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2. LA BIOGRAFIA INTELLETTUALE DEL PRIMO MANZONI

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2. LA BIOGRAFIA INTELLETTUALE DEL PRIMO

MANZONI

2.1 INTRODUZIONE

Al fine di comprendere al meglio le dinamiche della conversione di Manzoni e l’influenza che i giansenisti ebbero su tale momento della vita dell’autore, risulta indispensabile una ricostruzione del suo percorso biografico. Solo passando attraverso la storia si può infatti comprendere come l’incontro con il giansenismo sia un dato ben reale e indubitabile, di importanza fondamentale per chiunque voglia conoscere la vita religiosa di Manzoni.

Dopo aver studiato i rapporti tra la rivoluzione francese e il giovane Manzoni del

Trionfo della libertà, sembra perciò fondamentale ricostruire nel dettaglio quegli

eventi fondamentali che ebbero luogo nell’ultimo periodo della prima permanenza in Francia: gli anni 1808-1810 sono quelli in cui si colloca il lungo processo di conversione e l’incontro con il Degola.

Nell’arco del presente capitolo, perciò, si ripercorreranno tali vicende biografiche, partendo proprio dall’incontro con la famiglia Blondel e con la prima moglie, tramite i quali l’animo di Manzoni si lasciò toccare dal protestantesimo. Il punto di partenza è stato deciso sulla base di un’impostazione assunta anche dal Ruffini nella sua monumentale monografia: egli, dopo aver ripercorso l’accidentata storia del giansenismo a partire dalle sue origini, apre il suo secondo capitolo con alcune pagine dedicate al nebuloso aneddoto della leggenda di S. Rocco, e prosegue raccontando il primo matrimonio con la calvinista Enrichetta, celebrato con rito protestante secondo il volere della famiglia della sposa. Ruffini insiste molto sulla vicinanza tra calvinismo e giansenismo, mostrando come le due correnti religiose possano definirsi per certi versi sorelle: essendo però il giansenismo più vicino al cattolicesimo rispetto al calvinismo, ecco che i due coniugi – sostiene Ruffini – poterono trovare in esso un punto d’incontro.

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Manzoni quindi non si convertì ad una religione nuova e a lui sconosciuta, ma ritrovò quella fede che aveva avuto da bambino. In questo capitolo di orientamento biografico si è ritenuto giusto dedicare un paragrafo anche al rifiuto dell’Urania, opera che, a causa del suo sincretismo tra cattolicesimo e istanze neoclassiche, si colloca in continuità col precedente In nome di Carlo Imbonati. Il rifiuto dell’Urania infatti è forse l’esempio più eloquente di come biografia e letteratura interagiscano in modo strettissimo, divenendo alle volte una sola cosa: disconoscendo quell’opera Manzoni rinnega anche il repertorio neoclassico, i contenuti profani, ormai avvertiti come non più consoni all’uomo nuovo e alla ritrovata fede.

Dopo aver trattato questo tema, si darà spazio ad un momento fondamentale della vita di Manzoni: il battesimo cattolico di Giulietta. Lo studio dei documenti ha infatti indotto Ruffini per primo a ritenere che tale battesimo testimoni il primo incontro con i Giansenisti. Nonostante molti studiosi successivi a Ruffini abbiano dato poco credito a questa scoperta, sembra giusto considerarla vera: non sono state infatti mosse obiezioni abbastanza forti da indebolire la tesi di Ruffini. Per quanto, inoltre, il processo di conversione di Manzoni sia iniziato già nel 1808, nel solco di una traccia del tutto indipendente dal giansenismo, pare giusto ritenere che il ritorno alla fede si sia compiuto raccogliendo i fecondi stimoli e le suggestioni del giansenismo, la cui dottrina egli poté interiorizzare proprio a partire dal primo semestre del 1809, ovvero dai mesi in cui optò per il battesimo cattolico della prima figlia, decisione sulla quale i nuovi amici giansenisti poterono forse avere influenza.

Successivamente, dopo aver raccontato la breve vicenda del secondo matrimonio, si parlerà del gruppo eterogeneo di giansenisti con cui la famiglia Manzoni entrò in contatto: gli studi di Ruffini e, più recentemente, il contributo di Stella, hanno messo compiutamente in luce di quali orientamenti politici e religiosi si sostanziasse il loro pensiero, che trovava forse il suo portavoce più rappresentativo proprio in Degola.

Nei successivi paragrafi, invece, si entrerà nel vivo dei rapporti tra Degola e i coniugi Manzoni e, attraverso lo studio delle tappe previste dal suo metodo catechistico, verrà data prova dell’enorme e decisiva influenza che l’abate genovese ebbe sui coniugi Manzoni durante il breve periodo che dal 1809 portò all’abiura di Enrichetta Blondel, il 22 maggio 1810. Le idee nuove, abbracciate da

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Enrichetta con fortissima convinzione, scatenarono l’ira della famiglia Blondel e in particolar modo della madre, Louise Mariton, che aveva interpretato come un personale affronto la decisione della figlia.

Successivamente si parlerà dei Réglements e dell’affidamento della famiglia Manzoni al canonico Tosi. I Réglement scritti da Degola per i suoi neofiti furono consegnati ad Enrichetta affinché essa potesse condurre una vita il più possibile conforme agli ideali giansenistici; mediante queste disposizioni il Degola impartiva alla famiglia regole severissime e prescriveva numerose letture di stampo giansenistico. Poiché la giovane sentì troppo opprimenti quelle regole, anche in virtù dell’oneroso compito di esser madre, fu richiesto un intervento che ne addolcisse le imposizioni: si occupò di questo Tosi, giansenista moderato legato in amicizia al Manzoni e al Giudici.

Una volta giunti a questo punto nella trattazione, è risultato di fondamentale importanza dare spazio ad un paragrafo che studiasse le letture in casa Manzoni, dimostrando quanto i consigli del Degola e del Tosi siano stati presi sul serio. Seguendo le tracce lasciateci dagli epistolari, sono stati quindi studiati attentamente i rapporti tra Degola e la famiglia Manzoni, al fine di mostrare l’evoluzione che questo rapporto ha avuto: Degola rimase naturalmente un importante punto di riferimento per la famiglia, benché dopo il 1811 i rapporti con lui abbiano subito un evidente raffreddamento.

Nel penultimo paragrafo è stato effettuato uno studio sulle biblioteche di Manzoni: si è cercato di mettere in evidenza la folta presenza di opere giansenistiche tra gli scaffali delle biblioteche di Manzoni, studiando sull’importante lavoro di Cesarina Pestoni.

L’ultimo paragrafo del presente capitolo contiene invece alcune note sull’Exhortation à une nouvelle catholique, opera pronunciata da Degola nel giorno dell’abiura di Enrichetta Blondel.

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2.2 L’INCONTRO CON ENRICHETTA BLONDEL E

CON IL PROTESTANTESIMO

L’incontro con la giovane ginevrina avvenne in un momento fondamentale della vita dello scrittore: esso si colloca infatti nel quiquennio trascorso in Francia, periodo a cui Mario Sansone dedicò uno studio accuratissimo nel suo volume

Manzoni francese (1805-1810). Dall’illuminismo al romanticismo. Tonelli già

prima di Sansone, in un altro lavoro datato ma ancora fondamentale per la biografia manzoniana (Manzoni), aveva messo sinteticamente in luce l’esistenza di tre periodi di assenza nell’arco degli ultimi anni del quinquennio parigino (1807-1810): mentre i primi due periodi di assenza dalla Francia furono di breve durata, il terzo, eccezionalmente lungo, si protrasse all’incirca per nove mesi 1:

Manzoni infatti nell’autunno del 1807 partì per l’Italia e, dopo essersi recato a Como (più precisamente Blevio, nella villa Belvedere della Sannazari), aveva soggiornato a Milano e a Brusuglio; aveva quindi incontrato la sua futura moglie e infine l’aveva sposata; il 27 giugno 1808 si trovava nuovamente a Parigi e vi rimase fino al giugno 1810, quando si trasferì nuovamente a Milano; successivamente tornò a Parigi soltanto dopo diversi anni 2.

Gli anni dal 1807 al 1810 furono densi di avvenimenti: le pratiche matrimoniali, l’esigenza di preoccuparsi a tempo pieno di incombenze quanto mai concrete, come la costruzione della villa di Brusuglio, distolsero Manzoni dall’impegno letterario 3.

Ciononostante questo periodo della sua vita fu tutt’altro che sterile; gli anni dal 1807 al 1810 costituirono la base di un periodo molto denso di riflessioni, grazie alla quali la personalità di Manzoni poté maturare ed evolversi: lo attestano le lettere inviate al Fauriel durante il soggiorno in Italia, che gettano una luce sulla maggiore consapevolezza di sé acquisita in questo momento da parte di Manzoni

4.

