mostrato una migliore attività antitumorale in vitro rispetto al cisplatino. L’elevata attività antitumorale di questo composto potrebbe essere correlata alla sua capacità di oltrepassare facilmente la membrana cellulare e accumularsi all’interno delle cellule tumorali; inoltre, la sua citotossicità è correlata con l’alto tasso d’inibizione dell’enzima TrxR (IC50 = 12.5 µM) determinando un’alterazione dell’ambiente redox cellulare con la conseguente morte apoptotica della cellula.

1.3.2. Complessi carbenici N-eterociclici di oro

Tra i numerosi composti di metalli di transizione non a base di platino, i complessi organometallici di oro sia nello stato di ossidazione +1 che +3 sono stati studiati intensamente negli ultimi anni come agenti antitumorali.41,42,43,44 Sulla base dell’ampia varietà strutturale dei leganti, il preciso meccanismo di azione di questi composti rimane ancora non del tutto chiaro. In particolare, questi possono attivare meccanismi di morte andando a bersagliare diversi sistemi cellulari. Tra questi, di rilevanza sono le possibili interazioni col DNA, l’influenza sul mitocondrio e l’alterazione del bilancio redox della cellula, la modulazione del ciclo cellulare ecc.45 In ogni caso, tra tutti i meccanismi proposti, l’inibizione del seleno enzima TrxR sembra giocare un ruolo fondamentale nei processi farmacologici dei complessi di oro. Infatti, questo enzima è particolarmente

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Introduzione 8 rilevante nella proliferazione dei tessuti tumorali e la sua inibizione è correlata agli effetti di apoptosi comandata dal mitocondrio.46 Per meglio comprendere questi fenomeni, Otto e collaboratori hanno sintetizzato e caratterizzato una serie di complessi mono e bis carbenici N-eterociclici (X, XI e XII) i quali si sono dimostrati potenti inibitori della TrxR con importanti effetti antiproliferativi su diverse linee tumorali.47,48,49 L’inibizione della TrxR da parte di questi complessi si suppone avvenga attraverso il legame diretto tra il centro di oro(I) e il sito attivo (selenocisteina) attraverso una sostituzione di un legante. Per andare a fondo di queste interazioni, Messori e Gabbiani con i loro collaboratori hanno sintetizzato un dodecapeptide lineare (Ac-SGGDILQSGCUG-NH2) che riproduce esattamente la parte terminale di hTrxR(488-499) e tramite esperimenti di spettrometria di massa (ESI-MS) hanno confermato la diretta coordinazione del centro di Au(I) al selenio della selenocisteina (Sec-498). 50

.

Poiché le molecole di fosfina rappresentano una delle classi di leganti studiate più intensamente per la sintesi di complessi di oro bioattivi (infatti una fosfina è presente nella struttura nel complesso ‘lead’ Auranofin), Otto e collaboratori hanno sintetizzato tre complessi carbenici di Au(I) contenenti fosfine, i quali presentavano differenti residui alchilici legati all’atomo di fosforo (figura 1.5, composti XIII, XIV, XV). Questi composti, poi, insieme a un analogo Au(I)-NHC contenente come secondo legante una trifenilfosfina (figura 1.5, composto XII), sono stati caratterizzati dal punto di vista strutturale e ne è stato valutato l’effetto antiproliferativo nei confronti delle linee cellulari tumorali HT-29 e MCF-7, rispettivamente cellule adenocarcinomiche del colon e del seno. Tutti i complessi hanno mostrato alti valori di citotossicità con IC50 nel range di concentrazione micro e nano molare (0.41-8.85 µM). Inoltre, tutti i composti studiati hanno mostrato un alto potere inibitorio verso la proteina PARP-1, enzima coinvolto in alcuni processi cellulari tra

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Introduzione 9 cui la riparazione del DNA e l’apoptosi.51 Il valore più alto d’inibizione (IC

50 = 0.41 µM) spetta al complesso XII, probabilmente a causa della bassa energia di legame tra il centro metallico di oro e il legante trifenil fosfinico. Per identificare le relazioni struttura-attività per i complessi Au(I)-NHC, Ott e i suoi collaboratori hanno riportato lo screening di una serie di venti composti diversi strutturalmente, con lo scopo di scoprire correlazione tra la capacità di inibire la TrxR, la citotossicità e le loro caratteristiche strutturali.52 Le diversità di questi composti riguardano la coordinazione del metallo centrale (Au(I) e Au(III)) con alidi o tiolati, come pure con NHC strutturalmente diversi. Molti dei complessi sintetizzati hanno mostrato promettenti valori di citotossicità contro cellule di adenocarcinoma del colon (HT-29) e un’efficiente capacità d’inibizione nei confronti di TrxR; in particolare, il migliore della serie è risultato il composto XVI (figura 1.5) con un valore di IC50 pari a 260 nM.53

Il gruppo di Gandin e Santini, inoltre, ha sintetizzato un complesso carbenico di Au(I) costituito da un triazolo (XVII) e ne ha valutate le proprietà citotossiche su diverse linee cellulari umane, sia sensibili sia resistenti al cisplatino.54 Questo complesso Au(I)-NHC è stato meno efficiente del farmaco di riferimento (cisplatino) e dei corrispondenti complessi carbenici di argento e di rame (XVIII, XIX) sulle linee cellulari sottoposte ai test ma, in accordo con i risultati precedenti, è stata confermata la seleno-proteina TrxR come il principale target cellulare per questo complesso con un IC50 pari a 10.1 nM dopo soli quindici minuti d’incubazione in cellule cancerose cervicali umane (A431).

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Introduzione 10 Il gruppo di ricerca di Casini ha sviluppato invece dei complessi di oro derivati dalla caffeina con struttura monocarbenica (XX) e biscarbenica (XXI-XXVII)55. Il migliore di questa serie (XXI) è due volte più potente del cisplatino contro cellule della linea tumorale A2780/R. Inoltre, la citotossicità dello stesso nei confronti di cellule sane è bassa (IC50 > 100 µM). Nonostante questa importante attività riscontrata su cellule resistenti al cisplatino, XXI si è mostrato meno attivo del farmaco di riferimento contro le linee sensibili A2780 (carcinoma ovarico umano), SKOV3 (carcinoma ovarico umano) e A549 (adenocarcinoma dell’epitelio alveolare). Mohr, Casini e Rigobello hanno riportato anche la sintesi e la caratterizzazione del profilo farmacologico di un complesso carbenico di Ag(I) e di Au(I) (XXVIII) che portano, legato a uno dei due atomi di azoto imidazolici, un gruppo fluorescente antracenile56. Il carbene di oro non ha mostrato una particolare selettività nella sua azione, con un valore di IC50 molto simile a quello del cisplatino sulle linee tumorale prescelte per i test (A2780/S, A2780/R, HEK-293T). Studi meccanicistici, però, hanno dimostrato che questo complesso può condurre all’ossidazione del sistema tioredossinico e del Prx3 (perossiredossina), stimolando la formazione di ROS nelle cellule tumorali, mentre non sembra reagire con il glutatione ridotto e ossidato. Studi di fluorescenza hanno evidenziato l’elevata diffusione di XXVIII in cellule tumorali rispetto alla sua diffusione in cellule normali.