All’indomani della morte dell’Imbonati, Giulia Beccaria aveva cominciato a frequentare il gruppo di calvinisti francesi che viveva a Parigi. È molto probabile

       1 Tonelli, op. cit. (1935), pp. 66‐67.  2  Ibidem.  3  Sansone, op. cit. (1993a), p. 76.  4 Ibidem. 

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che tali frequentazioni siano cominciate dopo che la donna vendette il palazzo Imbonati in Contrada Marino, ereditato dal generoso compagno 5, al ricco banchiere ginevrino 6 François-Louis Blondel, destinato curiosamente a diventare il suocero di Alessandro 7. Per questa via donna Giulia divenne amica di Charlotte Blondel 8, alla quale ella restò sempre affezionatissima, anche in virtù del sostegno che da lei ricevette nel delicatissimo momento della morte di Carlo 9. L’idea del matrimonio fu di donna Giulia 10. La consuetudine dei matrimoni combinati era molto diffusa in Italia a cavallo tra settecento e ottocento 11. Questa moda aveva attirato su di sé le aspre critiche di madame de Staël e più in generale il biasimo degli esponenti dell’ambiente francese, permeato dall’influenza di Rousseau, che si faceva fautore del modello inglese del matrimonio d’amore 12. Scriveva la Staël: “l’infidélité même est plus morale en Angleterre, que le mariage en Italie” 13.

In realtà è del tutto inverosimile che tale consuetudine abbia influenzato le decisioni di una donna emancipata e famosa per il suo anticonformismo 14: la frettolosa ricerca di una sposa per il figlio nacque invece per altri motivi. Innanzitutto urgeva la necessità di dare legittimazione alla condizione di entrambi: circolavano pregiudizi e chiacchiere sia sulla vita coniugale di Giulia che sulla sospetta paternità di Alessandro 15.

       5  Giulia Beccaria era stata eletta dall’Imbonati sua erede universale. Bezzola, op. cit. (1985), p. 98.   6  Umberto Colombo, Vita di Enrichetta Blondel, Milano: Istituto Propaganda Libraria, 1991, p. 18.  7 Giulia Beccaria, “Col Core sulla penna”, Lettere 1791‐1841, Premessa di Carlo Carena, a cura di 

Grazia  Maria  Griffini  Rosnati,  Milano:  Centro  Nazionale  di  Studi  Manzoniani,  pp.  110‐111.  Cfr. 

Carteggio Manzoni‐Fauriel, pp. 58‐59. 

8 Sansone, op. cit. (1993a), pp. 45‐46. 

9  Donata  Chiomenti  Vassalli,  Giulia  Beccaria,  La  madre  del  Manzoni,  Milano:  Casa  Editrice 

Ceschina, 1956, p. 135.  10 Ulivi, op. cit. (1984), pp. 87‐88.  11  Brambilla, op. cit. (2008), pp. 99‐101.  12   Ibidem.  13 Madame de Staël, Corinne ou l’Italie. Edition critique de Simon Balayé, Paris: Champion, 2000,  pp. 159‐165. Citato da Brambilla, op. cit. (2008), p. 100.  14

  Giulia  Beccaria  ebbe  un’esperienza  spiacevole  in  fatto  di  matrimonio  e  non  poteva  affatto  condividere  in  proposito  il  pensiero  di  Pietro  Verri  che  poco  prima  del  matrimonio  di  Giulia  Beccaria  scrisse:  “La  galanteria  e  il  matrimonio  sono  due  cose  opposte  sempre:  la  prima  è  una  febbre, un delirio seducente, l’altro una dolce costante unione: il capriccio determina in un caso,  la  ragione  nell’altro:  la  prima  comincia  con  le  delizie  e  termina  se  non  in  peggio  con  la  noiosa  abitudine,  l’altro  comincia  con  freddezza  pacifica  e  si  va  riscaldando  e  rendendo  più  caro  col  tempo: questa è la mia esperienza”. Lettera di Pietro Verri ad Alessandro riportata dal Danelon in  Danelon, op. cit. (2002), p. 231. 

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Un secondo motivo può essere, invece, individuato nel desiderio di sottrarre Alessandro alla leva obbligatoria: dal 1 gennaio 1806 era infatti entrato in vigore il Codice civile napoleonico nel Regno di Italia, che istituiva nuove leggi a proposito dell’arruolamento nell’esercito. Secondo la legislazione dell’ancien Régime l’arruolamento doveva avvenire per sorteggio 16. Nella Francia rivoluzionaria era invece stata istituita, senza proclamarlo apertamente per non contraddire il principio rivoluzionario della volontarietà gratuita, la leva obbligatoria per tutti i giovani d’età compresa tra i 20 e i 25 anni, eccettuate alcune categorie di persone, tra cui gli uomini sposati 17. Dopo le “chiamate in massa” del 1793 18, Napoleone aveva normalizzato la coscrizione universale obbligatoria in Francia confermando la normativa già in vigore 19. Successivamente egli aveva cercato, attraverso diversi tentativi, di istituire le stesse leggi nella Repubblica Cisalpina, divenuta poi Repubblica Italiana (1802-1805), fino a riuscirci quando essa divenne Regno d’Italia (1805-1814) 20.

Comprensibilmente questa legge significò anche un grande aumento dei matrimoni.

L’ipotesi che la prima ragione della premura con cui si cercò una sposa e un matrimonio sia stata quella di sfuggire alla coscrizione, trova assoluta conferma in una lettera scritta da donna Giulia il 18 ottobre 1809 al conte Marescalchi: quest’ultimo era un uomo aperto alle idee rivoluzionarie, a cui la Beccaria si era già rivolta quando si trattò di trasferire la salma dell’Imbonati in Italia 21. Il Marescalchi era, oltre che un amico, l’unico uomo a Parigi in grado di aiutarla maggiormente: rivestiva infatti in Francia il ruolo di ministro delle Relazioni Estere del Regno di Italia, carica che lo tenne occupato sino al 1814 22.

Nella lettera, pubblicata dalla Griffini Rosnati e rinvenuta tra le carte del Ministro degli Affari Esteri Italiano 23 a Parigi, Giulia scriveva al Marescalchi:

      

16  Francesco Frasca, Reclutamento  e  guerra nell’Italia Napoleonica  – nuova  edizione  ampliata e 

aggiornata, Morrisville: Lulu Press Inc., 20093, pp. 8‐9.  17  Ibidem.  18  Godechot, op. cit. (1970), p. 114. Cfr. Frasca, op. cit. (2009), pp. 8‐9.  19 Frasca, op. cit. (2009), pp. 8‐9.  20  Ibidem, p. 103 e ss.  21

  Il  trasferimento  fu  fatto  su  richiesta  dell’Imbonati  stesso,  come  si  può  leggere  dal  suo  testamento. Bezzola, op. cit. (1985), pp. 99‐201. 

22

 Al Marescalchi Giulia Beccaria aveva scritto già il 7 giugno 1806 a proposito del trasporto della  salma dell’Imbonati. Giulia Beccaria. “Col core sulla penna”, pp. 197‐198. 

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“ho bisogno che mi facciate un piacere e questo con la massima sollecitudine. È sortito a Milano un avviso della Prefettura che invitta a presentarsi tutti quelli che sono nell’età della coscrizione. Alessandro non esce da questa classe che nel mese di marzo compiendo allora il suo anno ventesimo quinto; presentemente gli è necessario un certificato legale di essere figlio unico di madre vedova e vivente e di essere inoltre ammogliato. Vi prego dunque, stimat’e caro amico, di farmelo fare, giacché per essere legale e ricevuto deve necessariamente partire da voi. Perdonate se vi replico che mi è urgente l’averlo al più presto possibile per spedirlo colà” 24. Manzoni era inizialmente avverso all’idea di sposarsi. Il pastore protestante Johan Caspar Orelli 25, che celebrò il primo matrimonio di Enrichetta e Alessandro, ci ha tramandato un curioso aneddoto, di cui egli a propria volta venne a conoscenza da Giulia Beccaria. La donna raccontò al padre Orelli che si doveva a lei il cambiamento di opinione da parte di Manzoni in fatto di matrimonio: dopo aver udito dal figlio il proposito di non volersi sposare mai, gli chiese di leggerle un idillio di Gessner che descriveva la felicità di un padre di famiglia 26. Nel recitare quei versi, Manzoni si commosse e la lacrima caduta sull’acquaforte che illustrava l’idillio fu fatta incorniciare dalla madre in un cerchietto d’oro.27 L’iniziale parere discorde del figlio non fu però il solo ostacolo che si frappose alla realizzazione di questo progetto.

La questione del matrimonio assunse i connotati di un vero problema quando furono infrante le speranze dell’unione con Luigina Visconti e, in seguito, con la De Tracy 28. La faccenda, però, si risolse in fretta grazie ad una soluzione che

      

24 Ibidem. 

25 Si trattava di un uomo conosciuto anche per le sue qualità di filologo: fu “studioso dell’antichità 

ed  eccellente  diffusore  della  cultura  italiana  nell’area  tedesca”.  Di  Benedetto,  Fra  entusiasmi  e 

riserve: Schiller nei giudizi dei primi romantici italiani, “Giornale storico della letteratura italiana”,  184, 2007, n° 606, p. 206.  26  Bezzola, op. cit. (1985), p. 123.  27  Ulivi, op. cit. (1984), pp. 85‐86. Ulivi sottolinea l’abilità dimostrata da Giulia nello sfruttare la  sensibilità poetica che aveva il figlio. Cfr. Dante Isella, Idillio di Meulan, Torino: Einaudi, 1994, p.  18.  Cfr.  Bezzola,  op.  cit.  (1985),  p.  123.  Bezzola  ha  potuto  appurare  la  veridicità  del  racconto.   Dopo  aver  sfogliato  il  primo  volume  dell’edizione  francese  degli  idilli  di  Gessner  (pubblicata  a  Parigi dal Renouard nel 1799) che i Manzoni possedevano, vi ha trovato l’inconfondibile macchia  circolare: l’idillio era il XXXIV, La matinée d’automne (pp. 219‐224). Bezzola, op. cit. (1985), pp.  123‐124. 

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provenne proprio dai rapporti con gli apprezzati ambienti calvinisti di Parigi 29. Fu probabilmente un’idea di Charlotte Blondel, zia di Enrichetta, quella di combinare un incontro tra la giovanissima ragazza e Alessandro, ma le trattative in vista di quell’unione furono condotte personalmente da Giulia che avvicinò il padre di Enrichetta, François Louis Blondel 30. La speranza di realizzare tale matrimonio fu uno dei motivi per cui nel settembre del 1807 donna Giulia e Alessandro si trasferirono dalla Francia in Italia, iniziando il lungo soggiorno a Milano che li tenne distanti dalla loro amata Parigi per circa un anno. Il secondo motivo di questo lungo soggiorno va invece colto nella necessità di seguire da vicino i lavori per la costruzione della villa di Brusuglio, che nell’arco di quei mesi progredì quasi sino al completamento 31.

Tutto questo comportò che per Manzoni iniziasse un lungo periodo denso di impegni e preoccupazioni, che lo allontanarono dalla riflessione letteraria: il dover adempiere le pratiche per il matrimonio, i lavori a Brusuglio, la nuova sistemazione, costituirono in parte i motivi della lentezza con cui Manzoni attendeva all’elaborazione dell’Urania 32. L’amicizia con il Fauriel aveva

raggiunto una propria stabilità, e la precoce crescita intellettuale di Manzoni portava gradualmente lo scrittore a non avvertire più un dislivello tra le proprie riflessioni e conoscenze e quelle dell’amico francese 33. In questo processo di evoluzione interiore ebbe, però, un ruolo importantissimo anche Enrichetta, tanto che l’incontro con lei può essere definito come una tappa fondamentale di tale percorso. Enrichetta Blondel schiuse infatti a Manzoni mondi nuovi e gli presentò una maniera a lui sconosciuta di intendere e vivere la religiosità. La ferma devozione al calvinismo le era stata trasmessa dalla madre, Maria Mariton, e si trattava di una fede salda, professata con tutta l’anima e con intelligenza. Tale devozione aveva poco da spartire con il socinianismo del padre, François Louis Blondel, la cui mentalità si era sempre rivelata essere piuttosto conciliante in fatto di religione 34. La madre di Enrichetta, donna severa e autoritaria, era

       29  Ulivi, op. cit. (1984), p. 97.  30 Ibidem.  31  Sansone, op. cit. (1993a), p. 75.  32  Ibidem.  33 Ibidem, pp. 76‐77.  34

  Lo  attesta  per  esempio  una  lettera  scritta  a  Louis  Mariton  il  6  aprile  1809:  “Avete  torto  di  mettervi  in  urto  con  qualcuno  per  affari  di  opinioni  e  principalmente  per  ciò  che  riguarda  la  religione. Noi siamo qui in mezzo ai cattolici e ciascuno cerca di vivere in società senza impicciarsi 

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“Fermamente convinta del suo calvinismo e, inficiata di anticattolicesimo, allevò i figli nella più rigida osservanza della tradizione protestante, di cui ella stessa fu una seguace fervida e zelante” 35.

Alessandro ed Enrichetta si videro per la prima volta nell’autunno del 1807 36, mentre Giulia Beccaria e il figlio erano ospiti di Maddalena Sannazzari, sorella di Carlo Imbonati, nella sua villa di Blevio, sul lago di Como. I due ebbero modo di incontrarsi più volte e si fidanzarono nell’ottobre dello stesso anno 37.

Enrichetta, allora sedicenne, fece un ottima impressione sia ad Alessandro che a sua madre. Il carattere e le doti della ragazza rispecchiavano bene l’ideale di moglie cui Alessandro aveva già mostrato di aspirare 38: quando infatti si era trattato di incontrare la De Tracy, lo scrittore aveva confidato a Fauriel il desiderio di avere al fianco una moglie con un “âme droite, douce et sensible”, che fosse dotata di quella virtù “qui les embrasses toutes, la bienfaisance” e che, non attratta dai piaceri della vita mondana, avesse invece propensione “pour la campagne, les soins et les vrais plaisirs du ménage” 39. Enrichetta, come scrive Bacci, sembrava incarnare perfettamente questo ritratto 40.

I sentimenti di Alessandro e la simpatia della madre verso la giovane Enrichetta vengono testimoniati da una lettera inviata dallo scrittore al Fauriel ai primi del novembre 1807:

“J’ai une confidence a vous faire; je l’ai vu cette jeune personne dont je vous ai parlé a Milan, je l’ai trouvé très gentille, ma mère qui à parlé avec elle aussi, et plus que moi, la trouve d’un coeur excellent, elle ne songe qu’à

       

di questioni di culto, né di sapere se si è battezzati una o due volte e in quale maniera. I miei figli  sono  stati  tutti  battezzati  nella  Chiesa  Cattolica  ed  educati  nella  religione  protestante”  cit.  da  Colombo, op. cit. (1991), p. 20. 

35 Enrichetta Blondel Manzoni, Lettere familiari a cura di Giuseppe Bacci, Bologna: Cappelli, 1974, 

p.  16.  Ruffini  scrive  a  proposito:  “Il  temperamento  dei  genitori  Blondel  era  assai  differente:  protestante eterodosso e cioè sociniano il padre, e quindi latitudinario e tollerante, come usava  allora presso l’alto Clero ginevrino; e invece protestante ortodossa la madre, e quindi esclusivista  e  intollerante,  come  colà  pure  usava  presso  gli  avversari  di  quel  clero  ufficiale,  i  fautori  de  cosidetto Réveil.” Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 200. 

36

  Lettere  familiari,  p.  19.  Non  si  può  considerare  corretta  la  congettura  di  De  Gubernatis,  secondo cui Manzoni conobbe Enrichetta già nella primavera del 1807. Angelo De Gubernatis, Il  Manzoni e il Fauriel studiati nel loro carteggio inedito, Roma: Tipografia Barbera, 1880, p. 33.  37  Chiomenti Vassalli, op. cit. (1956), p. 136.  38 Colombo, op. cit. (1991), p. 26.  39

  Lettera  al  Fauriel  del  28  aprile  1807.  Carteggio  Manzoni‐Fauriel,  p.  44.  Cfr.  Tonelli,  op.  cit.  (1935), p. 70. 

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son ménage, et au bonheur de ses parens qui l’adorent; enfin les sentimens de famille l’occupent toute entière (et je vous dis à l’oreille, que c’est peut-être la seule ici). Il-y-à pour moi un autre avantage, qui en est réellement un dans ce pays au moins pour moi, c’est qu’elle n’est pas noble, et vous sçavez par cœur le Poeme de Parini. Elle est de plus Protestante enfin, c’est un trésor, et il me parait enfin que bientôt nous serons trois à vous desirer; jusqu'à présent la chose n’est pas du tout decidée, et elle meme n’en sait rien. Je crois que je serais en devoir de le faire savoir, quand ce sera fait, à cet homme estimable dont j’esperais avoir l’alliance; ainsi faites moi le plaisir de me donner votre avis la-dessus. Jusqu’à present c’est tres secret. (…). Ma mère m’interrompt en me disant de vous écrire que la petite dont je vous parlais, parle tousjours le Français, qu’elle a seize ans, et qu’elle est simple et sans pretentions” 41.