Mao e collaboratori hanno sviluppato due complessi di oro del tipo NHC (XXIX, XXX) derivati del ciclofosfano, i quali mostrano una citotossicità maggiore dei corrispondenti complessi di Ag(I) e del cisplatino nei confronti di alcune linee tumorali resistenti.57 Studi di distribuzione intracellulare hanno dimostrato che il farmaco tende ad accumularsi nel mitocondrio e non ha alcun effetto invece sui cicli cellulari. Inoltre è stata osservata una differenza nel meccanismo di azione dei complessi contenenti Ag(I) e Au(I): nel primo caso si ha un’apoptosi precoce e nel secondo un’apoptosi tardiva. Da questo si conclude che complessi organometallici di questo tipo hanno un meccanismo di azione in funzione del centro metallico.

I complessi di oro (XXXI e XXXII) sintetizzati dal gruppo di Santini58 con funzionalizzazioni amminiche ed esteree, hanno mostrato un profilo di citotossicità molto simile a quello di analoghi di argento VII, VIII e IX, ma con un valore di IC50 minore pari a 90 nM per entrambi i carbeni. Questo risultato suggerisce che piccole differenze strutturali nei leganti su questi complessi non hanno effetti considerabili sulla loro tossicità.

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Introduzione 11

Il complesso XXXIII sintetizzato da Gautier e Cisnetti, il quale possiede una molecola triazolica fluorescente, è stato ottenuto attraverso una via sintetica che comprende una combinazione di una reazione ‘auto-click’ per il legante triazolico e un processo di transmetallazione. Interessante per questo complesso è la significativa fluorescenza blu trovata nel citoplasma, e non nel nucleo, di cellule PC3 (cancro alla prostata) trattate con il complesso di oro(I).59 Inoltre, questo complesso può essere localizzato specificatamente nei mitocondri.

Seguendo il successo dei carbeni dimerici di argento, contenenti uno spaziatore alchilico o aromatico, i gruppi di Castro e Goite hanno sintetizzato e caratterizzato un analogo di oro(I) (complesso XIV, figura 1.8) il quale è stato sottoposto a test di interazione con DNA e di inibizione della crescita cellulare su linee tumorali, mostrando ottimi risultati.60 Come per il suo analogo di argento (complesso V, figura 1.3) è stato proposto un modello

Figura 1.8. Complessi a base di Au(I). Figura 1.7. Complessi NHC a base di Au(I).

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Introduzione 12 basato su interazioni non covalenti (come interazioni di stacking π-π), le quali producono una distorsione conformazione dalla struttura ad elica del DNA.

Contel e collaboratori hanno recentemente descritto un semplice ed efficiente metodo di sintesi per ottenere complessi carbenici di Au(I) con un secondo legante ancillare. Questa strategia di sintesi è stata applicata nella preparazione di nuovi complessi cationici etero bimetallici Ru(II)-Au(I) (XXXVII, XXXVIII, XXXIX, figura 1.8). I complessi hanno mostrato un effetto sinergico, esibendo una citotossicità più alta rispetto a quella dei due complessi presi singolarmente contro cellule di cancro renale Caki-1 e cellule del cancro del colon HCT 116. Altro aspetto importante è la bassa tossicità di questi complessi su cellule non tumorigeniche rispetto al cisplatino.61

Infine, nel nostro gruppo di ricerca, al fine di investigare a fondo le principali caratteristiche chimiche e biologiche dei complessi Au(I)-NHC (XXXX, XXXXI, figura 1.9).62 Di questi complessi è stata valutata l’attività antiproliferativa verso le linee cellulari di carcinoma ovarico A2780, sia sensibile che resistente al cisplatino. Entrambi i complessi hanno mostrato una pronunciata citotossicità con valori di IC50 che cadono nel range del basso micro molare. Inoltre è stato osservato che nel caso delle A2780/R, la resistenza al cisplatino viene completamente superata.

Dallo studio delle interazioni con biomolecole è risultato che entrambi i composti sono in grado di metallare la proteina trasportatrice del rame, Atox1, mentre con altre proteine come il citocromo c e lisozima non è stata osservata alcuna interazione anche dopo tempi lunghi di incubazione. Il risultato suggerisce che questi complessi di oro producano la loro azione biologica attraverso la selettiva interazione con poche, cruciali, proteine cellulari.

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Introduzione 13

1.3.3. Complessi carbenici N-eterociclici di rame

Il rame è un elemento essenziale per molto organismi aerobici e ha una lunga storia di applicazioni mediche. La sua importanza è primaria per la funzione di alcuni enzimi e proteine ed è coinvolto in diverse vie biologiche.63 In anni recenti sono state esplorate anche le sue potenzialità come agente antitumorale, quando inserito in complessi. In un articolo del 2011,64 A. Gautier e F. Cisnetti, ipotizzando che la stabilità offerta da un legante carbenico NHC potesse far raggiungere indenne il centro di Cu(I) ai target biologici intracellulari, hanno sintetizzato quattro complessi carbenici a base di Cu(I) (figura 1.9) e ne hanno valutato l’attività citotossica in vitro su cellule MCF-7 di cancro al seno.

Tutti i complessi sviluppati hanno mostrato un IC50 decisamente inferiore a quello del riferimento. Tutti i complessi, inoltre, possono reagire con ossigeno e perossido di idrogeno intracellulari, producendo in situ delle specie radicaliche dell’ossigeno (ROS) le quali conducono la cellula alla morte per stress ossidativo.

Incoraggiati dai promettenti risultati ottenuti da altri gruppi riguardanti l’attività antitumorale di complessi del tipo Cu(I)-NHC, Tacke e collaboratori hanno sintetizzato nove complessi carbenici di Cu(I) simmetricamente sostituiti (XXXXVII a-i) e un complesso non simmetrico (XXXXVIII). La sintesi è stata ottenuta attraverso reazioni di transmetallazione a partire dagli analoghi di Ag(I).65 Tutti quanti i complessi hanno dimostrato una elevata citotossicità con valori di IC50 nel range del basso micro molare. In

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Introduzione 14 particolare il miglior candidato XXXXVII c, con IC50 di 0.60 µM nei confronti di cellule MCF-7 e 0.65 µM contro Caki-1, è stato scelto per ulteriori studi in vitro.