Come si è visto Manzoni apprezza nella “petite” Enrichetta il fatto che ella non appartenga ad una famiglia nobile e richiama l’attenzione del Fauriel sul Giorno del Parini, come a voler trovare nelle parole del poeta un ulteriore conferma della validità di quella convinzione 42. Da questo si evince fino a che punto il Manzoni ventitreenne avesse profondamente interiorizzato le parole del Parini: dalla vena satirica della sua voce Manzoni traeva l’alimento per la propria giovanile e convinta polemica, in questo caso indirizzata contro la nobiltà. Sorge forse il dubbio che nelle parole rivolte al Fauriel si affacci un pizzico di rammarico per il fallimentare progetto con la Destutt de Tracy 43, che certo aveva ferito nell’orgoglio donna Giulia 44. È però vero che l’incontro con Enrichetta dovette suscitare rapidamente nell’animo di Manzoni sentimenti tali da evitargli qualsiasi eventuale rimpianto per il fallimento dei progetti di matrimonio precedenti 45.

       41  Ibidem, p. 56.  42 Colombo, op. cit. (1991), p. 26.  43 Tutte le lettere, p. 732.  44  Lettere familiari, p. 19.  45

  Nella  lettera  dell’8  aprile  1807  Manzoni  scrive  al  Fauriel  di  non  provare  più  dolore  per  il  fallimento del progetto di matrimonio con Luigina: “Il faut donc que je vous dise que toutes les  belles consolations que vous me donnez à propos de ma passion sont perdues, car je ne me sens  pas une forte douleur d’être éloigné de l’angelique Luigina. J’ai répris a son égard le sentiment de  la  veneration,  de  la  dévotion  si  je  puis  m’exprimer  comme‐ça;  et  ce  sentiment  est  plutôt  doux  que cuisant”. Carteggio Manzoni – Fauriel, p. 26.  

Per quanto riguarda la De Tracy, Manzoni prega il Fauriel nella lettera del 28 settembre 1807 (e  quindi  proprio  poco  prima  di  incontrare  la  Blondel)  di  salutare  il  signor  De  Tracy  e  di  fargli 

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Manzoni inoltre vede come un “avantage” la fede protestante di Enrichetta 46: è probabile che in questo giudizio si celino un’altra volta l’anticlericalismo e il piacere della polemica verso gli ambienti conservatori della nobiltà cattolica milanese 47; ma è anche possibile che dietro tale giudizio si debba intravedere una simpatia sincera verso il protestantesimo 48. Lo stesso anticlericalismo aveva spinto il giovanissimo Manzoni durante il periodo del collegio a dare una scorsa alle opere di Calvino: all’epoca, pur ammirandone il latino, non era riuscito a trovarle di suo gusto 49. È possibile che al momento dell’incontro con Enrichetta la sua opinione fosse cambiata. Della simpatia per il protestantesimo, già sottolineata da Ruffini 50, parla recentemente anche la Boneschi: “Come Giulia, che voleva stabilirsi a Ginevra o a Torre Pellice e forse abbracciare il credo calvinista, anche Alessandro è interessato al protestantesimo e attirato dalle ragioni etiche come da quelle teologiche” 51. Tonelli, inoltre, aveva avanzato

l’ipotesi che Manzoni, spinto da un curioso interesse per la fede della moglie, probabilmente dopo il matrimonio, si sia nuovamente accostato alla lettura di Calvino, leggendo questa volta la sua opera più importante che certo Enrichetta aveva portato con sé: l’ Institution de la Religion Chrétienne 52.

Un fatto di per sé irrilevante, ma che, affiancato ad altri elementi, può costituire un indizio in questo senso, è il favore con cui nella stessa lettera del novembre 1807 lo scrittore si espresse sull’intera famiglia Blondel: “sa famille est des plus respectables pour l’amitié qui y règne, et pour la modestie, la bonté et tous les bons sentiments ” 53. Per quanto qui manchi un accenno, positivo o negativo, al protestantesimo, l’elogio della modestia e dei buoni sentimenti che animano

       

presente  il  proprio  rammarico  per  non  aver  potuto  avere  “des  droits  plus  sacré  a  son  amitié”.  (Carteggio  Manzoni‐Fauriel,  pp.  53‐54.)  Questi  sentimenti  spariranno  in  Manzoni  dopo  il  fortunato incontro con Enrichetta. 

46 Cfr. Bezzola, op. cit. (1985), p. 133.  47 Colombo, op. cit. (1991), p. 26.  48

  La  Pistelli  Rinaldi  trova  giusto  sottolineare  che  in questo  momento Manzoni  era  tanto  alieno  dal  cattolicesimo  da  considerare  un  vantaggio  il  protestantesimo.  Manzoni  si  sentiva  certo  lontano  dal  clero  cattolico,  essendo  ancora  arroccato  nel  proprio  anticlericalismo.  Era  già  però  cominciato  quel  processo  che  gli  faceva  ammettere  i  valori  del  cattolicesimo.  Emma  Pistelli  Rinaldi, Il cosiddetto “miracolo di San Rocco” nella conversione del Manzoni, in “Italianistica”, 14,  1985, n. 3, p. 447.  49  Ulivi, op. cit. (1984), pp. 40‐41.  50  Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 183‐184. 

51  Marta  Boneschi,  Quel  che  il  cuore  sapeva.  Giulia  Beccaria,  i  Verri,  i  Manzoni,  Milano: 

Mondadori, 2004, p. 242.  

52

 Tonelli, op. cit. (1935), pp. 99‐104. 

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l’intera famiglia è certo venato da curiosità ed entusiasmo verso un mondo di valori che provengono dall’educazione protestante. Se infatti è pur vero che le qualità elogiate da Manzoni siano anche quelle del cattolicesimo più puro, su di esse influiva moltissimo il rigore dell’educazione protestante, lasciando evidenti tracce nei modi e nei pensieri di chiunque l’abbia ricevuta.

La simpatia verso il protestantesimo poté nascere dal credito attribuito da Manzoni alle opinioni della madre Giulia che, amica già da tempo della protestante Charlotte Blondel e legata al gruppo dei calvinisti francesi, guardava a quella fede più che favorevolmente 54. Giulia Beccaria, infatti, afflitta dalla perdita dell’Imbonati, si era consacrata alla spiritualità cercando di dissolvere il proprio dolore nella consolazione religiosa 55. Alla decisione di avvicinarsi alla fede, Giulia era giunta dopo aver letto il testamento di Carlo, che, con le sue ultime parole ragionava sulla sacralità di un amore segnato non dal vincolo del matrimonio ma dall’affinità elettiva, e la invitava ad eternarlo nella devozione a Dio 56. I sentimenti religiosi di Giulia, improntati alla pietà cristiana, si possono intravedere nella volontà di trasferire in Italia la “dépouille mortelle du plus vertueux des hommes” 57, affinché l’anima di Carlo potesse riposare in patria. Nella lettera che Giulia scrisse al sindaco del Meulan il 1 novembre 1805 tali sentimenti trovano realizzazione in un vero atto di carità cristiana: la Beccaria invia infatti al sindaco una somma di denaro pregandogli di farne dono ai poveri a

      

54 Busnelli, La Conversione di Alessandro Manzoni dal Carteggio di Lui – Studio Biografico, Roma, 

Stabilimento Tipografico Befani, 1913, p. 20. 

55

 Ulivi, op. cit. (1984), pp. 63‐64. 

56  Chiomenti  Vassalli,  op.  cit.  (1956),  pp.  124‐125.  Scriveva  l’Imbonati  nel  suo  testamento:  “In  

tutti  poi  gli  altri  miei  beni  mobili,  ed  immobili,  crediti,  ragioni,  azioni  ed  ogni  altra  cosa,  che  al  tempo  della  mia  morte  si  troverà  nella  mia  eredità,  ho  instituito,  ed  instituisco  per  mio  erede  universale  Giulia  Beccaria  Manzoni  figlia  di  Cesare  Beccaria  Bonesana,  e  di  Teresa  de  Blasco  coniugi defunti, e questa mia libera, ed irrevocabile disposizione è per un attestato, che desidero  sia reso pubblico, e solenne, di que’ sentimenti puri, e giusti, che debbo, e sento per detto mio  erede  per  la  costante,  e  virtuosa  amicizia  a  me  professata,  dalla  quale  riporto  non  solo  una  compita soddisfazione, degli anni con lei passati, ma un’intima persuasione di dovere alla di lei  virtù,  e  vero  disinteressato  attaccamento  quella  tranquillità  d’animo,  e  felicità,  che  mi  accompagnerà fin’al sepolcro; per le quali cosa non potendo io mai soddisfare il mio cuore nella  pienezza de’ suoi sentimenti per detto mio erede prego il sommo Iddio nostro comune Padre, e  Creatore, a ricevere come umilmente gli porgo, li voti miei con tutta l’effusione del mio cuore per  il  miglior  bene  di  detto  mio  erede,  e  perché  ci  conceda  di  benedirlo,  ed  adorarlo  eternamente  insieme”.  Testamento  dell’Imbonati  citato  da  Bezzola  che  trascrive  dall’originale  autografo.  Bezzola, op. cit. (1985), pp. 99‐100. 

57

  Giulia  Beccaria,  Lettera al  Sindaco  di Meulan  de 13  marzo  1806,  in  Giulia  Beccaria.  “Col  core 

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nome del defunto nel giorno stesso del suo onomastico 58. La frequentazione del gruppo calvinista e di Charlotte Blondel contribuì poi ad indirizzare la Beccaria verso un orientamento preciso, quello appunto del protestantesimo: la madre di Manzoni contattò infatti il pastore protestante Mesestrezat, conosciuto tramite Charlotte Blondel, con l’intenzione di farsi per sempre “religieuse hospitalière” in un ospedale protestante di Ginevra 59.

La chiara intenzione di prediligere il protestantesimo al cattolicesimo ortodosso si sposava almeno parzialmente con le idee dell’Imbonati, restio ad accettare nei momenti intimi e profondi della vita la presenza del sacerdote cattolico come intermediario obbligato tra l’individuo e Dio 60. Di questa opinione era anche Alessandro Manzoni: all’anticlericalismo di cui si è parlato aggiungeva un profondo fastidio, che lo accumunava all’Imbonati, di fronte all’intromissione del prete nell’intimità dell’individuo. Lo dimostrano le dure parole che egli scrisse al Calderali il 7 settembre 1806 in occasione della morte dell’Arese. La presenza del prete in uno dei momenti più intimi dell’esistenza, ovvero quello della morte, era infatti da lui avvertita come un’indiscrezione imperdonabile:

“Chi, esclama, chi ha avuto il cuore di dargli la sentenza fatale? Di farlo soffrire nei forse ultimi momenti? Oh, piaccia a Dio, che io possa avere da te nuova del suo rivivere! Quando un malato ha presso di sé dei veri amici, che gli nascondono il suo stato, egli muore senza avvedersene: la morte non è terribile che per quelli che rimangono a piangere. Ma quando gli amici sono allontanati, quando vi sentite intronare all’orecchio: tu devi morire, allora la morte appare nel suo aspetto più deforme. Povero Arese!” 61.

      

58 Nella lettera la Beccaria fa questa richiesta con toni accorati. Le parole, prive della distanza che 

dovrebbe  avere  un  documento  ufficiale,  paiono  veramente  cariche  di  sentimento  religioso,  a  partire dalla speranza espressa che le benedizioni dei poveri arrivino all’anima del defunto. Ecco  quanto scritto da Giulia: “Le 4 novembre, jour de Saint‐Charles, et le sien, était marqué par lui,  par une petite Fête de bienfaisance. Veuillez, monsieur le Maire, distribuer, le même jour et en  son nom, la petite somme qui je vous envoie, aux pauvres que votre sensibilité et votre sagesse  saura distinguer. Faites M. le Maire, oh ! faites que les bénédictions des pauvres arrivent jusqu’à  lui.” Ibidem, p. 224.  59

  Ruffini,  op.  cit.  (1931),  I,  p.  166.  Cfr.  Busnelli,  La  Conversione  di  Alessandro  Manzoni  dal 

Carteggio  di  Lui  –  Studio  Biografico,  Roma,  Stabilimento  Tipografico  Befani,  1913,  p.  14;  Carteggio, I, p. 138 e ss. Cfr. Ulivi, op. cit. (1984), pp. 63‐64. Cfr. Bezzola, op. cit. (1985), p. 102. 

60

 Questo lo si evince dal suo testamento. 

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Lo stesso motivo ricorre in una lettera successiva: “Duolmi amaramente che gli amici non abbiano adito al suo letto e che invece egli debba avere dinanzi agli occhi l’orribile figura di un prete” 62. Come si vedrà lo stesso anticlericalismo emergerà nuovamente al momento delle prime nozze con Enrichetta Blondel 63. Durante l’autunno del 1807 trascorso a Milano, sia Alessandro che la madre Giulia avevano potuto convincersi dell’idea che quel matrimonio sarebbe stata una scelta giusta. Nell’arco di pochi mesi infatti la giovane Enrichetta si era confermata essere quella che la prima impressione aveva dipinto.

Testimonianza di questo sono le parole, notissime, della lettera scritta il 27 gennaio 1808 in risposta ad una del Fauriel andata perduta, nella quale l’amico francese, già informato del matrimonio, ne chiedeva ragguagli e chiudeva con la promessa di inviare un epitalamio 64. Manzoni dopo aver scritto che l’epitalamio sarebbe giunto troppo tardi 65, poiché esso avrebbe mancato l’occasione per la

quale sarebbe stato scritto, traccia un celebre e affettuoso ritratto di Enrichetta, ormai presentata come futura sposa 66:

“je vous dirai donc que mon épouse a seize ans, un caractère très doux, un sens très droit, un très grand attachement à ses parents, et qu’elle me paraît avoir un peu de bonté. Pour ma mère elle a une tendresse si vive et mêlée de respect, qu’elle tient vraiment du sentiment filial; aussi ne l’appelle-t-elle jamais qu’avec le nom de maman” 67.

Queste parole, oltre a fornire un breve ritratto della giovane Enrichetta, attestano fino a che punto la ragazza avesse saputo conquistarsi completamente, con i suoi modi incantevoli, oltre ché l’amore dello sposo, l’affetto di Giulia 68. Anche donna Giulia continuò a lasciarsi intenerire molto dai bei modi di Enrichetta, che

       62  Ibidem, p. 27.  63  Cfr. con Isella, op. cit. (1994), p. 18.  64 Carteggio Manzoni‐Fauriel, pp. 70‐71.  65  Commenta Sansone: “tutto è detto con grazia e letizia. Evidentemente Manzoni si diverte sulla  consuetudine  italiana  degli  epitalami  e  in  genere  della  poesia  d’occasione”.  Sansone,  op.  cit.  (1993a), p. 78.   66  Ibidem.  67  Carteggio Manzoni‐Fauriel, p. 68.  68 Colombo, op. cit. (1991), pp. 26‐29. 

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già prima del matrimonio aveva cominciato a chiamarla “maman” 69. I sentimenti ispirati avevano reso inutile ogni ritardo, tanto che Manzoni conclude parlando al Fauriel della scelta di sposarsi con Enrichetta come di una decisione ormai presa: “je ne doute pas de faire mon bonheur, et celui de ma mère, sans lequel il n’y en peut avoir pour moi” 70. Tale scelta pare veramente in grado di realizzare quel sogno di felicità familiare che la madre gli aveva indicato attraverso Gessner 71. Per quel che maggiormente ci interessa l’incontro con la Blondel significò anche il primo vero contatto diretto con il protestantesimo calvinista, a sua volta punto di passaggio per la futura adesione al cattolicesimo di stampo giansenistico 72. La questione religiosa aveva cominciato ad assumere connotati differenti agli occhi di Manzoni anche grazie alle dotte conversazioni con Cabanis, che nella sua

Lettre sur les causes premières parlava della necessità di una religione “simple et

consolante” 73. Cabanis desiderava credere, pur ammettendo l’indimostrabilità

delle proprie teorie, che le più nobili aspirazioni degli uomini avessero una qualche ragion d’essere nella metafisica, oppure in una dimensione religiosa che egli si era risolto a non escludere: tra tali aspirazioni l’Ideologo collocava il desiderio di riabbracciare i propri cari dopo la morte, quello di un premio per la virtù, e l’altruistico anelito alla giustizia per tutti i deboli e gli sventurati 74. Il soddisfacimento di tali aspirazioni insite nell’uomo corrispondeva per il filosofo alla compiuta realizzazione di un ordine perfetto immanente al mondo, al vertice del quale egli collocava, secondo una logica quasi aristotelica, la Causa Prima, l’Essere supremo non distante nei suoi attributi dal Dio cristiano 75. Per quanto i rapporti tra Manzoni e Cabanis non poterono essere molto approfonditi e

      

69 Alla fine dell’anno successivo la Beccaria le era affezionatissima, come testimonia il proscritto 

aggiunto  ad  una  lettera  del  29  Novembre  1808  scritta  da  Manzoni  a  Charles  Blondel,  per  difendersi garbatamente dall’accusa di  “froideur” e di “hauteur”. La Beccaria scriveva al Blondel:  “Notre Henriette est un ange et quand elle devient triste et chagrine je le deviens autant qu’elle;  je gronde alors mais ne c’est pas la chère enfant que je gronde – oh, non, tous les jours je l’aime  d’avantage et elle n’a, et ne pourra jamais avoir, que tout mon amour et tout mon dévouement  maternel.” Dalla lettera di Giulia Beccaria, A Charles Blondel, del 29 Novembre 1808 pubblicata in  Giulia Beccaria. “Col Core sulla penna”, p. 110.  70  Ibidem.   71  Ulivi, op. cit. (1984), p. 95. Cfr. Sansone, op. cit. (1993a), pp. 77‐81.  72 Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 183‐185.  73  Tonelli, op. cit. (1935), pp. 71‐72.  74  Ibidem.  75 Ibidem. 