Il complessi carbenico triazolico di Cu(I), ottenuto dal gruppo di ricerca di Gandin e Santini66 (XXXXIX) è stato sviluppato e testato su varie linee cellulari sia sensibili che resistenti al cisplatino, mostrando di essere da tre a sette volte più efficiente del cisplatino contro cellule cancerose umane A431 (cellule cervicali tumorali), A549 (cellule tumorali del fegato), HCT-15 (cellule del colon e cellule malate del pancreas) BxPC3. Interessante il fatto che questi complessi sono risultati più citotossici rispetto agli analoghi di Ag(I) e Au(I).

1.3.4. Sintesi dei Carbeni N-eterociclici di Cu(I) e Au(I)

I primi a riportare la possibilità di sintetizzare diammino carbeni a cinque e sei termini (carbeni N-eterociclici) sono stati Ofele67 e Wanzlick68 negli anni Sessanta, anche se furono sintetizzati ed isolati solamente nel 1991 da Arduengo e collaboratori,69 utilizzando come precursori sali di imidazolio con sostituenti ingombranti sull'azoto.

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Introduzione 15 I carbeni N-eterociclici sono composti del carbonio divalente, i quali presentano buona stabilità grazie all'inserimento del carbonio carbenico in una struttura ciclica e alla presenza di due atomi di azoto in posizione alfa; questi ultimi attraggono densità elettronica σ stabilizzando il doppietto elettronico del carbene per effetto induttivo e, contemporaneamente, donano densità elettronica dal loro orbitale p pieno verso quello p vuoto del carbonio carbenico tramite un effetto mesomerico.70 La presenza di sostituenti ingombranti sui due atomi di azoto permette di stabilizzare il sistema carbenico, diminuendo la possibilità di formazione di una enetetrammina attraverso reazione di coupling tra due unità carbeniche con formazione di un doppio legame carbonio-carbonio.71

La formazione del legame metallo-carbonio è possibile grazie ad una σ-donazione del doppietto del carbonio carbenico al centro metallico.72 Originariamente si pensava ad una predominante donazione di tipo σ, se non addirittura ad un legame puramente di tipo σ per i complessi con metalli del gruppo 11, ma dopo studi più approfonditi questa idea è stata sostituita. Infatti è stato dimostrato che esiste un contributo significante di donazione-π e di una retro donazione π* dall’orbitale d del metallo all’interno legame NHC-metallo.73 In figura 1.12 sono riportati gli orbitali molecolari più importanti coinvolti nel legame NHC-metallo. Questo tipo di leganti è in grado di coordinarsi sia a metalli hard che soft formando sistemi molto versatili. In particolare, Gosh e collaboratori hanno dimostrano che nei complessi Au(I)-NHC la retrodonazione π è più rilevante rispetto ai complessi dove il metallo centrale è un atomo di argento(I)74. Questo spiega perché gli NHC-Ag(I) sono buoni agenti per la transmetallazione.

d d d N N N N N N N N

a.

b.

c.

Figura 1.12. Contributi MO al legame NHC-M. a. donazione σ → d del carbene NHC al metallo; b. donazione d → π* da metallo al legante NHC; c. donazione π → d dal legante al metallo.

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Introduzione 16

I complessi carbenici N-eterociclici dei metalli di transizione possono essere ottenuti principalmente con tre metodi. Un primo metodo prevede la reazione tra un carbene libero e un opportuno precursore metallico attraverso un processo in due stadi: il primo consiste nella deprotonazione del sale di imidazolio con una base e il secondo nella coordinazione del carbene così ottenuto al centro metallico. Come agenti deprotonanti possono essere utilizzati metallo idruri o metallo alcossidi in ammoniaca liquida,75 basi deboli come Na2CO3,76 K2CO3,77,78 Et3N79 o NaOAc80,81 o basi forti come KOBut, NaOMe, sec-BuLi, KN(SiMe3)2.82 Il carbene che si genera in soluzione può reagire con un opportuno complesso metallico che presenti siti di coordinazione liberi. Questa procedura sintetica è la più utilizzata con i centri metallici a sinistra nella serie di transizione (schema 1.1).

Una seconda via di sintesi, che riguarda principalmente i metalli appartenenti al gruppo 10 e solamente in alcuni casi al gruppo 11, consiste in un processo a singolo stadio che prevede la deprotonazione del sale di imidazolio direttamente nell'ambiente di reazione, in presenza di un agente basico, che può essere presente come base esterna oppure come legante nella sfera di coordinazione del complesso metallico utilizzato (ad esempio M(OAc)2 o M(acac)2), in modo tale da avere la diretta coordinazione del legante carbenico formato con il centro metallico (schema 1.2).

Schema 1.2. Formazione di un complesso carbenico N-eterociclico tramite deprotonazione e coordinazione in situ.

Schema 1.1. Formazione di un complesso carbenico N-eterociclico tramite deprotonazione e successiva coordinazione.

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Introduzione 17 Un terzo metodo per la formazione di complessi metallici del tipo NHC è la transmetallazione del legante carbenico a partire da complessi di Ag(I). Questo metodo sintetico è stato ottimizzato per la prima volta da Lin e collaboratori nel 1998.83 La sintesi prevede due passaggi: nel primo si ha la deprotonazione del sale di imidazolio, precursore del legante carbenico, per mezzo di Ag2O, con formazione del complesso carbenico di Ag(I); nel secondo stadio quest'ultimo viene fatto reagire con un opportuno precursore metallico in modo da ottenere il trasferimento quantitativo del legante carbenico dall'argento al metallo desiderato (schema 1.3).

Questo tipo di reazioni può avvenire facilmente poiché il legame che si viene a formare è più forte del legame iniziale carbonio-argento. Sintesi di questo tipo solitamente hanno il vantaggio di procedere a temperatura ambiente e non richiedere ambienti anidri; inoltre, l'equilibrio è spostato verso i prodotti grazie alla formazione dell'alogenuro di argento (AgX) insolubile nell'ambiente di reazione. Questo metodo di sintesi può essere attuato utilizzando una serie di precursori metallici diversi.