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dovettero limitarsi ad una conoscenza più che ad una vera amicizia 76, non è escluso che abbia ragione Tonelli quando, rileggendo la lettera scritta da Alessandro in occasione della morte dell’Arese, intravede nelle parole usate l’influenza del famoso Ideologo: “Oh sì! Ci rivedremo. Se questa speranza non raddolcisse il desiderio dei buoni e l’orrore della presenza dei perversi, che sarebbe la vita?” 77. Il colorito vagamente religioso di questo pensiero dovrebbe essere attribuito alle riflessioni fatte durante le famose promenades d’Auteuil in compagnia di Fauriel e Cabanis 78. Come si è già visto, Fauriel fu l’Ideologo a cui Manzoni si legò maggiormente e le conversazioni tenute insieme a lui sullo stoicismo diedero altri spunti alla sua riflessione in materia religiosa 79. A questo percorso aggiunse nuove suggestioni l’incontro con il protestantesimo, che aveva avuto una sua anticipazione nelle prime frequentazioni del gruppo calvinista parigino di Giulia Beccaria, i cui effetti si manifestarono compiutamente soltanto quando Manzoni incontrò Enrichetta 80.

       76  I limiti che ebbero i contatti tra gli Ideologi e Manzoni sono stati studiati da Sansone nel suo  volume dedicato al quinquennio francese (op. cit. 1993).  77 Tutte le lettere, I, p. 30.  78  Tonelli, op. cit. (1935), p. 73.  79  Carteggio Manzoni‐Fauriel, pp. 75‐78.  80 Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 183‐184. 

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2.3 IL MATRIMONIO PROTESTANTE.

Una volta stabilito che si trattasse di una scelta giusta 81, Manzoni volle provvedere con la maggior sveltezza possibile ad adempiere le pratiche del matrimonio. La fretta di sbrigare le trattative emerge tra le confidenze fatte al Fauriel. Nella lettera del 1 gennaio 1808 Manzoni racconta all’amico che l’intera faccenda del matrimonio è ormai da considerarsi verbalmente conclusa 82, e in quella già citata del 27 dello stesso mese Manzoni gli scrive: “après l’avoir vraiment connue, j’ai cru tous les retards inutiles” 83. A tale impazienza di veder soddisfatto il desiderio della madre e il proprio, contribuivano anche le impegnative pratiche per la progettazione e la costruzione della villa di Brusuglio, in cui Manzoni sin dalla fine del 1807 si trovava immerso 84. I mesi a cavallo tra il 1807 e il 1808 costituiscono per Manzoni un periodo intenso di stress emotivo: accanto a questo si affianca il desiderio che egli condivideva con la madre di ritornare a Parigi 85, sia per rivedere Fauriel sia per abbandonare l’ambiente soffocante e pettegolo di Milano 86. Di questo Manzoni parla al Fauriel, e tra il divertito e l’infastidito lascia intendere all’amico che avrebbe preferito sposarsi a Parigi, se non altro per evitare le numerose indiscrezioni che l’imminente matrimonio stava suscitando in virtù della religione della sposa. Nella stessa lettera del 27 gennaio 1808 scriveva infatti Manzoni a Fauriel:

“Croiriez vous que mes concitoyens veulent bien s’occuper de mon mariage et en faire le sujet de beaucoup de discours? Ah divin Paris! Je ne sçais pas si, en venant chez nous, vous n’avez jamais remarqué un savetier (homme très remarquable) qui avait mis sa boutique portative près de notre porte. On

      

81

 Aveva scritto al Fauriel il 27 gennaio 1808: “je ne doute pas de faire mon bonheur, et celui de  ma mère, sans lequel il n’y en peut avoir pour moi”. Carteggio Manzoni‐Fauriel, p. 68. 

82  Scrive  Manzoni  al  Fauriel  dopo  averlo  rimproverato  per  non  essersi  fatto  sentire :  “Si  vous 

voulez bien encore vous intéresser à moi, je vous dirai que mon mariage est verbalement conclu,  et que cela me promet toutes sortes de bonheur”. Ibidem, p. 66.  83 Tutte le lettere, I, p. 64.  84  Ulivi, op. cit. (1984), pp. 91‐92.  85  Sansone, op. cit. (1993a), pp. 75‐77. 

86  Di  tale  ambiente  Manzoni  si  era  lamentato  altre  volte;  Dante  Isella  ricorda  per  esempio  la 

lettera  del  14  settembre  1806  indirizzata  al  Pagani,  nella  quale  Manzoni  scriveva  di  trovare  piacevole l’ “Indifferenza naturale” dei francesi che sapevano accantonare ogni forma di giudizio  di fronte alla spregiudicata scelta di vita della madre.  

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l’appelait Henri Quatre; eh bien, je me sarais marié à Paris, et Henri Quatre mon très honoré voisin n’en aurait pas entendu parler; et ici bien des gens, qui ne m’ont jamais vu, s’occupent de mon affaire comme s’ils étaient mes parens ” 87.

Di fronte all’importanza di concludere il matrimonio più in fretta possibile, le questioni religiose passarono del tutto in secondo piano: Manzoni considerava soltanto come un’inutile seccatura l’opposizione con cui i preti cattolici si rifiutavano di celebrare quel matrimonio a causa del calvinismo di Enrichetta, come testimoniano le parole scritte al Fauriel nella medesima lettera: “Les prêtes ne veulent pas bénir mon mariage à cause de la différence de religion et cela donnera encore matière à tant de propos, que nous supporterons jusqu’à ce qu’ils ne commencent à nous ennuyer” 88. Il rifiuto derivava dal fatto che Manzoni non

aveva richiesto la dispensa necessaria alla celebrazione di un matrimonio di religione mista, la quale avrebbe obbligato i genitori ad impartire ai figli un’educazione cattolica 89. Questa opzione, pur presente, non fu nemmeno considerata: essa rendeva necessarie difficoltà procedurali che Manzoni voleva a tutti i costi evitare e imponeva condizioni a cui lo scrittore non voleva sottoporsi

90. Queste furono le prime ragioni per cui Manzoni scelse il matrimonio calvinista 91. È probabile però che su tale scelta, oltre alle convinzioni aspramente

anticlericali e alla simpatia verso la fede protestante, abbia influito anche la volontà di andare incontro alla futura moglie e alla sua famiglia 92; un qualche ruolo in questa scelta ebbero, però, anche il gusto di sfidare le convenzioni e un certo desiderio di provocazione verso il pettegolo mondo dell’aristocrazia milanese ostile ai Manzoni 93. Uno dei motivi qui presentati emerge chiaramente nella lettera del 29 gennaio 1808, in cui il padre Orelli scriveva ai propri genitori parole interessanti a proposito della coppia che avrebbe dovuto sposare a Milano:

       87  Carteggio Manzoni‐Fauriel, p. 68.  88 Tutte le lettere, I, p. 64.  89  Lettere familiari, p. 20.  90  Orazio Maria Premoli, La vita di A. Manzoni, Milano: Amatrix, 1928, pp. 57‐58.  91 Ulivi, op. cit. (1984), pp. 98‐99.  92  Sansone, op. cit. (1993a), pp. 79‐81.  93

  La  lettera  del  27  gennaio  1808  fa  pensare  a  questo.  Floriani,  op.  cit.  (2007),  p.  307.  Cfr.  Chiomenti Chiomenti Vassalli, op. cit. (1956), p. 136. 

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“Lunedì dovrò andare di nuovo a Milano per sposare questa figlia col Sig. Alessandro Manzoni, del quale sono riportati alcuni versi italiani nelle Note ai Sepolcri. Egli è invero un cattolico ma vuole non dimeno, poiché la sua sposa è riformata, essere sposato da riformato” 94.

Il motivo della decisione di Manzoni secondo Orelli pare evidente, ed esclude qualsiasi ragione di fede: Manzoni vuole sposarsi da “riformato” perché Enrichetta era “riformata” 95.

Il matrimonio fu celebrato secondo il rito protestante e consistette in una cerimonia austera composta dall’unione civile e dalla successiva benedizione di un prete di quella fede. Questa scelta fece grande piacere alla famiglia Blondel e dovette essere accolta con gioia soprattutto dalla madre di Enrichetta 96. La cerimonia civile si svolse in fretta, dinanzi al conte Arese Lucini, ed ebbe luogo nel Municipio di Milano al cospetto di pochi intimi, la sera del sabato 6 febbraio 1808 97. Non ebbe luogo nessun banchetto per le nozze e tra i presenti non figurava nemmeno donna Giulia, perché indisposta a causa di malori e di un terribile mal di gola che aveva già cominciato ad accusare da qualche tempo 98. L’unico momento religioso del rito, proprio come esigeva l’uso protestante, fu la benedizione data alla coppia dal pastore Orelli, fatto venire apposta a Milano da Bergamo 99. Egli non fece altro che leggere il formulario di Ginevra. All’indomani della cerimonia Orelli, scrivendo all’amico Enrico Wirz, ritrae Manzoni in modo abbastanza positivo, dicendo di trovare in lui un giovane interessante per quanto ingenuo. La critica ha dato importanza alle parole di padre Orelli per sottolineare quanto ancora, al momento del primo matrimonio, fosse viva l’avversione al clero cattolico nel giovane Manzoni. Scriveva infatti Orelli: “Egli è odiato dai preti e li disprezza e in alcuni versi sciolti che ha fatto stampare, si manifesta molto

      

94

 Carteggio, I, p. 135. Colombo, op. cit. (1991), p. 31. 