1.4 Glicoconiugazione per il targeting specifico di cellule

tumorali

Circa un secolo fa, lo scienziato tedesco Otto Warburg osservò un elevato consumo di glucosio nei tessuti tumorali rispetto al tessuti sani, unito ad un alto grado della glicolisi aerobica84,85. Questo effetto oggi è riconosciuto come una delle caratteristiche del cancro e ha attirato notevoli interessi per la ricerca di nuove strategie terapeutiche86, ispirate alle strategie di targeting. Una strategia di questo tipo molto promettente è basata sulla glicoconiugazione, in cui una molecola di glucosio o altro zucchero viene legata al farmaco. Perché la glicoconiugazione sia efficace come strategia di targeting antitumorale è necessario che i trasportatori glucosidici di membrana siano sovraespressi nelle cellule tumorali rispetto alle cellule sane. 87

Schema 1.3. Formazione di un complesso carbenico N-eterociclico tramite transmetallazione a partire da carbeni del tipo Ag(I)-NHC.

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Introduzione 18 La glufosfamide88 (figura 1.14), un alchilante del DNA, è stato il primo glicoconiugato ad essere esplicitamente ideato e valutato come composto citotossico per il targeting tumorale.

Rappresentante dei complessi organometallici testati con successo come antitumorali, è il farmaco Auranofin89 (2,3,4,6-tetra-O-acetil-1-tio-β-D-glucopiranoside-S-trietilfosfina di oro(l)), complesso fosfinico di Au(I) noto per avere attività antitumorale90, essere un inibirele attività mitocondriali91, stimolare il rilascio del citocromo c92 e indurre apoptosi93,94.

La glicoconiugazione generalmente offre un miglioramento della solubilità e stabilità in acqua e del potenziale per il targeting selettivo nei confronti di cellule cancerose, se il glicoside scelto è un substrato della proteina GLUT-1 la quale si trova sovra espressa in cellule cancerose.95

Allo scopo di investigare quali sono le caratteristiche chiave che i residui glucosidici devono avere per essere trasportate all’interno della parete cellulare sono stati effettuati numerosi studi, riportati in letteratura, in cui è stata modificata la struttura del glucosio per vedere come questo poteva influenzare il riconoscimento al sito tumorale.89 Ad esempio è stato osservato che i gruppi ossidrilici in posizione 1 e 3 e l’ossigeno piranosidico in posizione 5, nella conformazione chiusa del glucosio, sono implicati in legami a idrogeno stabilizzanti con i residui aminoacidici delle protine trasportatrici.96 La perdita di questi gruppi, o la sostituzione con gruppi meno elettronegativi che non formano i legami a idrogeno, porta ad una diminuzione delle molecole che attraversano la membrana cellulare. Sostituenti ingombranti al C3 sono tollerati e comunque buoni substrati. Inoltre, la sostituzione del protone al C5 conduce ad una distorsione della conformazione a sedia del glucosio, aspetto strutturale riconosciuto dalla proteina GLUT-1. I gruppi ossidrilici al C2, C4 e C6 non sono implicati in legami ad idrogeno con il trasportatore e quindi l’aggiunta di gruppi ingombranti in queste posizioni è tollerata.97,98

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Introduzione 19 Questo campo ha un grande potenziale, ma sono richiesti rigorosi test meccanicistici a ogni passo del processo di sviluppo del farmaco ed esperimenti attentamente controllati per determinare la vera utilità di questa strategia.

1.5 Studi di interazione con proteine modello: la BSA

Come già discusso in precedenza, seguendo il successo dei composti di Pt(II) nella chemioterapia tumorale, famiglie di complessi a base di metalli diversi dal platino sono stati intensamente studiati come potenziali agenti citotossici e antitumorali. In particolare, in anni recenti, vari complessi di oro nello stato di ossidazione +1 e +3 che hanno dimostrato stabilità sufficiente in condizioni fisiologiche, sono stati preparati e valutati per la loro proprietà antitumorali in vitro. Per quei composti che hanno dimostrato una rilevante attività citotossica, sono state effettuate ulteriori indagini biochimiche e farmacologiche per approfondire il loro meccanismo di azione.

In genere gli studi delle interazioni dei composti di oro con il DNA, il quale rappresenta il target primario dei complessi di platino, hanno dimostrato che il legame di questi complessi con gli acidi nucleici non è altrettanto forte come è nel caso dei farmaci a base di platino. Questo ha suggerito l’idea secondo la quale il meccanismo che causa gli effetti biologici osservati sia differente.

Di particolare interesse sono le interazioni di questi composti con le proteine, le quali in realtà sono sempre state esplorate in misura minore rispetto alle interazioni che avvengono con il DNA, ma che possono essere di estrema rilevanza per la biodistribuzione, la solubilità nei fluidi organici, il meccanismo di azione e gli effetti citotossici di diversi metallo farmaci. Infatti è oramai appurato che un danno diretto, inflitto dai complessi metallici a specifiche proteine a seguito della formazione di forti legami di coordinazione con i siti attivi di queste ultime, può essere di cruciale importanza per spiegare gli effetti biologici di alcuni metallo farmaci.

Nel presente studio sono state considerate le reazioni di una serie di complessi carbenici di Au(I) e Cu(I) con l’albumina serica bovina (BSA), selezionata sia perché è la più abbondante proteina presente nel plasma, sia perché costituisce un buon modello di proteina globulare.

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Introduzione 20 La BSA viene comunemente impiegata nei test di laboratorio come proteina modello per la sua struttura analoga alla albumina serica umana (HSA) e per la sua facile reperibilità. Ognuna delle catene polipeptidiche della BSA è composta da 583 amminoacidi, la cui sequenza corrisponde per il 76% a quella della siero albumina umana. La BSA presenta residui di cisteina fra i quali si instaurano 17 ponti disolfuro e 60 lisine, amminoacidi carichi positivamente che permettono alla proteina di instaurare legami elettrostatici con altre molecole. Caratteristica apprezzabile della BSA è la presenza di due residui fluorescenti di triptofano, il 134, localizzato nel sito idrofobico della proteina e il Trp-212, posizionato sulla superficie. La proteina è costituita da tre domini i quali sono a loro volta suddivisibili in 2 sub-domini (A e B) e il core idrofobico può ospitare diversi ligandi. La struttura della BSA è prevalentemente α-elicoidale (67%) con la restante parte del polipeptide che costituisce la regione flessibile fra i sub-domini.

Le siero albumine, come già detto, sono le proteine più abbondanti nel plasma di molti organismi viventi e ricoprono funzioni fisiologiche importanti: svolgono il compito di regolare la pressione oncotica del sangue, mantenerne costante il pH e, di particolare interesse per il presente progetto, sono veicolo per il trasporto di molecole endogene ed esogene all’interno del corpo attraverso il sistema circolatorio. Molte sostanze sono in grado di instaurare legami reversibili con le siero albumine, le quali aumentano la solubilità del ligando nel plasma, incrementandone il tempo di vita medio, ne diminuiscono la tossicità, lo proteggono da eventuali degradazioni e trasformazioni metaboliche e infine lo rilasciano negli organi bersaglio. Ben noto è il ruolo che le siero albumine svolgono nella distribuzione di farmaci all’interno dell’organismo e l’attenzione che ricevono nello sviluppo di nuovi principi attivi.99

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Scopo del progetto 21

2. Scopo del progetto

Dalla sua introduzione in ambito medico, il cisplatino ha avuto un enorme impatto nella cura del cancro, cambiando radicalmente il trattamento di molti tipi di tumore. Sono passati quasi cinquanta anni dalla scoperta del suo potere terapeutico e ancora oggi continuano gli studi non solo per approfondire il meccanismo di azione sull’organismo ma anche per trovare nuovi complessi sia a base di platino sia di altri metalli che siano sempre più efficienti.

Seguendo l’introduzione di Auranofin (2,3,4,6-tetra-O-acetil-1-tio-β-D-glucopiranoside-S-trietilfosfina di oro(l)) in clinica per il trattamento dell’artrite reumatoide e la scoperta delle sue importanti proprietà antiproliferative in vitro, i composti di oro hanno ottenuto sempre maggiore considerazione e sono stati ampiamente studiati come una possibile fonte di nuovi ed efficienti agenti anticancro a base metallica. Questo interesse è stato anche alimentato dall’osservazione che i composti di oro, generalmente, manifestano un profilo farmacologico molto diverso rispetto ai farmaci a base di platino, implicando l’esistenza di modi di azione diversi e innovativi. Così, negli ultimi venti anni, diverse famiglie di candidati farmaci a base di oro molto promettenti, caratterizzati da motivi strutturali differenti, sono stati preparati e caratterizzati e sono stati valutati i loro profili biologici e farmacologici.100

Negli ultimi anni, la ricerca sui complessi carbenici N-eterociclici (NHC) di metalli di transizione (Ag, Au, Pt, Pd, Cu ecc…) con azione citotossica ha portato a risultati promettenti anche grazie alla possibilità di sviluppare semplici strategie di funzionalizzazione che consentono di modulare solubilità e attività dei composti metallici attraverso semplici variazioni strutturali.

In questo contesto si è sviluppato il presente progetto di tesi, durante il quale è stata preparata una serie di complessi di Au(I) e di Cu(I) con leganti carbenici N-eterociclici variamente sostituiti. In particolare, alcune di queste funzionalizzazioni hanno riguardato l’introduzione di leganti solfonato per cercare di aumentare la solubilità dei composti in ambiente acquoso, parametro importante da considerare quando si pensa ad applicazioni in ambito farmacologico.

Inoltre, nella seconda posizione di coordinazione di alcuni dei complessi precedentemente preparati, è stato deciso di introdurre una molecola di tioglucosio, in

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Scopo del progetto 22 modo da ottenere dei nuovi analoghi di Auranofin, in cui la fosfina presente in quest’ultimo è stata rimpiazzata da un legante carbenico N-eterociclico (NHC).

La presenza di una molecola di zucchero coordinata al centro metallico potrebbe effettivamente risultare importante per aumentare la selettività del farmaco per le cellule tumorali.

Questi complessi sono stati caratterizzati tramite spettroscopia 1H, 13C NMR e IR ed è stato valutato il comportamento in soluzione, in condizioni simil-fisiologiche, sia dei complessi da soli che in presenza di glutatione tramite spettroscopia UV-Visibile. È stato inoltre studiato il grado di lipofilicità di ogni complesso che è stato comparato con preliminari dati di citotossicità ottenuti dal gruppo della Dr.ssa Gandin dell’Università di Padova, al fini di provare a trarre alcune relazioni struttura-attività. Infine, sono stati selezionati alcuni composti per iniziare uno studio riguardante le loro interazioni con proteine modello.

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Risultati e discussione 23

3. Risultati e discussione

Il presente progetto di tesi ha riguardato la sintesi e la caratterizzazione di carbeni N-eterociclici di Au(I) e Cu(I), di formula generale (NHC)ML (figura 3.1). La sintesi dei complessi ha richiesto un primo stadio in cui sono stati ottenuti i sali di imidazolio e in seguito i corrispondenti carbeni sono stati coordinati ai centri metallici di Cu(I), Ag(I) e Au(I) utilizzando le procedure esposte nell’ introduzione (paragrafo 1.2.4).

3.1. Sintesi dei sali di imidazolio

Tra i leganti utilizzati, il cloruro di 3-butil-1-metil-1H-imidazol-3-io (BMIm·HCl) è commerciale ed è stato utilizzato tal quale. Gli altri sali sono stati sintetizzati adattando procedure riportate in letteratura. Il cloruro di 1,3-bis-(2,6-diisopropilfenil)-imidazol-3-io (iPr·HCl) (5) è stato ottenuto con un metodo riportato in un articolo del 2007 da Hintermann et al.101

Schema 3.1. Sintesi del sale di imidazolo iPr·HCl (5).

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Risultati e discussione 24 La sintesi di questo legante prevede due stadi come mostrato in schema 3.1. Per reazione di un equivalente di gliossale e due equivalenti di 2,6-diisopropilanilina, in presenza di una quantità catalitica di acido acetico102,103 si ottiene il diazene 4 il quale viene fatto reagire con p-formaldeide e TMSCl (trimetilsililcloruro) per ottenere il cloruro dell’imidazolo. La sintesi viene condotta in acetato di etile poiché in questo solvente il prodotto 5 risulta insolubile e quindi precipita nell’ambiente di reazione, mentre i sottoprodotti restano in soluzione rendendo più facile la successiva purificazione. Il meccanismo di reazione (schema 3.2) consiste nell’attivazione della formaldeide con TMSCl e la seguente alchilazione dell’azoto diazenico, con formazione del sale dell’immina. Con l’uscita di una molecola di HCl si ottiene una ilide immino-azometinica 1,5-dipolare, la quale subisce una ciclizzazione 1,5-dipolare (6π elettrociclizzazione) trasformandosi in una specie ossi-imidazolica.

La sintesi di4 è stata condotta in metanolo, introducendo la 2,6-diisopropilanilina in uno Schlenk in presenza di mezzo equivalente di gliossale ed una quantità catalitica di acido acetico. In queste condizioni è stata osservata la precipitazione di un solido giallo corrispondente al composto diazadienico. La diimmina così ottenuta, dopo essere stata sottoposta a un processo di purificazione, è stata fatta reagire con un equivalente di p-formaldeide e TMSCl in acetato di etile; dopo mezz’ora si è osservata la precipitazione di un solido giallo corrispondente al sale di imidazolio 5.