95  Colombo  commenta  dicendo  “un  rito  vale  l’altro”.  In  realtà,  più  probabilmente,  il  rito 

protestante  aveva  più  valore  in  quel  momento  per  Manzoni  rispetto  a  quello  cattolico.  Cfr.  Colombo, op. cit. (1991), p. 31.  96 Lettere familiari, p. 21.  97  Ibidem.  98  Cfr. Ulivi, op. cit. (1984), p. 96.  99 Ruffini, op. cit. (1931), I, p. 165. Cfr. Emma Pistelli Rinaldi, op. cit. (1985), p. 447. 

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fortemente circa tutta quella razza.” 100 Il chiaro riferimento è al Trionfo della libertà”.

Il matrimonio suscitò, come previsto, grande scandalo a Milano, perché alla scelta della sposa protestante aveva fatto seguito quella delle nozze nel segno della stessa fede 101. Manzoni scriveva a Fauriel: “Nous vivons dans la plus grande solitude tremblant de peur toutes les fois que nous entendons une voiture rouler dans la cour, car ce porrai bien etre quelque importun qui vienne nous revir notre journée pour se défaire de la sienne” 102. Manzoni aveva bisogno di tranquillità e solitudine.

Le chiacchiere continue indisponevano molto, oltre a lui, anche donna Giulia, che già da molto tempo soffriva per i pettegolezzi dell’ambiente milanese 103. Soltanto l’anno precedente lei aveva fatto costruire nel giardino di Brusuglio un tempietto destinato ad ospitare la salma dell’Imbonati 104, che a quello scopo fu trasportata a

Milano da Parigi, e persino questo era stato oggetto di chiacchiere e causa di scandalo 105. Per tali ragioni dopo il matrimonio Giulia Beccaria desiderava ardentemente ritornare a Parigi, assecondata in questo da Alessandro, ansioso di riabbracciare Fauriel 106.

In una lettera del 7 marzo 1808 scritta al Fauriel, Manzoni dà all’amico notizia della precaria salute della madre e dell’avvenuto matrimonio, che aveva portato grande felicità alla nuova famiglia alleviando le sofferenze di Giulia 107:

“j’ai passé deux mois entre la peine et le plaisir; ma mère a eu un terribile mal de gorge, qui a recommencé trois fois; à présent elle n’en est pas tout à fait quitte. Dans cet intervalle, je me suis marié, ce qui a contribué peut être

       100 Johan Caspar Orelli ad Augusto Enrico Wirz. Bergamo 10 febbraio. Carteggio, I, pp. 135‐136.  101 Floriani, op. cit. (2007), p. 308.  102  Carteggio Manzoni‐Fauriel, p. 62.  103 Floriani, op. cit. (2007), p. 308.  104 Bezzola, op. cit. (1985), p. 113.  105

  La  lettera  inviata  il  1  novembre  1805  da  Giulia  Beccaria  al  sindaco  di  Meulan  attesta  la  decisione di spostare la salma dell’Imbonati in Italia e di trasferirla a Brusuglio. Come è risaputo  però,  ci  furono  degli  intoppi  e  le  spoglie  dell’Imbonati  vennero  provvisoriamente  accolte  nella  chiesetta  privata  di  Sainte‐Avoye,  situata  nella  campagna  della  Maisonnette,  e  proprietà  di  Sophie  de  Condorcet.  Grazia  Maria  Griffini  Rosnati,  op.  cit.,  p.  226.  Riguardo  al  trasferimento  della  salma  dell’Imbonati  a  Brusuglio  resta  anche  una  minuta  di  una  lettera  ufficiale  che  Giulia  Beccaria scrisse nel 1806 al Marescalchi. Cfr. Giulia Beccaria. “Col core sulla penna”, pp. 197‐198. 

106

 Floriani, op. cit. (2007), p. 308. 

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à guérir plus vite ma mère, en remplissant, en inondant son âme de bonheur” 108.

Nella stessa lettera parla di Enrichetta con grande entusiasmo e affetto: “cette angélique créature paraît bâtie exprès pour nous” e poi aggiunge: “elle a tous mes gouts, et je suis sur qu’il n’y a pas un point important d’opinion sur le quel nous discordions” 109. Queste parole lascerebbero intendere che ancora in questo momento la questione religiosa non costituisse affatto un problema. Nonostante l’evidente simpatia dei Manzoni per il protestantesimo, è improbabile che Giulia Beccaria e il figlio abbiano mai veramente abbracciato quella fede, perciò è chiaro che sino a questo momento i due coniugi dovessero avere parere discordante in materia religiosa: sostanzialmente ateo Alessandro, calvinista Enrichetta 110. Per il momento tale disparità non soltanto non crea discordie tra la Blondel e i due Manzoni, ma agli occhi dello scrittore non sembra nemmeno rientrare tra le questioni importanti da affrontare in una coppia 111. Essa non inficia affatto quel senso di armonia e quell’intesa che regnava allora nella famiglia appena formatasi. Il 31 agosto dello stesso anno Manzoni informava l’amico Gian Battista Pagani della propria situazione familiare, scrivendogli una lettera che per impostazione e argomento può ben comparire accanto a quella appena citata:

“Molti avvenimenti or lieti or tristi mi tolsero per qualche tempo ogni ozio, o almeno m’impedirono di farne uso. Una lunga e seria malattia di mia madre non lasciava luogo nel mio cuore ad altri affetti, che il dolore e la speranza; e il mio matrimonio mi aveva già da qualche tempo distratto da ogni occupazione. (…) Ho trovato una compagna che riunisce tutti i pregi che possono rendere veramente felice un uomo, e me particolarmente; mia madre è guarita affatto; e non regna fra di noi che un amore e un volere” 112.

       108  Carteggio Manzoni‐Fauriel, p. 72.  109 Ibidem.  110  Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 192‐193.  111  Ibidem. Cfr. Ulivi, op. cit. (1984), p. 96.  112 Tutte le lettere, I, pp. 72‐73. 

(22)

Enrichetta è una sposa perfetta 113: Manzoni apprezza la sua dolcezza e quella capacità di devozione, appena intravista, che le apparterrà come un dono per tutta la vita 114. Lo scrittore rimase profondamente colpito anche dalla gioia manifestata da Enrichetta nell’affrontare la vita come un dono ricevuto dall’alto: la ragazza pareva agli occhi del marito capace di imprimere ad ogni istante vissuto una sincerità religiosa a lui sconosciuta, che finì per risaltare dal confronto con il proprio modo di vivere e la propria indifferenza religiosa 115.

Le caratteristiche di Enrichetta che colpirono Manzoni furono probabilmente incoraggiate e rafforzate dall’educazione protestante: tra esse spiccano la sua modestia e umiltà. Come notarono De Gubernatis e Fossi 116, la modestia era una qualità che il riservato e introverso Alessandro possedeva e apprezzava; ne aveva dato prova quando si era trattato di gestire le sue prime amicizie letterarie: l’apprezzamento di un divario tra la propria cultura e quella del Cuoco e del Fauriel avevano fatto nascere in lui il desiderio di imparare e una curiosità intrisa di rispetto e stima, come quella che si prova di fronte ad un maestro. La modestia e l’umiltà di Enrichetta, però, erano di tutt’altro stampo: non derivavano da un laico buon senso ma, coltivate per educazione religiosa, facevano un tutt’uno con la sua dedizione altruistica; queste doti le appartenevano per indole 117 ed erano molto apprezzate nel mondo dell’ottocento, il cui l’ideale perfetto di donna sembra trovare in lei un eccellente esempio 118. Di tali qualità Manzoni parla al Fauriel nella lettera del 6 giugno 1808, rivelando il timore che la moglie aveva di risultare inferiore rispetto alle lodi sincerissime che lo scrittore le aveva tributato in altre pagine indirizzate all’amico francese:

      

113 Bezzola, op. cit. (1985), p. 128.  114 Ibidem. p. 97. 

115

 Pistelli Rinaldi, op. cit. (1985), p. 447. 

116  Questo  fu  notato  in  primis  dal  De  Gubernatis:  op.  cit.  (1880), p.  52;  suoi  riguardi  un  affetto 

misto  a  venerazione  e  deferenza  dovuto  anche  alla  consapevolezza  di  un  divario  tra  la  propria  cultura e quella dell’amico francese. Cfr. con: Piero Fossi, La conversione di Alessandro Manzoni,  Bari: Laterza e figli, 1933, p. 37.  