In figura 3.2 è riportato lo spettro 1H NMR di iPr·HCl (5). I segnali sono in accordo con quelli attesi: a 7.58 ppm si osserva un tripletto relativo ai protoni arilici in posizione para rispetto all’azoto dell’anello imidazolico e a 7.35 ppm un doppietto relativo ai protoni in posizione meta. A 8.14 ppm è presente un singoletto attribuibile ai protoni dell’anello imidazolico. Un settetto a 2.46 ppm e due doppietti centrati a 1.29 e 1.25 ppm sono attribuibili ai protoni del gruppo isopropilico. Un singoletto a 10.08 ppm conferma la

Schema 3.2. Meccanismo di reazione per la condensazione di un generico diazene con formazione di un sale di imidazolio.

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Risultati e discussione 25 presenza di un protone particolarmente deschermato, attribuibile all’idrogeno acido del sale di imidazolio.

La sintesi del legante imidazolico iPr(SO

3Na)·HCl (13) (schema 3.3) contenente due gruppi solfato è stata condotta in modo simile alla sintesi di 5 partendo dal sale solfato dell’anilina.

Il sale di sodio 11 è stato ottenuto mediante una reazione di solfonazione: in un mortaio, alla 2,6-diisopropilanilina è stato aggiunto lentamente un equivalente di acido solforico concentrato con formazione di un solido bianco, il quale è stato accuratamente sgretolato e introdotto in un pallone. Il composto è stato scaldato fino a liquefazione e portato a riflusso a 180°C per cinque ore. Durante questo lasso di tempo si è osservata la graduale comparsa di un solido che è stato portato in soluzione con l’aggiunta di una soluzione acquosa di NaOH al grezzo di reazione. Dopo filtrazione e aggiunta di HCl concentrato è stata osservata la precipitazione del solfato acido, il quale è stato lavato e sospeso in MeOH. A questa miscela è stato aggiunto un equivalente di MeONa, preparato

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Risultati e discussione 26 al momento, per ottenere la solfato anilina sotto forma di sale di sodio, che è stata recuperato mediante precipitazione con Et2O.

Lo spettro 1H NMR di 11 registrato in DMSO-d

6, mostra segnali in accordo con quelli riportati in letteratura.104

Il diazene N,N-bis(4-sodiosolfato-2,6-diisopropilfenil)etan-1,2-diimmina (12) è stato ottenuto per condensazione di due equivalenti di 2,6-diisopropil-4-sodiosolfatoanilina (11) con un equivalente di 2,3-diidrossi-1,4-diossano secondo una procedura già riportata in letteratura.105 La differenza con la sintesi dell’analogo non solfonato 4 consiste nell’utilizzo della gliossale nella sua forma protetta e anidra, al posto della gliossale in soluzione acquosa al 40%, accorgimento necessario poiché la presenza di acqua influenza negativamente l’equilibrio della formazione della diimmina 12 (schema 3.4). Il composto 2,3-diidrossi-1,4-diossano è stato ottenuto facendo rifluire una soluzione acquosa di gliossale al 40% con glicole etilenico in una apparecchiatura tipo Dean-Stark. Il composto ottenuto è stato filtrato e seccato su P2O5.

Schema 3.3. Sintesi del sale di imidazolio iPr(SO

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Risultati e discussione 27

Lo spettro 1H NMR (figura 3.3) del diazene 12 mostra un singoletto a 7.44 ppm attribuibile ai quattro protoni dei due sostituenti arilici, un settetto centrato a 2.87 ppm e un doppietto a 1.16 ppm dovuti ai protoni dei quattro gruppi isopropilici e un singoletto a 8.16 ppm è relativo ai due protoni imminici.

Il sale solfato del cloruro di imidazolio 13 è stato preparato modificando una procedura riportata in letteratura.106 La sintesi è stata condotta in DMSO per reazione di 12 con un equivalente di p-formaldeide e TMSCl. La purificazione del grezzo di reazione, invece, è risultata più semplice rispetto al metodo riportato di letteratura: al posto di una cromatografia a fase inversa, il solvente è stato concentrato e il sale di imidazolio

Figura 3.3. Spettro 1H NMR in DMSO-d6 di N,N-bis(4-sodiosolfato-2,6-diisopropilfenil)etan-1,2-diimmina (12).

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Risultati e discussione 28 precipitato con acetone. Il prodotto, ottenuto con rese pressoché quantitative, è stato purificato tramite ricristallizzazione da DMSO a caldo con EtOAc. Il composto è un sale incolore, stabile all’aria, solubile in acqua, DMSO e MeOH, poco solubile in EtOH e insolubile in solventi organici quali acetone, CHCl3, CH2Cl2, CH3CN.

In figura 3.4 è riportato lo spettro 1H NMR di 13 in DMSO-d

6. Un singoletto a 10.20 ppm conferma la presenza di un protone particolarmente deschermato, come è nel caso dell’idrogeno acido dell’anello imidazolico. I segnali a 8.53 e 7.63 ppm sono relativi, rispettivamente, ai due protoni dell’anello imidazolico e ai due protoni aromatici dei sostituenti diisopropilarilici. Il settetto a 2.36 ppm e i due doppi doppietti, a 1.22 e 1.13 ppm, sono attribuibili ai protoni del gruppo isopropilico.

3.2. Sintesi dei carbeni N-eterociclici di Au(I)

Tra le diverse strategie disponibili per i complessi di Au(I) esposte nel paragrafo 1.3.4 dell’introduzione, per questo progetto di tesi è stato scelto l’utilizzo di carbeni di Ag(I)

Figura 3.4. Spettro 1H NMR in DMSO-d

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Risultati e discussione 29 come agenti transmetallanti. Questo ci ha permesso di lavorare in condizioni blande e ottenere i complessi con alte rese.

Sono stati sintetizzati i seguenti complessi: BMImAgCl (1), iPrAgCl (6), iPr(SO

3Na)AgCl (14) (figura 3.5).

La sintesi di BMImAgCl (1) è stata condotta in CH2Cl2 per reazione del sale di imidazolio (BMIm·HCl) con un leggero eccesso di Ag2O. Il complesso 1 è stato ottenuto sotto forma di un olio incolore107, solubile nella maggior parte dei solventi organici polari (CH

2Cl2, DMSO, acetone), poco solubile in acqua e insolubile in solventi apolari (Et2O, esano, eptano, ecc…).