117  Come  scrive  Gallarati  Scotti:  “Enrichetta  era  un  vero  tesoro  morale,  educata  sobriamente, 

lontana  dalla  vanità  in  quel  tono  austero  ed  affettuoso  insieme  del  buon  mondo  elvetico;  intelligente senza grandi studi; ma soprattutto modesta, calma pudica, con quel soave candore  virginale che tanto fascino avrebbe esercitato sul Manzoni e sulla sua arte”. Gallarati Scotti, op.  cit. (1969), pp. 98‐99. Cfr. Colombo, op. cit. (1991), p. 34.  

118

  Tullo  Goffi,  La  Spiritualità  dell’Ottocento,  Bologna:  Centro  editoriale  Dehoniano,  1989,  pp.  264‐266. 

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“Il faut que je vous avoue qu’elle vous craint, parce que elle vous croit trop prévenu en sa faveur, et elle pense que vous la trouverez surement inférieure au portrait que nous vous faisons d’elle. Or je vous demande si cette crainte n’est pas un beau trait de plus à ce portrait, et c’est elle même qui l’y ajoute; c’est singulier comme la modestie et la vanité, à force de vouloir nous tromper sur le mérite, ne font que le mettre dans son vrai jour” 119.

In questo passo Manzoni si lascia ispirare dalle virtù della moglie per fare una piccola riflessione sulla modestia, qualità singolare perché in grado di gettare luce sulla autenticità del merito. Di fronte a tale ritratto si assiste forse, come ritiene Colombo, al primo sbocciare di quelle riflessioni che porteranno alla creazione del personaggio di Lucia, a cui Manzoni donò la “modesta bellezza” della moglie 120. Tale riflessione, per quanto brevissima, ha avvicinato Manzoni inconsapevolmente di un passo ad uno dei valori cristiani più apprezzati dalla morale protestante e giansenista.

Queste parole attestano come Giulia Beccaria e Alessandro Manzoni, da quasi atei e miscredenti, si accostarono veramente allo spiritualismo calvinista grazie all’affetto per la devotissima Enrichetta che, nato improvvisamente, aveva finito per divenire costante e per trascinare con sé l’ammirazione verso un modo nuovo di leggere il mondo e la vita: quello del provvidenzialismo, il quale dagli eventi della storia e della vita sapeva rintracciare le orme di un Deus absconditus 121. Dovette essere proprio Enrichetta a far trapelare attraverso la soavità di ogni sua parola e gesto la luce segreta di questo Dio che diede il primo scossone all’ateismo di Manzoni 122. La meraviglia, nata dalla contemplazione dell’ “angélique creature” 123, rafforzata dall’amore, nutrita dall’attenzione ai suoi pensieri e alla sua fede, fu il primo motore irrazionale e potentissimo che spinse alla curiosità verso il mondo religioso e quindi al primo passo di ritorno verso Cristo e il proprio “io credente”.

       119  Tutte le lettere, I, p. 72.  120 Colombo, op. cit. (1991), pp. 34‐35.  121  Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 183‐195.  122  Ibidem.  123 Ulivi, op. cit. (1984), pp. 98‐99. 

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Che la religiosità di Enrichetta sia stata uno dei motivi per cui lo scrittore reincontrò la fede 124 può essere dedotto dalle parole di Madame Dupin 125, a cui Fauriel aveva rivelato la propria opinione in proposito. Nel suo articolo intitolato “Manzoni”, comparso nel 1841 sulla Revue de Paris, la Dupin aveva scritto:

“Sa première femme Henriette Louise Blondel, qui lui avait rendu la foi religieuse absente de son âme, qui, de protestante qu’elle était en l’épousant, se fit catholique par conviction, peut-être aussi et sans qu’elle se l’avouât pour avancer dans la vie plus intimement avec lui, pour qu’il attendit d’elle toutes les grâces de la confiance comme celles de l’amour, ecc” 126.

Già Ruffini aveva evidenziato come il calvinismo e il giansenismo fossero correnti religiose in qualche misura simili per posizioni dogmatiche e teologiche

127; infatti, nonostante l’aperta ostilità dei giansenisti nei confronti dei protestanti e

dei calvinisti, entrambe le correnti avevano in comune l’impronta di Sant’Agostino e San Paolo, lo spirito di riforma, il rigorismo morale 128.

Le affinità tra calvinismo e giansenismo, su cui, oltre a Ruffini 129, aveva già attirato l’attenzione anche Tonelli, mostrano come di fatto il giansenismo si trovasse ad essere la strada più breve da imboccare per chi volesse passare dal protestante al cattolico. È dunque perciò legittimo rivedere, come fa Ruffini, nell’apertura dei Manzoni verso il calvinismo un primo passo ancora inconsapevole verso il cattolicesimo giansenista, cui stava per andare incontro l’intera famiglia 130. Come inoltre nota Ruffini, le correnti religiose razionalizzanti quali Socinianesimo, Molinismo, Probabilismo, che pur nelle loro grandi differenze si appoggiavano alla comune fiducia nelle facoltà umane, non avrebbero mai potuto dimostrarsi credibili agli occhi di un “razionalista orgoglioso ed indurito” 131: queste fedi che elogiavano l’autosufficienza della ragione, l’autonomia e la grandezza del pensiero umano, dovettero infatti

       124  Gallarati Scotti, op. cit. (1969), p. 119.  125 Madame Dupin era stata confidente di Fauriel.   126  Madame Dupin, cit. da Fossi, op. cit. (1933), pp. 44‐45.  127  Ruffini, op. cit. (1931), I, pp. 184‐185.  128 Ibidem.  129  Ibidem, p. 23.  130  Ibidem.  131 Ibidem, p. 185. 

(25)

sembrare contraddittorie al Manzoni. Qualsiasi costruzione teologica, che poggiasse sull’esistenza di un Dio onnipotente, poteva apparire scricchiolante agli occhi di un uomo laico e razionalista qualora essa elevasse troppo le capacità umane ponendole in competizione con la potenza di Dio 132. Per questa ragione Manzoni, quando si trattò di divenir cattolico, finì per prediligere una corrente che si situava all’esatto opposto rispetto a quelle razionalizzanti: il giansenismo appunto. Quest’ultimo con il suo pessimismo antiumanistico mortificava l’orgoglio razionalistico e deprimeva il libero arbitrio 133. Nonostante le considerazioni di Ruffini paiano corrette ed estremamente penetranti, bisogna forse aggiungere che su un piano psicologico e letterario, l’adesione piena e completa al giansenismo “classico” seicentesco 134 avrebbe comunque lasciato scontento lo scrittore: essa avrebbe infatti costretto Manzoni ad allontanarsi definitivamente dalle posizioni giovanili e ad ammutolire del tutto la propria indole razionalizzante. Le stesse esigenze ebbe Pascal, che, avvicinatosi al giansenismo da matematico 135, non poté far a meno di divenire un giansenista sui

generis: egli non poté infatti esimersi dal mettere completamente a frutto la

propria forma mentis, quando per lui venne il momento di trattare la materia religiosa e di fare apologia del giansenismo; essa paradossalmente fu una delle ragioni del suo successo 136. La matematica si trasformò in lucidità nel sistemare la materia e gli argomenti di quella corrente a cui si avvicinò; per questa ragione il giansenismo di Pascal ha in sé stesso una grande contraddizione: da una parte si sostiene proprio sulla logica e sulla potenza delle facoltà cognitive, dall’altra sorride necessariamente al pessimismo antiumanistico proprio del giansenismo classico 137. Rispetto a Pascal, Manzoni ebbe la fortuna di vivere in un momento storico dove l’influenza razionalizzante dell’illuminismo coinvolgeva ogni corrente, compresa quella giansenistica: il giansenismo del Tramonto e dei “chrétiens éclaires” 138, nello specifico, il giansenismo di Degola e Grégoire, era

       132 Ibidem.  133  Lettieri, op. cit. (1999), pp. 7‐16.  134  Paul Bénichou, Morali del "Grand Siècle", Bologna: il Mulino, 1990, pp. 75‐95.  135 Alban Krailsheimer, Pascal, Oxford: University Press, 1980, pp. 7‐20.  136  Oltre che alla brillante prosa, le Provinciales dovettero il loro successo anche  grazie alla logica  che il loro autore utilizzò nello smontare gli avversari.  137 Si approfondiranno questi aspetti in seguito.  138  Come scrive Rosa, “la sensibilità nuova, l’abito critico, lo sguardo rivolto all’Europa” finiscono  per  “penetrare  all’interno  della  stessa  struttura  ecclesiastica  e  dei  suoi  modi  di  essere  più  consolidati”. Mario Rosa, Introduzione all’Aufklärung cattolica in Italia in Cattolicesimo e lumi nel 

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