Lo spettro 1H NMR (figura 3.6) mostra un singoletto a 3.81 ppm attribuibile alla presenza del metile direttamente legato all’azoto imidazolico, mentre un tripletto a 4.07 ppm, un sestetto apparente a 1.33 ppm, un quintetto a 1.78 ppm, un tripletto a 0.94 ppm sono attribuibili ai protoni della catena butilica. È presente inoltre un singoletto a 6.96 ppm dovuto ai due protoni imidazolici. Da notare, rispetto al cloruro di imidazolo 5 la scomparsa del segnale a 10.40 ppm, conferma dell’avvenuta coordinazione al metallo.108

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Risultati e discussione 30

Il composto iPrAgCl (6) è stato ottenuto con una reazione analoga a quella utilizzata per il complesso imidazolico BMImAgCl (1), ma in questo caso si è ottenuto il prodotto sotto forma di un solido incolore ed è risultato stabile alla luce per un periodo di tempo maggiore. La maggiore stabilità di 6 rispetto a 1 è probabilmente dovuta al maggiore ingombro sterico dei sostituenti arilici e a un legame più forte tra il carbene e il centro metallico.

Nello spettro 1H NMR di iPrAgCl (6) (figura 3.7) sono diagnostici la scomparsa del segnale a 10.08 ppm relativo al protone acido del precursore iPr·HCl (5) e lo shift a campi più alti del singoletto relativo ai protoni dell’anello imidazolico (da 8.13 a 7.26 ppm) indice della avvenuta coordinazione del legante carbenico al centro metallico. Il resto dei segnali sono leggermente shiftati rispetto a quelli del precursore 5 (figura 3.2).

1.0 1.4 1.8 2.2 2.6 3.0 3.4 3.8 4.2 4.6 5.0 5.4 5.8 6.2 6.6 7.0 7.2 7.4 f1 (ppm)

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Risultati e discussione 31

La sintesi di iPr(SO

3Na)AgCl (14) è stata condotta seguendo le indicazioni riportate in un lavoro di de Jesùs e collaboratori,109 i quali hanno sintetizzato dei complessi N-eterociclici di argento come precursori di analoghi di platino.

Il gruppo di ricerca ha notato l’esistenza di due strutture possibili per questi composti, mono (Ag(NHC)Cl) (I) e biscarbenica ([Ag(NHC)2]+) (II e III), in equilibrio tra di loro (schema 3.5). Secondo quanto riportato, questo equilibrio è influenzato da diversi fattori tra i quali, di maggiore importanza, sembrano essere la proticità e la polarità del solvente, l’ingombro sterico dei leganti110 e la presenza di NaCl.

Schema 3.5. Equilibri tra le strutture dei complessi NHC-Ag(I); R generico. Figura 3.7. Spettro 1H NMR in CDCl

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Risultati e discussione 32 Secondo quanto riportato, per quanto riguarda la dimensione e la struttura del legante, già in precedenza è stata notata una dipendenza dall’ingombro sterico per la quale, a complessi contenenti NHC ingombrati, è difficoltoso l’arrangiamento biscarbenico.111 L’aggiunta di NaCl, invece, non costituisce un fattore decisivo per la posizione dell’equilibrio tra le due strutture. L’aggiunta di NaCl risulta comunque necessaria per sostituire gli ioni di Ag+ legati all’ossigeno carico negativamente.

Invece, per il gruppo di de Jesùs è il solvente, o meglio la sua proticità, a decidere quale delle due strutture sia preponderante. Il motivo è anche da far risalire alla stabilità di [AgCl2]- in soluzione. In solventi polari come acqua e metanolo il complesso dialido argentato non è stabile e, precipitando come AgCl, impedisce la reversibilità dell’equilibrio e uno spostamento di questo verso la struttura biscarbenica (Schema 3.5, III).

La sintesi dei carbeni N-eterociclici contenenti i gruppi sodio solfato è stata da noi condotta in DMSO, MeOH e H2O (figura 3.5). Coerentemente con quanto riportato da de Jesùs e collaboratori, in H2O è stato ottenuto un complesso che corrisponde alla struttura biscarbenica riportata dal gruppo di ricerca sopracitato.112 In DMSO, invece, è stata ottenuta una miscela contenente entrambe le strutture, difficili da separare con le comuni procedure di purificazione. In metanolo, invece, è stato ottenuto il monocarbene (I) ma, comunque, con la presenza di una piccola percentuale del composto biscarbenico. Questi risultati si discostano da quanto trovato dal gruppo sopracitato e bisognerebbero di ulteriori studi per avere una visione più approfondita.

Nel solvente scelto (MeOH) sono stati disciolti il sale di imidazolio, Ag2O in leggero eccesso e NaCl, quindi la miscela è stata lasciata in agitazione per dodici ore a temperatura ambiente. Il prodotto è stato ottenuto sotto forma di un solido incolore con rese superiori al 90% e risulta stabile alla luce per un periodo indefinito. Il composto 14 è solubile in acqua, DMSO e MeOH, debolmente solubile in EtOH mentre è completamente insolubile in solventi organici come CH2Cl2, CHCl3, CH3CN e acetone.

Lo spettro 1H NMR del complesso iPr(SO

3Na)AgCl (14) mostra la scomparsa del singoletto relativo al protone acido del precursore a 10.05 ppm e lo shift a campi più alti rispetto al precursore 13 del segnale relativo ai protoni dell’anello imidazolico (da 8.13 a 7.97 ppm) in seguito alla coordinazione del legante al centro metallico. Completano lo spettro un singoletto a 7.57 ppm attribuibile ai protoni arilici, un settetto a 2.48 ppm e due doppietti a 1.18 e 1.14 ppm attribuibili alla presenza di protoni isopropilici.

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Risultati e discussione 33

I complessi di oro BMImAuCl (2), iPrAuCl (7) e iPr(SO

3Na)AuCl (15) (figura 3.8) sono stati ottenuti per reazione di transmetallazione a partire dai relativi complessi di argento (1, 6, 14).

La sintesi dei derivati carbenici di Au(I) è stata condotta al riparo dalla luce per evitare la riduzione dell’oro.

I complessi 2 e 7 sono stati preparati tramite l’aggiunta di un equivalente di (Me2S)AuCl a una soluzione del precursore di argento (1, 6) in CH2Cl2. In entrambi i casi si osserva la precipitazione immediata di AgCl. Come precursore per la preparazione di NHC di oro si utilizza (Me2S)AuCl in quanto il legame tra il disolfuro e il centro metallico permette un rapido scambio con il carbene di argento, sia perché Me2S è volatile e può essere facilmente rimosso.

I complessi di oro sono stati recuperati con buone rese come solidi incolori, entrambi solubili in solventi organici polari (CH2Cl2, DMSO, CH3CN, acetone) insolubili in solventi apolari e H2O. I complessi sono stabili all’aria se conservati al buio per tempi anche prolungati (fino ad alcuni mesi) mentre si decompongono parzialmente nel giro di pochi giorni se esposti alla luce.

Lo spettro 1H NMR di BMImAuCl (2) (figura 3.9) è simile a quello del suo precursore 1 (figura 3.6), con i segnali leggermente shiftati verso campi più alti.

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Risultati e discussione 34

In figura 3.10 è riportato lo spettro 1H NMR per il complesso iPrAuCl (7). Anche in questo caso i segnali non si discostano molto da quelli del suo precursore 6 (figura 3.7).

Figura 3.10. Spettro 1H NMR in CDCl

3 di iPrAuCl (7).

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Risultati e discussione 35

Lo spettro FT-IR del complesso 7 (figura 3.11) mostra bande (2965, 2926e 2869 cm-1) caratteristiche dello stretching asimmetrico e simmetrico dei gruppi metilici dell isopropile, mentre la coppia di bande a 1074 e 1058 cm-1 è dovuta a vibrazioni di scheletro dello stesso sostituente. Il sistema di bande a 3163 e 3139 cm-1 è relativo allo stretching dei legami C-H dell’anello aromatico, mentre le bande a 1469 e 1455 cm-1 sono dovute allo stretching dei doppi legami aromatici. Il sistema di bande deboli compreso tra 1211e 1058 cm-1 e il sistema di bande forti compreso tra 808 e 694 cm-1 sono dovuti a movimenti di bending dei protoni arilici.

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Risultati e discussione 36

Il complesso iPr(SO

3Na)AuCl (15) è stato sintetizzato in modo analogo a 2 e 7 usando però DMSO come solvente e aggiungendo NaCl alla reazione113 per favorire la precipitazione di AgCl, il quale potrebbe legarsi a uno degli ossigeni carichi del gruppo solfato. Il complesso è stato ottenuto con una resa pressoché quantitativa sotto forma di un solido incolore, stabile alla luce per diversi giorni.

Lo spettro 1H NMR riportato in figura 3.12 è in accordo con i dati riportati in letteratura.114

Figura 3.12. Spettro 1H NMR in DMSO-d

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Risultati e discussione 37

Lo spettro 13C NMR (figura 3.13) mostra un segnale a 172.6 ppm attribuibile al carbonio carbenico e lo shift rispetto al segnale presente nello spettro del precursore conferma la coordinazione del legante al centro metallico.

Il complesso 15 è stato analizzato anche mediante spettroscopia FT-IR (figura 3.14) e risulta molto simile al complesso 7 eccetto che per la presenza di bande a 1191, a 1071 e a 1041 cm-1 caratteristiche dei gruppi solfato.115 Le bande vicine a 2963 cm-1, invece, sono dovute allo stretching C-H del sostituente isopripilico. La presenza del gruppo aromatico è rivelato dalla presenza delle bande a 1466 e 1416 cm-1.

Il complesso in forma solida è stabile alla luce per oltre un mese e anche in soluzione di DMSO. 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140 150 160 170 f1 (ppm)

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Risultati e discussione 38

3.3. Sintesi di complessi carbenici N-eterociclici di rame(I)

Il rame svolge un ruolo di fondamentale importanza per le funzioni di diversi enzimi e proteine, oltre a essere coinvolto in molti processi fisiologici. È un metallo endogeno e poco tossico per gli organismi. Inoltre, è più economico rispetto a metalli come il platino, comunemente usato come antitumorale, e i suoi complessi carbenici del tipo Cu(I)-(NHC) risultano abbastanza stabili da raggiungere indenni i target cellulari.116 Potrebbe quindi essere un’ottima soluzione trovare complessi a base di rame(I) che siano farmacologicamente attivi.

In questo progetto di tesi è stato deciso di preparare una serie di complessi di Cu(I), analoghi alla serie di complessi carbenici di Au(I), per comparare le proprietà chimiche e biologiche di complessi contenenti lo stesso legante ma con un centro metallico differente. Le strategie di sintesi sono analoghe a quelle utilizzate per i carbeni di metalli di transizione, ovvero transmetallazione a partire da carbeni di argento con (Me2S)CuBr, o attraverso la deprotonazione del sale di imidazolio con una base e successiva coordinazione al centro metallico di CuBr.

I sali di imidazolio scelti per questo lavoro di tesi sono gli stessi utilizzati per i carbeni di oro: BMIm·HCl, iPr·HCl (5) e iPr(SO

3Na)·HCl (13). Figura 3.14. Spettro FT-IR di iPr(SO

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Risultati e discussione 39

La preparazione di 9 è già stata riportata in letteratura117 ed è stata condotta a partire dal sale di imidazolio 5, in presenza di NaOBut e CuBr ed utilizzando THF come solvente. La sintesi di 9 è stata condotta da noi in maniera simile, mediante dissoluzione del sale di imidazolio (5) in CH2Cl2 e successiva aggiunta di una quantità equivalente di base (tBuOK) e CuBr. Dopo filtrazione e lavaggio è stato ottenuto un prodotto pulito sotto forma di solido bianco con rese superiori al 90 %.

Il complesso carbenico 9 è stabile se mantenuto in atmosfera inerte ma se esposto all’aria assume lentamente una colorazione verde, segnale dell’ossidazione del rame. Il complesso è solubile in solventi organici come CH2Cl2, EtOH, MeOH, DMSO, acetonitrile e insolubile in acqua, Et2O e n-esano.

Schema 3.6. Sintesi di (NCH)CuBr.

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Risultati e discussione 40 Il complesso è stato analizzato tramite spettroscopia 1H NMR e FT-IR. I segnali NMR (figura 3.16) a campi bassi sono relativi ai protoni arilici e, in particolare, il tripletto a 7.47 ppm ai due protoni in posizione para dell’anello fenilico. Un doppietto a 7.30 ppm è attribuibile a protoni arilici in posizione meta e il singoletto a 7.13 ppm ai due protoni dell’anello imidazolico. Il settetto a 2.56 ppm e i due doppietti a 1.33 e 1.23 ppm sono dovuti alla presenza del sostituente isopropilico.

Del composto iPrCuBr (9) sono stati ottenuti dei cristalli adatti all’indagine difrattometrica stratificando n-esano su una soluzione di 7 in CH2Cl2. I dati strutturali per il carbene di rame 9 sono già stati riportati in letteratura e sono stati confrontati con quelli da noi ottenuti, riportati in tabella 3.2.

1. 21 1. 25 1. 29 1. 33 2. 50 2. 54 2. 57 2. 60 2. 64 7. 12 7. 28 7. 32 7. 46 7. 49 7. 54 Figura 3.16. Spettro 1H-NMR in CDCl 3 di iPrCuBr (9).

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